Corsa Contro la Follia

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From the series: Un Mistero di Riley Paige #6
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Corsa Contro la Follia
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CORSA CONTRO LA FOLLIA

(UN MISTERO DI RILEY PAIGE—LIBRO 6)

B L A K E P I E R C E

TRADUZIONE ITALIANA

A CURA

DI

IMMACOLATA SCIPLINI

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che include sei libri (e oltre). Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da tre libri (e oltre); e anche della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.

Accanito lettore, da sempre appassionato di romanzi gialli e thriller, Blake apprezza i vostri commenti; pertanto siete invitati a visitare www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto.

Copyright © 2016 di Blake Pierce. Tutti i diritti sono riservati. Fatta eccezione per quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti d'America del 1976, nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né potrà essere inserito in un database o in un sistema di recupero dei dati, senza che l'autore abbia prestato preventivamente il consenso. La licenza di questo ebook è concessa soltanto ad uso personale. Questa copia del libro non potrà essere rivenduta o trasferita ad altre persone. Se desiderate condividerlo con altri, vi preghiamo di acquistarne una copia per ogni richiedente. Se state leggendo questo libro e non l'avete acquistato, o non è stato acquistato solo a vostro uso personale, restituite la copia a vostre mani ed acquistatela. Vi siamo grati per il rispetto che dimostrerete alla fatica di questo autore. Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autore o sono utilizzati per mera finzione. Qualsiasi rassomiglianza a persone reali, viventi o meno, è frutto di una pura coincidenza. Immagine di copertina di Copyright GongTo, usata con l’autorizzazione di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

I MISTERI DI AVERY BLACK

IL KILLER DI COLLEGIALI (Libro #1)

CORSA CONTRO IL TEMPO (Libro #2)

FUOCO A BOSTON (Libro #3)

I MISTERI DI KERI LOCKE

UNA TRACCIA DI MORTE (Libro #1)

PROLOGO

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRE

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRE

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

CAPITOLO TRENTASETTE

CAPITOLO TRENTOTTO

CAPITOLO TRENTANOVE

CAPITOLO QUARANTA

CAPITOLO QUARANTUNO

EPILOGO

PROLOGO

La fisioterapista sorrise gentilmente al suo paziente, Cody Woods, mentre spegneva la macchina.

“Credo che per oggi basti con la CPM” gli disse, mentre la sua gamba smetteva gradualmente di muoversi.

La macchina aveva fatto esercitare l’arto, lentamente e passivamente, per un paio di ore, aiutandolo a riprendersi dopo l’operazione di sostituzione del ginocchio.

“Avevo quasi dimenticato che fosse accesa, Hallie” Cody disse con un lieve sorrisetto.

La donna provò una sensazione dolceamara. Le piaceva quel nome, Hallie. Lo usava ogni volta che lavorava lì, al Signet Rehabilitation Center, come fisioterapista freelance.

Le sembrava un peccato il fatto che Hallie Stillians fosse destinata a sparire l’indomani, come se non fosse mai esistita.

Eppure, era così che le cose dovevano andare.

E inoltre, disponeva anche di altri nomi che le piacevano allo stesso modo.

Hallie spostò l’apparecchio per la fisioterapia dal letto al pavimento. Abbassò gentilmente la gamba di Cody e gli sistemò le coperte intorno.

Infine, accarezzò i capelli del paziente, un gesto intimo che la maggioranza dei terapisti avrebbero evitato. Ma lei faceva spesso piccole cose come quella, e nessun paziente se ne era mai lamentato. Sapeva di trasmettere calore e empatia, e, soprattutto, con completa sincerità. Un piccolo tocco innocente era perfettamente appropriato, da parte sua. Nessuno l’aveva mai fraintesa.

“Come va il dolore?” chiese.

Cody aveva avuto un insolito gonfiore e un’infiammazione dopo l’operazione. Ecco perché era stato trattenuto nella struttura tre giorni in più del previsto, e non era ancora stato dimesso. Ed era anche questo il motivo per cui era stata chiamata Hallie, confidando nel suo magico potere di guarigione. Lo staff del centro conosceva bene le sue capacità e l’apprezzava, come anche i pazienti: perciò veniva spesso chiamata in situazioni del genere.

“Il dolore?” Cody disse. “L’avevo quasi dimenticato. La tua voce l’ha fatto sparire.”

Hallie si sentì lusingata ma non sorpresa. Gli aveva letto un libro, durante l’impiego della macchina CPM, un giallo. Sapeva di possedere una voce dall’effetto calmante, quasi come un anestetico. Non importava quel che leggeva: fosse Dickens o un romanzo pulp o persino un quotidiano, ipazienti non necessitavano di molte medicine contro il dolore quando erano sotto le sue cure; il suono della sua voce era spesso sufficiente.

“Allora è vero che potrò tornare a casa domani?” Cody chiese.

Hallie esitò solo per una frazione di secondo. Non poteva essere del tutto sincera. Non sapeva come si sarebbe sentito il paziente l’indomani.

“E’ quello che mi hanno detto” rispose. “Come ci si sente a saperlo?”

Una triste espressione attraversò il volto di Cody.

“Non ne ho idea” disse. “Tra sole tre settimane, passeranno all’altro ginocchio. Ma tu non ci sarai ad aiutarmi ad affrontare la cosa.”

 

Hallie gli prese la mano e la strinse gentilmente. Era dispiaciuta per il fatto che lui si sentisse in quel modo. Nei giorni scorsi, mentre lavorava con lui, gli aveva parlato a lungo della sua presunta vita: una storia piuttosto noiosa, pensava lei, ma l’uomo ne era parso affascinato.

Da ultimo, gli aveva spiegato che suo marito Rupert stava per andare in pensione dalla sua carriera di CPA. Il suo figlio minore, James, era andato ad Hollywood per tentare di sfondare come sceneggiatore. Suo figlio maggiore, Wendell, era lì a Seattle: insegnava linguistica all’Università di Washington. Ora che i ragazzi erano cresciuti ed ormai erano fuori di casa, lei e Rupert stavano per traslocare in un grazioso paesino coloniale in Messico, dove intendevano trascorrere il resto della loro vita. Sarebbero partiti l’indomani.

La donna pensava che fosse una bella storia.

Ma era completamente inventata.

In realtà, viveva a casa, da sola.

Completamente da sola.

“Guarda, il tuo tè è diventato freddo” lei disse. “Te lo riscaldo.”

Cody sorrise e disse: “Sì, grazie. Sarebbe carino da parte tua. E bevine anche tu. La teiera è lì sul tavolo.”

Hallie sorrise e aggiunse: “Naturalmente” proprio come accadeva ogni volta che ripetevano quelle scena. Lei si alzò dalla sedia, prese la tazza di tè tiepido di Cody, e la portò sul tavolo.

Ma, questa volta, prese la sua borsetta accanto al microonde. Vi frugò dentro, estraendone un piccolo contenitore di plastica per medicine, il cui contenuto svuotò nella tazza di tè di Cody. Fu rapida, furtiva: un rapido movimento esperto, ed era certa che lui non l’avesse vista. Nonostante tutto, il suo cuore accelerò in modo appena percettibile.

Infine, si versò il suo tè, e mise entrambe le tazze nel microonde.

Devo prestare attenzione, rammentò a se stessa. La tazza gialla per Cody, quella blu per me.

Mentre il microonde era in funzione, la donna si sedette di nuovo accanto a Cody, e lo guardò senza dire una sola parola.

Trovava che aveva un bel viso. Ma le aveva raccontato della sua vita, e sapeva che lui era triste. Lo era stato per molto tempo. Era stato un famoso atleta, quando era al liceo. Poi, si era fatto male alle ginocchia, giocando a football, mettendo fine alle sue speranze di proseguire con la carriera sportiva. Quelle stesse ferite lo avevano poi condotto all’operazione per la sostituzione delle ginocchia.

Dopo di allora, la sua vita era stata segnata dalla tragedia. La sua prima moglie era morta in un incidente automobilistico, e la seconda lo aveva lasciato per un altro uomo. Avevano due figli adulti, ma non gli parlavano più. Era anche stato vittima di un attacco di cuore pochi anni prima.

Ammirava il fatto che l’uomo non sembrasse neanche un po’ amareggiato. Infatti, appariva pieno di speranza ed ottimismo per il futuro.

Lo trovava dolce, ma ingenuo.

Sapeva che la sua vita non sarebbe migliorata.

Era troppo tardi ormai.

Il segnale del microonde la riportò alla realtà. Cody la stava guardando con occhi gentili, in attesa.

Lei gli diede un colpetto sulla mano, si alzò e si diresse al microonde. Estrasse le tazze, che ora erano bollenti al tocco.

Rammentò di nuovo a se stessa.

Giallo per Cody, blu per me.

Era importante non fare confusione.

Sorseggiarono entrambi il proprio tè, senza aggiungere altro. Ad Hallie piaceva pensare a questi momenti, come istanti di tranquilla compagnia. La rese un po’ triste il rendersi conto che non ce ne sarebbero più stati. Nel giro di pochi giorni, questo paziente non avrebbe più avuto bisogno di lei.

Presto, Cody piombò nel sonno. Lei aveva mescolato la polvere con sufficiente sonnifero da assicurarsi che accadesse.

Hallie si alzò e raccolse le sue cose, per andarsene.

E poi, cominciò a cantare dolcemente, intonando una canzone che ricordava da sempre:

Lontano da casa,

Tanto lontano da casa—

Questo piccino è lontano da casa.

Ti struggi

Di giorno in giorno

Troppo triste per ridere, troppo triste per giocare.

Non piangere,

Sogna a lungo e profondamente.

Gettati tra le braccia del sonno.

Non sospirare più,

Chiudi gli occhi

E tornerai a casa nel sonno.

Lui chiuse gli occhi, lei gli spostò amorevolmente i capelli dal viso.

Poi, gli sfiorò la fronte con un bacio gentile, si alzò e se ne andò.

CAPITOLO UNO

L’Agente dell’FBI Riley Paige uscì dal Phoenix Sky Harbor International Airport, profondamente preoccupata.

Era stata in ansia per l’intera durata del volo dal Reagan Washington International. Si era precipitata lì, perché aveva saputo che era scomparsa un’adolescente, Jilly, nei cui confronti Riley si sentiva particolarmente protettiva.

Era determinata ad aiutarla, e stava persino pensando di adottarla.

Riley uscì dal gate quasi correndo, sollevò lo sguardo e s’immobilizzò, scioccata nel vedere la ragazza ferma lì, con a fianco l’agente dell’FBI Garrett Holbrook dell’Ufficio di Phoenix.

La tredicenne Jilly Scarlatti era accanto a Garrett, sbattendo le palpebre, chiaramente ad attenderla.

Riley era confusa. Era stato Garrett a chiamarla, dicendole che Jilly era scappata e non si riusciva a trovarla.

Prima che Riley potesse fare delle domande, Jilly si precipitò verso di lei, gettandosi tra le sue braccia e singhiozzando.

“Oh, Riley, mi dispiace. Mi dispiace tanto. Non lo rifarò più.”

Riley abbracciò la ragazza, confortandola, e guardò Garrett, chiedendogli una spiegazione. La sorella di Garrett, Bonnie Flaxman, aveva provato a prendere Jilly come figlia adottiva. Ma lei si era ribellata ed era scappata via.

Garrett sorrise leggermente, un’espressione atipica per quell’uomo normalmente taciturno ed imbronciato.

“Lei ha chiamato subito Bonnie dopo che hai lasciato Fredericksburg” l’uomo disse. “Ha detto che voleva soltanto dirle addio una volta per tutte. Ma, poi, Bonnie le ha detto che stavi arrivando qui per portarla a casa con te. Allora lei si è dimostrata davvero entusiasta, e ci ha detto dove andare a prenderla.”

Poi, guardò Riley.

“Venendo qui l’ha salvata” l’agente concluse.

Riley si limitò a restare immobile per un istante, con Jilly che singhiozzava tra le sue braccia, sentendosi stranamente goffa e indifesa.

Jilly sussurrò qualcosa che Riley non riuscì a sentire.

“Cosa?” Riley chiese.

Jilly tirò indietro il viso e guardò Riley negli occhi, con i suoi sinceri occhi castani colmi di lacrime.

“Mamma?” disse in una voce spezzata e timida. “Posso chiamarti mamma?”

Riley la strinse forte di nuovo, sopraffatta da una miriade di emozioni confuse.

“Naturalmente” Riley disse.

Poi, si rivolse a Garrett. “Grazie tante per tutto ciò che hai fatto.”

“Sono contento di essere stato di aiuto, almeno un po’” l’uomo rispose. “Ti occorre un posto dove stare, mentre sei qui?”

“No. Ora che l’abbiamo ritrovata, non ce n’è bisogno. Prenderemo il prossimo volo.”

Garrett le strinse la mano. “Spero che funzioni per entrambe.”

Poi, se ne andò.

Riley guardò l’adolescente, che era ancora stretta a lei. Fu colpita da uno strano miscuglio di sensazioni: entusiasmo di averla trovata e preoccupazione per il futuro che le aspettava entrambe.

“Andiamo a mangiare un panino” si rivolse a Jilly.

*

Nevicava leggermente durante il viaggio di ritorno dal Reagan Washington International Airport.

Jilly guardava silenziosamente fuori dal finestrino, mentre Riley guidava.

Il suo silenzio era una grande opportunità dopo il volo durato più di quattro ore da Phoenix. Jilly non era riuscita a smettere di parlare. Non era mai stata su un aereo prima, ed era assolutamente curiosa di ogni cosa.

Perché adesso è così silenziosa? si chiese Riley.

Forse, pensò lei, la neve doveva sembrare piuttosto insolita agli occhi di una ragazza che aveva vissuto tutta la vita in Arizona.

“Avevi mai visto la neve prima d’ora?” Riley chiese.

“Solo in TV.”

“Ti piace?” Riley le chiese.

Jilly non rispose, il che fece sentire Riley a disagio. Ricordò la prima volta che aveva visto Jilly. La ragazza era scappata da un padre violento. Nell’assoluta disperazione, aveva deciso di diventare una prostituta. Era andata ad una fermata per camion, che era nota per essere un luogo di prostituzione, “lot lizard-prostitute dei camionisti” le chiamavano, perché erano particolarmente squattrinate.

Riley era andata lì ad indagare su una serie di omicidi di prostitute. Aveva incontrato per caso Jilly, all’interno di un camion, che aspettava di vendersi al camionista, una volta che fosse tornato.

Riley era riuscita ad affidare la ragazza ai Servizi di Protezioni dei Minori, ed era rimasta in contatto con lei. La sorella di Garrett l’aveva adottata, ma alla fine Jilly era fuggita di nuovo.

Era stato allora che Riley aveva deciso di portare con sé Jilly.

Ma ora, stava cominciando a chiedersi se non avesse commesso un errore.

Aveva già la sua figlia quindicenne April di cui occuparsi.

April da sola si era rivelata impegnativa. Avevano vissuto insieme delle esperienze traumatiche, dopo la rottura del matrimonio di Riley.

E che cosa sapeva davvero di Jilly? Riley aveva idea di quanto la ragazza fosse profondamente segnata? Era minimamente preparata ad affrontare le sfide che Jilly poteva presentare? E, sebbene April avesse approvato l’idea che la madre la portasse a casa, come sarebbe andata a finire tra le due adolescenti?

Improvvisamente, Jilly ruppe il silenzio.

“Dove dormirò?”

Riley si sentì sollevata nel sentire la sua voce.

“Avrai la tua stanza” le rispose.”E’ piccola, ma penso che andrà bene per te.”

Jilly ritornò silenziosa per un altro istante.

Poi, chiese: “Era la stanza di qualcun altro?”

Ora Jilly sembrava preoccupata.

“Non da quando ci vivo io” Riley disse. “Ho provato ad utilizzarla come ufficio, ma era troppo grande. Allora ho spostato il mio ufficio nella mia camera da letto. Io ed April ti abbiamo comprato un letto e un comò, ma, quando avremo il tempo, potrai appenderci dei poster e un mettere un copriletto che ti piace.”

“La mia stanza” Jilly disse.

A Riley parve più ansiosa che felice.

“Dove dorme April?” Jilly domandò.

Riley avrebbe voluto più di ogni altra cosa poter dire a Jilly di aspettare di arrivare casa e allora avrebbe potuto vedere da sola. Ma la ragazza sembrava aver bisogno di essere rassicurata in quel momento.

“April ha la sua stanza” Riley disse. “Tu ed April condividerete un bagno, comunque. Io ho il mio.”

“Chi pulisce? Chi cucina?” Jilly chiese. Poi, aggiunse con ansia: “Non sono molto brava a cucinare.”

“E’ la nostra governante Gabriela ad occuparsi di tutto ciò. E’ del Guatemala. Vive con noi, nel suo appartamento di sotto. La conoscerai presto. Si occuperà di te, quando sarò via.”

Ci fu di nuovo silenzio.

Poi, Jilly chiese: “Gabriela mi picchierà?”

Riley rimase scioccata dalla domanda.

“No. Certo che no. Perché pensi una cosa del genere?”

Jilly non rispose. Riley si sforzò di capire.

Provò a dirsi che non doveva esserne sorpresa. Ricordò ciò che Jilly le aveva detto quando l’aveva trovata in quel camion, e le aveva detto che doveva andare a casa.

“Non tornerò a casa. Mio padre mi picchierà se ci torno.”

I servizi sociali di Phoenix avevano levato la ragazza alla custodia paterna.

Riley sapeva che la madre di Jilly era sparita molto tempo prima. C’era un fratello da qualche parte, ma nessuno riceveva notizie da lui da molto tempo ormai.

Fu straziante per Riley capire che non era strano che Jilly potesse aspettarsi un trattamento simile nella sua nuova casa. Sembrava che la povera ragazza non riuscisse quasi ad immaginare qualcosa di meglio nella vita.

“Nessuno ti picchierà, Jilly” Riley disse, con la voce tremante, dovuta all’emozione. “Non succederà più. Ci prenderemo cura di te. Capisci?”

Ancora una volta, Jilly non rispose. Riley si augurò di poter dire semplicemente che lei comprendesse e che credesse a ciò che Riley stava dicendo. La ragazza cambiò argomento.

 

“Mi piace la tua auto” disse. “Posso imparare a guidare?”

“Certo, quando sarai più grande” Riley rispose. “Per ora, faremo in modo che ti abitui alla tua nuova vita.”

*

Nevicava leggermente, quando Riley parcheggiò l’auto di fronte alla sua casa, e lei e Jilly uscirono dal veicolo. Il viso di Jilly si contrasse un po’, appena i fiocchi di neve le sfiorarono la pelle. Non sembrava apprezzare questa nuova sensazione. E tremava forte per il freddo.

Dobbiamo subito darle dei vestiti più caldi, pensò Riley.

A metà strada tra l’auto e la porta di casa, Jilly si bloccò. Stette a guardare la casa.

“Non posso farlo” Jilly disse.

“Perché no?”

Jilly non disse nulla per un momento. Sembrava un animale spaventato. Riley sospettava che il pensiero di vivere in un posto così bello la sopraffacesse.

“Darò fastidio ad April, non è vero?” la ragazza esclamò. “Voglio dire, è il suo bagno.”

Sembrava che stesse cercando delle scuse, aggrappandosi a ragioni per cui questa nuova situazione non avrebbe funzionato.

“Non darai nessun fastidio ad April” Riley disse. “Ora, vieni dentro.”

Riley aprì la porta. Ad attendere, all’interno c’erano April e l’ex-marito di Riley, Ryan. I loro volti erano sorridenti ed accoglienti.

April corse subito verso Jilly e l’avvolse in un grande abbraccio.

“Io sono April” disse. “Sono così contenta che tu sia venuta. Ti piacerà davvero qui.”

Riley fu stupita dalla differenza tra le due ragazze. Aveva sempre considerato April piuttosto magra e allampanata. Ma sembrava robusta rispetto a Jilly, che appariva magrissima, al confronto. Riley immaginava che Jilly avesse patito la fame di tanto in tanto in vita sua.

Ci sono tante cose che ancora non so, pensò Riley.

Jilly sorrise nervosamente, mentre Ryan si presentò e l’abbracciò.

Improvvisamente, giunse di corsa Gabriela, dal piano di sotto, presentandosi con un enorme sorriso.

“Benvenuta in famiglia!” Gabriela esclamò, abbracciando Jilly.

Riley notò che il colore della pelle della robusta guatemalteca era solo lievemente più scuro dell’incarnato olivastro di Jilly.

“Vente!” Gabriela disse, prendendo l’adolescente per la mano. “Andiamo di sopra. Ti mostro la tua stanza!”

Ma Jilly ritrasse la mano e restò lì, tremante. Lacrime cominciarono a scivolarle lungo il viso. Si sedette sulle scale e pianse. April si sedette accanto a lei, e le mise un braccio intorno alle spalle.

“Jilly, che cosa c’è?” April chiese.

Jilly scosse tristemente la testa.

“Non lo so” singhiozzò. “E’ solo che … non lo so. E’ davvero troppo.”

April sorrise dolcemente e le accarezzò gentilmente la schiena.

“Lo so, lo so” disse. “Vieni di sopra. Ti sentirai subito a casa.”

Jilly si alzò obbediente e seguì April di sopra. Riley fu contenta del modo gentile in cui sua figlia stava gestendo la situazione. Naturalmente, April aveva sempre detto che voleva una sorella minore. Ma lei stessa aveva vissuto degli anni difficili ed era stata gravemente traumatizzata da criminali, intenzionati a ferire Riley.

Forse, Riley pensò speranzosa, April riuscirà a comprendere Jilly meglio di me.

Gabriela osservò le due ragazze con simpatia.

“¡Pobrecita!” la donna esclamò. “Spero che possa star bene.”

Gabriela tornò di sotto, lasciando da soli Riley e Ryan. Quest’ultimo restò a guardare in cima alle scale, sembrando in qualche modo confuso.

Spero che non lui non ci stia ripensando, Riley pensò. Mi servirà il suo sostegno.

Erano accadute molte cose tra lei e Ryan. Negli ultimi anni del loro matrimonio, lui le era stato infedele e un padre assente. Si erano separati per poi giungere al divorzio. Ma Ryan era apparso un uomo nuovo ultimamente, e stavano trascorrendo cautamente più tempo insieme.

Avevano parlato della sfida di portare Jilly nelle loro vite. Ryan era sembrato entusiasta dell’idea.

“Sei ancora d’ACCORDO?” Riley gli chiese.

Ryan la guardò e disse: “Sì. Ad ogni modo, immagino che sarà dura.”

Riley annuì. Poi, ci fu una strana pausa.

“Farei meglio ad andare ora” Ryan disse.

Riley si sentì sollevata. Lo baciò lievemente, e poi l’uomo indossò la giacca e se ne andò. Riley si servì da bere, e si sedette da sola in soggiorno.

In che cosa ci ho messi? si chiese.

Sperava che tutte le sue buone intenzioni non portassero di nuovo allo sgretolarsi della sua famiglia.