Grido d’Onore

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From the series: L’Anello Dello Stregone #4
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Grido d’Onore
Grido d’Onore
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Is reading Edoardo Camponeschi
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Regnava il caos mentre Thor combatteva, colpiva e parava colpi in ogni direzione, usando ogni briciolo delle sue capacità per difendersi, attaccare, fare attenzione ai suoi compagni e a se stesso. Istintivamente riportò alla mente ciò che aveva imparato durante le infinite giornate di allenamento, l’essere attaccato da ogni lato e in ogni situazione. In qualche modo gli sembrava naturale. Lo avevano ben addestrato e si sentiva capace di gestire la situazione. La paura era sempre lì, ma era in grado di tenerla a bada.

Mente continuava a combattere, le braccia sempre più pesanti e le spalle stanche, gli risuonarono nelle orecchie le parole di Kolk:

Il vostro nemico non combatterà mai ai vostri termini. Combatterà secondo i propri. Guerra per voi significa guerra anche per qualcun altro.

Thor vide che un guerriero basso e tozzo sollevava una catena chiodata con entrambe le mani e la faceva oscillare mirando alla nuca di Reece. Reece non lo vide arrivare e in un attimo sarebbe potuto morire.

Thor balzò giù da cavallo saltando a mezz’aria e placcando il guerriero un momento prima che lasciasse andare la catena. I due volarono dai cavalli e atterrarono pesantemente a terra sollevando una nuvola di polvere. Thor rotolò, incapace di riprendere fiato, mentre i cavalli gli scalpitavano tutt’attorno. Lottò corpo a corpo a terra con il guerriero e quando questi sollevò i pollici per conficcarglieli negli occhi, udì improvvisamente uno stridio, e vide Estofele lanciarsi in picchiata e artigliare gli occhi del suo avversario prima che questi potesse fargli del male. L’uomo gridò portandosi le mani agli occhi e Thor gli diede una forte gomitata levandoselo violentemente di dosso.

Senza avere la possibilità di gioire per la sua vittoria, si sentì calciare con violenza all’addome e cadde sulla schiena. Sollevando lo sguardo vide un guerriero che brandiva con entrambe le mani un picco d’armi con l’evidente intenzione di calarlo sul suo petto.

Thor rotolò e il picco lo sfiorò conficcandosi completamente nel terreno fino all’impugnatura. Si rese conto che l’avrebbe ucciso.

Krohn si lanciò sull’uomo, balzando in avanti e affondandogli le zanne nel gomito. Il soldato colpì più volte Krohn con un pugno, ma il leopardo non lasciò la presa. Continuò a ringhiare fino a che riuscì a staccare il braccio dell’uomo dal corpo. Il guerriero strillò e cadde a terra.

Un altro soldato si fece avanti e roteò la spade contro Krohn, ma Thor si spinse in avanti con lo scudo e fermò il colpo. Tutto il suo corpo fu scosso dalla botta, ma Krohn fu salvo. Lì inginocchiato però Thor era un facile bersaglio e un guerriero gli si lanciò contro a cavallo, passandogli sopra e mandandolo a terra a faccia in giù. Thor si sentì come se gli zoccoli del cavallo gli sbriciolassero le ossa.

Diversi soldati di McCloud saltarono a terra e lo circondarono, stringendosi attorno a lui.

Thor si rese conto di essere in una brutta posizione. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare in groppa al suo cavallo in quel preciso istante. Mentre giaceva lì a terra, la testa che gli esplodeva dal dolore, con la coda dell’occhio vide i suoi compagni della Legione che combattevano perdendo terreno. Uno dei ragazzi che non conosceva lanciò un grido acuto e Thor vide che aveva una spada conficcata nel petto. Il giovane cadde a terra morto.

Un altro dei ragazzi che non conosceva corse in suo aiuto uccidendo il suo aggressore con un colpo di lancia, ma nello stesso istante un McCloud lo attaccò alle spalle piantandogli un pugnale nel collo. Il ragazzo gridò e cadde da cavallo, morto anche lui.

Thor sollevò lo sguardo e vide cinque o sei soldati che gli si appressavano. Uno di loro alzò una spada e la portò in basso verso il suo volto, ma lui riuscì a bloccarla con lo scudo. Il forte clangore metallico gli risuonò nelle orecchie. Un altro sollevò un piede e gli calciò lo scudo via dalle mani.

Un terzo gli pestò il polso e lo bloccò a terra.

Un quarto si fece avanti e sollevò una lancia, preparandosi a piantargliela nel petto.

Thor udì un forte ruggito e Krohn balzò sul soldato, facendolo cadere a terra e bloccandolo al suolo. Ma un altro guerriero si fece avanti con una mazza e colpì Krohn così forte da tramortirlo: con un gemito il leopardo si afflosciò a terra.

Un altro soldato si portò sopra Thor e levò un tridente. Lo guardò con sguardo torvo: questa volta non c’era nessuno a fermarlo. Si preparò ad abbassarlo sul volto di Thor che, lì a terra bloccato e indifeso non poté fare a meno di pensare che, alla fine, era giunta la sua ora.

CAPITOLO SETTE

Gwen era inginocchiata accanto a Godfrey nella piccolo stanza, Illepra al suo fianco, e non ce la faceva più. Erano ore che sentiva i gemiti di suo fratello e guardava il volto di Illepra diventare sempre più cupo. Sembrava certo che Godfrey sarebbe morto. Si sentiva così inutile a starsene seduta lì senza poter fare niente. Aveva bisogno di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

Non solo era scossa dal senso di colpa e dalla preoccupazione per Godfrey, ma ancor più per Thor. Non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di lui in battaglia, mandato da Gareth in trappola, prossimo alla morte. Sentiva che in qualche modo doveva aiutare anche lui. Stava diventando pazza seduta lì.

Improvvisamente si alzò in piedi e attraversò di corsa la stanza.

“Dove stai andando?” le chiese Illepra, la voce roca a forza di cantilenare preghiere.

Gwen si voltò a guardarla.

“Torno subito,” disse. “Devo provare a fare una cosa.”

Aprì la porta e corse fuori, nell’aria del tramonto, e sbatté le palpebre sorpresa da ciò che si trovò di fronte: il cielo era striato di rosso e viola, il secondo sole sembrava una palla verde che scendeva all’orizzonte. Akorth e Fulton, a loro credito, erano ancora lì di guardia. Balzarono in piedi e la guardarono con la preoccupazione stampata sul volto.

“Sopravviverà?” le chiese Akorth.

“Non  lo so,” rispose Gwen. “Rimanete qui. State di guardia.”

“E tu dove vai?” le chiese Fulton.

Le venne un’idea guardando il cielo rosso sangue e sentì che nell’aria c’era qualcosa di mistico. C’era un uomo che avrebbe potuto aiutarla.

Argon.

Se c’era una persona di cui Gwen poteva fidarsi, una persona che amasse Thor e che fosse rimasta leale a suo padre, una persona che avesse il potere di aiutarla in qualche modo, quella persona era lui.

“Devo andare a cercare qualcuno di speciale,” disse.

Si voltò e se ne andò velocemente, attraversando la piana prima camminando di buon passo, poi veramente di corsa, ripercorrendo il sentiero che conduceva alla casa di Argon.

Erano anni che non vi andava, da quando era bambina, ma ricordava che abitava in alto, in una radura desolata e rocciosa. Continuò a correre, respirando a fatica mentre il terreno diventava più brullo, l’erba lasciava spazio ai ciottoli, poi alle rocce. Il vento ululava, e mentre Gwen procedeva, il paesaggio divenne lugubre: le sembrava di camminare sulla superficie di un pianeta.

Alla fine raggiunse la dimora di Argon, senza fiato, e batté i pugni contro la porta. Non c’era nessun batacchio, ma sapeva che quello era il posto giusto.

“Argon!” gridò. “Sono io! La figlia di MacGil! Lasciami entrare! Te lo ordino!”

Continuò a picchiare la porta, ma le rispose solo l’ululato del vento.

Alla fine scoppiò in lacrime, esausta, sentendosi più inutile che mai. Si sentiva svuotata, come se non le restasse nessun posto dove andare.

Mentre il sole scendeva nel cielo e il rosso sangue lasciava spazio al crepuscolo, Gwen si voltò e iniziò a ridiscendere la collina. Camminava e si asciugava le lacrime dal volto, disperata e non sapendo dove altro andare.

“Ti prego, padre,” disse a voce alta, chiudendo gli occhi. “Dammi un segno. Mostrami dove andare. Mostrami cosa fare. Ti scongiuro, non lasciare che tuo figlio muoia ora. E non lasciare che anche Thor muoia, te ne prego. Se mi ami rispondimi.”

Gwen proseguì in silenzio, ascoltando il vento, quando improvvisamente venne colpita da una fulminea ispirazione.

Il lago. Il Lago delle Pene.

Ovvio. Il lago era il luogo dove tutti andavano a pregare per chi era fatalmente malato. Era un laghetto limpido nel mezzo di Boscorosso, circondato da altissimi alberi che sembravano raggiungere il cielo. Era considerato un luogo sacro.

Grazie, padre, per avermi risposto, pensò Gwen.

Ora sentiva che era con lei, più che mai, e iniziò a correre rapida verso Boscorosso, verso il lago che avrebbe ascoltato il suo dolore.

*

Gwen era in ginocchio sulla riva del Lago delle Pene, le ginocchia appoggiate ai soffici aghi di pino rosso che disegnavano un anello attorno all’acqua. Guardava l’acqua calma, la più calma che avesse mai visto, che rifletteva il sorgere della luna. Era una luna piena e brillante, più tonda che mai, e mentre il secondo sole stava ancora tramontando, la luna saliva e l’Anello era illuminato allo stesso tempo dal tramonto e dal bagliore lunare. Il sole e la luna si riflettevano entrambi, uno di fronte all’altro alle due estremità del lago, e Gwen percepì la sacralità di quel momento della giornata. Era la finestra tra la chiusura di un giorno e l’inizio di un altro, e in quell’ora sacra tutto era possibile.

Gwen stava lì inginocchiata, piangendo e pregando con tutta l’intensità di cui era capace. Gli eventi degli ultimi giorni erano stato troppo per lei, e sentì la necessità di sfogarsi. Pregò per suo fratello, ma ancor più per Thor. Non poteva sopportare il pensiero di perderli entrambi quella notte, di non avere più nessuno vicino se non Gareth. Non poteva sopportare neppure il pensiero di essere imbarcata e mandata in sposa a un qualche barbaro. Sentiva che la vita le stava crollando addosso, e aveva bisogno di risposte. E ancor più aveva bisogno di speranza.

 

C’erano molte persone nel suo regno che pregavano il Dio dei Laghi, o il Dio dei Boschi, o il Dio delle Montagne, o il Dio del Vento, ma Gwen non aveva mai creduto a nulla di tutto ciò. Come Thor lei era una dei pochi nel suo regno a cui la fede risultava intollerabile, e seguiva la via radicale di un solo Dio, un solo essere che controllava l’intero universo. Era quello il Dio che pregava.

Ti prego Dio, pregò. Riportami Thor. Fa che sia salvo in battaglia. Fa che sfugga all’imboscata. Ti prego, fa che Godfrey viva. E ti prego di proteggermi – non lasciare che mi portino via da qui e mi diano in sposa a un selvaggio. Farò qualsiasi cosa. Dammi solo un segno. Mostrami quello che vuoi da me.

Gwen rimase inginocchiata a lungo, udendo nient’altro che l’ululare del vento che soffiava ininterrottamente tra gli alti alberi di Boscorosso. Ascoltò il delicato scricchiolio dei rami mentre oscillavano sulla sua testa e lasciavano cadere i loro aghi nell’acqua.

“Fai attenzione a ciò per cui preghi,” disse una voce.

Lei si voltò trasalendo, e fu sorpresa di vedere qualcuno lì in piedi a pochi passi da lei. Si sarebbe spaventata, ma riconobbe immediatamente quella voce, una voce antica, più vecchia degli alberi, più vecchia della terra stessa, e il cuore le si gonfiò nel petto quando si rese conto di chi si trattava.

Si voltò e lo vide in piedi accanto a lei, con addosso il suo mantello bianco con il cappuccio, gli occhi luccicanti che la guardavano come se le stessero entrando nell’anima. Teneva in mano il suo bastone, illuminato dal tramonto e dalla luna.

Argon.

Gwen si alzò e si mise di fronte a lui.

“Ti ho cercato,” gli disse. “Sono venuta a casa tua. Mi hai sentito bussare?”

“Io sento tutto,” le rispose ermetico.

Lei esitò pensierosa. Argon non aveva alcuna espressione.

“Dimmi cosa devo fare,” gli disse. “Farò qualsiasi cosa. Per favore, non permettere che Thor muoia. Non puoi lasciarlo morire!”

Gwen fece un passo avanti a gli afferrò un polso, implorante. Ma appena lo toccò fu scottata da un calore bruciante che passò dal polso di Argon alla sua mano, e si ritrasse, pervasa da quell’energia.

Argon sospirò, si voltò e fece diversi passi verso il lago. Rimase lì, fissando l’acqua, gli occhi scintillanti alla luce.

Lei gli si avvicinò e rimase accanto a lui per chissà quanto tempo, aspettando che fosse pronto a parlare.

“Non è impossibile cambiare il destino,” le disse. “Ma ciò costa un grosso prezzo a chi lo chiede. Tu vuoi salvare una vita. È uno sforzo nobile. Ma non puoi salvare due vite. Dovrai scegliere.”

Lui si voltò a guardarla.

“Chi vuoi che sopravviva questa notte? Thor o tuo fratello? Uno di loro deve morire. È scritto.”

Gwen era orripilata da quella domanda.

“Ma che razza di scelta è?” gli chiese. “Salvandone uno, condanno l’altro.”

“Non è vero. Sono entrambi destinati a morire. Mi dispiace, ma questo è il loro destino.”

Gwen si sentì come se le avessero conficcato un pugnale nello stomaco. Entrambi destinati a morire? Era troppo orribile da immaginare. Poteva veramente essere così crudele il fato?

“Non posso sceglierne uno a scapito dell’altro,” disse alla fine con voce debole. “Il mio amore per Thor è più forte, ovviamente. Ma Godfrey è sangue del mio sangue. Non posso sopportare l’idea che uno di loro muoia a spese dell’altro. E penso che nessuno dei due lo vorrebbe.”

“Allora entrambi moriranno,” ribatté Argon.

Gwen si sentì pervasa dal panico.

“Aspetta!” gli gridò mentre si apprestava ad andarsene.

Lui si voltò e la guardò.

“E io?” gli chiese. “E se morissi io al loro posto? È possibile? Possono vivere entrambi se io muoio?”

Argon la fissò a lungo, come se la stesse osservando nella sua vera essenza.

“Il tuo cuore è puro,” le disse. “Sei la più pura di cuore tra tutti i MacGil. Tuo padre aveva scelto con saggezza. Veramente…”

La voce di Argon si affievolì mentre continuava a guardarla negli occhi. Gwen si sentiva a disagio, ma non osò distogliere lo sguardo.

“Per la tua scelta, per il tuo sacrificio di questa sera,” disse Argon, “il destino ti ha sentito. Thor verrà salvato. E anche tuo fratello. E vivrai anche tu. Ma un piccolo pezzo della tua vita deve essere preso. Ricorda, c’è sempre un prezzo. Morirai di una morte parziale in cambio delle vite di entrambi.”

“Ma cosa significa?” gli chiese terrorizzata.

“Tutto viene a un prezzo,” le rispose. “Tu hai una scelta. Non la pagheresti?”

Gwen si sentì gelare.

“Farò qualsiasi cosa per Thor,” disse. “E per la mia famiglia.”

Argon la fissò.

“Thor ha un destino grandioso,” le disse Argon. “Ma il destino può cambiare. Il nostro destino è nelle nostre stelle. Ma è anche controllato da Dio. Dio può cambiare il fato. Thor era destinato a morire questa notte. Vivrà solo grazie a te. E tu ne pagherai il prezzo. Un prezzo alto.”

Gwen avrebbe voluto saperne di più, e si allungò verso Argon, ma proprio in quel momento, improvvisamente, una luce lampeggiò davanti ai suoi occhi e Argon scomparve.

Gwen si voltò cercandolo in ogni direzione, ma non era da nessuna parte.

Alla fine si girò a guardare il lago, così sereno, come se niente fosse accaduto lì quella notte. Vide il suo riflesso nell’acqua e le parve di essere così lontana. Era colma di gratitudine e, finalmente, di un senso di pace. Ma non poteva evitare di provare anche un senso di timore per il suo stesso futuro. Per quanto tentasse di levarselo dalla mente, non poteva fare a meno di chiedersi: quale prezzo avrebbe pagato per la vita di Thor?

CAPITOLO OTTO

Thor giaceva a terra nel bel mezzo della battaglia, schiacciato al suolo dai soldati di McCloud, indifeso; sentiva lo scontro della lotta, le grida dei cavalli e degli uomini che gli stavano morendo attorno. La vista del sole calante e della luna che si levava – una luna più piena che mai – venne improvvisamente oscurata da un enorme soldato che si fece avanti tenendo alto il suo tridente e preparandosi a scagliarlo. Thor sapeva che la sua ora era giunta.

Chiuse gli occhi preparandosi alla morte. Non aveva paura. Solo rimorso. Avrebbe voluto più tempo per vivere, avrebbe volute sapere chi era, quale fosse il suo destino e, soprattutto, avrebbe voluto più tempo per sé e Gwen.

A Thor non pareva giusto morire così. Non lì. Non in quel modo. Non quel giorno. Non era ancora la sua ora. Lo sentiva. Non era ancora pronto.

Improvvisamente sentì qualcosa che gli cresceva dentro: era una fierezza, una forza che non aveva mai provato. Provò un formicolio in tutto il corpo e gli venne caldo. Sentì una sensazione completamente nuova scorrergli nelle membra, dalle piante dei piedi, attraverso le gambe, lungo il tronco, attraverso le braccia fino alle punte delle dita. Tutto bruciava emanando un’energia che faceva fatica a comprendere. Thor stupì se stesso emettendo un sonoro ruggito, come di un drago che sorgesse dal fondo della terra.

Sentì scorrere in sé la forza di dieci uomini, quindi si liberò dalla presa dei soldati e balzò in piedi. Prima che il guerriero potesse abbassare il tridente, Thor avanzò, lo afferrò per l’elmo e gli diede una testata spezzandogli il naso. Poi gli diede un calcio talmente forte da proiettarlo all’indietro come una palla di cannone, colpendo altri dieci uomini.

Thor gridò pervaso da un nuovo senso di rabbia, afferrò il soldato, lo sollevò sopra la sua testa e lo scagliò tra gli altri, mandando a terra una decina di soldati come fossero pedine. Poi agguantò una mazza chiodata con una catena di tre metri dalle mani di un soldato e la fece roteare sopra la propria testa sempre più forte, fino a che le urla si levarono tutt’attorno a lui mentre mandava a terra decine e decine di guerrieri.

Thor sentiva che il suo potere continuava a sgorgare e gli lasciò prendere il sopravvento. Quando diversi altri uomini gli si buttarono addosso, allungò una mano e aprì il palmo, sorpreso di sentire un formicolio e poi di vedere una nebbia fresca emanare dalla sua mano aperta. I suoi aggressori si immobilizzarono all’improvviso, ricoperti da uno strato di ghiaccio. Rimasero immobili sul posto, congelati.

Thor fece ruotare i palmi in ogni direzione e ovunque gli uomini rimasero immobilizzati: sembrava che dei blocchi di ghiaccio fossero caduti sul campo di battaglia.

Thor si voltò verso i suoi fratelli d’armi e vide che alcuni soldati stavano per scagliare colpi fatali contro Reece, O’Connor, Elden e i gemelli. Diresse il palmo anche verso di loro e congelò i loro attaccanti, salvandoli da morte certa. Loro si girarono a guardarlo, gli occhi colmi di sollievo e gratitudine.

L’esercito di McCloud iniziò a rendersi conto di cosa stava accadendo e i soldati si fecero più timorosi nell’avvicinarsi a Thor. Iniziarono a creare un perimetro di protezione attorno a lui, tutti spaventati mentre vedevano che decine dei loro compagni venivano ricoperti di ghiaccio sul campo di battaglia.

Ma poi giunse un grido e un uomo si fece avanti: era cinque volte più grande degli altri. Doveva essere alto quattro metri e aveva in mano la spada più grande che Thor avesse mai visto. Sollevò la mano per immobilizzare anche lui, ma il suo potere questa volta non funzionò. Semplicemente scansò l’energia da parte con una manata come se si trattasse di un insetto fastidioso, e continuò ad avvicinarsi a Thor. Thor iniziava a rendersi conto che il suo potere non era perfetto e non riusciva a capire perché non fosse abbastanza forte da fermare quell’uomo.

Il gigante lo raggiunse con tre lunghi passi, sorprendendolo per la sua velocità, poi gli diede un manrovescio e lo mandò a volare all’indietro.

Thor colpì violentemente il terreno, e prima di riuscire a girarsi, il gigante era su di lui e lo sollevava sopra la propria testa con due mani. Lo scaraventò e l’esercito di McCloud gridò trionfante mentre Thor volava per cinque metri buoni prima di atterrare pesantemente a terra e rotolare nella polvere. Thor si sentiva come se gli si fossero spezzate tutte le costole.

Sollevò lo sguardo e vide che il gigante gli stava ancora per avventarglisi contro, e questa volta non c’era nulla che potesse fare per difendersi. Qualsiasi potere avesse, si era esaurito.

Chiuse gli occhi.

Ti prego Dio, aiutami.

Mentre il gigante si scagliava contro di lui, Thor iniziò a sentire nella sua mente un ronzio sommesso. Il suono crebbe sempre più e presto divenne un ronzio proveniente dall’esterno, dall’universo. Sentì una strana sensazione mai provata prima, iniziò a sentirsi in perfetta sintonia con ogni materia e tessuto, con l’aria, con il dondolare degli alberi, l’ondeggiare di ogni filo d’erba. Sentì quel sonoro ronzio in mezzo a tutto ciò e poi come se lui stesso lo stesse assorbendo da ogni angolo dell’universo, raccogliendolo nella sua mente.

Aprì gli occhi e udì il tremendo ronzio sopra la sua testa. Sollevò lo sguardo e con sua immensa sorpresa un enorme sciame di api si materializzò nel cielo. Provenivano da ogni angolo, e quando sollevò le mani sentì che era lui a guidarle. Non aveva idea di come lo stesse facendo, ma sapeva che le stava dirigendo.

Ruotò le mani verso il gigante e vide lo sciame di api oscurare il cielo e buttarsi poi in picchiata contro l’energumeno ricoprendolo completamente. L’uomo sollevò le mani e si sbracciò, poi gridò mentre lo avvolgevano, pungendolo migliaia di volte fino a farlo cadere sulle ginocchia e portandolo ad accasciarsi terra, morto. Il terreno tremò per l’impatto con il suo corpo.

Poi Thor diresse le mani contro l’esercito di McCloud: i guerrieri erano a cavallo e guardavano la scena con orrore. Iniziarono a girarsi per fuggire, ma nessun secondo fu loro concesso perché lo potessero fare. Thor girò i palmi verso di loro e l’esercito di api lasciò il gigante e iniziò ad attaccare i soldati.

L’esercito di McCloud gridò di paura e tutti insieme si girarono e partirono al galoppo, punti innumerevoli volte dallo sciame. Presto il campo di battaglia fu completamente vuoto e loro scomparvero il più rapidamente possibile. Alcuni non riuscirono a dileguarsi in tempo e caddero uno dopo l’altro disseminando il terreno di cadaveri.

Mentre i sopravvissuti continuavano a galoppare, lo sciame li inseguiva da ogni parte del campo fino all’orizzonte e il forte ronzio si fuse con il suono tonante degli zoccoli dei cavalli e con le grida terrorizzate degli uomini.

Thor era senza parole: nel giro di pochi minuti il campo di battaglia era diventato vuoto e silenzioso. Tutto ciò che rimaneva erano i lamenti dei feriti che giacevano a terra. Thor si guardò in giro e vide i suoi amici, esausti e con il fiatone: sembravano ben ammaccati e ricoperti da leggere ferite, ma stavano bene. A parte, ovviamente, per i tre ragazzi che non conosceva e che erano morti.

 

Si udì un forte boato all’orizzonte e Thor si voltò per vedere l’esercito del Re che risaliva velocemente la collina, galoppando loro incontro condotto da Kendrick. In pochi minuti arrivarono e fermarono i cavalli davanti a Thor e ai suoi amici, gli unici sopravvissuti in quel campo di sangue.

Thor era scioccato e li fissava, mentre Kendrick, Kolk, Brom e gli altri smontavano da cavallo e gli si avvicinavano lentamente. Erano accompagnati da decine di membri dell’Argento, tutti valorosi guerrieri dell’Esercito del Re. Videro Thor e gli altri lì da soli, vittoriosi nel mezzo del campo di battaglia ora ricoperto da centinaia di cadaveri dell’esercito di McCloud. Thor vide i loro sguardi colmi di meraviglia, di rispetto, di stupore. Glielo si leggeva negli occhi. Era ciò che aveva desiderato per una vita intera.

Era un eroe.