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Il Quadriregio

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CAPITOLO IV

Lamento dell'autore sopra la perduta Filena: promessa di piú bella ninfa fattagli da Cupido.

 
        – Oimè, oimè, o Rifa mia fedele,
        come ha permesso la fortuna e Dio
        che sia avvenuto un caso sí crudele?
 
 
        Trovai quel mostro maladetto e rio
    5 nella boscaglia in sul levar del sole;
        ed e' mi domandò del cammin mio.
 
 
        Oh lasso me! con sue dolci parole
        ei m'ha tradito: or vada, ch'io nol giunga
        e non l'occida, a lunge quanto vuole. —
 
 
   10 Driada disse: – Il falso è sí alla lunga,
        che 'nvan per queste selve t'affatichi
        che mai per te insino a lui s'aggiunga.
 
 
        – O Rifa mia, io prego che mi dichi
        dov'è la quercia, dove sta unita
   15 Filena mia coi begli occhi pudichi,
 
 
        e, da che io non gli parlai in vita,
        la vegga morta e le mie braccia avvolti
        a quella pianta, dove sta impedita. —
 
 
        Mossesi allor con pianti e con singolti,
   20 ed io con lei per l'aspero cammino
        di quelli boschi e di que' lochi incolti,
 
 
        insin che giunsi all'arbore tapino;
        non alto giá, ma era lato tanto,
        quanto in la selva è lato un alto pino.
 
 
   25 Io corsi ad abbracciarlo con gran pianto,
        e dissi: – O ninfa mia, prego, se pui,
        prego che mi rispondi e parli alquanto.
 
 
        Oh lasso me! ché a te cagione io fui
        di questa morte; ché quel traditore
   30 nefando mostro ha tradito amendui.
 
 
        Alli miei prieghi ti ferí l'Amore
        dell'infelice colpo alla gonnella,
        che passò tanto acceso poi nel core.
 
 
        Prego, perdona a me, Filena bella:
   35 perché non parli? perché non rispondi?
        Prego, se puoi, alquanto a me favella.
 
 
        Questa novella pianta e queste frondi
        e questi rami io credo che sian fatti
        delli tuoi membri e tuoi capelli biondi. —
 
 
   40 Poiché mille sospiri io ebbi tratti
        e mille volte e piú la chiama' invano
        con pianti e voci ed amorosi atti,
 
 
        a quelle frasche stesi sú la mano
        e della vetta un ramuscel ne colsi:
   45 allora ella gridò: – Oimè! fa' piano. —
 
 
        E sangue vivo uscí, ond'io el tolsi,
        sí come quando egli esce d'una vena;
        ond'io raddoppiai il pianto e sí mi dolsi:
 
 
        – Perdona a me, perdona a me, Filena. —
   50 Poi maladissi il falso dio Cupido,
        che lei e me condotto avea a tal pena,
 
 
        dicendo: – Se piú mai di lui mi fido,
        perir poss'io, e se al suo consiglio,
        seguendo il passo suo, mai piú mi guido. —
 
 
   55 Quando questo io dicea, con lieto ciglio
        Cupido apparve con bel vestimento
        broccato ad oro nel campo vermiglio;
 
 
        e disse a me: – Perché questo lamento
        di me fai tu? Non è la colpa mia,
   60 se altri a te ha fatto tradimento.
 
 
        Anche è stato tuo error e tua follia,
        da che tu rivelasti il tuo secreto
        al mostro, che trovasti nella via.
 
 
        Pon' fin omai, pon' fin a tanto fleto,
   65 ché d'altra ninfa di maggiore stima,
        se mi vorrai seguir, ti farò lieto. —
 
 
        Ed io, mirando l'arbore alla cima,
        dissi: – Piú bella non fu mai veduta;
        questa l'ultima sia, che fu la prima. —
 
 
   70 Ed egli a me: – Della cosa perduta
        non curar piú; e tanto ti sia duro,
        quanto se mai tu non l'avessi avuta. —
 
 
        Ed io dicendo pur: – Venir non curo, —
        della faretra fuor un dardo trasse,
   75 ch'era di piombo pallido ed oscuro,
 
 
        e parve ch'e' nel petto me 'l gittasse;
        e perché quello fa che amor si sfaccia,
        fece che piú Filena io non amasse.
 
 
        Allor risposi a lui con lieta faccia:
   80 – Voglio venire e voglio seguitarte
        ed esser presto a ciò che vuoi ch'io faccia. —
 
 
        Ed egli disse: – Qua a destra parte
        sta una valle tra la gran foresta,
        che diece miglia di qui si diparte.
 
 
   85 Lí debbe dea Diana far la festa
        per la sua madre, come fa ogni anno,
        e la dea Iuno a venirvi ha richiesta,
 
 
        sí ch'ella e le sue ninfe vi verranno,
        che son sí belle, che, a rispetto a quelle,
   90 queste di Diana silvestre parranno.
 
 
        Tu vederai venir quelle donzelle
        tutte vaghette, adorne ed amorose,
        incoronate di splendenti stelle. —
 
 
        E poi si mosse tra le vie spinose,
   95 tanto ch'e' mi condusse su nel monte,
        ond'io vedea la valle, e lí mi pose.
 
 
        In mezzo la pianura era una fonte
        sí piena d'acqua, che n'usciva un rivo,
        nel qual le ninfe si specchian la fronte.
 
 
  100 E 'n mezzo la pianura, ch'io descrivo,
        era una quercia smisurata e grande
        e sempre verde quanto verde olivo;
 
 
        e li suo' rami in quella valle spande,
        li quai son tutti di rosso corallo,
  105 ed ha zaffiri in loco delle giande.
 
 
        E tutto il fusto è come un chiar cristallo,
        e sotto terra ha tutte sue radice,
        come si crede, del piú fin metallo.
 
 
        Per farlo adorno e mostrarlo felice
  110 vi cantan tra le fronde mille uccelli,
        e lodi di Diana ciascun dice.
 
 
        Sul verde prato tra' fioretti belli
        vidi migliaia di ninfe ire a spasso
        con le grillande in sui biondi capelli:
 
 
  115 e per le coste giú scendere abbasso
        fauni vidi e satiri e silvani,
        che alla festa al pian movean il passo.
 
 
        Dietro son bestie ed hanno visi umani;
        e son chiamati dèi di quelli monti
  120 e di quegli alpi sí scogliosi e strani.
 
 
        E naide v'eran le dèe delle fonti,
        e driadi v'eran le dèe delle piante,
        che hanno i membri agli arbori congionti.
 
 
        Con le grillande vennon tutte quante
  125 giú nella valle a far festa a Diana;
        e poi che funno a lei venute avante,
 
 
        s'enginocchioron su la valle piana;
        e fengli offerta sí come a signora,
        e cantando dicean: – O dea sovrana,
 
 
  130 benedetta sii tu in ciascun'ora,
        e benedetti li fonti e li boschi,
        dentro alli quai tua deitá dimora.
 
 
        Le fère venenose e c'hanno toschi
        non vengan nelli lochi dove stai,
  135 né cosa, che dispiaccia, mai conoschi.
 
 
        Tu facesti smembrar con doglie e guai
        il trasmutato in cervio Atteone
        con la potenzia grande, che tu hai;
 
 
        ché delle ninfe le nude persone
  140 corse a vedere tra le chiarite acque,
        benché fortuna ne fosse cagione.
 
 
        Ippolito gentil, quando a te piacque,
        tornar facesti in vita dalla morte
        con quelle membra, con le quali ei nacque. —
 
 
  145 E quando ell'ebbon lor offerte pórte,
        anco alle ninfe fenno riverenza,
        sí come a servi principal di corte.
 
 
        E dilungate dalla lor presenza
        tennono nella valle estremo loco,
  150 come conviensi a lor bassa semenza.
 
 
        Giá era il tempo che la festa e 'l gioco
        far si dovea e Diana fe' segno
        a due sue ninfe, a lei distanti poco,
 
 
        che chiamasser Iunon dall'alto regno,
  155 che scendesse alla festa omai a sua posta
        col coro delle ninfe alto e benegno.
 
 
        Come fa 'n cor colui, al qual è imposta
        l'antifona per dir, che prima inchina,
        poi a cantar la voce tien disposta;
 
 
  160 cosí fên quelle due a sua regina,
        che s'inchinonno prima al suo comando,
        poi, tenendo la faccia al ciel supina,
 
 
encomincionno a dir cosí cantando.
 

CAPITOLO V

Dell'avvenimento di Giunone invitata alla festa di Diana.

 
        – O regina del cielo, o alta Iuno,
        moglie e sorella del superno Iove,
        che l'aer rassereni e failo bruno,
 
 
        Diana prega te che venghi dove
    5 ella fa festa e con le belle dame
        del nobil regno tuo qui ti ritrove.
 
 
        Il nostro dir, benché da lungi chiame,
        noi sappiam ben che l'odi dall'altezza
        del monte Olimpo, dov'è il tuo reame. —
 
 
   10 Queste parole con tanta dolcezza
        cantôn due ninfe, Pallia e Lisbena,
        ch'anco, quando il ricordo, io n'ho vaghezza.
 
 
        Né mai cantò sí ben la Filomena,
        né per addormentare in mar Ulisse
   15 cantò sí dolcemente la Sirena.
 
 
        Iuno, per dimostrar ch'ella l'udisse,
        mandò un lustro e sin a lor discese
        come balen che subito venisse.
 
 
        Le ninfe di Diana inver'il paese,
   20 onde venne quel lustro, stavan vòlte,
        con gli occhi rimirando e stando intese.
 
 
        Ed ecco come il raggio spesse volte
        pare una via, che 'nsino a terra cada
        fuor delle nubi, ove non son sí folte,
 
 
   25 cosí da alto ingiú si fe' una strada
        dal loco, onde Iunon dovea venire,
        lucida e stesa insin quella contrada.
 
 
        Poi, come il chiaro Febo suol uscire
        fuori dell'orizzonte la mattina,
   30 cosí vidi io per la strada apparire
 
 
        un nobil carro, e suso una regina
        con corona di stelle e sí splendente,
        come tra li mortal cosa divina.
 
 
        E quanto piú e piú venía presente
   35 agli occhi miei, tanto parea piú adorno,
        maraviglioso il carro e piú eccellente.
 
 
        E mille ninfe avea intorno intorno
        con corone di stelle in su la testa,
        lucenti al sole ancor nel mezzogiorno.
 
 
   40 E d'oro e celestina avean la vesta,
        e cantando dicíen: – Viva Iunone! —
        con suoni, balli, gioia e con gran festa.
 
 
        Il carro ad ogni rota avea un grifone,
        pappagalli e pavon con belle penne
   45 intorno e sopra; e tre 'n ogni cantone.
 
 
        Poscia che 'l plaustro giú nel pian pervenne,
        Diana il carro suo fe' venir anco,
        che gran bellezza ancora in sé contenne,
 
 
        di drappi adorno e d'ogni uccello bianco:
   50 mai vide Roma carro trionfante,
        quant'era questo bel, né vedrá unquanco.
 
 
        Con piú di mille ninfe a lei davante
        ella si mosse incontra a fare onore
        alla regina, moglie al gran Tonante.
 
 
   55 E poiché fu ballato ben due ore,
        le ninfe di Iunon l'altre invitâro
        a voler concertar con lor valore,
 
 
        dicendo: – Acciò che ben si mostri chiaro
        chi usa meglio l'arco o voi o noi,
   60 se a voi piace, a noi anco sia caro.
 
 
        Di vostre ninfe due eleggete voi;
        e noi due altre; e chi trarrá piú dritto,
        da dea Iunon sia coronata poi. —
 
 
        Alle dèe piacque cosí fatto ditto;
   65 e dea Diana una corona pose
        nell'aer alta a lor per segno fitto,
 
 
        fatta di fiori e pietre preziose.
        Per parte di Iunon, celeste dea,
        vennono due ardite e valorose.
 
 
   70 Una fu Ursenna e l'altra fu Lippea,
        a me promessa, bella giovinetta;
        ma che foss'ella, io ancora nol sapea.
 
 
        A lei diede Iunone una saetta
        e l'arco eburneo bello ed inorato:
   75 tanto era grata a lei e tanto accetta.
 
 
        A campo incontra uscîr dall'altro lato
        Lisbena e Pallia; e queste due son quelle,
        che, 'nvitando Iunone, avean cantato.
 
 
        E patto fên tra lor quelle donzelle
   80 di trar tre volte; e chi piú ritto manda,
        dé' coronarsi le sue trecce belle.
 
 
        Pallia trasse prima alla grillanda,
        coll'arco dirizzando a lei lo strale;
        ma ello dechinò a destra banda.
 
 
   85 Poi trasse Ursenna; e ferío altrettale,
        sí che fu giudicato d'este due
        che fosse il colpo loro ognuno eguale.
 
 
        Lisbena a saettar la terza fue
        e die' sí ritto, che quasi toccata
   90 fu la grillanda nelle frondi sue.
 
 
        Lippea trasse la quarta fiata
        e ritto tanto, che toccò una fronde,
        che cadde in terra dal colpo levata.
 
 
        Le sue compagne si fenno gioconde,
   95 perché credetton che dentro passasse;
        ma spesso il fatto al creder non risponde.
 
 
        Pallia poi un'altra volta trasse,
        prima pregando la sua dea Diana
        che 'l dardo alla corona dirizzasse.
 
 
  100 Ma la saetta tratta andò lontana
        dalla grillanda forse quattro dita,
        sí che la prece e la spene fu vana.
 
 
        Lippea bella giá s'era ammannita,
        e, dopo lei, col suo duro arco scocca
  105 una saetta leggiadra e polita.
 
 
        Da lei fu un poco la grillanda tócca,
        non dalla punta, ma sol dalla penna,
        c'ha la saetta appresso della cocca.
 
 
        E, dopo questa poscia, trasse Ursenna,
  110 Lisbena poi; e giá secondo il patto
        due volte ognuna avea tratto a vicenna.
 
 
        Ognuna ancora avea a fare un tratto;
        e Pallia pria, per aver la corona,
        vòlta a Diana con riverente atto
 
 
  115 disse: – Se mai, o dea, la mia persona
        servito ha te con arco e con faretra,
        a questo colpo la grillanda dona. —
 
 
        Poscia a misura, come un geomètra,
        nella corona sí forte percosse,
  120 che ne fe' d'ella sbalzare una pietra.
 
 
        Nel centro avrebbe dato, se non fosse
        che Iuno in quella fe' venire un vento,
        che 'l dardo alquanto dal segno rimosse.
 
 
        Ursenna, lieta d'esto impedimento,
  125 prese la mira per voler poi trare,
        col core e con lo sguardo ben attento.
 
 
        Non die' nel mezzo, ov'ella credea dare;
        ma la toccò e commossela alquanto,
        ma non però che la fêsse voltare.
 
 
  130 Ora in due era omai rimaso il vanto
        della battaglia e della gran contesa;
        e queste eran pregate da ogni canto.
 
 
        – Fa', o Lisbena, che vinchi l'impresa
        e getta sí, che non abbiam vergogna,
  135 con l'arco al segno e con la mente intesa.
 
 
        – Soccorri, o dea Diana, or che bisogna
        – disse Lisbena, – e se lo mio quadrello
        tu fai che dentro alla grillanda io pogna,
 
 
        offerta farò a te d'un bianco agnello,
  140 di bianchi gigli e bianchi fior coperto,
        e d'un bel cervio a Febo tuo fratello.
 
 
        Egli è signor e dio e mastro esperto
        di trar con l'arco: egli ferí Fetonte,
        il quale un gran paese avea deserto. —
 
 
  145 Lippea ancora al ciel con le man gionte
        a dio Cupido insú alzava il volto,
        che stava meco ascosto a piè del monte.
 
 
        – Derizza il dardo mio, ti priego molto,
        o dio d'amor, sí come tu percoti
  150 col dardo che nel cor a tanti è còlto. —
 
 
        Poich'ebbon fatti molti e grandi voti
        e che pregato avean con gran desire,
        mostrando gli atti e' sembianti devoti,
 
 
        trasse Lisbena, a cui toccò il ferire;
  155 e 'l dardo dentro alla grillanda colse
        in un de' lati e torta la fe' gire.
 
 
        In quel che la corona si rivolse,
        gittò Lippea nella circonferenza;
        e 'l dardo trapassolla e lí si folse.
 
 
  160 Ora tra lor comincia grande intenza,
        ché l'una e l'altra la grillanda vuole,
        credendo ognuna aver giusta sentenza;
 
 
e diceano a Diana este parole.
 

CAPITOLO VI

Della caccia del cervo per la gara della ghirlanda tra Lisbena e Lippea.

 
 
        – O dea Diana, o figlia di Latona,
        discerna tua prudenza e tuo gran senno
        chi di noi due debbia aver la corona. —
 
 
        Diana, udito questo, fece cenno
    5 che l'una e l'altra andasse a dea Iunone
        con riverenza; ed elle cosí fenno.
 
 
        Lisbena in pria, che crede aver ragione,
        umilemente abbassa le ginocchia;
        e mosse po' a Iunon questo sermone:
 
 
   10 – O del gran Iove mogliera e sirocchia,
        mira l'onor della mia compagnia,
        mira se ho ragione, e bene adocchia.
 
 
        Io trassi alla corona alquanto pria;
        e poi Lippea; ma non trasse ad ora,
   15 ché giá pel colpo ell'era fatta mia. —
 
 
        Lippea incontro a questo dicea ancora:
        – O alta Iuno, a cui il sommo impero
        ha dato Iove, e sei con lui signora,
 
 
        se ben si mira qui a quel ch'è vero,
   20 Lisbena e le compagne vedran forse
        che 'l colpo suo non fu ritto e sincero,
 
 
        che diede alla grillanda e sí la torse,
        perocché la toccòe; ed io, in quel mentro
        ch'ella voltòe, la mia saetta porse
 
 
   25 un poco dopo lei e ferii dentro,
        e con tanta misura al segno diedi,
        che la mia polsa andò per mezzo il centro.
 
 
        Però ti prego pel carro ove siedi
        e per l'amor che porti all'alto Iove,
   30 che la corona bella a me concedi.
 
 
        Se 'l priego mio, signora, non ti move,
        movati il sacro cor, che teco viene:
        che abbiam perduto non si dica altrove. —
 
 
        Iunon rispose: – A Diana appartiene
   35 giudicar questo e che la pace pogna
        tra te e Lisbena; e cosí si conviene. —
 
 
        Diana a questo: – Ancor pugnar bisogna
        un'altra volta; e la qual parte vince,
        abbia l'onore, e l'altra la vergogna.
 
 
   40 Un cervio sta non molto lontan quince
        con corni grandi, e 'l dosso ha tutto bianco,
        se non c'ha i piè macchiati come lince.
 
 
        Questo in la selva è stato sempre franco,
        ché mai non lo lasciai morder dai cani,
   45 né da persona mai ferire unquanco.
 
 
        Io manderò miei fauni e miei silvani,
        che menin questo cervio su nel prato,
        e sia lasciato in mezzo a questi piani.
 
 
        E tu, o Lippea, li porrai da un lato
   50 con le tue ninfe e con le tue compagne,
        con quante e quali e come a te sia grato.
 
 
        Lisbena ancor per piani e per montagne
        porrá le ninfe mie dall'altra parte;
        e se addivien che il cervio tu guadagne,
 
 
   55 piaccia a Iunon volere incoronarte.
        Ma se le ninfe mie vincon la caccia
        o per ingegno o per forza di Marte,
 
 
        anco Lisbena incoronar gli piaccia,
        non per lei tanto, ma per le sorelle,
   60 che per vergogna stan con rossa faccia. —
 
 
        Le ninfe di Iunon gentili e belle
        si mostrôn d'accettar volonterose
        con arditi atti e con pronte favelle.
 
 
        Allor Diana a sei silvani impose
   65 che menassero il cervio; ed ei menôllo
        su delle ripe e delle vie scogliose,
 
 
        con una fun legato intorno al collo;
        poi fu lasciato sciolto presso al fonte,
        ch'era sacrato alla suora d'Apollo.
 
 
   70 – Su su, sorelle, circondate il monte
        – dicea Lippea, – e prendete la costa
        con archi e spiedi coll'acute ponte.
 
 
        Ognuna attenta sia nella sua posta:
        co' can correnti dietro alli cespogli,
   75 come chi sta in aguato, stia nascosta.
 
 
        E tu, Tirena, va' 'ntorno a li scogli
        con cento ninfe: sai ch'io mi confido
        in tua virtú; però mostrar la vogli.
 
 
        Sí come io accenno o col mio corno grido,
   80 cosí con quelle cento mi soccorre,
        co' cani alani e col tuo arco fido.
 
 
        Perché, se 'l cervio suso al monte corre,
        di lá dall'altra valle non trapassi,
        lassú, Ipodria, tu ti vogli porre
 
 
   85 e con ducento ninfe prendi i passi:
        con can mastini e con cani levrieri
        fa' che lo pigli e che passar nol lassi.
 
 
        Or ora essere accorte è ben mestieri;
        acciò che onore abbia la nostra dea,
   90 mostriam la forza de' nostri archi fieri. —
 
 
        Non men Lisbena ancora disponea
        la schiera sua e facevala forte
        con modi e con parol, ch'ella dicea.
 
 
        – Sorelle, ora conviene essere accorte;
   95 ora convien mostrar nostro valore;
        ch'altri che noi di caccia onor non porte.
 
 
        Ora si vederá chi porta amore
        a dea Diana e se siete valente,
        sí che di questa caccia abbiamo onore.
 
 
  100 O Lisna bella mia, va' prestamente
        sopra del monte e circonda la cima
        con cento ninfe: e state bene attente.
 
 
        Credo che 'l cervio lí correrá prima:
        abbiate cani e spiedi, ché non varchi
  105 di lá dal monte verso la valle ima.
 
 
        Chi per la costa discorra cogli archi,
        chi di lanciotto e chi di duro spiedo,
        quando fia l'ora, la sua mano incarchi.
 
 
        Alconia, te per principal richiedo,
  110 che stii con cento ninfe in su la piaggia;
        ché 'l cervio lí verrá, sí come io credo. —
 
 
        Quando ordinata fu la schiera saggia,
        e fu ognuna nel loco che vòlse
        quella di Iuno e della dea selvaggia,
 
 
  115 la bella Iris i gran cani sciolse
        d'intorno al cervio abbaianti e feroci;
        ed ei fuggí e ver' Diana volse.
 
 
        Le ninfe sue alzôn liete le voci,
        gridando fortemente: – Ad esso, ad esso
  120 con le saette e coi passi veloci. —
 
 
        Le lor verrette scoccavano spesso;
        e 'l cervio corre e su lo monte sale;
        e dietro i can correndo vanno appresso.
 
 
        E poi che giunto fu nel piano equale,
  125 passato arebbe il monte, se non fosse
        che Lisna bella gli die' d'uno strale.
 
 
        Allora quello addietro alquanto mosse,
        ed un fier can mastin gli prese il volto,
        e Marsa ninfa d'un dardo il percosse.
 
 
  130 Per questo il cervio, alla man destra vòlto,
        ver' quelle di Iunon fece l'andata;
        e questo a Lisna bella increbbe molto.
 
 
        Ipodria bella, tutta rallegrata:
        – Fa' – disse, – o Iuno, che vinciam la festa;
  135 dá' or questa vittoria a tua brigata.
 
 
        L'aspere ninfe della dea foresta
        non l'han saputo aver, ma s'è fuggito:
        però è degno che perdan l'inchiesta. —
 
 
        Quando quel cervio presso a lei fu ito,
  140 d'un fiero dardo gli passò la spalla,
        tal che egli a terra cadde giú ferito.
 
 
        Come che gente alcuna volta balla
        per la vittoria, che giá aver si spera,
        e poi si scorna se l'effetto falla;
 
 
  145 cosí fên quelle, ché Lisbena, ch'era
        dall'altra parte, disse: – Abbi memoria,
        o dea Diana, della nostra schiera:
 
 
        fa' che le ninfe tue abbian la gloria
        di questa caccia, acciò che non sia ditto
  150 ch'altri che tu ne' boschi abbia vittoria. —
 
 
        Per questo il cervio si levò su ritto;
        ché quelle di Iunon non eran corse
        insino a lui, ma sol l'avean trafitto.
 
 
        Poi per la costa giú correndo corse
  155 per gire al fonte, che stava a rimpetto;
        ma Lisna, quando di questo s'accorse,
 
 
        un legno attraversò 'n un passo stretto
        lá onde convenía ch'egli passasse;
        e quel correndo vi percosse il petto.
 
 
  160 Lisbena in quello d'un dardo gli trasse
        nel fianco manco e passò l'altro canto,
        onde convenne che 'l cervio cascasse.
 
 
        L'aspere ninfe s'allegraron tanto,
        quanto si possa dir, ognuna certa
  165 che d'aver vinto si potea dar vanto.
 
 
        Tagliôn la testa, e di bei fior coperta
        portavanla a Diana, e lei fe' segno
        che a dea Iunon ne facessero offerta.
 
 
        Ella accettò con aspetto benegno:
  170 Lippea e le compagne il volto basso
        tenean d'ira e di vergogna pregno,
 
 
ché 'l lor pensier era venuto in casso.