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Il Quadriregio

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Il Quadriregio
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LIBRO PRIMO

DEL REGNO D'AMORE

CAPITOLO I

Come all'autore apparve Cupido, e questi lo condusse nel regno di Diana, ove a' preghi del medesimo ferí la ninfa Filena.

 
        La dea, che 'l terzo ciel volvendo move,
        avea concorde seco ogni pianeto
        congiunta al Sole ed al suo padre Iove.
 
 
        La sua influenza tutto 'l mondo lieto
    5 esser faceva e d'aspetto benegno,
        da caldo e freddo e da venti quieto.
 
 
        E Febo il viso chiaro avea nel segno,
        che fu sortito in cielo ai duo fratelli,
        ond'ebbe Leda d'uovo il ventre pregno,
 
 
   10 E tutti i prati e tutti gli arboscelli
        eran fronduti, ed amorosi canti
        con dolci melodie facean gli uccelli.
 
 
        E giá il cor de' giovinetti amanti
        destava Amore e 'l raggio della stella,
   15 che 'l sol vagheggia or drieto ed or davanti,
 
 
        quando il mio petto di fiamma novella
        acceso fu, onde angoscioso grido
        ad Amor mossi con questa favella:
 
 
        – Se tu se' cosa viva, o gran Cupido,
   20 come si dice, e figlio di colei,
        ch'amore accese tra Enea e Dido;
 
 
        se tu se' un del numer delli dèi,
        e se tu porti le saette accese,
        esaudisci alquanto i desir miei.
 
 
   25 I' priego te che mi facci palese
        la forma tua e 'l tuo benigno aspetto,
        il qual si dice ch'è tanto cortese. —
 
 
        Appena questo priego avea io detto,
        quand'egli apparve a me fresco e giocondo
   30 in un giardino, ov'io stava soletto,
 
 
        di mirto coronato el capo biondo,
        in forma pueril con sí bel viso,
        che mai piú bel fu visto in questo mondo.
 
 
        I' creso arei che su del paradiso
   35 fosse il suo aspetto: tanto era sovrano;
        se non che, quando a lui mirai fiso,
 
 
        vidi ch'avea un arco ornato in mano,
        col quale Achille ed Ercole percosse,
        e mai, quando saetta, getta invano.
 
 
   40 Sopra le vestimenta ornate e rosse
        di penne tanto adorne avea duo ali,
        che cosí belle mai uccel non mosse.
 
 
        Nella faretra al fianco avea gli strali
        d'oro e di piombo e di doppia potenza,
   45 colli qua' fere a dèi ed a mortali.
 
 
        Quando ch'i'l vidi avanti a mia presenza,
        m'inginocchiai e, come a mio signore,
        li feci onore e fe'li riverenza,
 
 
        dicendo a lui: – O gentilesco Amore,
   50 se a venire al priego mio se' mosso,
        colla tua forza e col tuo gran valore
 
 
        aiuta me, il quale hai sí percosso
        e sí infiammato col tuo sacro foco,
        ch'io, lasso me! piú sofferir non posso. —
 
 
   55 Allor rispose, sorridendo un poco:
        – Dall'alto seggio mio i' son venuto
        mosso a piatá del tuo piatoso invoco.
 
 
        Degno è ch'io ti soccorra e diati aiuto,
        da che ferventemente tu mi chiame,
   60 e ch'io sovvenga al cor, ch'i' ho feruto.
 
 
        Sappi che in oriente è un reame
        tra lochi inculti e tra ombrosi boschi,
        ch'è pien di ninfe d'amorose dame.
 
 
        E quelle selve e quelli lochi foschi
   65 son governati dalla dea Diana,
        la qual voglio che veggi e la conoschi.
 
 
        E benché sia la via molto lontana
        e sia scogliosa e sia di molta asprezza,
        io la farò parer soave e piana.
 
 
   70 Io son l'Amor, che dono ogni fortezza
        ne' gravi affanni e, mentre altrui affatico,
        gli fo la pena portar con dolcezza.
 
 
        In questo regno, del quale io ti dico,
        è una ninfa chiamata Filena
   75 con bell'aspetto e con volto pudico.
 
 
        La selva è ben di mille ninfe piena;
        ma dea Diana, quando va alla caccia,
        piú presso questa che null'altra mena.
 
 
        Costei sí bella e con pudica faccia
   80 io ferirò per te d'un dardo d'oro,
        quantunque io creda che a Diana spiaccia.
 
 
        Tu vedra' delle ninfe il sacro coro
        insieme con Diana lor maestra,
        e belle sí, ch'i', Amor, me n'innamoro.
 
 
   85 E portan l'arco fier nella sinestra,
        ed al comando della lor signora
        cacciando van per la contrada alpestra.
 
 
        – O dio Cupido, tanto m'innamora,
        – risposi a lui – il ben che m'hai promesso,
   90 che al venire mi pare un anno ogn'ora. —
 
 
        Allor si mosse, ed io andai con esso;
        alfin venimmo per la lunga via
        in un boschetto, ch'avea un piano appresso.
 
 
        La dea Diana a caso fatta avía
   95 una gran caccia e dalla parte opposta
        con piú di mille ninfe in giú venía.
 
 
        E discendeano al pian su d'una costa
        inverso una fontana d'acqua pura,
        qual era in mezzo della valle posta,
 
 
  100 non fatta ad arte, ma sol per natura;
        ed era d'acqua chiara e sí abbondante,
        che un fiumicel facea 'n quella pianura.
 
 
        E poi ch'al fonte funno tutte quante,
        corseno a rinfrescarsi alle chiare onde,
  105 ponendo in elle le mani e le piante.
 
 
        Ed alcun'altre stavan su le sponde
        del fiumicello; e delli fiori còlti
        facean grillande alle sue trecce bionde.
 
 
        Ed alcun'altre specchiavan lor volti
  110 nelle chiare acque, ed altre su pel prato
        givan danzando per que' lochi incolti.
 
 
        Cupido, ed io con lui, stava in aguato
        dentro al boschetto, e ben vedevam quelle,
        ed elle noi non vedean d'alcun lato.
 
 
  115 Poscia ben cento di quelle donzelle
        sciolson le trecce della lor regina,
        le trecce bionde mai viste sí belle.
 
 
        Sí come tra' vapor, su la mattina,
        ne mostra i suoi capelli il chiaro Apollo,
  120 e nella sera quando al mar dechina;
 
 
        cosí Diana avea capelli al collo,
        cosí splendea ed era bella tanto,
        che a vagheggiarla mai l'occhio è satollo.
 
 
        E poi ch'ell'ebbon fatta festa alquanto,
  125 tennon silenzio tutte, se non due,
        che alla sua loda comincionno un canto.
 
 
        Delle due cantatrici l'una fue
        Filena bella, che m'avea promessa
        il dolce Amor con le parole sue.
 
 
  130 E quando egli mi disse: – Quella è essa, —
        pensa s'io m'infiammai, che la speranza
        tanto piú accende quanto piú s'appressa.
 
 
        Ond'io all'Amor: – Se quella a me per 'manza
        hai conceduta, percuoti col dardo
  135 costei, che in beltá ogn'altra avanza.
 
 
        Ahi quanto piace a me quando la sguardo!
        E cosa desiata, se si aspetta,
        tanto piú affligge quanto piú vien tardo. —
 
 
        Allor Cupido scelse una saetta
  140 ed infocolla e posela nell'arco
        per saettare a quella giovinetta.
 
 
        E come cacciator si pone al varco
        tacito e lieto, aspettando la fera,
        e sta in aguato col balestro carco;
 
 
  145 tal fe' Cupido e la saetta fiera
        poscia scoccò, e, inver' Filena mossa,
        il manto sol toccò lenta e leggera.
 
 
        Quando le ninfe sentir la percossa
        e nostra insidia a lor fu manifesta,
  150 tutte fuggir con tutta la lor possa.
 
 
        Sí come i cervi fan nella foresta,
        quando sono assaliti, o' capriuoli,
        se cani o altra fera li molesta,
 
 
        che vanno a schiera, e alcun dispersi e soli,
  155 e per paura corron tanto forte,
        che pare a chi li vede ch'ognun voli;
 
 
        cosí le ninfe timidette e smorte
        fuggiro insieme, ed alcuna smarrita,
        quando si furon di Cupido accorte.
 
 
  160 Filena bella non sería fuggita,
        se non che la sua dea la man gli porse:
        tanto pel colpo ell'era sbegottita.
 
 
        L'Amore, ed io con lui, al fonte corse,
        dove le sacre ninfe eran sedute,
  165 quando la polsa insino a lor trascorse.
 
 
        Io non trovai se non ch'eran cadute
        alle due cantatrici le grillande
        de' belli fior, che in testa avieno avute.
 
 
        Però a Cupido dissi: – Ov'è la grande
  170 virtú dell'arco tuo, che tanto puote?
        E 'l fuoco ov'è, che tanto incendio spande?
 
 
        Se l'arco tuo giammai invan percuote,
        perché ingannato m'hai colle promesse,
        che m'han condutto in le selve remote? —
 
 
  175 Non potei far che questo io non dicesse
        col volto irato, e piú mi mosse ad ira
        che del mio scorno parve ch'ei ridesse.
 
 
        Poscia rispose: – Ov'io posi la mira,
        quivi percossi, e quivi il colpo giunse
  180 dell'arco mio, che mai invan si tira. —
 
 
E quel che segue, col parlar, soggiunse.
 

CAPITOLO II

Nel quale l'Amore prova per molti esempli che nessuno può far resistenza a lui ed alle sue saette.

 
 
        – Né ciel, né mar, né aer mai, né terra
        potêro al foco mio far resistenza,
        né all'arco dur, che mai ferendo egli erra.
 
 
        Dall'alta sede della sua eccellenza
    5 fatt'ho discender piú fiate Iove
        colle saette della mia potenza.
 
 
        E lui mutai in cigno ed anco in bove,
        ed in altre figur bugiarde e false,
        senza mostrar le mie ultime prove.
 
 
   10 Nettunno freddo in mar tra l'acque salse
        accese tanto il mio fuoco sacrato,
        che l'Oceáno estinguer non gli valse.
 
 
        Ma come fortemente innamorato
        della fiera Medusa, che a lui piacque,
   15 e di cui 'l viso tanto gli fu grato,
 
 
        gridava: – Io ardo tra le gelid'acque; —
        perché ammortar non potea in sé l'ardore
        mercé chiamando, a me soggetto giacque.
 
 
        Pluton d'inferno, ove non fu ma' amore,
   20 infiammai tanto col mio caldo foco,
        che 'l feci innamorar col mio valore.
 
 
        Proserpina, che stava in balli e gioco,
        fei che rapío e feila far regina
        del tristo inferno e dell'opaco loco.
 
 
   25 A Febo l'arte della medicina
        niente valse contra l'arco mio,
        né sapienza, né virtú divina;
 
 
        ché, bench' e' fosse saggio e fosse dio,
        correndo il feci andar dietro a colei,
   30 la qual nel bello allòr si convertío.
 
 
        Ahi quanti sono stati quelli dèi,
        ch'i' ho feriti, e quante le persone,
        ch'i' ho domate con li dardi miei!
 
 
        Ercole forte, che vinse il lione
   35 e che all'idra sette teste estinse,
        Cerbero prese e mozzòe Gerione;
 
 
        in scambio della spada poi si cinse
        la rocca e 'l fuso per la bella Iole:
        tanto la fiamma e mia saetta il vinse.
 
 
   40 Per piú piacer, di fiori e di viole,
        esperta all'elmo, adornava sua testa,
        come dalle donzelle far si suole.
 
 
        Tosto vedrai e tosto manifesta
        sará a te in effetto la percossa,
   45 ch'io fe' a Filena al sommo della vesta,
 
 
        che gli ha passato giá la carne e l'ossa;
        è giá intrato il caldo alle midolle
        e giunto al core, ov'egli ha maggior possa. —
 
 
        E poi mi fe' sguardar su verso il colle
   50 ad una naida, che venia alla 'ngiúe,
        alla quale io parlai com'ello volle;
 
 
        ché quando insino a noi venuta fue,
        la domandai: – Perché a quest'acqua amena
        venuta se'? E, dimmi, chi se' tue?
 
 
   55 – Una ninfa gentil ditta Filena
        smarrita ha qui una bella grillanda
        – rispose quella – e di questo ha gran pena.
 
 
        E perché io la ritrovi ella mi manda,
        e disse a me: – Io vidi un giovinetto,
   60 che corse lí, e però ne 'l dimanda. —
 
 
        Ed anco d'altre cose ella m'ha detto:
        saresti tu colui, che loda tanto,
        che parve a lei di sí benigno aspetto? —
 
 
        Cupido inver' di me sorrise alquanto,
   65 quasi dicendo: – Or vedi la promessa
        e la percossa, ch'io gli diei sul manto. —
 
 
        E come chi da compagni si cessa,
        perché parlar vuol tacito e quieto,
        mi cessai solo per parlar con essa.
 
 
   70 – Naida mia – diss'io, – or mi fa' lieto:
        dimmi dov'è Filena, se tu 'l sai,
        e se tu hai da lei alcun segreto.
 
 
        – Rifa chiamata sono e seguitai
        – rispose quella – giá la dea Diana,
   75 e fui nel suo cospetto accetta assai.
 
 
        Ma una volta in una parte strana
        fece una caccia in uno aspro paese,
        ed io cacciando andai molto lontana.
 
 
        Trovai un centauro, e per forza mi prese:
   80 oh lassa me, ch'i' non ebbi potere
        contra sua forza usar le mie difese!
 
 
        Però Diana non vuol sostenere
        ch'io vada piú con lei, ed hammi posta
        che in guardia un fiumicel debba tenere.
 
 
   85 Io era lí, di lá dall'altra costa,
        quando le ninfe con la smorta faccia
        vidi fuggire, e nulla facean sosta,
 
 
        sí come cervi che son messi in caccia,
        quando dietro il lion va seguitando,
   90 o altra fiera fuggendo l'impaccia.
 
 
        Ed io della cagion facea 'l domando
        del fuggir loro, e Diana non vòlse
        darme risposta insino allora quando
 
 
        tutte le ninfe sue ella raccolse.
   95 Allor mi disse: – Qui mi fa fuggire
        Cupido falso e sue infocate polse.
 
 
        Ma io farò querela al sommo sire,
        ché 'l regno mio piú volte a tradimento
        con falsitá venuto egli è a assalire. —
 
 
  100 Poi cercò tutte e solo il vestimento
        trovò a Filena, ch'era alquanto acceso,
        il qual con l'acqua crese avere spento.
 
 
        Ma giá quel foco sacro era disceso
        dentro nel sangue, sí come s'accende
  105 un picciol foco nella stoppa appreso.
 
 
        Il dí seguente, quando il sol risplende,
        Diana prese le saette cónte;
        ed ogni ninfa ancor suo arco prende,
 
 
        però che seppon che di lá dal monte
  110 era di cervi venuta una schiera
        a beverarsi ad una bella fonte.
 
 
        Filena non andò, ma rimasta era,
        ché di non poter ir prese la scusa
        ancor pel colpo della polsa fiera.
 
 
  115 E per la fiamma, ch'ella avea rinchiusa
        drento nel cor, faceva la donzella
        come un ferito cervio di fare usa,
 
 
        il qual non trova loco; e cosí ella
        or si adornava di fioretti belli
  120 la testa sua, come sposa novella,
 
 
        or sospirava ed or li suoi capelli
        mostrava al sole e gli occhi, duo zaffiri,
        poscia specchiava ne' chiar fiumicelli.
 
 
        Per tanti segni e per tanti sospiri
  125 io, ch'era giá di queste cose esperta,
        conobbi dell'amor li gran martíri.
 
 
        – Dimmi, Filena, e non tener coperta
        la fiamma tua: – chiamandola da parte: —
        per tanti segni – dissi – io ne son certa. —
 
 
  130 Rispose dopo assai lagrime sparte:
        – Ahi lassa me! Amor d'un dardo d'oro
        ferita m'ha con forza e con sua arte.
 
 
        Però non ho seguito il sacro coro
        di mie sorelle, sol perché m'aiuti:
  135 se non mi aiuti, o Rifa, oimè ch'io moro! —
 
 
        Poscia che i suo' martíri ebbi saputi,
        venni per aiutarla e son discesa
        non per grillanda o per fiori perduti. —
 
 
        Quando quest'ambasciata io ebbi intesa,
  140 risponder voleva io: – La mente mia
        è piú di lei ch'ella di me accesa; —
 
 
        se non che quella naida n'andó via,
        ed in poc'ora trascorse il viaggio
        insino al loco ond'ella venne pria.
 
 
  145 Ond'io all'Amor: – Se se' possente e saggio,
        ora il vegg'io e priego, a me perdona,
        se del tuo arco dissi mai oltraggio. —
 
 
        Tempo era quasi presso in su la nona,
        ed io pregava che andassimo ratto,
  150 colui che a gir ratto ogni altro sprona,
 
 
        dicendo: – Quando è l'ora, è il tempo adatto;
        se poi s'indugia e perdesi quel punto,
        spesse volte l'effetto non vien fatto. —
 
 
        Poscia ch'io fui all'altro colle giunto,
  155 vidi Filena lá dal fiumicello,
        di cui l'Amor m'avea il cor trapunto.
 
 
        Di fiori adorno avea lo capo bello;
        e perché il fiume correa giuso al basso,
        però discesi ed appressaime ad ello.
 
 
  160 Quando per gire a lei io movea il passo
        per entro il fiume, udii sonare un corno,
        il qual mi tolse allora ogni mio spasso.
 
 
        Filena disse: – La dea fa ritorno;
        oimè, fuggi via tosto; – e poi levosse
  165 i fior, de' quali il capo avea adorno.
 
 
        Ed incontra alle ninfe ella si mosse,
        le qua' tornavan liete con le prede;
        ed indi anche Cupido me rimosse,
 
 
        dicendo a me: – Se Diana ti vede,
  170 come Acteon, quando da lei fu visto,
        trasmutar ti fará da capo a piede. —
 
 
        Come colui che crede fare acquisto
        di quel che piú desia, e viengli invano,
        cosí io me scornai e feime tristo.
 
 
  175 E lagrimando ingavicchiai la mano,
        e risguardava la nobile 'manza
        da un boschetto non molto lontano.
 
 
        Oh credula anco e fallace speranza,
        confortatrice all'uom nelle gran pene,
  180 che, mentre perdi, acquistar hai fidanza!
 
 
        Ancor nel core mi dicea la spene:
        – Anco avverrá che Filena rimagna,
        se a Diana partir gli conviene. —
 
 
        Poi volle andar la dea alla montagna;
        e per non gire, io credo, mille prece
  185 fece Filena e Rifa sua compagna.
 
 
        Ella non assentí, ma gir le fece
        amendue seco, e Filena lo sguardo
        volse a me, andando, volte piú di diece;
 
 
e, mentre andava in su, mi gittò un dardo.
 

CAPITOLO III

L'autore vien tradito da un satiro, mentre cerca Filena, che, aspramente da Diana punita, in quercia si trasmuta.

 
        Il dardo, che gittò, da me si colse,
        che, quando il balestrò, venne sí ritto
        e tanto appresso a me quant'ella vòlse.
 
 
        «Io amo te – occulto ivi era scritto: —
    5 l'Amor, che ferí Febo di Parnaso,
        ferito m'ha li panni e 'l cor trafitto».
 
 
        Cupido a me: – Per me non è rimaso
        che tu non abbi avuto il tuo desire;
        ma questo impedimento è stato a caso.
 
 
   10 Cercando omai per lei ti convien gire. —
        E quando io a lui rispondere volía,
        fuggí volando e non mi volle udire.
 
 
        – O falso Amor – diss'io, – o scorta mia,
        perché mi lassi? or dove prendi il volo?
   15 perché mi lassi senza compagnia? —
 
 
        Vedendomi rimaso cosí solo,
        passai il fiume insino all'altra banda
        e fui sul prato e su quel verde suolo,
 
 
        ov'io vidi Filena lieta e blanda,
   20 quando coll'occhio mi soffiò nel foco,
        che amore accende e che Cupido manda.
 
 
        E sospirando dissi: – Oh dolce loco,
        mentre Filena vi tenne le piante! —
        E poscia che 'l basciai e piansi un poco,
 
 
   25 per la via ch'ell'er'ita, andai su avante,
        cercando tutti i balzi ed ogni valle
        e scogli e schegge intorno tutte quante.
 
 
        E giá Atalante dietro le sue spalle
        posto avea Febo e facea il giorno nero;
   30 ed io pur oltre per lo duro calle,
 
 
        senza riposo; e solo avea il pensiero
        a ritrovarla per la selva oscura,
        piena di spine senz'alcun sentiero.
 
 
        Se sol di notte non avea paura,
   35 Amor è quel che da fortezza altrui
        nelle fatiche e l'animo assicura.
 
 
        Tra l'aspre selve e tra li boschi bui
        tutta la notte andai cercando intorno
        insin che in un vallon venuto fui.
 
 
   40 E quasi su nel cominciar del giorno
        trovai un mostro, maladetta fera,
        coll'arco in mano, e avea al petto un corno.
 
 
        Il petto e 'l volto suo tutto d'uomo era,
        il dosso avea caprin fino alla coda,
   45 con quattro piedi e colla pelle nera.
 
 
        Un satiro era questo pien di froda:
        e satir detti son malvagi e falsi,
        che fanno inganni con lusinghe e loda.
 
 
        E fauni ancora stan tra quelli balsi
   50 ed hanno umani i petti ed anco i volti;
        l'altro è bovino, e vanno nudi e scalsi.
 
 
        E semicervi ancora vi son molti,
        ingannatori ed animal perversi,
        pur ch'altri con lor usi e che gli ascolti.
 
 
   55 Dal satir, che scontrai, con dolci versi
        sí lusingato fui e sí sottratto,
        che tutto il mio amor gli discopersi.
 
 
        Ché quando vidi un mostro cosí fatto,
        in man per mia difesa presi il dardo,
   60 che la bella Filena a me avíe tratto.
 
 
        Ed egli il riconobbe al primo sguardo
        ch'io l'avea dalla ninfa di Diana;
        onde parlò come falso e bugiardo:
 
 
        – Onde vien' tu in questa selva strana?
   65 Di', che ti move e, dimmi, qual è il fine,
        pel qual tu vai per questa via lontana? —
 
 
        Ed io a lui: – Tra cespi e dure spine
        smarrito vo, ed or son qui venuto
        come chi va, né sa dove cammine.
 
 
   70 Ma tu, che se' mezz'uomo e mezzo bruto,
        mi fai maravegliar quando io ti guato,
        ché sí fatto uom non fu giammai veduto.
 
 
        – Io fui pur uom – rispose – innamorato
        di dea Diana, e vagheggiaila ognora,
   75 e da lei 'n questa forma fui mutato;
 
 
        ch'ella pregò lo dio, ch'altru' innamora,
        che a ciò rimediasse, e me percosse
        del dardo ch'è di piombo e disamora.
 
 
        Questo ogni amor mi tolse e via rimosse;
   80 e però quella dea a me permette
        ch'i' possa gire a lei unque ella fosse.
 
 
        Insieme vo con le sue giovinette
        fra questi monti, insieme con lor coglio
        li fior, che stanno in su le verdi erbette.
 
 
   85 A chiunque è innamorato anche ho cordoglio,
        che ricordo le pene, ch'io provai
        del falso Amor, del quale ancor mi doglio.
 
 
        E se tu mi dirai dove tu vai,
        forse t'aiuterò, se mi richiedi
   90 e se sei saggio e secreto il terrai. —
 
 
        O vano amor, oh quanto ratto credi
        quel che vorresti! Alle parole udite
        ed al modo del dir fede gli diedi.
 
 
        Ed io a lui: – Per queste vie smarrite
   95 cercando vo le ninfe, ov'elle stanno:
        prego, se 'l sai, me diche ove son ite. —
 
 
        Rispose ancor con falsitá ed inganno:
        – Elle sonno ite in un lontan paese,
        al qual non potrest'ir per grave aflanno.
 
 
  100 Ma, se tu ami, perché nol palese
        a me, che sai che ho provato l'arme
        del fier Cupido e le saette accese?
 
 
        – Satiro mio – diss'io, – se puoi aitarme,
        io te 'l dirò, se prima tu mi giuri
  105 tener credenza e ch'io possa fidarme.
 
 
        – Perché non di', perché non t'assecuri?
        – rispose il falso. – Or non sai tu che io
        di piombo e d'òr sentito ho i dardi duri?
 
 
        Io ti prometto e giuro innanzi a Dio
  110 di tenerti secreto e d'aiutarte
        e conducer la ninfa al tuo desio. —
 
 
        Cosí mi disse con malizia ed arte;
        ond'io m'apersi e dissi con gran pena:
        – Vo cercando una ninfa in ogni parte,
 
 
  115 bella e gentile, chiamata Filena;
        per ritrovarla entrai per questo bosco;
        la sua beltá dirieto a lei mi mena.
 
 
        Tra questi spin, che son piú amar che tòsco,
        soletto per parlargli io mi son messo,
  120 ché piú piacente cosa io non conosco.
 
 
        – Ed io farò – diss'ei – quel ch'i' ho promesso;
        ch'io anderò co' mie' veloci piei
        ove la ninfa sta molto da cesso.
 
 
        Ma perché essa creda a' detti miei,
  125 il dardo, che hai in man, mi dá' per segno,
        perché segretamente il mostri a lei.
 
 
        Con mie parole e mio usato ingegno
        farò ch'ella verrá in un bosco sola,
        e tu girai a lei quand'i' rivegno. —
 
 
  130 Io gli die' 'l dardo per questa parola,
        ed ei ghignò alquanto e poi saltando
        andò veloce come uccel che vola.
 
 
        Forse sei ore avea aspettato, quando
        io vidi Rifa mia fida messaggia,
  135 e quando a lei fui presso, io la domando:
 
 
        – Dov'è Filena bella, onesta e saggia?
        Per lei cercato ho il bosco in ogni canto,
        e gito in ogni scheggia, in ogni piaggia. —
 
 
        Ella rispose con singolti e pianto:
  140 – Piú non appar la misera tapina;
        come tu contra lei errato hai tanto?
 
 
        Quella biforme bestia, ch'è caprina,
        dianzi venne a noi, correndo in fretta,
        'nanti alle ninfe ed alla lor regina,
 
 
  145 e mostrò lor lo dardo over saetta,
        che balestrò Filena a te dal monte,
        e la scrittura «Io t'amo» è tutta letta.
 
 
        Per la vergogna ella abbassò la fronte,
        e dea Diana, a grand'ira commota
  150 contra Filena, stante a braccia gionte,
 
 
        gli die' dell'arco in testa e nella gota;
        e poiché l'ebbe dispogliata nuda,
        disse alle ninfe: – Ognuna la percota. —
 
 
        Allor ciascuna verso lei fu cruda.
  155 Ridea colui che fatto avie l'accusa,
        quel reo biforme maladetto Iuda.
 
 
        Poscia cosí spogliata e sí confusa
        ad una quercia grande fu congiunta,
        che sempre debba stare ivi rinchiusa.
 
 
  160 E quivi vive e sta quasi defunta;
        e mille volte fu percossa ancora
        drento alla pianta; e quando ella è trapunta,
 
 
        ad ogni colpo n'esce il sangue fuora
        e l'arbor bagna; e quando il colpo giunge,
  165 grida piangendo: – Omè, omè, m'accora! —
 
 
        Udito io questo, ambe le mani e l'ugne
        mi diedi al volto e tenni basso il viso
        e non parlai, che il gran dolor, che pugne,
 
 
        parlar non lassa, quand'ha 'l cor conquiso.
  170 Poscia, sfogati gli occhi lagrimosi,
        con voce fioca e col parlar preciso,
 
 
sí come or seguirá, io gli risposi.