Corsa Contro la Follia

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From the series: Un Mistero di Riley Paige #6
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CAPITOLO SETTE

Mentre l’aereo del BAU atterrava a Sea-Tac, il Seattle-Tacoma International Airport, una forte pioggia batteva sui finestrini. Riley guardò il suo orologio: in quel momento, a casa sua, erano circa le due del pomeriggio. Lì, invece, erano le undici del mattino; avrebbero avuto il tempo per occuparsi del caso già quel giorno.

Mentre i due si dirigevano verso l’uscita, il pilota uscì dalla cabina e porse a ciascuno un ombrello.

“Vi serviranno” disse, sorridendo. “L’inverno è il periodo peggiore per venire in questo angolo del paese.”

Appena uscita dal portellone, in cima alla scaletta, Riley fu costretta ad ammettere che il pilota aveva ragione. Gli ombrelli erano utili, ma avrebbe voluto avere abiti più caldi. Era tanto freddo quanto piovoso.

Un SUV si avvicinò alla pista. Due uomini in impermeabile uscirono dal veicolo, recandosi verso l’aereo. Si presentarono come gli Agenti Havens e Trafford dell’ufficio territoriale dell’FBI di Seattle.

“Vi porteremo all’ufficio del coroner” l’Agente Havens disse. “Il caposquadra di questa indagine vi attende lì.”

Bill e Riley entrarono nell’auto, e l’Agente Trafford iniziò a guidare nella pioggia battente. Riley riusciva a malapena a distinguere i soliti hotel vicino all’aeroporto lungo la strada; a fatica poteva intuire che tutto fosse al suo posto. Sapeva che c’era una città vitale là fuori, ma era praticamente invisibile.

Dubitava di riuscire a visitare Seattle durante la sua permanenza lì.

*

A Riley bastò un minuto, seduta con Bill nella sala conferenze nell’edificio del coroner di Seattle, per intuire che c’erano guai in vista. Un solo scambio di sguardi con Bill fu sufficiente a farle capire che anche il partner stava provando la medesima tensione.

Il Caposquadra Maynard Sanderson era un uomo robusto, i lineamenti duri; il suo aspetto colpì Riley, a cui sembrava qualcosa a metà tra un soldato o un predicatore.

Sanderson era visibilmente in disaccordo con un uomo tarchiato, i cui baffi da tricheco disegnavano un’espressione perennemente arrabbiata. Le era stato presentato come Perry McCade, il Capo della Polizia di Seattle.

Il linguaggio del corpo dei due uomini e i posti che occupavano al tavolo la dicevano lunga agli occhi di Riley. Quale che fosse la ragione, l’ultima cosa che avrebbero voluto era condividere la medesima stanza. E lei era sicura del fatto che entrambi fossero disturbati dalla presenza sua e di Bill lì.

Ricordò le parole di Brent Meredith prima che lasciassero Quantico:“ma non aspettatevi un’accoglienza calorosa. Né i poliziotti né i federali saranno felici di vedervi.”

Riley si chiese in quale tipo di campo minato lei e Bill stessero camminando.

Stava avvenendo una complessa lotta di potere, senza che fosse pronunciata una sola parola. E, nel volgere di pochi minuti, intuì che lo scontro stava per diventare anche verbale.

Al contrario, il Capo dell’Ufficio del Coroner, Prisha Shankar, appariva a proprio agio e serena. Aveva pelle e capelli scuri, era circa dell’età di Paige e sembrava stoica ed imperturbabile.

Dopotutto, è nel suo territorio, immaginò Riley.

L’Agente Sanderson si prese la libertà di dare inizio al meeting.

“Agenti Paige e Jeffreys” esordì, rivolgendosi ai due soggetti in questione, “sono felice che siate riusciti a raggiungerci da Quantico.”

La sua voce glaciale suggeriva a Riley che era vero il contrario.

“Felici di poter essere utili” rispose Bill disse, sembrando incerto.

Riley si limitò a sorridere e annuire.

“Signori” Sanderson continuò, ignorando la presenza delle due donne, “siamo tutti qui per indagare su due omicidi. Un serial killer potrebbe aver iniziato ad operare qui nell’area di Seattle. Spetta a noi impedirgli di continuare a colpire.”

Il Capo della Polizia McCade borbottò ad alta voce.

“Vorrebbe fare un commento, McCade?” Sanderson chiese seccamente.

“Non è un serial killer” McCade brontolò. “E non si tratta di un caso da FBI. I miei poliziotti ce l’hanno sotto controllo.”

Riley stava iniziando a capire. Ricordò le parole di Meredith sul fatto che le autorità locali non stessero concludendo nulla. E ora ne comprendeva il motivo. Nessuno era sulla stessa lunghezza d’onda, e non c’era accordo su nulla.

Il Capo della Polizia McCade non accettava che l’FBI fosse stata coinvolta in quello che considerava un caso di omicidio di interesse locale. E Sanderson era furioso, perché l’FBI aveva inviato Bill e Riley da Quantico per raddrizzare tutti.

La tempesta perfetta, pensò Riley.

Sanderson si rivolse al capo dell’Ufficio del Coroner e disse: “Dottoressa Shankar, forse desidera sintetizzare ciò che sappiamo attualmente.”

Apparentemente imperturbabile, la Dottoressa Shankar cliccò su un telecomando, per far apparire un’immagine sullo schermo sulla parete. Si trattava della foto di una patente di guida, che ritraeva una donna dall’aspetto piuttosto ordinario con capelli lisci di un castano sbiadito.

La Shankar disse: “Un mese e mezzo fa, una donna di nome Margaret Jewell è morta in casa propria nel sonno, a causa di quello che è apparso come un infarto. Il giorno prima, si era lamentata di dolori alle giunture, ma, secondo il marito, la cosa non era insolita. Soffriva di fibromialgia.”

La Shankar cliccò di nuovo sul telecomando, e portò sullo schermo un’altra foto di una patente. Mostrava un uomo di mezz’età con un volto gentile ma malinconico.

Disse: “Un paio di giorni fa, Cody Woods è stato ricoverato al South Hill Hospital, lamentando dolori al petto. E anche di dolori alle giunture, ma ancora una volta, non era un fatto sorprendente. Soffriva di artrite, e aveva subito un’operazione di sostituzione del ginocchio una settimana prima. Nel giro di poche ore dal ricovero in ospedale, anche lui è morto, a causa di quello che appare come un infarto.”

“Morti totalmente disconnesse” McCade mormorò.

“Perciò ora lei mi sta dicendo che nessuna di queste morti è stata un omicidio?” Sanderson chiese.

“Margaret Jewell, probabilmente” McCade disse. “Cody Woods, certamente no. Ci sta solo distraendo. Stiamo confondendo le acque. Se lasciasse a me e ai miei ragazzi il caso, lo risolveremmo in men che non si dica.”

“Avete avuto un mese e mezzo a disposizione per il caso Jewell” Sanderson esclamò.

La Dottoressa Shankar sorrise piuttosto misteriosamente, mentre Sanderson continuava a battibeccare. Poi, cliccò di nuovo sul telecomando. Apparvero altre due foto.

Nella stanza cadde il silenzio, e Riley fu colta da un sobbalzo di sorpresa.

I soggetti in entrambe le foto sembravano uomini mediorientali. Riley non riconobbe uno di loro. Ma fu certa di riconoscere l’altro.

Era Saddam Hussein.

CAPITOLO OTTO

Riley fissò l’immagine che appariva sullo schermo. Dove voleva arrivare il capo dell’Ufficio del Coroner con una foto di Saddam Hussein? Il deposto leader dell’Iraq era stato giustiziato nel 2006, per aver commesso dei crimini contro l’umanità. Qual era il suo collegamento con un possibile serial killer a Seattle?

Dopo aver lasciato che tutti si abituassero all’effetto di quelle foto, la Dottoressa Shankar parlò di nuovo.

“Sono sicura che tutti riconosciamo l’uomo sulla sinistra. Quello sulla destra era Majidi Jehad, uno shiita oppositore al regime di Saddam. Nel maggio 1980, Jehad ottenne il permesso di andare a Londra. Quando si fermò ad una stazione di polizia di Baghdad a ritirare il passaporto, gli fu offerto un bicchiere di succo d’arancia. Lasciò l’Iraq, apparentemente sano e salvo. Morì subito dopo essere arrivato a Londra.”

La Dottoressa Shankar mostrò molte altre foto di volti mediorientali.

“Tutti questi uomini hanno incontrato un destino simile. Saddam liquidò centinaia di oppositori più o meno allo stesso modo. Quando alcuni di essi furono rilasciati dal carcere, venne loro offerto da bere per brindare alla loro libertà. Nessuno di loro è vissuto molto a lungo.”

Il Capo McCade annuì, comprendendo.

“Avvelenamento da tallio” disse.

“Giusto” la Dottoressa Shankar confermò. “Il tallio è l’elemento chimico che può essere trasformato in una polvere incolore, inodore e insapore. Era il veleno scelto da Saddam Hussein. Ma non è stato certo lui ad avere l’idea di usarlo per assassinare i suoi nemici. A volte, viene chiamato il ‘veleno dell’avvelenatore’, perché agisce lentamente e produce i sintomi che possono risultare in errate cause di morte.”

Cliccò di nuovo sul telecomando, e apparvero altri volti, tra cui quello del dittatore cubano Fidel Castro.

La donna disse: “Nel 1960, i servizi segreti francesi usarono il tallio per uccidere il leader ribelle del Camerun, Félix-Roland Moumié. Era ben noto che la CIA avesse provato ad usare quella sostanza in uno dei suoi vari tentativi falliti di assassinare Fidel Castro. Il piano consisteva nel mettere la polvere di tallio nelle scarpe di Castro. Se la CIA avesse avuto successo con quel sistema, la morte di Castro sarebbe stata tanto umiliante quanto dolorosa. Quella barba emblematica sarebbe caduta prima che morisse.”

Cliccò di nuovo sul telecomando, e apparvero di nuovi i volti di Margaret Jewell e Cody Woods.

“Vi sto dicendo tutto questo, così che possiate comprendere che stiamo avendo a che fare con un assassino molto sofisticato” la donna proseguì. “Ho scoperto tracce di tallio nei corpi di entrambi, Margaret Jewell e Cody Woods. Non ho dubbi: sono stati entrambi uccisi con il veleno dal medesimo killer.”

 

La Dottoressa Shankar si guardò intorno, posando gli occhi su tutti i presenti nella stanza.

“Qualcuno vuole commentare?” chiese.

“Sì” disse il Capo McCade. “Ancora non credo che le morti siano collegate.”

Riley fu colpita dal commento. Ma la Dottoressa Shankar non sembrava sorpresa.

“Perché no, Capo McCade?” la donna domandò.

“Cody Woods era un idraulico” McCade rispose. “Non potrebbe essere stato esposto al tallio, durante un intervento sul lavoro?”

“E’ possibile” la Dottoressa Shankar replicò. “Gli idraulici devono stare attenti ad evitare molte sostanze pericolose, come l’amianto e i metalli pesanti, come l’arsenico e il tallio. Ma non credo che questo sia il caso di Cody Woods.”

Riley si stava incuriosendo sempre di più.

“Perché no?” chiese.

La dottoressa cliccò di nuovo sul telecomando, e apparvero i rapporti tossicologici.

“Questi omicidi sembrano essere stati causati da avvelenamento da tallio con un particolare” disse. “Nessuna vittima mostrava determinati classici sintomi, perdita di capelli, febbre, vomito, dolore addominale. Come ho detto prima, c’era dolore alle giunture, ma poco altro. La morte è avvenuta piuttosto all’improvviso, apparendo come un ordinario infarto. Non ci sono stati residui consistenti. Se il mio staff non fosse stato preparato, avrebbe rischiato di non accorgersi che fossero casi di avvelenamento da tallio.”

Bill sembrava condividere l’interesse di Riley.

“Perciò, abbiamo a che fare con un esperto di tallio?” lui chiese.

“Qualcosa del genere” la dottoressa rispose. “Il mio staff sta ancora sbrogliando la composizione chimica del cocktail. Ma uno degli ingredienti è senz’altro ferrocianuro di potassio, una sostanza chimica a voi nota come Blu di Prussia. E’ strano, perché questo blu è il solo antidoto noto per l’avvelenamento da tallio.”

I grossi baffi del Capo si stavano contraendo.

“Questo non ha senso” l’uomo brontolò. “Perché un esperto di veleni dovrebbe usare un antidoto insieme al veleno?”

Riley azzardò una risposta.

“Potrebbe essere che abbia cercato di mascherare i sintomi dell’avvelenamento da tallio?”

La Dottoressa Shankar annuì.

“E’ la teoria su cui sto lavorando. Le altre sostanze chimiche che abbiamo trovato devono aver interagito col tallio in un modo complesso, che ancora non comprendiamo. Ma, probabilmente, hanno aiutato a controllare la natura dei sintomi. Chiunque abbia realizzato la mistura sapeva che cosa stava facendo. Aveva notevoli competenze in farmacologia e chimica.”

Il Capo McCade stava tamburellando con le dita sul tavolo.

“Non la bevo” esclamò. “I vostri risultati per la seconda vittima devono essere stati alterati da quelli per la prima. Avete trovato quello che cercavate.”

Per la prima volta, il viso della Dottoressa Shankar mostrò una traccia di sorpresa. Anche Riley era sorpresa dall’audacia del capo della polizia, nel mettere in dubbio la competenza della Shankar.

“Che cosa glielo fa credere?” la donna chiese.

“Perché abbiamo un sospettato sicuro per l’omicidio di Margaret Jewell” lui rispose. “Era sposata con un’altra donna di nome Barbara Bradley, si fa chiamare Barb. Gli amici ed i vicini della coppia dicono che le due avevano dei problemi, litigavano forte, svegliando il vicinato. In realtà, la Bradley era stata dentro per atti di violenza. La gente sostiene che avesse un temperamento irascibile. E’ stata lei. Ne siamo tutti certi.”

“Perché non l’avete messa dentro?” intervenne l’Agente Sanderson.

Lo sguardo del Capo McCade dimostrava che si era messo sulla difensiva.

“L’abbiamo interrogata a casa sua” disse. “Ma è un tipo astuto, e ancora non disponiamo di sufficienti prove per incarcerarla. Stiamo costruendo il caso. Ci vorrà del tempo.”

L’Agente Sanderson sorrise e grugnì.

Disse: “Bene, mentre lei costruiva il suo caso, sembra che il suo sospettato ‘sicuro’ sia andato avanti e abbia ucciso qualcun altro. Farebbe meglio a sbrigarsi. Potrebbe rifarlo di nuovo, proprio in questo momento.”

Il Capo McCade stava diventando rosso per la rabbia.

“Si sbaglia di grosso” disse. “Le dico che l’omicidio di Margaret Jewell è un caso isolato. Barb Bradley non aveva alcun motivo per uccidere Cody Woods, o chiunque altro per quanto ne sappiamo.”

“Per quanto ne sa lei” Sanderson aggiunse in un tono derisorio.

Riley sentì le tensioni represse venire in superficie. Sperava che il meeting terminasse senza una brutta e lunga rissa.

Intanto, il suo cervello si stava mettendo in moto, provando a trovare un senso nelle poche informazioni che aveva ricevuto fino ad allora.

Chiese al Capo McCade: “Com’era la situazione finanziaria delle Jewell e Bradley?”

“Per nulla buona” rispose l’uomo. “Erano della classe media più bassa. Infatti, pensiamo che gli sforzi finanziari potrebbero aver costituito parte del movente.”

“Che lavoro fa Barb Bradley?”

“Consegna biancheria” rispose McCade.

Riley ebbe un presentimento. Suppose che un assassino che avvelenava doveva essere una donna. Come addetta alle consegne, doveva aver avuto accesso a varie strutture sanitarie. Si trattava senz’altro di qualcuno con cui le sarebbe piaciuto parlare.

“Vorrei avere l’indirizzo di casa di Barb Bradley” disse. “Io e l’Agente Jeffreys dovremmo andare ad interrogarla.”

Il Capo McCade la osservò, come se fosse fuori di testa.

“Ho appena detto che l’abbiamo già fatto noi” le disse.

A quanto sembra, non bene a sufficienza, Riley pensò.

Ma poi, represse il bisogno di dirlo ad alta voce.

Bill intervenne: “Sono d’accordo con l’Agente Paige. Dovremmo andare da Barb Bradley e verificare di persona.”

Il Capo McCade si sentì ovviamente insultato.

“Non lo permetterò” esclamò.

Riley sapeva che il caposquadra dell’FBI, l’Agente Sanderson, poteva surclassare McCade se necessario. Ma quando lei guardò Sanderson, in cerca di sostegno, lui la stava fulminando con lo sguardo.

Si sentì scoraggiata, comprendendo all’istante la situazione. Sebbene Sanderson e MacCade si odiassero, restavano pur sempre alleati nel proprio risentimento nei confronti di Riley e Bill. Per loro, gli agenti di Quantico non avevano alcun motivo per trovarsi lì sul loro territorio. Che se ne rendessero o meno conto, il loro ego era più importante del caso stesso.

Come faremo io e Bill a portare a termine il nostro lavoro? si chiese lei.

Invece, la Dottoressa Shankar sembrava fredda e controllata come sempre.

La donna disse: “Mi piacerebbe sapere perché è una così cattiva idea che Jeffreys e Paige interroghino Barb Bradley.”

Riley fu sorpresa dall’audacia dimostrata dalla Dottoressa Shankar. Dopotutto, persino come Capo dell’Ufficio del Coroner, stava sfacciatamente andando oltre il seminato.

“Perché c’è la mia indagine in atto!” McCade disse, quasi gridando ora. “Potrebbero fare un disastro!”

La Dottoressa Shankar replicò con un sorriso imperscrutabile.

“Capo McCade, sta davvero mettendo in discussione la competenza dei due agenti di Quantico?”

Poi, rivolgendosi al caposquadra dell’FBI, aggiunse: “Agente Sanderson, che cosa ne pensa al riguardo?”

McCade e Sanderson guardarono entrambi la dottoressa, in silenzio a bocca aperta.

Riley notò che la donna le stava sorridendo e non poté fare a meno di ricambiare, per dimostrarle la sua stima. Lì nel suo stesso edificio, la Shankar sapeva come far sentire la sua autorità. Non aveva alcuna importanza se altri pensavano di essere a capo delle operazioni. Lei era un tipo tosto.

Il Capo McCade scosse la testa con rassegnazione.

“OK” disse. “Se volete l’indirizzo, ve lo darò.”

L’Agente Sanderson aggiunse rapidamente: “Ma voglio che alcuni dei miei uomini vengano con voi.”

“D’accordo” Riley disse.

McCade trascrisse l’indirizzo e lo diede a Bill.

Sanderson dichiarò chiuso il meeting.

“Gesù, hai mai visto un paio di stronzi arroganti del genere in vita tua?” Bill le domandò, mentre Riley s’incamminava con lui verso la loro auto. “Come diavolo faremo a portare a termine il lavoro?”

Riley non rispose. La verità era che non sapeva che cosa dire. Sentiva che quel caso si sarebbe rivelato difficile anche senza dover avere a che fare con le beghe locali. Lei e Bill doveva portare a termine il lavoro in fretta, prima che qualcun altro morisse.

CAPITOLO NOVE

Oggi il suo nome era Judy Brubaker.

Le piaceva essere Judy Brubaker.

Alle persone piaceva Judy Brubaker.

Si stava muovendo rapidamente intorno al letto vuoto, sistemando lenzuola e cuscini. Nel frattempo sorrideva alla donna che era seduta sulla comoda poltrona.

Judy non aveva ancora deciso se ucciderla oppure no.

Il tempo sta per scadere, Judy pensò. Devo decidermi.

La donna si chiamava Amanda Somers. Judy la trovava una piccola creatura strana, timida e introversa. Era sotto le cure di Judy sin dal giorno prima.

Continuando ad occuparsi del letto, Judy cominciò a cantare.

Lontano da casa,

Tanto lontano da casa —

Questo piccino è lontano da casa.

Amanda si unì con la sua piccola voce stridula.

Ti struggi

Di giorno in giorno

Troppo triste, troppo triste per giocare.

Judy restò un po’ sorpresa. Amanda Somers non aveva dimostrato alcun reale interesse nella cantilena almeno fino ad ora.

“Ti piace quella canzone?” Judy Brubaker chiese.

“Suppongo di sì” Amanda rispose. “E’ triste, e immagino si sposi bene con il mio umore.”

“Perché sei triste? La tua cura è finita e tornerai a casa. Molti pazienti sono felici di andare a casa.”

Amanda sospirò e non disse nulla. Intrecciò le dita delle mani, in posizione di preghiera. Tenendo insieme le dita, allontanò i palmi l’uno dall’altro. Ripeté quel gesto un paio di volte. Era un esercizio che Judy le aveva insegnato, per aiutarla nel processo di guarigione dopo che la donna aveva subito l’operazione al tunnel carpale.

“Lo sto facendo in modo corretto?” Amanda domandò.

“Quasi” Judy rispose, accovacciandosi accanto a lei e toccandole le mani, per correggerle i movimenti. “Devi tenere le dita allungate, così che si pieghino verso l’esterno. Ricorda, le tue mani devono sembrare come un ragno che fa le flessioni su uno specchio.”

Amanda lo stava svolgendo correttamente ora. Sorrise, orgogliosa di se stessa.

“Sento che mi sta davvero aiutando” disse. “Grazie.”

Judy osservò Amanda continuare a svolgere l’esercizio; non sopportava la vista della corta e orrenda cicatrice che si estendeva lungo la parte inferiore della mano sinistra della paziente.

Inutile operazione, pensò Judy.

I medici avevano approfittato della fiducia e della credulità di Amanda. Era sicura che trattamenti meno drastici avrebbero funzionato altrettanto bene se non meglio. Una stecca forse, o delle iniezioni di corticosteroidi. Judy aveva visto tanti medici insistere su un’operazione, a prescindere che fosse o meno necessaria. Questo comportamento la faceva sempre infuriare.

Ma quel giorno Judy non era arrabbiata con i medici. Era impaziente riguardo alla donna. Non era sicura del perché.

Questa è difficile da far uscire, Judy pensò mentre si sedeva sul bordo del letto.

Durante tutto il periodo che avevano passato insieme, Amanda aveva lasciato parlare Judy.

Judy Brubaker aveva molte cose interessanti di cui parlare, naturalmente. Judy non era affatto come la ora-scomparsa Hallie Stillians, che aveva acquisito la personalità amorevole di una zia affettuosa.

Judy Brubaker era, allo stesso tempo, più semplice e più appariscente, e generalmente indossava una tuta da jogging invece di vestiti più convenzionali. Amava raccontare storie sulle sue avventure: voli in deltaplano, paracadutismo, arrampicate in montagna ed esperienze simili. Aveva attraversato l’Europa e molte zone dell’Asia.

Naturalmente, nessuna di quelle avventure era vera. Ma restavano delle meravigliose storie.

Judy Brubaker piaceva a molte persone. Le medesime che avrebbero trovato Hallie un po’ stucchevole e smielata amavano la personalità più franca di Judy.

 

Forse il fatto è che Amanda non si è affezionata a Judy, la donna pensò.

Quale che fosse il motivo, Amanda non le aveva raccontato quasi nulla di sé. Aveva sui quarant’anni, ma non aveva mai rivelato nulla del suo passato. Judy ancora non sapeva quale fosse il lavoro di Amanda, o se ne avesse uno. Non sapeva se la donna si fosse mai sposata, sebbene l’assenza di fede nuziale indicasse che non lo era al momento.

Judy era sconcertata dall’andamento delle cose. E il tempo stava davvero per scadere. Amanda poteva alzarsi ed andarsene in qualsiasi momento. E Judy era lì a provare ancora a decidere se avvelenarla o no.

Parte della sua indecisione era caratterizzata da semplice prudenza. Le cose erano molto cambiate durante gli ultimi giorni. I suoi ultimi due omicidi ora erano sui giornali. Sembrava che un brillante coroner avesse scoperto la presenza di tallio nei cadaveri. Il che era un preoccupante sviluppo.

Aveva una bustina di tè pronta con una ricetta alterata, che consisteva in un lieve aumento di arsenico e meno presenza di tallio. Ma il rilevamento rappresentava ancora un pericolo. Non sapeva se le morti di Margaret Jewell e Cody Woods fossero state ricollegate al loro rapporto con la struttura per la riabilitazione o ai loro infermieri. Questo metodo di omicidio stava diventando più rischioso.

Ma il vero problema era che l’intera faccenda proprio non sembrava andare per il verso giusto.

Non aveva alcun rapporto con Amanda Somers.

Le sembrava persino di non conoscerla.

“Brindare” all’uscita di Amanda con una tazza di tè si sarebbe rivelata una forzatura, persino volgare.

Ad ogni modo, la donna era ancora lì e si esercitava con le mani, non mostrando alcuna inclinazione ad andarsene.

“Non vuoi andare a casa?” Judy chiese.

La donna sospirò.

“Ecco, sai, ho altri problemi fisici. Ad esempio, la mia schiena. Peggiora, man mano che invecchio. I medici dicono che dovrei operarmi. Ma non saprei. Continuo a pensare che forse la terapia è tutto ciò che mi serve per sentirmi meglio. E tu sei una brava terapeuta.”

“Grazie” Judy disse. “Ma sai, non lavoro qui a tempo pieno. Sono una libera professionista, e oggi è il mio ultimo giorno di lavoro qui. Se resterai qui ancora, non sarò io ad occuparmi di te.”

Judy fu colpita dallo sguardo malinconico di Amanda; le aveva raramente lanciato degli sguardi simili prima di allora.

“Non sai come ci si sente” Amanda esclamò.

“Come ci si sente in che senso?” Judy chiese.

Amanda alzò leggermente le spalle, guardando ancora l’altra negli occhi.

“Essere circondata da persone di cui non potersi totalmente fidare. Persone a cui sembra importare di te, e forse è così, ma poi dopo l’interesse sparisce. Forse vogliono soltanto qualcosa da te. Ti usano. Prendono. Molte delle persone nella mia vita sono così. Non ho una famiglia, e non so chi siano i miei amici. Non so di chi potermi fidare e di chi non fidarmi.”

Con un lieve sorriso, la donna proseguì: “Capisci ciò che intendo?”

Judy non era sicura. Amanda si stava ancora esprimendo per enigmi.

Ha una cotta per me? Judy si domandò.

Era impossibile. Judy sapeva che spesso le persone la credevano lesbica. Il che la divertiva sempre, perché non aveva mai davvero lasciato intendere se Judy lo fosse oppure no.

Ma forse non si trattava di questo.

Forse Amanda si sentiva semplicemente sola, e Judy le piaceva e si fidava di lei, senza nemmeno rendersene conto.

Una cosa sembrava certa. Amanda era emotivamente insicura, probabilmente nevrotica, certamente depressa. Doveva prendere moltissime medicine. Se Judy avesse potuto dare loro un’occhiata, avrebbe potuto realizzare un cocktail speciale per Amanda. L’aveva già fatto prima, e aveva i suoi vantaggi, specialmente in un momento simile. Sarebbe stato bello evitare la ricetta al tallio stavolta.

“Dove vivi?” Judy le domandò.

Uno strano sguardo attraversò il volto di Amanda, come se stesse tentando di decidere che cosa dire a Judy.

“In una casa galleggiante” Amanda rispose.

“Una casa galleggiante? Davvero?”

Amanda annuì. L’interesse di Judy fu stimolato. Ma per quale ragione aveva la sensazione che la paziente non le stesse dicendo la verità, o almeno non tutta la verità?

“Divertente” Judy esclamò. “Sono stata a Seattle di tanto in tanto per anni, e ci sono molte case galleggianti da queste parti, ma non sono mai davvero entrata in una di esse. Una delle avventure che non ho mai vissuto.”

Il sorriso di Amanda s’illuminò e non disse niente. Quel sorriso imperscrutabile stava cominciando a rendere Judy nervosa. Amanda l’avrebbe invitata a visitare la propria casa galleggiante? Ne aveva davvero una?

“I tuoi clienti vengono a casa tua?” Amanda chiese.

“Qualche volta, ma …”

“Ma cosa?”

“A dire il vero, non dovrei dirlo in situazioni come questa. Questo centro di riabilitazione lo considererebbe illegale. Ho firmato un contratto.”

Il sorriso di Amanda divenne un po’ malizioso.

“A dire vero, che cosa ci sarebbe di male se mi facessi una semplice visita sociale? Passa. Vieni a vedere la mia casa. Potremmo chiacchierare. Trascorrere un po’ di tempo insieme. E poi, se decidessi di assumerti … ecco, sarebbe diverso, no? Nessuna azione illegale.”

Judy sorrise. Stava iniziando ad apprezzare la sagacia di Amanda. Quello che stava suggerendo sarebbe stato aggirare le regole, se non violarle completamente. Ma chi l’avrebbe mai scoperto? E certamente sarebbe servito allo scopo di Judy. Avrebbe avuto tutto il tempo che le occorreva.

E la verità era che Amanda stava cominciando ad affascinarla.

Sarebbe stato emozionante conoscerla prima di ucciderla.

“Sembra meraviglioso” Judy disse.

“Bene” Amanda esclamò allegramente, non mostrando più alcun briciolo di tristezza.

Mise la mano nella borsa, ed estrasse una matita e un taccuino, annotando l’indirizzo e il numero di telefono alla donna.

Judy prese il bigliettino e chiese: “Vuoi prendere un appuntamento?”

“Oh, non rendiamo tutto così formale. In qualunque momento, sul presto andrebbe bene. Tra un giorno o due. Ma non venire all’improvviso. Chiamami prima. E’ importante.”

Judy si chiese perché fosse così importante.

Senz’altro, lei ha un segreto o due, pensò Judy.

Amanda si alzò e indossò il suo cappotto.

“Ora mi dimettono. Ma ricorda. Chiamami.”

“Lo farò” Judy disse.

Amanda uscì dalla stanza, ritrovandosi nel corridoio, cantando un altro pezzo della cantilena, la sua voce era più felice e più sicura ora.

Non piangere,

Sogna a lungo e profondamente.

Gettati tra le braccia del sonno.

Mentre la voce svaniva in fondo al corridoio, Amanda cantò il resto della canzone tranquillamente, a se stessa.

Non sospirare più,

Chiudi gli occhi

E tornerai a casa nel sonno.

Dopotutto, le cose stavano andando come Judy desiderava.

E quest’omicidio sarebbe stato speciale.

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