Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3

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CAPITOLO SEI

5 settembre 2005

8:30 a.m. Orario di Mosca (12:30 a.m. Ora legale orientale)

L’“Aquarium”

Quartier Generale del Main Intelligence Directorate (GRU)

Aeroporto di Khodynka

Mosca, Russia

“Che novità dal nostro amico?” chiese l'uomo di nome Marmilov.

Era seduto alla scrivania di un ufficio senza finestre nel seminterrato, e fumava una sigaretta. Sul ripiano di acciaio verdastro che aveva di fronte c'era un posacenere di ceramica, già pieno di diversi mozziconi nonostante l’ora del mattino. C'era anche una tazza di caffè (corretto con un goccio di whiskey, Jameson, importato dall'Irlanda).

Ogni mattino l'uomo fumava una sigaretta e beveva caffè nero. Era così che cominciava le sue giornate. Portava un abito scuro e i capelli radi erano pettinati di traverso sulla testa, irrigiditi e tenuti fermi dalla lacca. Tutto in quell’uomo era formato da spigoli duri e ossa sporgenti. Somigliava quasi a uno spaventapasseri. Ma i suoi occhi erano severi e intelligenti.

Era nel giro da molto tempo e aveva visto tantissime cose. Era sopravvissuto alle epurazioni degli anni ’80, e quando c’era stato il cambiamento negli anni ’90 aveva resistito anche a quello. Tutto il GRU ne era uscito praticamente intatto, a differenza del suo povero fratellino, il KGB, che era stato fatto a pezzi e sparso al vento.

Il GRU era vasto e potente come era sempre stato, forse persino di più. E Oleg Marmilov, di cinquantotto anni, aveva avuto un ruolo cruciale nella sua organizzazione per molto tempo. Era una piovra, la maggiore agenzia di intelligence russa, con i suoi tentacoli nelle missioni speciali, le reti di spionaggio di tutto il mondo, l’intercettazione di comunicazioni, gli omicidi politici, la destabilizzazione di governi, il traffico di droga, la disinformazione, la guerra psicologica, le operazioni sotto falsa bandiera, senza parlare del dispiegamento di 25mila soldati d’élite Spettanza.

Marmilov era un polpo rintanato all’interno della piovra. Aveva le mani in pasta in talmente tanti affari che a volte un subordinato gli dava un rapporto e lui brancolava nel buio per un istante prima di pensare:

“Oh, sì. Quella faccenda. Come sta andando?”

Ma alcune delle sue attività erano in cima alla sua lista di priorità.

Inchiodato sulla sua scrivania c’era un monitor. A un americano della giusta età, lo schermo avrebbe fatto pensare a una di quelle TV a gettoni che un tempo avevano riempito le stazioni degli autobus di tutto il paese.

Sullo schermo stavano passando le riprese di telecamere di sicurezza. Dava per scontato che ci fosse un ritardo nella trasmissione, forse anche di mezzo minuto. A eccezione di quello, il video era dal vivo.

Era buio, era calata la notte, ma Marmilov riusciva a vedere quanto bastava. Una scalinata metallica lungo il lato di una piattaforma petrolifera. Un agglomerato di baracche malconce in corrugato su un terreno freddo e arido. Un minuscolo impianto portuale sul mare ghiacciato, a cui era ormeggiata una piccola nave rompighiaccio. Non sembrava ci fosse anima viva.

Alzò lo sguardo sull’uomo di fronte alla sua scrivania.

“Beh? Ci sono novità?”

Il suo ospite era un giovanotto che, nonostante l’abito civile della taglia sbagliata che portava, stava sull’attenti come un militare. Stava fissando qualcosa di immaginario in lontananza, invece che l’uomo a poco più di un metro da lui.

“Sì, signore. Il nostro contatto ci ha fatto sapere che è stato scelto un gruppo di commando. La maggior parte di loro si sta radunando all’aeroporto di Deadhorse, in Alaska. Alcuni altri uomini, che rappresentano la supervisione civile del progetto, sono in viaggio su un aereo supersonico e arriveranno nelle prossime ore.”

Si interruppe. “Dopodiché probabilmente non ci vorrà molto perché vengano dispiegate le forze d’assalto nemiche.”

“Quanto sono attendibili queste informazioni?” volle sapere Marmilov.

Il giovane scrollò le spalle. “Vengono da un incontro segreto che si è tenuto alla Casa Bianca. Potrebbe trattarsi di uno stratagemma, ma non lo crediamo. Il presidente vi ha presenziato, così come molti membri del comando militare.”

“Sappiamo come si muoveranno?”

L’altro annuì. “Pensiamo che impiegheranno dei sub che nuoteranno fino all’isola artificiale, emergeranno da sotto il ghiaccio e prepareranno il terreno per l’attacco.”

Marmilov ci rifletté. “L’acqua deve essere piuttosto fredda.”

Il giovane fece un cenno di conferma.

“Sembra una missione complicata.”

A quell’affermazione sul viso dell’altro apparve l’ombra di un sorriso. “I sommozzatori indosseranno un’attrezzatura subacquea pesante progettata per difenderli dal gelo, e la nostra intelligence ipotizza che porteranno le loro armi in contenitori sigillati. Sperano nell’effetto sorpresa, un attacco furtivo portato a segno da sub altamente addestrati. Ci sarà maltempo, e volare sarà difficile. Per quel che ne sappiamo, non sono previsti attacchi simultanei dall’acqua o dal cielo.”

“I nostri amici possono respingerli?”

“Essendo preavvertiti del loro arrivo, e conoscendo la modalità d’attacco, è possibile che riescano a organizzarsi per ucciderli tutti. Dopodiché…”

Il giovane scrollò le spalle. “Ovviamente gli americani scateneranno la loro ira. Ma non sarà un problema nostro.”

Oleg Marmilov ricambiò il sorriso dell’altro. Diede un altro lungo tiro alla sigaretta.

“Eccezionale,” commentò. “Mi tenga informato sugli sviluppi.”

“Ma certo.”

Lui indicò il monitor sulla scrivania. “E naturalmente, sono un grande fan dello sport. Quando inizierà l’azione, seguirò ogni momento alla TV.”

CAPITOLO SETTE

12:45 a.m. Ora legale orientale (8:45 p.m. Ora legale in Alaska, 4 settembre)

I cieli sopra la Penisola superiore

Michigan

L’aereo sperimentale sfrecciava nel cielo nero.

Luke non era mai stato su un velivolo come quello. Tutto in esso ero inusuale. Quando la squadra del GIS lo aveva raggiunto sulla pista, tutte le luci erano state spente. Non solo quelle dell’aereo stesso, ma anche quelle nelle piste vicine o dell’aeroporto. Il mezzo era nel bel mezzo dell’oscurità quasi più totale.

La sua cellula era strana. Era molto stretta, con un muso ricurvo in avanti come il becco di un uccello che si chinasse per bere. Gli alettoni posteriori avevano una forma triangolare che lui non aveva mai visto prima e non riusciva a distinguere chiaramente.

All’interno anche la configurazione della cabina era insolita. Invece di essere disposta come il classico jet del Pentagono o da areo per i viaggi d’affari, con le poltroncine tradizionali e i tavolini estraibili, sembrava il salotto di una casa.

Lungo una parete c’era un lungo divano componibile, e il suo schienale si alzava laddove avrebbero dovuto esserci i piccoli oblò ovali. Davanti aveva due sedie reclinabili, e in mezzo un pesante tavolo di legno, come un tavolino da caffè, era inchiodato al pavimento. Ancora più strano, dal lato opposto del divano c’era un’ampia televisione a schermo piatto, dove avrebbe dovuto esserci l’altra fila di oblò.

Ma la parte più bizzarra di tutte, da quello che Luke poteva vedere dalla sua posizione sul divano, era il grosso vetro divisorio alla sua sinistra. Al centro si apriva una porta e dall’altra parte c’era un’altra cabina passeggeri, una con la disposizione tipica di quella in un piccolo aereo di linea. Dentro c’erano due uomini. Erano seduti all’interno dello spazio, e discutevano di chissà cosa guardando lo schermo di un portatile.

A quanto pareva la partizione di vetro era insonorizzata, perché i due sembravano parlare normalmente ma Luke non sentiva nulla di quello che dicevano. Entrambi gli uomini portavano i capelli con un taglio militare e avevano un portamento marziale. Uno indossava una maglietta e un paio di jeans e l’altro era in giacca e cravatta. Il primo era grosso e molto muscoloso.

“È un SST,” disse Swann. Era seduto sul divano con lui, dall’altra parte di Trudy Wellington, che era accomodata in mezzo ai due uomini, concentrata sui documenti sul proprio portatile. L’esistenza stessa dell’aereo pareva emozionare Swann in una maniera che a Luke risultava incomprensibile.

“È supersonico, ma non è un caccia. È un aereo di linea. Da quando i francesi si sono arresi con il Concorde e i russi con il Tupolev, non c’è nessuno sulla Terra che voglia ammettere di essere al lavoro su jet supersonici per il trasporto passeggeri.”

“Ma suppongo che qualcuno abbia lavorato su questo,” commentò Luke.

Murphy, seduto su una delle poltroncine, indicò il vetro divisorio con un cenno del capo.

“Mi domando chi siano le scimmie dietro la porta numero tre.”

Ed Newsam, stravaccato come una grossa montagna sull’altro sedile, annuì lentamente. “Siamo in due, amico.”

“A chi importa,” replicò Swann. Puntò l’indice verso lo schermo televisivo di fronte al divano. In quel momento trasmetteva l’immagine di un aeroplano in volo lungo il confine settentrionale degli Stati Uniti, sopra lo stato del Michigan. I dati in basso segnalavano l’altitudine, la velocità al suolo equivalente, e il tempo d’arrivo previsto alla destinazione.

“Guardate quei numeri. Altitudine 58mila piedi, velocità al suolo 1554 miglia orarie. Siamo praticamente a Mach 2, due volte la velocità del suono. Siamo decollati da poco più di trenta minuti e ci mancano solo due ore e mezza per arrivare. È incredibile per un mezzo di questa grandezza, che suppongo sia la stessa di un Gulfstream. Riuscite a immaginare che razza di spinta deve avere questa cosa per superare la resistenza? Non ho nemmeno sentito il boom sonico.”

 

Si interruppe per un istante e si guardò intorno.

“Voi avete sentito qualcosa?”

Nessuno gli rispose. Tutti gli altri sembravano concentrati sulla destinazione, la missione e il mistero dei due uomini nell’altra stanza. Il modo in cui avrebbero raggiunto il sito dell’operazione era irrilevante. Per Luke l’aereo era l’ennesimo giocattolo per bambini troppo cresciuti, e probabilmente doveva costare pure uno sproposito.

Ma Swann adorava i suoi aggeggi. “C’è una cosa strana nel nostro itinerario. Siamo diretti nell’Alaska artico, e il percorso più efficiente per arrivare lì è attraversando il Canada e muovendoci in diagonale nel loro entroterra verso nord-ovest. Ma invece rimaniamo sopra il confine. Perché?”

“Perché preferiamo l’inefficienza?” disse Ed Newsam con un ghigno.

Swann non fece nemmeno caso alla battuta e scosse la testa. “No. Perché se attraversassimo il Canada, dovremmo spiegargli cos’è questa cosa che si muove a due volte la velocità del suono nel loro spazio aereo. Anche se sono uno dei nostri alleati più stretti, non vogliamo dirgli di questo aereo. E ciò mi dice che è top secret.”

“In effetti,” intervenne Trudy, senza alzare lo sguardo dal computer, “dovremo attraversare il Canada a un certo punto. L’Alaska non è attaccato al resto degli Stati Uniti.”

Swann fissò la donna.

“Ahio,” ghignò Ed. “Una lezione di geografia. Deve far male.”

“Possiamo parlare di qualcos’altro?” domandò Murphy. “Per favore?”

Luke guardò Trudy Wellington, seduta accanto a lui. Era accoccolata sul divanetto nella sua classica posa, con le gambe piegate sotto di sé. Era come se fosse stata a casa sua, a mangiare popcorn e in procinto di guardare un film. I suoi capelli ricci erano sciolti, e gli occhiali dalla montatura rossa le pendevano sulla punta del nasino. Stava scorrendo rapidamente lo schermo.

“Trudy?” la chiamò.

Lei alzò lo sguardo. “Sì?”

“Che ci facciamo qui?”

La donna lo fissò. Sgranò gli occhi per la sorpresa.

“Tu che cosa ne pensi?” si spiegò lui. “Chi sono i terroristi, che cosa vogliono, perché hanno attaccato una piattaforma petrolifera e per quale motivo proprio ora?”

“Ti sarebbe d’aiuto?” replicò lei. “Voglio dire, con la missione?”

Luke scrollò le spalle. “Potrebbe. Non ci hanno detto niente e nessuno sembra interessato a illuminarci neanche un po’.”

“Né a parlare con noi, se è per questo,” commentò Murphy. Stava ancora fissando i due dall’altra parte del vetro.

“Okay,” si arrese Trudy. “Prima la parte più semplice, il motivo dell’attacco a una piattaforma petrolifera e perché proprio ora. Poi vi dirò la mia teoria su chi siano e che cosa vogliano.

Luke annuì. “Siamo tutti orecchie.”

“Darò per scontato che nessuno sappia nulla,” continuò lei.

Ed Newsam era talmente steso sulla sua poltroncina che sembrava sul punto di scivolare a terra. “Direi che oggi non corri rischi.”

La giovane donna sorrise. “Il Mar Glaciale Artico si sta sciogliendo,” cominciò. “La gente, gli stati, la stampa, le multinazionali, stanno tutti discutendo gli effetti a lungo termine del riscaldamento globale, e persino se esista o meno. Tra la maggior parte degli scienziati il consenso è che stia avvenendo davvero. Nessuno è costretto a dar loro ragione, ma non possiamo negare che le calotte polari, che da quanto sappiamo sono state coperte dal ghiaccio sin dall’inizio della storia dell’umanità, in questo momento si stiano sciogliendo, che lo stanno facendo in fretta, che il processo sta accelerando.”

“È spaventoso,” commentò Mark Swann. “La fine del mondo così come lo conosciamo.”

“Eppure io sto alla grande,” replicò Murphy.

Trudy fece spallucce. “Non cominciamo. Atteniamoci a quello che sappiamo. E cioè che ogni anno, nel Mar Glaciale Artico c’è sempre meno ghiaccio che nel passato. Presto, forse durante la nostra vita, non si gelerà più. Lo strato è già più sottile, meno ampio e dura meno mesi rispetto a qualsiasi altro momento a noi noto.”

“E questo significa…” disse Luke.

“Significa che l’Artico si sta spaccando e quindi si apriranno al traffico delle rotte commerciali precedentemente inesistenti. Da questa parte del mondo, si tratta del Passaggio a Nord-ovest che attraversa le isole canadesi, e che il Canada considera all’interno del suo territorio. Dall’altra parte dell’Artico invece si tratta del Passaggio a Nord-est, che abbraccia la costa settentrionale della Russia, ed è considerato all’interno delle sue acque territoriali. In particolare, una volta che il ghiaccio si aprirà per davvero, il Passaggio a Nord-est russo diventerà la rotta commerciale più corta e più rapida tra le fabbriche in Asia e i mercati in Europa.”

“E se i russi lo controllassero…” iniziò Murphy.

Trudy annuì. “Esatto. Controlleranno la maggior parte del traffico commerciale globale. Potranno tassarlo, imporre tariffe e i porti russi che sono stati avamposti gelati per centinaia di anni potrebbero diventare fermate vivaci ed essenziali.”

“E se lo desiderassero, potrebbero…”

La donna annuì di nuovo. “Sì. Potrebbero bloccare tutto. Allo stesso tempo, il Passaggio a Nord-ovest è un po’ rischioso per noi. Se guardate una mappa, fa davvero parte del Canada. Ma gli Stati Uniti vogliono rivendicarne il possesso. Ciò potenzialmente potrebbe fomentare una contesa tra due paesi vicini, alleati da lungo tempo e anche partner commerciali.”

“Quindi credi che i russi…” azzardò Ed.

Trudy alzò una mano. “Ma non è tutto. Otto paesi circondano il Mar Glaciale Artico. Gli Stati Uniti, il Canada e la Russia ovviamente, ma anche la Svezia, la Norvegia, l’Islanda, la Finlandia e la Danimarca. La rivendicazione danese deriva dal loro possesso del territorio della Groenlandia. E la questione più grave è che si ritiene che un terzo delle risorse non sfruttate di petrolio e gas naturale si trovino sotto il ghiaccio nell’Artico.”

Gli uomini la stavano fissando.

“Tutti vogliono quei combustibili fossili. Anche paesi che non hanno nessuna valida pretesa sull’Artico, come l’Inghilterra e la Cina, stanno intervenendo, cercando di creare alleanze e di ottenere diritti di estrazione. La Cina ha iniziato a definirsi un paese limitrofo al circolo polare artico.”

“Ciò non spiega chi siano gli aggressori,” disse Luke.

Trudy scosse la testa, facendo rimbalzare leggermente i ricci. “No. Come ho detto, ho cominciato con la parte più semplice. Il motivo dell’attacco a una piattaforma nell’Artico e perché proprio ora. La risposta è la corsa alle sue risorse naturali, e sarà una corsa mortale. Molta gente verrà uccisa, così come succede da quando è stato trovato il petrolio nel Medio Oriente all’inizio del ventesimo secolo. Il Mar Glaciale Artico diventerà il prossimo centro della competizione tra le potenze mondiali, e di conseguenza anche il punto d’esplosione di grandi violenze e persino di una guerra. Sta per arrivare.”

Luke sorrise. Trudy sembrava avere sempre le risposte, ma a volte ci metteva un po’ per condividere le sue conclusioni.

“Quindi… chi è stato?”

Ma lei non aveva intenzione di lasciarsi sviare, e si limitò a scuotere la testa.

“È impossibile dirlo con certezza. Non sono solo coinvolti i paesi a cui ho accennato. Ci sono anche i popoli indigeni sparsi per tutto l’Artico, come gli eschimesi, gli Aleuti, gli Inuit, e molti altri. Sono preoccupati dal recente interesse per i loro territori. Hanno paura di perdere la loro casa, la loro cultura e i loro tradizionali diritti di caccia. Oltretutto sono in ansia per le fuoriuscite di petrolio e altri disastri ambientali. In generale, le popolazioni indigene non hanno mai avuto rapporti positivi con le potenze mondiali e le grandi multinazionali. Diffidano di quello che sta succedendo, e alcuni gruppi si sono già radicalizzati.”

“Ma sono abbastanza numerosi e ben addestrati…”

“Certo che no,” rispose la donna. “Non da soli. Ma non possiamo dare per scontato che agiscano senza supporto esterno. Esistono decine di associazioni ambientaliste, e molte di esse sono praticamente gruppi terroristici. E poi ci sono diverse grosse società, soprattutto petrolifere, che gareggiano per ottenere il controllo. Per non parlare dei paesi del Medio Oriente, preoccupati che l’esplorazione petrolifera dell’Artico spinga il resto del mondo a piantarli in asso. E ovviamente, ci sono la Russia e la Cina.”

“Lo striscione,” capì Luke.

“Esatto. Lo striscione definisce l’America ipocrita e bugiarda. Questo non ci dice molto, ma la sua semplicità e la sintassi incerta suggerisce che chi lo ha scritto non sia di madrelingua inglese. Allo stesso tempo, l’apparente professionalità dell’attacco fa a pensare a un addestramento di alto livello, date la capacità di muoversi a temperature estreme e le abilità di combattimento.

Lui cominciava a capire dove volesse andare a parare.

“La maggior parte dei paesi nella zona artica sono nostri alleati, come il Canada, la Norvegia e la Svezia, oppure hanno una relazione tra il neutrale e l’amichevole con noi, come l’Islanda, la Danimarca e la Finlandia. E non credo che i russi e i cinesi ci attaccherebbero direttamente, in particolare non dopo i recenti problemi. Ma dici che finanzierebbero e addestrerebbero un burattino, un gruppo che si sentisse emarginato da noi o che credesse di essere sul punto di venir privato dei suoi diritti?”

Si fermò.

“Certo che sì,” intervenne Swann.

Trudy annuì. “È possibile.”

“Quindi si tratterebbe di una nuova associazione radicale anti-americana, come un Al Qaeda dell’Artico?”

La donna scrollò le spalle. “Non posso dirlo per certo. Magari sono indigeni armati e ben addestrati. Oppure suprematisti bianchi del vecchio mondo vichingo, che cercano di dare nuovo lustro ai paesi scandinavi. Per quel che ne sappiamo potrebbero persino essere separatisti del Quebec. Non ne ho idea.”

Alla sinistra di Luke, la porta di vetro dell’altra cabina passeggeri si aprì e i due uomini uscirono. “Tutte idee interessanti, signorina Wellington,” disse il più anziano dei due. “Probabilmente sbagliate, ma per essere delle ipotesi non sono niente male.”

* * *

L’uomo più giovane indossava jeans e una T-shirt. I pantaloni gli aderivano alle gambe muscolose e la maglia sembrava dipinta sul petto possente. Sul davanti campeggiavano due parole, molto piccole, in bianco sullo sfondo nero.

GET HARD.

“Signori, sono il capitano Brooks Donaldson, dello United States Naval Special Warfare Development Group, anche noto come DEVGRU, o SEAL Team Six.”

Portava con sé una grossa muta subacquea arancione, con tanto di cappuccio, guanti e stivali. In un gesto insolito per un Navy SEAL, aveva appena appoggiato una lattina di una bevanda analcolica sul tavolino. Luke la fissò. Era ginger beer di marca Dr Peck.

“Vi voglio parlare dell’ipotermia. È una questione importante da tenere a mente. Anche se sappiamo tutto del congelamento e del suo funzionamento, nessuno può prevedere esattamente con quanta velocità e chi potrebbe essere colpito dall’ipotermia, né se sia letale. Sappiamo che è più probabile che abbia effetti mortali sugli uomini che sulle donne, e che è più rischiosa per le persone magre e muscolose — cosa che include praticamente tutti in questa cabina — rispetto a chi ha più grasso corporeo. Non perdona chi ignora i suoi effetti. In altre parole, se non siete preparati e non sapete come reagire, vi ammazzerà con facilità.”

A Luke non piacque affatto quel discorso. Nessuno gli aveva detto di prepararsi a indossare mute subacquee, a studiare gli effetti dell’ipotermia o che avrebbero lavorato con un Navy SEAL che beveva bevande gassate. L’uomo, Donaldson, indicò la muta che aveva tra le mani.

“Questa sarà la vostra prima linea di difesa contro l’ipotermia. La muta per la dimostrazione è arancione, mentre quelle che userete in missione saranno nere, ma non lasciate che ciò vi distragga. Immaginatevela scura. Che siano arancioni o nere, viola o rosa, o di qualsiasi altro colore, queste sono di ultimissima generazione, forse le migliori tute da immersione esistenti al momento. Garantiscono sia galleggiamento che protezione dall’ipotermia. Tra i loro vantaggi sono incluse un’imbracatura per il sollevamento e una sagola, guanti coibentati a cinque dita per mantenere sia temperatura che destrezza, un cuscino gonfiabile, un elmetto a perfetta tenuta stagna, chiusure ai polsi e alle caviglie regolabili, uno strato di neoprene ignifugo di 5 millimetri, un fischietto per le emergenze, tasche e stivali antiscivolo dalla suola grossa. Ma è un po' complicata da mettere e togliere in condizioni meteorologiche avverse. E io vi mostrerò come si fa.”

 

Tutti nella cabina lo stavano fissando.

“Ci sono domande prima che inizi?”

Murphy alzò una mano.

“Sì, agente…”

“Murphy.”

“Sì, agente Murphy. Spari.”

Murphy lanciò uno sguardo alla ginger beer sul tavolo. Si accigliò, appena un po’. Era un irlandese del Bronx. Luke non sapeva dire con certezza cosa pensasse della bevanda analcolica, ma di certo non pareva approvarla.

“Di che cosa stiamo parlando qui?”

Donaldson sembrò confuso. “Di che cosa stiamo parlando?”

Murphy annuì. Indicò la muta subacquea arancione. “Sì. Quella. Perché ci sta spiegando come si usa? Non siamo SEAL. In effetti nessuno di noi è abituato a lavorare in acqua. Newsam, Stone e io siamo tutti ex Delta Force. Specializzati in assalti aerei. Io ero nel 75esimo Rangers prima della Delta, Stone anche e Newsam era…”

Si fermò per guardare Ed. L’altro uomo era ancora stravaccato sulla poltroncina, quasi sdraiato.

“82nd Airborne,” disse lui.

“Airborne, vale a dire aviotrasportati,” ripeté Murphy. “E questa è la parola chiave. Può mostrarci quella muta fino a quando non atterreremo, continuare per tutta la prossima settimana, ma questo non farà di noi dei sommozzatori.”

“Io ho fatto qualche immersione,” intervenne Ed.

Murphy lo fissò. Luke non era sicuro, ma non credeva di aver mai visto qualcuno fissare il grosso collega in quella maniera. Ma d’altra parte Murphy era un carro armato.

“Grazie,” gli disse. “Le tue immersioni durante le vacanze ad Aruba sono davvero d’aiuto per la mia argomentazione.”

Ed sorrise e fece spallucce.

Il SEAL annuì. “Capisco cosa vuole dire. Ma questa è un’operazione subacquea. Ci lanceremo in acqua per raggiungere un campo temporaneo che stanno costruendo proprio ora su una lastra di ghiaccio galleggiante a circa due chilometri e mezzo dalla piattaforma petrolifera. Credevo che lo sapeste.”

Luke scosse la testa. “È la prima volta che ne sentiamo parlare.”

“È impossibile raggiungere il sito in nave,” disse Donaldson. “Dobbiamo presumere che i nostri avversari stiano proteggendo tutti i possibili punti d’attracco. Sembra che abbiano a disposizione armamenti pesanti. Qualsiasi nave tentasse di avanzare in mezzo al ghiaccio fino all’impianto verrebbe colpito, e duramente.”

“Possiamo arrivare dal cielo?” chiese Luke.

Donaldson fece un segno di diniego con il capo. “Anche peggio. Nelle prossime ore è prevista una tempesta in quell’area. Non volete gettarvi in paracadute durante una bufera artica, ve lo garantisco. E anche se fosse sereno, avrebbero un’ottima visuale su di voi durante la discesa. Sareste dei bersagli facili. C’è un solo modo per arrivare, e cioè passando sotto il ghiaccio e cogliendoli di sorpresa.”

Si fermò. “E abbiamo bisogno di tutta la sorpresa possibile. Nonostante la violenza della nostra risposta, ci serve almeno un aggressore vivo.”

“E perché?” domandò Ed.

Il capitano dei SEAL fece spallucce. “È necessario scoprire che cosa volevano, qual era il loro piano e se abbiano agito da soli. Dobbiamo sapere tutto. Non possiamo contare su un loro ipotetico documento programmatico, e dato che finora nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, dobbiamo presumere che l’unico modo per ottenere queste informazione sia catturare almeno uno di loro, preferibilmente più di uno.”

Luke non era felice. Avrebbero raggiunto il sito nuotando sotto il ghiaccio, e quando fossero emersi avrebbero dovuto fare prigionieri. E se fossero stati jihadisti che non avevano intenzione di arrendersi? E se avessero combattuto fino alla morte?

L’intera missione sembrava organizzata in fretta e progettata peggio. Ovvio che fosse così. Non poteva essere altrimenti, dato che stavano cercando di riprendersi la piattaforma la stessa notte in cui era stata attaccata, anzi, appena qualche ora più tardi?

Non avevano alcun dato sugli aggressori. Non c’erano ancora state comunicazioni. Non sapevano da dove venivano, cosa volevano, che armi avevano né che altre capacità possedevano. Non avevano idea di cosa avrebbero fatto se fossero stati attaccati a loro volta. Avrebbero ucciso tutti gli ostaggi? Si sarebbero suicidati facendo saltare la piattaforma? Impossibile dirlo.

Quindi l’intera squadra sarebbe entrata alla cieca. Peggio. Luke e il suo team sarebbero dovuti essere la supervisione civile, e invece avrebbero partecipato a una missione subacquea — in un mare gelato — per cui non avevano alcuna preparazione. Ben pochi soldati americani erano addestrati per le immersioni in acque gelide.

“Tutta la faccenda,” commentò Murphy, “mi sembra folle.”

Luke non concordava al cento percento. Ma non poteva non pensare al fatto che Murphy lo ritenesse ancora responsabile della morte del loro intero team d’assalto in Afghanistan.

Se Murphy, Ed, o persino Swann e Trudy avessero deciso di non partecipare alla missione, a lui sarebbe andato bene. Dovevano fare le loro scelte, non stava a Luke decidere per loro.

All’improvviso, desiderò di aver parlato con Becca prima di partire per quel viaggio. Ormai era troppo tardi.

“Mancano meno di due ore all’arrivo,” dichiarò l’uomo più anziano, lanciando un’occhiata all’orologio. Guardò Donaldson, che aveva ancora tra le mani la grossa tuta arancione. Poi gli fece un cenno con la mano, simile alle lancette di un orologio che roteassero rapidamente.

“Le suggerisco di cominciare con la dimostrazione.”