Corsa Contro la Follia

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From the series: Un Mistero di Riley Paige #6
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CAPITOLO QUATTRO

Il cuore di Riley batteva forte e i polmoni le bruciavano per il respiro forte e rapido. Una frase familiare continuava a ripetersi nella mente.

“Segui la strada di mattoni gialli …”

Per quanto fosse stanca e avesse il fiato corto, Riley non riusciva a fare a meno di divertirsi. Era mattino presto, faceva freddo e stava facendo il percorso ad ostacoli di 9 km di Quantico.

I Marines, che l’avevano costruita, le avevano dato il soprannome di Strada dei Mattoni Gialli; infatti avevano messo dei mattoni gialli per segnare ogni chilometro. Le reclute dell’FBI, che sopravvivevano alla corsa, ricevevano un mattone giallo come ricompensa.

Riley aveva vinto il suo mattone giallo anni prima. Ma ogni tanto, rifaceva il percorso, solo per assicurarsi di averne ancora le capacità. Dopo lo stress emotivo degli ultimi due giorni, Riley aveva bisogno di una fatica fisica capace di annullare ogni pensiero, per schiarirsi le idee.

Finora, aveva superato una serie di ostacoli impegnativi, e aveva passato tre mattoni gialli lungo il percorso. Aveva scalato pareti ripide, superato ostacoli e si era lanciata attraverso finestre finte. Solo un momento prima, aveva scalato una parete rocciosa appesa ad una corda, e ora stava scendendo.

Quando toccò il suolo, guardò in alto e vide Lucy Vargas, una giovane e brillante agente, con cui era bello lavorare e allenarsi. Lucy era stata felice di essere la partner di Riley quella mattina. Era in cima alla parete rocciosa, affannata, e guardava in basso, verso Riley.

Riley la chiamò: “Non riesci a tenere il passo con una vecchia ciabatta come me?”

Lucy rise: “Me la sto prendendo con calma. Non voglio che tu faccia troppi sforzi, non alla tua età.”

“Ehi, non usarmi come alibi” replicò Riley. “Dai tutto quello che hai.”

Riley aveva quarant’anni, ma non aveva mai fallito nell’allenamento fisico. Potersi muovere in fretta e colpire forte poteva essere cruciale nella lotta contro i mostri umani. La sua grande forza fisica aveva salvato delle vite, inclusa la sua, più di una volta.

Nonostante tutto, fu presa dallo sconforto quando davanti a sé vide l’ostacolo successivo, una pozza poco profonda di acqua gelida e torbida, con sopra del pungente filo spinato.

Le cose stavano per farsi difficili.

Lei era ben attrezzata per il clima invernale, e indossava una giacca a vento impermeabile. Ma, nonostante questo, strisciare nel fango l’avrebbe lasciata bagnata e congelata.

Non è niente, pensò.

Si lanciò nel fango. L’acqua gelida provocò dei brividi che le attraversarono tutto il corpo. Si costrinse a strisciare e si appiattì, mentre sentiva il pungente filo spinato graffiarle leggermente la schiena.

Un tormentoso torpore prese il sopravvento, suscitando un amaro ricordo.

Riley era in un’intercapedine oscura sotto una casa. Era appena fuggita da una gabbia, dov’era stata tenuta prigioniera e tormentata da uno psicopatico con una torcia al propano. Nell’oscurità, aveva perso la cognizione del tempo e non ricordava per quanto tempo fosse stata tenuta prigioniera.

Ma era riuscita a forzare la porta della gabbia, l’aveva aperta e ora stava strisciando alla cieca, alla ricerca di una via d’uscita. Era piovuto di recente e il fango sotto di lei era appiccicoso, freddo e profondo.

Mentre il corpo le diventava ancora più insensibile per il freddo, una profonda disperazione s’impadronì di lei. Era debole per la mancanza di sonno e per la fame.

Non posso farcela, pensò.

Doveva costringersi a buttare quelle idee fuori dalla sua mente. Doveva continuare a strisciare e cercare. Se non usciva, lui l’avrebbe uccisa alla fine, proprio com’era toccato alle sue altre vittime.

“Riley, stai BENE?”

La voce di Lucy richiamò Riley da quel mondo oscuro, ricordo di uno dei suoi casi più strazianti. Era una disavventura che non avrebbe mai dimenticato, perché anche sua figlia, successivamente, era stata catturata dal medesimo psicopatico.

Riley si chiese se quei flashback l’avrebbero mai lasciata in pace. Ed April si sarebbe mai liberata di quei devastanti ricordi?

Ora, tornata al presente, si rese conto di avere strisciato sotto l’ostacolo e di essersi fermata sotto il pungente filo spinato. Lucy era proprio dietro di lei ed attendeva che proseguisse.

“Sto BENE” Riley rispose. “Scusa se ti ho bloccata.”

Si fece forza per riprendere di nuovo a strisciare.

Arrivata sulla riva dello stagno, si rialzò i piedi e raccolse le forze. Poi, si incamminò per il sentiero del bosco, certa che Lucy non fosse distante alle sue spalle.

Sapeva che la prossima prova consisteva nell’arrampicarsi su una rete: un passaggio difficile. Poi, dinnanzi a sé avrebbe avuto altri 3 km da percorrere, e molti altri ostacoli duri da superare.

*

Alla fine del percorso di 9 km, Riley e Lucy, entrambe col fiatone, si sorreggevano l’una all’altra, ridendo e congratulandosi a vicenda per essere riuscite ad arrivare in fondo.

Riley rimase sorpresa quando vide il suo partner storico, fermo ad attenderla alla fine del percorso. Bill Jeffreys era un uomo forte e robusto, e aveva circa l’età di Riley.

“Bill!” Riley disse, col fiato corto. “Che cosa ci fai qui?”

“Sono venuto a cercarti” l’altro rispose. “Mi hanno detto che ti avrei trovata qui. Ho stentato a credere che volessi farlo, per di più in pieno inverno! Che cosa sei, una specie di masochista?”

Riley e Lucy scoppiarono entrambe a ridere.

Lucy disse: “Forse sono io la masochista. Mi auguro di poter correre la Strada di Mattoni Gialli quando avrò la sua veneranda età.”

Con tono canzonatorio, Riley si rivolse a Bill: “Ehi, sono pronta per un altro giro. Ti unisci a me?”

Bill scosse la testa e rise.

“Huh-uh” disse. “Ho ancora il mio vecchio Mattone Giallo a casa, e lo uso come fermaporta. Uno è sufficiente per me. Sto pensando di correre per un Mattone Verde, comunque. Vuoi unirti tu a me?”

Riley scoppiò di nuovo a ridere. Il riferimento al “Mattone Verde” era una battuta che circolava nell’ambiente dell’FBI, un premio dato a chiunque fumasse trentacinque sigari in trentacinque notti di fila.

“Passo” rispose.

L’espressione di Bill si fece improvvisamente seria.

“Sono su un nuovo caso, Riley” disse. “E vorrei che ci lavorassi con me. Spero che sarai D’ACCORDO. So che è trascorso pochissimo tempo dal nostro ultimo caso.”

Bill aveva ragione. A Riley sembrava di aver catturato Orin Rhodes soltanto il giorno precedente.

“Sai che ho appena portato a casa Jilly. Sto provando ad aiutarla a entrare nella sua nuova vita. Nuova scuola … tutto nuovo.”

“Come sta?” il partner domandò.

“E’ incostante, ma ci sta provando davvero. E’ così felice di far parte di una famiglia. Credo che avrà bisogno di molto aiuto.”

“Ed April?”

“Lei è assolutamente fantastica. Sono sempre più meravigliata di come la sua lotta con Rhodes l’abbia resa più forte. Ed è già molto affezionata a Jilly.”

Dopo una pausa, chiese: “Su che tipo di caso stai lavorando, Bill?”

L’uomo restò in silenzio per un momento.

“Sto per incontrarmi con il capo per fare il punto della situazione” rispose. “Ho davvero bisogno del tuo aiuto, Riley.”

La donna guardò il suo amico e partner, dritto negli occhi. La sua espressione era di profonda angoscia; quando aveva detto che aveva bisogno del suo aiuto, era stato sincero.

Riley si chiese che cosa stesse accadendo.

“Mi faccio una doccia e indosso dei vestiti puliti” rispose. “Ci vediamo al quartier generale.”

CAPITOLO CINQUE

Il Caposquadra Brent Meredith non era un tipo a cui piaceva perdere tempo con le carinerie.

Riley lo sapeva per esperienza personale.

Perciò, quando entrò nel suo ufficio dopo la sua corsa, non si aspettava un breve discorso, nessuna domanda gentile su salute, casa e famiglia. L’uomo poteva essere gentile e caloroso, ma quei momenti erano rari. Oggi, sarebbe andato dritto al punto, e il suo punto era sempre di estrema urgenza.

Bill era già arrivato. Sembrava ancora molto nervoso. Riley si augurò di capirne presto il motivo.

Quando si sedette, Meredith si allungò verso di lei, protendendosi dalla sua scrivania e avvicinandole il suo viso di afroamericano, ampio, squadrato e intimorente come sempre.

“Prima le cose urgenti, Agente Paige” disse.

Riley rimase in attesa che il capo proseguisse, con una domanda o un ordine. Invece, si limitò semplicemente a guardarla.

A Riley occorse un momento per comprendere a che cosa mirasse Meredith.

Non aveva intenzione di porre la sua domanda ad alta voce. La donna apprezzò la sua discrezione. Un killer era ancora a piede libero, e si trattava di Shane Hatcher. Era evaso da Sing Sing, e il compito più recente assegnato a Riley era stato quello di riportarlo in prigione.

Aveva fallito. A dire il vero, non ci aveva davvero provato, e ora altri agenti dell’FBI avevano il compito di catturare Hatcher. Finora non avevano avuto successo.

Shane Hatcher era un criminale geniale, che era diventato un rispettato esperto di criminologia durante i suoi lunghi anni trascorsi in prigione.

Perciò, Riley a volte gli aveva fatto visita lì, per ottenere dei consigli sui suoi casi. Lo conosceva abbastanza bene, tanto da essere certa che non fosse un pericolo per la società al momento.

 

Hatcher aveva una sua morale, molto strana ma rigorosa. Aveva ucciso un uomo dopo la sua evasione, un suo vecchio nemico, anche lui un pericoloso criminale. Riley era sicura che non avrebbe ucciso ancora.

Riley intuì che Meredith aveva bisogno di sapere se lei avesse sentito Hatcher. Era un caso di alto profilo, e sembrava che Hatcher stesse diventando rapidamente una sorta di leggenda urbana, un famigerato genio del crimine capace di fare qualunque cosa.

Lei apprezzava la discrezione di Meredith, nel non porre la sua domanda ad alta voce. Ma la semplice verità era che Riley non sapeva nulla delle recenti mosse dell’evaso o su dove si trovasse.

“Niente di nuovo, signore” lei disse rispondendo alla domanda inespressa di Meredith.

L’uomo annuì e sembrò rilassarsi un po’.

“Benissimo, allora” Meredith disse. “Andrò dritto al punto. Invierò l’Agente Jeffreys a Seattle su un caso. La vuole come partner. Ho bisogno di sapere se è disponibile ad andare con lui.”

Riley voleva dire di no. Innanzitutto aveva molte cose di cui occuparsi nella sua vita al momento e tutte escludevano che potesse seguire un caso in una città lontana. E poi soffriva ancora di occasionali attacchi di PTSD, sin da quando era stata fatta prigioniera da un criminale sadico. Sua figlia April era stata vittima dello stesso uomo, e ora aveva i suoi demoni da affrontare. E ora Riley aveva una nuova figlia, che aveva vissuto dei terribili traumi.

Se solo avesse potuto restare ferma per un po’ e insegnare all’Accademia, forse avrebbe potuto stabilizzare la propria vita.

“Non posso farlo” Riley disse. “Non ora.”

Poi, si rivolse a Bill.

“Sai che cosa sto affrontando” disse.

“Lo so, speravo soltanto …” lui rispose, con un’espressione implorante negli occhi.

Era giunto il momento di scoprire quale fosse la questione.

“Di che caso si tratta?” Riley domandò.

“Ci sono stati almeno due avvelenamenti a Seattle” Meredith disse. “Sembra si tratti di un caso seriale.”

In quel momento, Riley comprese perché Bill fosse scosso. Quando era ancora un ragazzo, sua madre era morta a seguito di un avvelenamento. Riley non conosceva bene i dettagli, ma sapeva che il suo assassinio era stato uno dei motivi per cui lui era diventato un agente dell’FBI. L’aveva perseguitato per anni. Quel caso, certamente, aveva aperto delle vecchie ferite in lui.

Allora, quando lui le aveva detto di aver bisogno di lei per quel caso, era stato davvero sincero.

Meredith continuò: “Finora, sappiamo di due vittime, un uomo e una donna. Potrebbero essercene degli altri, e potrebbero essercene altri in futuro.”

“Perché siamo stati chiamati noi?” Riley domandò. “C’è l’ufficio dell’FBI proprio lì a Seattle. Non possono occuparsene loro?”

Meredith scosse la testa.

“Lì la situazione è molto confusa. Sembra che l’FBI di Seattle e la polizia locale non si trovino d’accordo su nulla, almeno per quanto riguarda questo caso. Ecco perché c’è bisogno di voi, che lo vogliate o no. Posso contare su di lei, Agente Paige?”

Improvvisamente, Riley seppe che cosa fare. Nonostante i suoi problemi personali, avevano davvero bisogno di lei per risolvere quel caso.

“Conti pure su di me” rispose.

Bill annuì, sospirando in modo appena percettibile di sollievo e gratitudine.

“Bene” Meredith disse. “Volerete entrambi fino a Seattle domattina.”

Meredith tamburellò con le dita sul tavolo per un momento.

“Ma non aspettatevi un’accoglienza calorosa” aggiunse. “Né i poliziotti né i federali saranno felici di vedervi.”

CAPITOLO SEI

Riley temeva il primo giorno di scuola di Jilly quasi quanto un caso difficile da affrontare. La ragazza sembrava piuttosto seccata, e Riley temeva che potesse fare una scenata all’ultimo momento.

E’ pronta per questo? Continuava a chiedersi. Sono pronta per questo?

Inoltre, il tempismo sembrava sfortunato. Riley era preoccupata, perché doveva volare fino a Seattle quella mattina. Ma Bill aveva bisogno del suo aiuto, e questo l’aveva fatta decidere senza esitazioni.

Jilly sembrava stare bene quando avevano discusso dell’argomento a casa, ma Riley non sapeva davvero che cosa aspettarsi ora.

Per fortuna, non doveva accompagnare la ragazza a scuola da sola. Ryan si era offerto di guidare, e anche Gabriela ed April si erano unite a loro per offrire il loro sostegno morale.

Quando uscirono tutti dall’auto, nel parcheggio della scuola, April prese Jilly per mano e si recarono insieme verso l’edificio. Le due ragazze slanciate indossavano entrambe un paio di jeans, stivali e giacche calde. Il giorno precedente, Riley le aveva portate a fare spese e aveva fatto scegliere una nuova giacca a Jilly, insieme ad un copriletto, dei poster e dei cuscini per personalizzare la sua camera.

Riley, Ryan e Gabriela seguirono le ragazze, e il cuore di Riley si scaldò mentre le guardava. Dopo anni di scontrosità e ribellione, April sembrava all’improvviso incredibilmente matura. La madre si chiese se forse era proprio questo di cui la figlia aveva sempre avuto bisogno, occuparsi di un’altra persona.

“Guardale” Riley si rivolse a Ryan. “Stanno legando.”

“Non è meraviglioso?” l’uomo esclamò. “Sembrano proprio sorelle. E’ questo che ti ha portato a lei?”

Era una domanda interessante. Quando inizialmente aveva portato Jilly a casa, Riley era rimasta colpita soprattutto dalla diversità che esisteva tra le due ragazze.

Ma ora, stava diventando sempre più consapevole delle somiglianze. April era la più pallida tra le due, con gli occhi nocciola come sua madre, mentre Jilly aveva gli occhi castani e una carnagione olivastra. Ma ora, mentre le due teste di capelli scuri si muovevano insieme, sembrava si assomigliassero molto.

“Forse è così” rispose alla domanda di Ryan. “Non ho smesso di pensarci. Tutto ciò che sapevo era che lei si trovava in serio pericolo, e forse potevo aiutarla.”

“Probabilmente le hai salvato la vita” l’uomo replicò.

Riley sentì un nodo in gola. Quella possibilità non le era venuta in mente, ed era un pensiero che la rendeva più umile. Era euforica e terrorizzata al contempo da questa sensazione di nuova responsabilità.

Tutta la famiglia si recò nell’ufficio del consigliere d’orientamento. Calorosa e sorridente come sempre, Wanda Lewis accolse Jilly con una cartina della scuola.

“Ti accompagnerò dritta alla tua aula per l’appello” promise la Signora Lewis.

“Vedo che è un bel posto” Gabriela si rivolse a Jilly. “Starai bene qui.”

Adesso Jilly sembrava nervosa ma felice. Li abbracciò tutti, poi seguì la Signora Lewis in fondo al corridoio.

“Mi piace questa scuola” Gabriela disse a Ryan, Riley ed April, mentre tornavano all’auto.

“Mi fa piacere la tua approvazione” Riley rispose.

Era proprio sincera. Gabriela era molto più che una semplice governante. Era un vero membro della famiglia. Era importante che concordasse con le decisioni familiari.

Entrarono tutti in auto, e Ryan mise in moto.

“Dove si va ora?” l’uomo chiese allegramente.

“Devo andare a scuola” April esclamò.

“Poi, dopo a casa” Riley intervenne. “Devo prendere un aereo a Quantico.”

“D’accordo” Ryan rispose, uscendo dall’area del parcheggio.

Riley osservò il viso dell’uomo mentre guidava. Sembrava davvero felice, felice di far parte delle cose, e felice di avere un nuovo membro in famiglia.

Non era stato così per la maggior parte del loro matrimonio. Sembrava davvero cambiato. E in momento come questo, lei provava gratitudine nei suoi riguardi.

La donna si voltò e guardò sua figlia, che era seduta sul sedile posteriore.

“Te la stai cavando davvero bene” Riley le disse.

April sembrò sorpresa.

“Ce la sto mettendo tutta” disse. “Mi fa piacere che tu l’abbia notato.”

Sul momento, Riley fu colpita da quelle parole. Stava ignorando sua figlia per assicurarsi che il nuovo membro della famiglia si stabilisse tra loro?

April rimase in silenzio per un attimo, poi aggiunse: “Mamma, sono sempre contenta che tu l’abbia portata a casa. Credo che sia tutto molto più complicato di quanto avessi pensato, nell’avere una nuova sorella. Ha avuto una vita difficile e a volte non è facile parlare con lei.”

“Non voglio che il peso ricada su di te” Riley disse.

April sorrise debolmente. “Non ti ho reso la vita facile, io” rispose. “Sono abbastanza forte da confrontarmi con i problemi di Jilly. E la verità è che aiutarla sta cominciando a piacermi. Staremo bene. Per favore, non preoccuparti per noi.”

Riley si sentiva più tranquilla, sapendo che stava lasciando Jilly alle cure di tre persone di cui poteva fidarsi: April, Gabriela e Ryan. Eppure, la preoccupava il fatto di doversi allontanare proprio in quel momento. Sperava che non sarebbe stato a lungo.

*

Il suolo si allontanava, mentre Riley guardava fuori dal finestrino del piccolo jet del BAU. Il jet si innalzò oltre le nuvole, iniziando un volo, verso Seattle, che sarebbe durato quasi sei ore. Nell’arco di pochi minuti, Riley stava osservando il paesaggio sotto di sé.

Bill le era seduto accanto.

Le disse: “Volare per il paese in questo modo mi fa sempre pensare a quando tanto tempo fa le persone dovevano camminare, o cavalcare o andare con il carro.”

Riley annuì e sorrise. Era come se Bill le avesse letto la mente. Aveva spesso quella sensazione su di lui.

“All’epoca il paese dev’essere apparso enorme alle persone” lei disse. “Ci volevano dei mesi per attraversarlo.”

Un silenzio familiare e confortevole cadde tra di loro. Nel corso degli anni, lei e Bill avevano condiviso disaccordi e persino litigi, e, a volte, la loro unione era sembrata sul punto di crollare definitivamente. Ma ora, lei si sentiva più vicina a lui, a causa dei momenti difficili che avevano vissuto insieme. Si fidava ciecamente dell’uomo, e sapeva che era un sentimento assolutamente reciproco.

In momenti come quello, era contenta che Bill non avesse ceduto alla loro attrazione reciproca. Ci si erano pericolosamente avvicinati a volte.

Avrebbe rovinato tutto, pensava Riley.

Erano stati intelligenti a tenersene lontani. La perdita della loro amicizia era troppo difficile per lei anche solo da immaginare. Lui era il migliore amico che aveva al mondo.

Dopo alcuni momenti, Bill disse: “Grazie di essere venuta, Riley. Stavolta, mi serve davvero il tuo aiuto. Non credo che riuscirei ad affrontare questo caso con un altro partner. Nemmeno con Lucy.”

Riley lo guardò e non disse niente. Non doveva chiedergli che cosa avesse in mente. Sapeva che stava finalmente per rivelarle la verità su quanto accaduto a sua madre. E aveva compreso quanto fosse importante e preoccupante questo caso per lui.

L’uomo guardò dritto dinnanzi a sé, come sforzandosi di ricordare.

“Sai già della mia famiglia” disse. “Ti ho detto che papà insegnava matematica alle superiori, e mia madre era una cassiera. Con tre figli, stavano tutti bene senza essere particolarmente benestanti. Avevamo una vita piuttosto bella. Finché …”

Bill si fermò per un istante.

“Accadde quando avevo nove anni” continuò. “Proprio prima di Natale, il personale della banca di mia madre diede l’annuale festa di Natale: si scambiarono i regali, mangiarono dolci e fecero tutto ciò che si fa in genere in un ufficio in quelle occasioni. Quando la mamma è tornata a casa quel pomeriggio, sembrava che si fosse divertita e che tutto andasse bene. Ma col passare delle ore, cominciò a comportarsi in modo strano.”

Il volto di Bill s’indurì al cupo ricordo.

“Divenne stordita e confusa, e biascicava le parole. Sembrava quasi che fosse ubriaca. Ma la mamma non beveva mai molto, e inoltre, alla festa non era stata servita alcuna bibita alcolica. Nessuno di noi sapeva che cosa stesse succedendo. Le cose peggiorarono rapidamente. Iniziò ad avere nausea e a vomitare. Papà la portò immediatamente al pronto soccorso. Noi ragazzi andammo con loro.”

Bill divenne di nuovo silenzioso. Riley intuì che stava diventando sempre più difficile raccontarle l’accaduto.

“Quando arrivammo all’ospedale, aveva il cuore che batteva fortissimo ed era in iperventilazione, e la pressione sanguigna era salita alle stelle. Poi, entrò in coma. I reni cominciarono a cedere, ed ebbe un’insufficienza cardiaca congestizia.”

 

Gli occhi di Bill erano chiusi e il suo viso era segnato dal dolore. Riley si chiese se non sarebbe stato meglio a interrompere il racconto. Ma, dentro di sé, sentiva che avrebbe commesso un errore a dirgli di fermarsi.

Bill proseguì: “Il mattino seguente, i medici scoprirono che cos’era accaduto. Era rimasta vittima di un grave avvelenamento da glicole etilenico.”

Riley scosse la testa. Il nome le suonava familiare, ma non riusciva a capire.

Bill spiegò rapidamente: “Il suo punch alla festa era stato allungato con l’antigelo.”

Riley sussultò.

“Mio Dio!” lei esclamò. “Com’è stato possibile? Voglio dire, il sapore non avrebbe dovuto—?”

“Il fatto è che la maggioranza degli antigelo ha un sapore dolce” Bill spiegò. “E’ facile mescolarlo con le bevande zuccherate senza farsene accorgere. E’ un modo orribilmente facile di usarlo come veleno.”

Riley stava faticando ad assimilare ciò che stava sentendo.

“Ma se il punch è stato allungato, le altre persone non sono state avvelenate?” chiese.

“E’ proprio questo il punto” Bill disse. “Nessun altro fu avvelenato. Non era nella ciotola del punch. Era solo nei drink della mamma. Qualcuno l’aveva presa di mira.”

Divenne nuovamente silenzioso per un momento.

“Ma, allora, era troppo tardi per intervenire” disse. “Restò in coma e morì la vigilia di Capodanno. Eravamo tutti lì al suo capezzale.”

In qualche modo, Bill riuscì a non scoppiare in lacrime. Riley immaginava che avesse versato molte lacrime nel corso degli anni, ripensandoci.

“Non aveva senso” Bill disse. “Mamma piaceva a tutti. Non aveva un solo nemico al mondo, nessuno che la conoscesse riuscì a ipotizzare un’inimicizia. La polizia indagò, e fu chiaro che tutti coloro che lavoravano in banca erano estranei ai fatti. Ma diversi colleghi ricordarono uno strano uomo che era andato e venuto durante la festa. Era apparso amichevole, e tutti avevano pensato che fosse l’ospite di qualcuno, un amico o un parente. Se ne era andato prima della fine della festa.”

Bill scosse amaramente la testa.

“Il caso restò irrisolto. Ancora lo è. Immagino che lo resterà per sempre. Dopo tanti anni, non si troverà mai il colpevole. E’ stato terribile non scoprire mai chi fosse, non poterlo mai consegnare alla giustizia. Ma la cosa peggiore è non riuscire mai a scoprire il perché. Sembrava semplicemente un atto insensatamente crudele. Perché la mamma? Che cosa aveva fatto per indurre qualcuno ad un atto così orribile? O forse non aveva fatto niente. Forse si è trattato soltanto di una sorta di scherzo feroce. Il non sapere fu una tortura. Lo è ancora. E naturalmente, è una delle ragione per cui ho deciso di …”

Non terminò la frase. Non ne aveva alcun bisogno. Riley sapeva da molto tempo ormai che il motivo che aveva spinto Bill alla carriera nelle forze dell’ordine era il mistero irrisolto della morte di sua madre.

“Mi dispiace tanto” Riley disse.

Bill alzò a fatica le spalle, come se avesse un enorme peso sulle spalle.

“E’ successo tanto tempo fa” disse. “E poi, tu sai meglio di chiunque altro come si sente”.

Le tranquille parole di Bill scossero Riley. Sapeva esattamente che cosa lui intendeva. Ed aveva ragione. Gli aveva raccontato tutto tempo prima, perciò non c’era alcun motivo di ripeterlo ora. Il partner lo sapeva già. Ma la cosa non rendeva il ricordo meno doloroso.

Riley aveva sei anni, e la mamma l’aveva portata in un negozio di caramelle. Riley era eccitata e stava chiedendo tutte le caramelle che riusciva a vedere. A volte, la mamma la rimproverava per comportamenti simili. Ma quel giorno la mamma era dolce e la stava viziando, comprandole tutte le caramelle che desiderava.

Proprio quando erano in fila alla cassa, uno strano uomo si avvicinò a loro. Indossava qualcosa sul volto, che gli appiattiva naso, labbra e guance, facendolo apparire buffo e spaventoso allo stesso tempo, quasi come un pagliaccio del circo. A Riley occorse un istante per rendersi conto del fatto che portava una calza di nylon sulla testa, proprio come quelle che la mamma indossava sulle gambe.

Impugnava una pistola. E sembrava enorme. La stava puntando contro la mamma.

“Dammi la borsa” le disse.

Ma la mamma non lo fece. Riley non sapeva perché. Tutto ciò di cui era consapevole era che la mamma era spaventata, forse troppo spaventata per fare ciò che l’uomo le aveva chiesto, e probabilmente anche Riley avrebbe dovuto avere paura, e infatti, così era.

L’uomo rivolse delle brutte parole alla mamma, ma lei non gli diede comunque la borsa. Era tutta tremante.

Poi, ci fu uno sparo e un bagliore, e la mamma cadde a terra. L’uomo disse di nuovo delle cattive parole e poi scappò via. Il petto della mamma era insanguinato, e lei ansimò e si dimenò un istante prima di diventare completamente immobile.

La piccola Riley iniziò a gridare. Non smise per molto tempo.

Il tocco gentile della mano di Bill sulla sua riportò Riley al presente.

“Mi dispiace” Bill disse. “Non intendevo riportartelo alla mente.”

Aveva ovviamente visto la lacrima che le scendeva lungo la guancia. Gli strinse la mano. Gli era grata per la comprensione e la preoccupazione. Ma in verità Riley non aveva mai raccontato a Bill un ricordo che la turbava ancora di più.

Suo padre era stato un colonnello nei Marines, un uomo rigido, crudele, insensibile, indifferente e spietato. In tutti gli anni successivi, aveva incolpato Riley della morte della madre. Sembrava che non gli importasse il fatto che avesse avuto soltanto sei anni.

“Avresti potuto spararle, già che eri lì, per quanto aiuto le hai dato” le aveva detto il genitore.

Il padre era morto l’anno precedente senza averla mai perdonata.

Riley si asciugò le lacrime e guardò fuori dal finestrino, osservando il paesaggio che lentamente scorreva sotto di loro, a chilometri di distanza.

Come succedeva sempre, nuovamente si rese conto di quanto avesse in comune con Bill, e di quanto fossero entrambi perseguitati dalle tragedie e ingiustizie del passato. In tutti quegli anni, erano stati guidati entrambi dagli stessi demoni, perseguitati da fantasmi simili.

Dopo tutta la sua preoccupazione per Jilly e per la sua vita a casa, ora Riley sapeva che aveva fatto bene ad accettare di unirsi a Bill su questo caso. Ogni volta che lavoravano insieme, il loro legame diventava più forte e più profondo. Stavolta non sarebbe stato affatto diverso.

Avrebbero risolto quegli omicidi, lei ne era sicura. Ma che cosa avrebbero ottenuto o perso in cambio lei e Bill?

Forse entrambi guariremo un po’, la donna pensò. O forse le nostre ferite si apriranno e faranno più male.

Si disse che non importava affatto. Avevano sempre collaborato, portando a termine il lavoro, a prescindere da quanto fosse dura.

Ora dovevano affrontare un crimine particolarmente efferato.