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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9
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CAPITOLO XLVII

Storia Teologica della dottrina dell'Incarnazione. Natura umana e divina di Gesù Cristo. Inimicizia tra i Patriarchi d'Alessandria e di Costantinopoli, S. Cirillo e Nestorio. Terzo Concilio generale tenuto in Efeso. Eresia d'Eutiche. Quarto Concilio generale tenuto in Calcedonia. Discordia civile ed ecclesiastica. Intolleranza di Giustiniano. I tre Capitoli. Controversia dei Monoteliti. Sette dell'Oriente: prima i Nestoriani, seconda i Giacobiti, terza i Maroniti, quarta gli Arminiani, quinta i Cofti e gli Abissini.

Dopo avere i Cristiani distrutto il Paganesimo ben poteano godersi in santa pace un trionfo che liberati li avea da tutti gli avversari; ma un seme di discordia germogliava nel loro seno1; quindi furono più ardenti a cercar la natura del Fondator della Religione, che a porne in pratica le leggi2. Ho di già osservato che alle dispute sulla Trinità tennero dietro quelle dell'Incarnazione, scandalose del pari per la Chiesa; del pari funeste allo Stato, ma più minuziose ancora in origine e più durevoli negli effetti. Questo capitolo narrerà una guerra religiosa di dugento cinquant'anni, ed ho intenzione di esporre qual fu lo scisma ecclesiastico e politico delle Sette d'Oriente, e di preparare la storia delle contese loro tanto romorose e sanguinarie, premettendo brevi ricerche sulla dottrina della Chiesa primitiva3.

I. Zelanti, com'era ben giusto, dell'onore dei primi proseliti della lor religione, furono i Cristiani4 inclinati a credere a seconda del desiderio e della speranza loro, che gli Ebioniti, o per lo meno i Nazarei non si fossero segnalati in altro che nella ostinata lor perseveranza a praticare il culto di Mosè. Disparvero le loro Chiese; non son più ricordati i loro libri; la loro oscura libertà ha lasciato aperto un vasto campo alle opinioni in questo proposito, e somministrato allo zelo e alla prudenza del terzo secolo il modo d'esporre diversamente il loro Simbolo flessibile e mal certo; ma la critica più caritatevole dee negare in questi Settari ogni nozione della pura e vera Divinità di Cristo. Ammaestrati alla scuola de' Giudei, imbevuti delle profezie, e dei pregiudizi loro, non avevano appreso giammai a sollevare le speranze più alto che ad un Messia umano e temporale5. Se osavano salutare il lor Re quando compariva in abito plebeo non potevano da grossolani, siccome essi erano, discernere il loro Dio, che nascondea la celeste natura sotto il nome e la persona d'un uomo67. Gesù Nazareno s'intertenea famigliarmente co' suoi compagni, li trattava come amico, e in tutte le azioni della vita ragionevole, o della vita animale, compariva un uomo della stessa loro specie. Al pari degli altri uomini passò dall'infanzia alla gioventù e alla virilità con un graduato incremento di statura e di sapienza, e spirò sulla Croce dopo una penosa agonìa di spirito e di corpo. Visse e morì per servigio degli uomini; ma Socrate ancora8 consacrata avea la vita sua e la sua morte alla causa della religione e della giustizia; e quantunque lo stoico o l'eroe possano sdegnare le umili virtù di Gesù Cristo, pure le lagrime che questi versò sopra il suo paese, e sul discepolo ch'egli amava, sono la più pura, non che la più incontrastabile prova della sua Umanità. Non doveano i miracoli dell'Evangelo recare maraviglia ad un popolo che intrepidamente credeva i prodigi anche più strepitosi della legge di Mosè. Già i Profeti aveano prima di lui sanato infermi, risuscitato morti, fermato il Sole, erano saliti al cielo su carri di fuoco, e di leggieri poteva lo stile metaforico degli Ebrei retribuire ad un Santo e ad un Martire il titolo adottivo di Figlio di Dio.

 

Tuttavolta, e nel Simbolo de' Nazarei, e in quello degli Ebioniti, non si scorgono che lievi tracce di separazione da quegli eretici, i quali dicevano essere stato generato il Cristo secondo l'ordine generale della natura, e da quegli scismatici che ammettevano la Verginità di sua Madre escludendo l'intervento d'un padre terreno. Pareva autenticata la miscredenza de' primi dalle circostanze visibili della sua nascita, dal matrimonio di Giuseppe, suo padre putativo, che aveva adempiute le formalità tutto della legge, e così da' dritti che per discendenza diretta egli aveva sul Regno di David, e su l'eredità di Giuda; ma la storia secreta ed autentica se ne conservò in molte copie dell'Evangelo secondo S. Matteo9, che que' Settari custodirono per lungo tempo nell'originale ebraico10 come unica pruova della loro credenza. Giuseppe, ben certo della propria castità, formò sospetti assai naturali nel caso; ma poi avvisato in sogno essere la gravidanza della sposa un'opera dello Spirito Santo, sgombrò dall'animo ogni inquietudine: e poichè non aveva potuto lo Storico osservare co' propri occhi quel miracolo domestico, convien credere che ascoltato egli abbia in tal occasione la voce, che dettò ad Isaia il vaticinio della futura concezione d'una Vergine. Il figlio di una Vergine generata per l'ineffabile opera dello Spirito Santo era un Ente di cui non s'avea mai conosciuto il simile11, nè si poteva a cosa veruna paragonare, poichè in tutte le facoltà della mente e del corpo era superiore a' figli d'Adamo. Dopo che si fu introdotta la filosofia greca, o caldea12, credevano i Giudei13 alla preesistenza, alla trasmigrazione, all'immortalità dell'anima; e per giustificare la Provvidenza supponevano che l'anima fosse condannata ad un carcere corporeo per espiare le colpe commesse in uno stato anteriore14; ma quasi incommensurabili sono i gradi della purità e della corruttela. Fu agevole il credere che eletto fosse il più sublime e il più virtuoso tra gli spiriti ad animare quell'Essere nato da Maria, e dallo Spirito Santo;15 essere stata sua elezione il suo stato abietto, e il fine della sua missione quello d'espiare i suoi peccati non già, ma quelli del Mondo. Tornando nel cielo, da cui discese, ricevè Gesù Cristo un premio infinito della sua obbedienza, mediante quel Regno interminabile del Messia già predetto oscuramente dai Profeti sotto le immagini materiali di pace, di conquisto, di dominio terreno. Poteva Iddio adeguare le facoltà umane di Cristo all'ampiezza delle sue operazioni celesti. Nel linguaggio dell'antichità, non era esclusivamente riservato il titolo di Dio all'Ente da cui emana ogni cosa; quindi l'impareggiabile suo Ministro, l'unico suo figlio, poteva senza presunzione domandare al Mondo, ch'era suo regno, un culto religioso, comunque secondario.

 

II. Que' semi della fede che lentamente soltanto aveano pullulato nel suolo duro ed ingrato della Giudea, trapiantati furono ben maturi in climi assai migliori, in que' de' Gentili; nè gli stranieri che non aveano potuto in Roma e nell'Asia vedere le forme umane di Gesù Cristo furono perciò men pronti a vedere solamente un Dio nella sua persona. Il Politeista, e il Filosofo, il Greco, e il Barbaro erano del pari assuefatti ad ammettere una lunga eternità, un'infinita serie d'angeli, o di demoni, di deità, o d'eoni, ovvero di emanazioni derivanti dal trono di luce; nè trovavano incredibile o strano per nulla il caso, che il primo di questi eoni, il logos o Verbo di Dio, della stessa sostanza del padre, discendesse su la terra per liberare dal vizio e dall'errore il genere umano, e per inviarlo sul sentiero della vita e della immortalità; ma il domma dell'eternità e le idee di corruzione inerenti alla materia, infettarono le prime Chiese d'Oriente. Gran numero di proseliti pagani era ritroso a credere che uno Spirito celeste, una porzione indivisa della prima Essenza, si fosse personalmente incorporata ad una massa di carne impura e corrotta; il perchè pieni di zelo per la Divinità di Gesù Cristo furono dalla devozione indotti a negarne l'umanità. Fumava ancora sul monte Calvario il suo sangue16, quando i doceti, Setta asiatica assai numerosa, e dotta, inventarono il sistema fantastico propagato poscia dai Marcioniti, da' Manichei, e da' Gnostici d'ogni denominazione17. Non vollero ammettere la verità e autenticità degli Evangeli nella parte che riguarda la concezion di Maria, la nascita di Gesù Cristo, e i trent'anni che precedettero l'esercizio del suo ministero. Sulle sponde del Giordano era egli comparso da prima in tutta la perfezione della forma umana, ma non era, diceano quegli Eresiarchi, se non se una forma, non già una sostanza; era una semplice figura umana creata dal Dio onnipotente ad imitare la facoltà e le azioni d'un uomo, ed a fare continua illusione ai sensi de' suoi amici e nemici. Da suoni articolati erano penetrate le orecchie dei Discepoli; ma l'immagine che s'imprimeva sul loro nervo ottico ricusava la prova più positiva del fatto, e godeano della presenza spirituale, non della corporale del figlio di Dio. Invano sfogarono i Giudei la rabbia sopra un fantasma impassibile, e le mistiche scene della passione e morte, della risurrezione e ascensione di Gesù Cristo, furono rappresentate sul teatro di Gerusalemme a pro del genere umano. Se si rispondeva ai Doceti, che così fatta farsa, che una soperchieria sì continuata indegne erano del Dio di verità, essi s'andavano giustificando colla dottrina delle pie frodi ammessa da sì gran numero di fratelli ortodossi. Nel sistema dei Gnostici, il Jehovah d'Israele, il Creatore di questo Mondo sublunare, fu uno spirito rivoltoso, o per lo meno ignorante. Il figlio di Dio è venuto sulla Terra per abolire il tempio e la legge di Jehovah, e per ottenere questo intento salutare si è bravamente prevalso delle speranze e delle predizioni d'un Messia temporale.

Uno de' più acuti Maestri della scuola manichea ha messo in campo il pericolo e l'indecenza d'una supposizione, per la quale il Dio de' Cristiani da principio sotto la forma d'un feto sarebbe uscito dell'utero d'una donna dopo nove mesi di gravidanza. Presi d'orrore i suoi avversari a questa temeraria proposizione furono indotti facilmente a negare tutte le circostanze carnali della concezione e del parto, ed a sostenere, che la Divinità penetrò nel seno di Maria, come raggio di Sole attraverso al cristallo, e che la verginità della Madre rimase intatta anche al momento in cui partorì Gesù Cristo. Ma l'ardimento di queste asserzioni promosse una sentenza più moderata: hanno insegnato alcuni Doceti, che Gesù Cristo non fosse già un fantasma, ma bensì vestisse un corpo impassibile ed incorruttibile. Tal è diffatto nel più ortodosso sistema quel corpo ch'egli possede dopo la Risurrezione, e tale è quello che debbe aver posseduto sempre per essere atto a penetrare senza ostacolo e senza offesa una materia intermedia. Dotato delle proprietà più essenziali della carne dovea quel corpo andar esente dagli attributi e dalle infermità di questa: un feto che da un punto invisibile passasse all'intera maturità, un bambino che giugnesse alla statura d'uom fatto senza trar nodrimento alcuno dalle sorgenti ordinarie, potrebbe continuare a vivere senza riparare col cibo giornaliero le perdite giornaliere; potea dunque Gesù partecipare alla mensa de' suoi Discepoli senza provar fame o sete, nè poi la virginale sua purità ricevette macchia giammai dai movimenti involontari della concupiscenza. Se si chiedeva in quai modi, e di qual materia avesse potuto essere primitivamente formato un corpo d'una costituzione tanto singolare, rispondevano i Gnostici ed altri Settari, che la forma e la sostanza provenivano dall'Essenza divina; risposta che fa stupore alla nostra teologia più ragionevole, e che non era già particolare di loro soli. L'idea dello spirito puro ed assoluto è un sottile concetto della moderna filosofia. Dall'Essenza spirituale, alle anime umane, agli Esseri celesti, e a Dio medesimo attribuita dagli antichi, non resta esclusa la nozione d'uno spazio esteso, e la fantasia loro s'appigliava all'idea d'una natura, simile all'aria, al fuoco, all'etere, sostanze incomparabilmente più perfette che i grossolani materiali del nostro Universo. Volendo determinare il sito occupato dalla Divinità, ci è forza fare una specie di descrizione della sua figura. Secondo la nostra esperienza, e forse la vanità nostra, sotto umana forma si rappresenta a noi la potenza della ragione e della virtù. Gli Antropomorfiti, che molti ve n'era tra i monaci dell'Egitto, e i Cattolici dell'Africa, citar potrebbero quella formal dichiarazione della Scrittura che insegna aver Dio fatto l'uomo ad immagine sua18. Il venerabile Serapione, un de' Santi de' deserti di Nitria rinunciò, piangendo, ad una credenza che gli era cara, e a guisa d'un fanciullo gemette per una conversione, che gli toglieva il suo Dio, e lasciava il suo spirito manchevole d'ogni oggetto visibile di fede, e di devozione19.

III. Tai furono i vaghi e indecisi sistemi che composero l'eresia dei Doceti. Cerinto d'Asia20, che osò combattere l'ultimo degli Apostoli, immaginò un'ipotesi più sostanziale, e più complicata. Situato ai confini del Mondo giudeo e del Mondo gentile pose ogni opera a riconciliare i Gnostici e gli Ebioniti; riconoscendo nel Messia la congiunzione soprannaturale dell'uomo e della Divinità; Carpocrate, Basilide, Valentino21 e gli eretici della scuola egiziana accettarono questa dottrina mistica, alla quale molte particolarità aggiunsero di loro invenzione. Nella sentenza loro, non era Gesù di Nazaret che un semplice mortale, figlio legittimo di Giuseppe e di Maria; ma il migliore e il più saggio fra gli uomini, eletto come degno istrumento a ristabilir sulla Terra il culto del vero Iddio. All'atto del suo battesimo entro il Giordano, il Cristo, il primo degli Eoni, figlio di Dio pur esso, discese sopra Gesù in forma di colomba per empierne lo spirito, e dirigerne le azioni durante il periodo del suo ministero. Quando il Messia fu consegnato ai Giudei, il Cristo, Essere immortale e impassibile, abbandonò la sua dimora terrena, ritornò nel Pleroma ossia Mondo degli spiriti, e lasciò Gesù solo a soffrire, a lamentarsi e a morire. Ma si può contestare la giustizia e la generosità di questa diserzione; la sorte d'un innocente martire da prima esaltato, poscia abbandonato dallo spirito divino che l'accompagnava, dovè svegliar ne' profani la pietà e lo sdegno. Dai Settari, che abbracciarono e modificarono il doppio sistema di Cerinto, furono in vari modi acchetate le mormorazioni, eccitate da questi pensamenti. Si disse, che quando Gesù era stato attaccato alla Croce avea sentita in sè una miracolosa apatia di spirito, e di corpo mercè della quale non provava i dolori che in apparenza soffriva. Altri asserirono che dal regno temporale di mille anni, riservato al Messia nel suo regno della nuova Gerusalemme, sarebbe ampiamente compensato delle sue angosce reali, ma passaggiere. Finalmente lasciarono trapelare questo pensiero22, che, se sofferse, avea meritato di soffrire; che l'umana natura non è mai al tutto perfetta; e che giovar poterono la Croce e la Passione ad espiare le colpe veniali del figlio di Giuseppe prima della sua misteriosa unione col figlio di Dio.

IV. Tutti coloro che tengono la nobile e seducente idea della spiritualità dell'anima deggiono colla guida dell'esperienza confessare l'incomprensibile unione dello spirito e del corpo. Agevol cosa è il concepire che il corpo può stare unito ad uno spirito che ha facoltà intellettuali assai maggiori, od anche possiede queste facoltà nel più alto grado possibile; e l'incarnazion d'un Eone, o d'un Arcangelo, il più perfetto degli spiriti creati, non è nè contraddittoria nè assurda. Nei tempi della libertà religiosa, alla quale pose limiti il Concilio di Nicea, ogni individuo misurava la Divinità di Cristo col regolo indefinito della Scrittura, della ragione, o della tradizione; ma quando s'ebbe fondata la sua Divinità sulle ruine dell'Arianismo, si vide la fede dei Cattolici in riva d'un precipizio, da cui non potea dilungarsi, ove era gran rischio il reggersi, e presso il quale un passo falso dovea sbigottire. Il sublime carattere della lor teologia aggravava ancora i diversi inconvenienti del loro Simbolo.23 Esitavano a pronunciare, che Dio stesso, la seconda persona d'una Trinità, uguale e consustanziale, si fosse manifestato nella carne24: che un Ente, che riempie l'Universo fosse stato imprigionato nel grembo di Maria; che avessero i giorni, i mesi e gli anni dell'esistenza umana segnato l'epoche della sua eterna durata; che fosse stato l'Onnipossente battuto colle verghe e crocifisso; che la sua Essenza impassibile avesse provato il dolore e le angosce; che quest'Ente, che tutto sa, non fosse scevero da ignoranza; e che il principio della vita e dell'immortalità fosse mancato sul monte Calvario. Sì fatte conseguenze moleste non isbigottivano punto l'inalterabile semplicità di S. Apollinare25 vescovo di Laodicea, e uno dei luminari della Chiesa. Figlio d'un dotto grammatico, era versato in tutte le scienze della Grecia; egli umilmente dedicò al servigio della religione l'eloquenza l'erudizione e la filosofia commessa alle sue opere. Degno amico di S. Atanasio, e degno avversario di Giuliano, lottò coraggiosamente contro gli Ariani e i Politeisti; e comunque affettasse il rigore delle dimostrazioni geometriche, espose ne' suoi commentari il senso letterale e l'allegorico delle Scritture. Le sue cure funeste ridussero ad una forma tecnica un Mistero ch'avea fluttuato lungo tempo nell'onda dell'opinion popolare, e pubblicò per la prima volta queste memorande parole. «Una sola Natura incarnata in Gesù Cristo»; parole che risuonano ancora come un grido di guerra nelle Chiese d'Asia d'Egitto e d'Etiopia. Insegnò che la Divinità s'era unita o mescolata col corpo d'un uomo, e che il Logos o l'eterna Sapienza avea in Gesù tenuto luogo e adempiuto le voci dell'animo umano; ma quasi fosse atterrito esso stesso dalla sua temerità fu inteso mormorar qualche parola di scusa e di spiegazione. Ammise la distinzione antica, che posta aveano i filosofi Greci tra l'anima ragionevole, e l'anima sensitiva dell'uomo; così riservava il Logos per le operazioni intellettuali, ed impiegava il principio umano, subordinato a quello, nelle funzioni meno rilevanti della vita animato. Coi più moderati dei Doceti riveriva Maria, come la madre spirituale, anzi che la madre carnale di Gesù Cristo, il Corpo del quale era venuto dal Cielo impassibile ed incorruttibile, ovveramente era stato assorto e trasformato nell'Essenza di Dio. Il sistema d'Apollinare fu vivamente combattuto dai Teologi d'Asia e di Siria, la cui scuola si gloria dei nomi di S. Basilio, di S. Gregorio e di S. Grisostomo, e arrossisce di quelli di Diodoro, di Teodoro e di Nestorio, ma non si punse la persona, la riputazione, o la dignità del Vescovo di Laodicea; forse i suoi rivali, di cui non lece sospettare che abbiano avuto il difetto della tolleranza, furono ammirati della novità de' suoi argomenti, e temevano la decisione che finalmente sarebbe per pronunciare la Chiesa cattolica. La quale si determinò poscia a favor loro; l'eresia d'Apollinare fu condannata, e le leggi imperiali proscrissero le varie congreghe de' suoi discepoli; ma continuarono i monasteri dell'Egitto a seguirne segretamente le massime, e i suoi nemici provarono l'odio di Teofilo e di S. Cirillo, che si succedettero l'uno all'altro nella sede patriarcale d'Alessandria.

V. La dottrina materiale degli Ebioniti, e i dommi fantastici dei Doceti erano proscritti e dimenticati; quando lo zelo, mostrato dai Cattolici, contro gli errori d'Apollinare, li forzò ad accostarsi in apparenza alla duplice natura di Cerinto. Ma invece di una alleanza momentanea, essi stabilirono, e noi crediamo ancora, l'unione sostanziale indissolubile ed immutabile d'un Dio perfetto con un uom perfetto, della persona seconda della Trinità con un'anima ragionevole ed un corpo umano. L'unità delle due Nature era sul principio del quinto secolo la dottrina dominante della Chiesa. Dalle due parti si confessava non potere le nostre menti, nelle lingue nostre, rappresentare, ed esprimere il modo di tale coesistenza; covava tuttavia una secreta animosità, ma implacabile, contro coloro che più temevano di confondere, e contro gli altri che più temevano di separare, la Divinità e l'Umanità di Gesù Cristo. Una religiosa frenesia da ambe le parti col sentimento dell'avversione ributtava l'errore a cui pendea la parte contraria, creduto il più funesto alla verità, non che alla salute. Uguale era l'inquietudine nelle due parti, uguale l'ardore a sostenere e a propugnare l'unione e la distinzione delle due Nature, e ad inventare formole e simboli di dottrina meno suscettivi di dubitazione o d'equivoco. Inceppati dalla povertà delle idee e del linguaggio, metteano a contribuzione arte e natura per trarne tutte le possibili comparazioni, e ciascuna di queste, usata a rappresentar un Mistero incomparabile, diveniva per la mente loro fonte di nuovo errore. Sotto il microscopio polemico, un atomo prende la statura d'un mostro, e le due Sette erano molto abili ad esagerare le assurde o empie conseguenze che dai principii degli avversari dedur si potevano. Per isfuggire gli uni agli altri, si gittavano in vie oscure e rimote sin a tanto che scoprirono con orrore i terribili fantasmi di Cerinto e d'Apollinare, che custodivano le opposte uscite del labirinto teologico. Non così tosto travedeano la luce ancor dubbia d'una spiegazione che li conduceva all'eresia, essi trepidavano e volgevano subito addietro il passo, precipitando nuovamente nelle tenebre d'un'impenetrabile ortodossia. Per discolparsi dal delitto o dall'accusa d'un orrore riprovevole, veniano spiegando le loro massime fondamentali, ne niegavano le conseguenze, si scusavano delle loro imprudenti proposizioni, e con grido unanime pronunciavano le parole di concordia e di fede. Ma sotto la cenere della controversia stava celata una scintilla quasi impercettibile, dalla quale i pregiudizi e la passione suscitarono in breve una fiamma divoratrice, e le dispute delle Sette d'Oriente, sulle espressioni26, di cui si valevano ad esporre i lor domini, scossero le fondamenta della Chiesa e dello Stato.

A. D. 412

Sta famoso nella Storia della controversia il nome di Cirillo Alessandrino, e dal suo titolo di Santo si apprende, che col trionfo finirono le sue opinioni e la sua Setta. Educato nella casa dell'Arcivescovo Teofilo, suo zio, avea contratta in questo alunnato ortodosso l'abitudine dello zelo, e l'amore della dominazione, e passati utilmente cinque anni di gioventù nei monasteri della Nitria, vicini alla sua residenza. Sotto la tutela dell'abate Serapione, s'era dato agli studi ecclesiastici con tanto ardore, che lesse in una notte i quattro Evangeli, le Epistole cattoliche, e l'Epistola ai Romani. Detestava Origene, ma svolgeva continuamente gli scritti di S. Clemente, di S. Dionigi, di S. Atanasio, di S. Basilio. Nella teorica, e nella pratica della disputa, la sua fede si rassodava, e si assottigliava l'ingegno; e già cominciava a tessere intorno la sua cella la fina e fragile tela della teologia scolastica, apparecchiando quelle opere d'allegoria e di metafisica, gli avanzi delle quali raccolti in sette verbosi e prolissi tomi in foglio, posano in pace al fianco dei lor rivali27. S. Cirillo predicava e digiunava nel deserto; ma, giusta il rimprovero fattogli da un suo amico28, i suoi pensieri stavano sempre fissi sul Mondo, e l'ambizioso eremita non fu che troppo sollecito ad obbedire alla voce di Teofilo, che lo chiamava alla vita fragorosa delle città, e dei Sinodi. Coll'assenso dello zio attese alla predicazione, e presto ottenne il favor popolare. La sua bella figura adornava il pulpito, la sua voce armoniosa rimbombava nella cattedrale. Stavano i suoi amici in un posto, da cui diriger potevano, e assecondare gli applausi della Congregazione29, e vari scrivani raccoglievano rapidamente i suoi discorsi, i quali per l'effetto, non per la composizione, ponno paragonarsi a quelli degli Oratori d'Atene. Colla morte di Teofilo crebbero, e s'avverarono le speranze del nipote. Era diviso d'opinione il Clero di Alessandria: i soldati e il generale favoreggiavano l'Arcidiacono; ma dal clamore e dalla violenza della moltitudine fu nominato quegli che ella prediligeva, e S. Cirillo salì sulla sede occupata già trentanov'anni prima da S. Atanagio30.

A. D. 413-415 ec.

Non era indegna della sua ambizione la ricompensa. Lungi dalla Corte, Capo dell'immensa Metropoli, il patriarca d'Alessandria, che così era nomato, aveva a poco a poco usurpata l'autorità ed il grado d'un magistrato civile. Era egli il dispensatore delle pubbliche e private elemosine della città. La sua voce suscitava, o calmava le passioni del popolo. Grannumero di fanatici Parabolani31 addimesticati nelle loro giornaliere azioni agli spettacoli di morte, ciecamente obbedivano ai suoi comandi, e la potenza temporale di questi Pontefici cristiani mettea paura ed astio ai prefetti d'Egitto. Tutto ardore contro gli eretici, cominciò Cirillo il suo pontificato, opprimendo i Novaziani, che pur erano i più innocenti e pacifici fra tutti i Settari. Parvegli un atto giusto e meritorio l'interdirne il culto religioso, e non si avvisò d'incorrere la taccia di sacrilego, confiscandone i vasi sacri. Le leggi de' Cesari e dei Tolomei, ed una prescrizione di sette secoli dalla fondazione d'Alessandria in poi, assicuravano la libertà del culto, e i privilegi ancora dei Giudei, già moltiplicati fino al numero di quarantamila. Senza veruna sentenza legale, senz'alcun ordine dell'imperatore, il patriarca, fattosi condottiero d'una plebe sediziosa, venne, sul far del giorno, ad investire le sinagoghe. Inermi gli Ebrei, ed assaliti all'improvviso, non poterono fare resistenza: furono rasi i luoghi dove si congregavano ad orare, e il vescovo guerriero, dopo aver conceduto alle sue truppe il saccheggio degli averi, cacciò dalla città il resto di quella miscredente nazione. Forse egli allegò l'orgoglio che aveano della loro prosperità, e l'odio mortale che portavano ai Cristiani, dei quali aveano poco stante versato il sangue in una sommossa eccitata a caso o a bella posta. Simili delitti meritavano la correzione del Magistrato, ma in quest'aggressione furono confusi gl'innocenti coi rei, e perdette Alessandria una colonia ricca ed industriosa. Lo zelo di S. Cirillo lo condannava alle pene della legge Giulia; ma in un governo debole, in un secolo superstizioso, era egli sicuro dell'impunità, e poteva anche aspettarsi elogi. Si dolse Oreste, prefetto dell'Egitto; ma i ministri di Teodosio posero troppo presto in dimenticanza le sue giuste lagnanze, e non se ne risovvenne che troppo un sacerdote, che simulando con affettazione di perdonargli, non cessava d'odiarlo. Un giorno, mentre passava quegli per la strada, un drappello di cinquecento monaci della Nitria dieder l'assalto al suo carro; alla vista di quelle bestie feroci del deserto, le sue guardie si diedero alla fuga; ebbe egli un bel protestare d'essere Cristiano e Cattolico; gli fu fatta risposta con una grandine di sassi, che gli copersero di sangue la faccia. Corsero in aiuto alcuni buoni cittadini; quegli sacrificò subito alla giustizia e alla propria vendetta il monaco che l'avea ferito, e Ammonio (così nomavasi il monaco) spirò sotto le verghe dei littori. Fece S. Cirillo levare il corpo d'Ammonio e trasportarlo solennemente in processione alla cattedrale: fu cangiato il suo nome in quello di Taumasio ossia Mirabile. Se ne ornò la tomba coi simboli del martirio, e il patriarca ascese il pergamo per celebrare la magnanimità d'un sicario e d'un ribelle. Onori di tal fatta dovettero di leggieri infiammare i Cristiani a combattere ed a morire sotto le bandiere del Santo; e S. Cirillo32 volle ben tosto, o accettò il sagrifizio d'una vergine che professava la religione dei Greci, e avea legami d'amicizia con Oreste. Ipazia, figlia del matematico Teone33 era dotta nelle scienze coltivate dal padre; i suoi bei commentari hanno rischiarata la geometria d'Apollonio e di Diofante, ed ella pubblicamente in Atene ed in Alessandria insegnava la filosofia di Platone e d'Aristotele. Congiungendo a tutta la freschezza dell'avvenenza, la maturità della sapienza, era ritrosa alle preghiere degli amanti, e si contentava d'istruire i suoi discepoli. Era corteggiata continuamente dalle persone per grado e per merito le più illustri, e S. Cirillo scorgeva con occhio di gelosia il pomposo codazzo di schiavi e di cavalli che attorniava la porta dell'Accademia di quella giovine. Si divulgò tra i Cristiani la voce, che il solo ostacolo alla riconciliazione del Prefetto e dell'Arcivescovo fosse la figlia di Teone, e quest'ostacolo fu ben presto levato. In uno dei santi giorni di quaresima, Ipazia, tornando a casa, fu svelta a forza dal suo carro, spogliata degli abiti, trascinata alla chiesa, e trucidata da Pietro il Lettore, e da una turba di spietati fanatici; fu tagliuzzato il suo corpo colle scaglie di ostrica34, e abbandonate alle fiamme le sue membra ancor palpitanti. Con denari sparsi a tempo fu impedita l'informazione giuridica incominciata su questo delitto; ma l'assassinio d'Ipazia ha posto una macchia indelebile al carattere ed alla religione di S. Cirillo Alessandrino3536.

A. D. 428

Più facilmente la superstizione perdonerà forse l'assassinio d'una giovanetta, che l'esilio d'un Santo. Avea S. Cirillo accompagnato il suo zio all'odioso Sinodo della Quercia. Quando fu rimessa in onore, e consacrata la memoria di S. Grisostomo, il nepote di Teofilo, che presedeva una fazion moribonda, s'ostinò ad asserire che giusta era stata la condanna di quel prelato; e solamente dopo lunga dilazione, e una pertinace resistenza, si sottomise in fine al decreto della Chiesa cattolica37. Non per passione, ma per interesse egli si mostrava il nemico dei Pontefici di Bizanzio38. Invidiava la fortuna che avevano di brillare fra il grande splendore della Corte imperiale; ne temeva l'ambizione potente ad opprimere i metropolitani dell'Europa e dell'Asia, a soperchiare le province d'Alessandria e d'Antiochia, ed a portare le loro diocesi ai confini dell'Impero. La costante moderazion d'Attico, il quale faceva uso assai mite della dignità usurpata a San Grisostomo, sospese l'animosità dei Patriarchi dell'Oriente. Ma San Cirillo fu desto alla per fine dalla esaltazion d'un rivale più degno della sua stima e dell'odio suo. Dopo il breve e procelloso pontificato di Sisinnio, l'elezione dell'Imperatore il qual in tal circostanza consultò l'opinion pubblica, e gli nominò per successore uno straniero, attutò le fazioni del clero e del popolo, e concedette il principe l'arcivescovado della sua capitale a Nestorio39, nativo di Germanicia e monaco d'Antiochia, ragguardevole per l'austerità della vita, e l'eloquenza de' suoi sermoni; ma la prima volta che predicò al cospetto del pio Teodosio lasciò trapelare l'acrimonia e l'impazienza del suo zelo. «O Cesare, esclamò, dammi la Terra monda di Eretici, e io ti darò in cambio il regno del Cielo. Estermina con me gli Eretici, ed io con te esterminerò i persiani.» Nel quinto giorno del suo pontificato, quasi fosse stata sottoscritta anche dall'Imperatore questa convenzione, il Patriarca scoperse, sorprese ed assalì una segreta combricola d'Ariani, i quali vollero piuttosto morire che cedere. Le fiamme, ch'essi accesero per disperazione, passarono alle case vicine, e il trionfo di Nestorio fu disonorato dal soprannome d'Incendiario. Impose egli sulle due rive dell'Elesponto un rigoroso formolario di fede e di disciplina, e punì come una colpa contro la Chiesa e lo Stato uno sbaglio cronologico sulla festa di Pasqua. Purificò la Lidia e la Caria, Sardi e Mileto, col sangue degli ostinati Quarto-decimani, e l'editto dell'Imperatore, o più veramente del Patriarca, indica sotto ventitrè denominazioni diverse ventitrè gradi d'eresia tutti degni di punizione40. La spada della persecuzione maneggiata con tanta violenza da Nestorio si ritorse ben presto a suo danno; ma se si presta fede ad un Santo, allora vivente, fu l'ambizione il vero fomite delle guerre episcopali, e la religione solamente il pretesto41.

1S'introdusse fra seguaci di Cristo la discordia perchè molti fra loro, cioè i primi eretici, s'allontanarono dalla retta credenza, contenuta nel Nuovo Testamento, onde vennero appunto le denominazioni, Ortodossi ed Eterodossi, Cattolici ed Eretici. Le decisioni de' Concilii generali determinanti l'Ortodossia, vale a dire il sistema dei retti giudizii, intorno la divinità di Gesù Cristo, non discordarono fra loro, e spiegando rettamente e di pien diritto l'Evangelo fissarono le cose dogmatiche, che il popolo doveva credere al sorgere che facevano le torte opinioni particolari, vale a dire, le eresie di alcuni Vescovi, e preti, adunati anche in Concilii detti Conciliaboli per distinguerli dai Concilii legittimi ed Ortodossi. (Nota di N. N.)
2Era naturale, che i seguaci d'una religione, fondata da Gesù Cristo, dal Verbo incarnato, vale a dire dalla divina Intelligenza fatta Uomo, facessero intorno la natura del loro Fondatore ricerche, e ragionamenti, dei quali l'autorità de' Concilii generali, definitivamente decise. Ma se i Cristiani occupavansi da una parte de' dogmi (greco vocabolo che sebbene significhi opinationes, placita, i teologi prendono quali cose rivelate, e dai Concilii definite) fondamentali della religione, non trasandavano mai le leggi, ed i precetti del Fondatore intorno la morale, poichè sappiamo dalla storia che lo stesso Imperatore Giuliano, il quale circa la metà del quarto secolo nel brevissimo suo regno si studiò molto di abbattere il Cristianesimo, cui era avverso, siccome ad una innovazione religiosa, proponeva tuttavia i Vescovi siccome modelli di buona morale a' Sacerdoti del Politeismo. (Nota di N. N.)
3D'onde comincierò io per dimostrare la giustezza e l'esattezza di queste ricerche preliminari che mi sono ingegnato di circoscrivere ed abbreviare per quanto si potea? Se proseguo a citare dopo ciascun fatto, e dopo ogni riflessione, quel documento che me ne attesta la verità, sarà d'uopo che ad ogni linea io riporti una lista di testimonianze, ed ogni nota diventerà una dissertazione; ma Petavio, Le Clerc, Beausobre e Mosemio compilarono, esposero, schiarirono quei passi innumerabili degli antichi autori, che io pure ho letto in originale. Mi contenterò a fortificare la mia narrazione col nome e col credito di scorte sì rispettabili, e qualora si tratterà di cosa che difficilmente si possa diciferare, o che sia troppo rimota da noi, non avrò rossore di chiamare in aiuto altri occhi più penetranti de' miei: 1. i Dogmata Theologica di Petavio stordiscono la mente nostra per l'immensità del disegno dell'opera non che della fatica che gli costò. Solamente i volumi che trattano dell'Incarnazione (due in foglio, il quinto ed il sesto, di 837 pagine) son divisi in sedici libri; il primo è storico, gli altri espongono la controversia e la dottrina. Vastissima e sicura è l'erudizione, pura la latinità, chiaro il metodo, gli argomenti trattati con profondità e connessione di ragionamento; ma l'autore è ligio ai Padri della Chiesa, è il persecutore degli Eretici, il nimico della verità e del candore ogni qual volta queste qualità nuocono agli interessi della parte cattolica. 2. L'Arminiano Le Clerc, che ha pubblicato un volume in quarto (Amsterdam 1716) sull'istoria ecclesiastica dei due primi secoli, pel suo carattere e per la condizione è scevero d'ogni servitù; il suo ingegno è limpido, ma poco estese ne sono le forze; egli riduce la ragione, o la stoltezza dei secoli ai confini del proprio giudizio; qualche volta ha potuto la sua opposizione ai sentimenti dei Padri sostenere, ma spesso ancora traviare la sua imparzialità. Veggasi quello che dice dei Cerintii (LXXX), degli Ebioniti (CIII), dei Basilidiani (CXXIII), dei Marcioniti (CXLI), etc. L'Istoria critica del Manicheismo (Amsterdam, 1734-1739, in due volumi in quarto con una dissertazione postuma sopra i Nazarei; Losanna 1745) contiene cose preziosissime intorno alla filosofia e alla teologia degli antichi. Con un'arte mirabile viene svolgendo quel dotto Storico il filo sistematico della opinione, e veste a quando a quando le sembianze d'un Santo, d'un saggio o d'un eretico, ma sovente eccessive ne sono le acutezze, e pare trascinato da un sentimento di generosità a favorire la parte più debole: mentre si premunisce con tanta cura contro la calunnia, non valuta abbastanza gli effetti della superstizione e del fanatismo. Coll'indice curiosissimo di quel libro potranno i lettori investigare quegli articoli che loro piaccia d'esaminare. 4. Lo storico Mosemio, meno profondo di Petavio, meno independente di Le Clerc, meno ingegnoso di Beausobre, non manca di nulla, è ragionevole, preciso e moderato. Veggasi nella sua dotta opera (De rebus Christianis ante Constantinum; Helmstadt, 1753, in quarto) come parli dei Nazarei, e degli Ebioniti (p. 172-179, 328-332), dei Gnostici in generale (p. 179, etc.), di Cirinto (p. 196-202), di Basilide (p. 552-361), di Carpocrate (p. 363-367), di Valentino (p. 371-389), di Marcione (p. 404-410), de' Manichei (pag. 829-837, etc.).
4Il nome Nazareni fu dato sulle prime a' seguaci di Cristo, e divenne poco dopo quello di una Setta particolare di Ebrei, la quale voleva, che si osservasse la legge di Mosè, e nello stesso tempo si onorasse Gesù Cristo come Uomo giusto, e come il maggiore di tutti i Profeti, nato secondo alcuni di loro da una Vergine, e secondo altri da Giuseppe nello stesso modo onde nascono gli altri uomini; erano seguaci di Cristo in un modo ereticale, e questi conciliatori furono condannati dai veri credenti cristiani per la loro falsa opinione, e poi anche dagli Ebrei perchè muovevano dubbii sulla autenticità dei libri di Mosè, di cui per altro riconoscevano la divina missione. Il nome Ebioniti in ebraico significa poveri, e fu dato ad una specie di primitivi cristiani eretici, che adottavano i sentimenti de' Nazareni aggiungendo alcuni errori, ed alcune pratiche. Origene, scrittore antico ecclesiastico, distinse due specie di Ebioniti. La pura, e vera divinità di Gesù Cristo era stata riconosciuta da S. Pietro alla presenza dei discepoli. Gesù Cristo li interrogò per sapere che dicessero gli uomini di lui; ed i discepoli gli risposero, che alcuni lo stimavano Giovanni Battista, alcuni Elia, altri Geremia, o alcun altro de' Profeti: al che soggiunse Gesù Cristo: chi poi mi credete voi? Allora Simon Pietro rispose: tu sei Cristo figlio di Dio vivo: e allora Cristo gli disse: sei fortunato assai, o Simone, poichè il sangue e la carne non ti rivelarono ciò, ma mio Padre ch'è ne' Cieli (S. Matteo c. 16). Questa credenza espressa da S. Pietro, e confermata dalla sanzione dell'Uomo-Dio, rimase, e si conservò sempre nei discepoli, che ne vedevano nuove prove ne' miracoli: essi la sparsero, e ne venne il dogma principale de' veri credenti; quindi tanto i Nazareni che gli Ebioniti furono condannati; ciò forma una prova, che anche in quel tempo primitivo la vera società cristiana credeva la Divinità del suo Fondatore, e riguardava questo dogma come un articolo fondamentale della sua religione. (Nota di N. N.)
5Και γαρ παντες ημεις τον χριστον ανθρωπον εξ ανθρωπων προσδοκωμεν γενησεσθαι, imperocchè tutti noi speriamo che il Cristo nascerà mortale da mortali, dice Trifone Ebreo (Giustino, Dialog., p. 207) in nome de' suoi concittadini; e quegli Ebrei moderni, che rinunciano ai pensieri di ricchezza per attendere alle cose della religione, serban tuttavia lo stesso linguaggio, e allegano il senso letterale dei Profeti.
6S. Grisostomo (Basnagio, Hist. des Juifs t. V, c. 9, p. 183) e S. Atanasio (Petavio, Dogm. Teolog. t. V, l. I, c. 2, p. 3) son ridotti a confessare che Cristo esso stesso o i suoi Apostoli rare volte parlano della sua Divinità.
7La divina natura di Gesù Cristo era appunto nella persona di un Uomo, che perciò era un Uomo-Dio: tale è il modo ammirabile che forma un mistero venerando, onde Dio volle operare la redenzione de' credenti: ma d'altra parte Gesù Cristo co' miracoli mostrava, lui esser Dio, e gli Ebrei dovevano convincersene. (Nota di N. N.)
8In Socrate si vede un grande Filosofo, che, quasi quattro secoli prima di Gesù Cristo, conosceva e mostrava alla greca gioventù gli errori della religione del suo tempo, e del suo Paese, e ad un'ora l'esistenza di un solo Essere Supremo colla sola ragione, senza rivelazione, onde fu da sacerdoti politeisti accusato, e messo a morte, malgrado la buona morale che insegnava: ma in Gesù Cristo forz'è riconoscere a chiari caratteri un Uomo-Dio. (Nota di N. N.)
9Non esistevano negli esemplari degli Ebioniti i due primi capitoli di S. Matteo (Sant'Epifanio, Haeres., XXX, 13); e la concezion miracolosa è uno degli ultimi articoli che il Dottor Priestley ha esclusi dalla sua profession di fede già senz'altro assai breve.
10È molto verosimile, che fosse in ebraico e in siriaco il primo degli Evangeli fatto per gli Ebrei che abbracciavano il cristianesimo. Papia, Ireneo, Origene, S. Girolamo e altri Padri attestano questa cosa. I Cattolici non osano dubitarne, e fra i Protestanti Casaubono, Grozio, ed Isacco Vossio opinano così. Ma è certo altrettanto che questo Evangelo ebraico di S. Matteo non sussiste più,[*] e si può darne colpa allo zelo e alla fedeltà delle primitive Chiese, che preferirono la versione, quantunque non autorevolmente approvata, d'un greco anonimo. Erasmo e i suoi discepoli, che s'attengono al testo greco che ne rimane, come ad Evangelo originale, si privano da se stessi della testimonianza che lo dichiara opera d'un Apostolo. Vedasi Simon (Hist. critique, t. III, c. 5-9, p. 47-101) e i Prolegomeni di Mill e di Werstein sul Nuovo Testamento. * L'autenticità dei libri che abbiamo del Nuovo Testamento, riconosciuta dalla Chiesa, che li distinse dagli apocrifi, è sostenuta, contro le infondate, e vane critiche degli Increduli, dei Deisti e dei Scettici, dagli Apologisti della religione, e rimandiamo ad essi il lettore che volesse conoscere questa materia. I Nazareni avevano il loro Evangelo scritto in ebraico volgare, denominato ora l'Evangelo de' dodici Apostoli, ora degli Ebrei, ed ora di S. Matteo; ciò è notissimo; e S. Girolamo dice (catalogus script. eccl. c. 2) d'aver tradotto quest'Evangelo in lingua greca ed in lingua latina; non è dunque anonimo il traduttore. (Nota di N. N.)
11Certamente l'Uomo-Dio, Gesù Cristo, venuto al mondo per salvar gli uomini, era un Essere da non potersi paragonare con nessun altro, e dava un'idea sublime. Gli Ebrei ed i loro dottori leggevano, ed intendevano materialmente l'Antico Testamento, stavano attaccati al senso letterale, non si elevavano al senso figurato; ecco il loro errore, per cui non potevano riconoscere, nelle divine antiche scritture, le predizioni intorno il futuro divin Redentore, ed i misteri dell'Incarnazione, e dalla Redenzione. Questa ostinazione loro impedì di ravvisare a chiari caratteri il divin Salvatore già predetto da quei libri dei quali erano i depositari, e da quei stessi Profeti ch'essi veneravano; non vollero ciecamente intendere ciò che disse S. Agostino, e dichiararono i Concilii, ed i Teologi, che Novum Testamentum in vetere est figuratum; massima ch'è il fondamento del Cristianesimo. (Nota di N. N.)
12Cicerone (Tuscul., l. 1) e Massimo Tirio (Dissert. 16) hanno distrigata la metafisica dell'anima dal guazzabuglio del dialogo talvolta dilettevole, ma spesso imbrogliato, del Fedro del Fedone, e delle leggi di Platone.
13I discepoli di Gesù credevano che un uomo avesse peccato prima che venisse al Mondo (San Giovanni, IX, 2). Dagli Ebrei si ammetteva la trasmigrazion dell'anime virtuose (Gioseffo De bell. judaic. l. II, c. 7 ): e da un Rabbino moderno si asserisce modestamente, aver Ermete, Pitagora, Platone, ecc. ricavata la lor metafisica dagli scritti, o da' sistemi de' suoi illustri concittadini.
14Si sostennero quattro diverse opinioni sull'origine delle anime; 1. furono considerate come eterne e divine; 2. come create separatamente prima della loro unione col corpo; 3. si pensò che traessero origine dallo stipite primitivo d'Adamo, ove stava racchiuso il germe spirituale e corporale della sua posterità; 4. che nel punto del concepimento Iddio creasse l'anima d'ogn'individuo, e la destinasse al corpo di cui si era formato l'embrione. Pare che sia prevalsa l'ultima sentenza presso i moderni, e n'è divenuta meno sublime, ma non per questo più intelligibile, la nostra storia spirituale.
15Οτι η του Σωτηροε ψυχη η του Αδαμ ην, poichè l'anima del Salvatore era quella d'Adamo, è una delle quindici eresie imputate ad Origene, e contestate dal suo Apologista (Photius, Biblioth. Cod. 117, p. 296). Alcuni Rabbini assegnano la stessa anima ad Adamo, a David, e al Messia.
16Apostolis adhuc in seculo superstitibus, apud Judaeam Christi sanguina recente, phantasma Domini, corpus asserebatur, etc. (S. Girolamo Advers. Lucifer., c. 8). L'epistola di S. Ignazio agli abitanti di Smirne ed anche l'Evangelo secondo S. Giovanni ebbero la mira di distruggere l'errore dei Doceti, che s'andava propagando, e s'era già troppo accreditato nel Mondo (1. Giovanni, IV, 1, 5).
17Verso l'anno dugento dell'Era cristiana S. Ireneo ed Ippolito confutarono le trentadue Sette της ψενδωνομου γνοσεως della falsa dottrina, già moltiplicatesi nel tempo di S. Epifanio sino al numero di ottanta (Phot. Bibl. Cod. 120, 121, 122). I cinque libri d'Ireneo non sussiston più che in latino barbaro, ma forse si troverebbe l'originale in qualche monastero della Grecia.
18Il pellegrino Cassiano che girò l'Egitto al principio del quinto secolo osserva e deplora il regno dell'antropomorfismo tra i Monaci che non sapevano di seguire il sistema d'Epicuro (Cicerone De nat. deorum, l. I, c. 18-34). Ab universo prope modum genere monachorum, qui per totam provinciam Aegyptum morabantur per simplicitatis errorem susceptum est, ut a contrario memoratum pontificem (Theophilum) velut haeresi gravissima depravatum, pars maxima seniorum ab universo fraternitatis corpore deceraeret detestandum. (Cassiano, Collation., X, 2). Finchè S. Agostino aderì al Manicheismo manifestò lo scandalo che gli dava l'antropomorfismo dei Cattolici vulgari.
19Ita est in oratione senex mente confusus eo quod illam ανθρωπομορφον imaginem deitatis, quam proponere sibi in oratione consuerat aboleri, de suo corde sentiret, ut in amarissimos fletus, crebrosque singultus repente prorumpens, in terram prostratus cum ejulatu validissimo proclamaret «heu me miserum! tulerunt a me Deum meum, et quem nunc teneam non habeo, vel quem adorem, aut interpellem jam nescio». (Cassiano, Collation. X, 2).
20S. Giovanni e Cerinto (A. D. 80, Le Clerc, Hist. eccl. p. 493) s'incontrarono a caso nei bagni pubblici d'Efeso; ma l'Apostolo si scostò dall'eretico per tema che gli cadesse in capo l'edificio. Questa goffa storiella, rigettata dal dottor Middleton (Miscellaneous Works, vol. 2), è narrata per altro da S. Ireneo (III, 3) sulla testimonianza di Policarpo, e probabilmente s'accordava colla notizia che avevasi dell'epoca in che visse Cerinto, e del luogo da lui abitato. La versione di S. Giovanni (IV, 3) ο λυει τον Іησουν, caduta in disuso, benchè sembri la vera, allude alla doppia Natura insegnata dall'eretico Cerinto.
21Il sistema dei Valentiniani era assai complicato e quasi incoerente, 1. Il Cristo e Gesù erano Eoni, ma la virtù non era in essi allo stesso grado; uno agiva come l'anima ragionevole, e l'altro come lo spirito divino del Salvatore. 2. Nel momento della passione si ritirarono amendue, e non lasciarono che un'anima sensitiva e un corpo umano. 3. Questo corpo medesimo era etereo, e forse soltanto apparente. Queste sono le conseguenze che deduce Mosemio dopo molto studio; ma dubito assai, che il traduttore latino non abbia inteso S. Ireneo, o che S. Ireneo e i Valentiniani non si capissero bene fra loro.
22Gli eretici abusarono di quella esclamazione dolorosa di Gesù Cristo «Dio mio! Dio mio! perchè m'hai tu abbandonato?» Rousseau che ha fatto un paragone eloquente, ma sconvenevole, tra Gesù Cristo e Socrate, si dimentica, che il filosofo moribondo non si lascia fuggir di bocca parola d'impazienza, e di disperazione. Questo sentimento può non essere apparente che nel Messia; e si è detto a ragione, che queste parole mal sonanti altro non erano che l'applicazione d'un salmo o d'una profezia.
23L'Autore doveva ommettere il termine improprio inconvenienti, e porne un altro che esprimesse la fiacchezza della mente umana, che non può giungere a comprendere il Mistero, che ha tutti i motivi di credibilità, presentatici dalla teologia, per essere creduto. L'incomprensibile Mistero dell'Incarnazione copre d'un velo i così detti inconvenienti dell'Autore, e non presenta al vero credente che l'opera dell'amore misericordioso di Dio per salvare gli Uomini, la quale è sì grande, e sì maravigliosa da essere da teologi considerata maggiore di quella della stessa Creazione. Ciò che dopo dice il dotto Autore non è che l'esposizione esatta, e ragionata delle eresie, ossia opinioni condannate successivamente dai quattro primi Concilii generali di Nicea, di Costantinopoli, d'Efeso, e di Calcedonia, nel quarto e quinto secolo, i quali interpretando rettamente le espressioni degli Evangelici, e combinandole, (Vedi Acta Conc. Nic. I, Conc. Constan. I, Ephes. et Chalc., I in Labbè Collectio Magna, et amplissima Conciliorum etc.) determinarono, distendendo il Credo, o condannando le eresie, quella credenza, che dovevasi avere contro le torte opinioni, e partiti furiosi, che scompigliarono, e continuarono lungo tempo a trambustare, anche dopo le decisioni, la Chiesa, e lo Stato perfino con grandi massacri: il tempo la cui azione non cessa, mai, i decreti, e la forza degli Imperatori cattolici vennero in soccorso della pronunciata ortodossia, e posero fine a' mali delle controversie teologiche, che laceravano le province del romano Impero. (Nota di N.N.)
24Questa frase energica può giustificarsi con un passo di S, Paolo (I Tim. III, 16); ma le Bibbie moderne c'ingannano[*]. La parola ὄ (il quale) fu cangiata in Costantinopoli, sul cominciar del secolo decimosesto, in θεος (Dio). La verace ed evidente versione secondo i testi latino e siriaco sussiste tuttavia nei raziocini dei Padri greci e de' Padri latini; ed Isacco Newton ha benissimo scoperto questa frode non che quella dei tre testimoni di S. Giovanni (Vedi le sue due lettere, tradotte dal Signor di Missy, nel Giornale Britannico tom. XV, p. 148-190; 35-390). Esaminai le ragioni allegate dall'una parte e dall'altra, e mi sono sottoscritto all'autorità del primo tra i filosofi, versatissimo nelle discussioni teologiche e critiche. * Se l'Autore dice d'essere persuaso di ciò che scrisse il Newton, che non ha nelle materie ecclesiastiche autorità, ciò non prova che la frode sia vera: è vero che non sarebbe facile il provare non esservi mai state le così dette pie frodi in cose per altro di non grande momento, e non intrinseche alla religione; ma bisognava in particolare provare questa. (Nota di N. N.)
25Vedi intorno Apolinare e la sua Setta, Socrate (l. II, c. 46: l. III, c. 16), Sozomeno (l. V, c. 18; l. VI, c. 25-27), Teodoreto (l. V, 3, 10, 11 ), Tillemont (Mém. eccl. tom. VII, p. 602-638, not. p. 789-794, in 4. Venise 1732). I Santi che vissero ai suoi giorni parlavano sempre del vescovo di Laodicea come di un amico e d'un fratello; lo stile degli storici più recenti ha l'impronta dell'acrimonia e dell'inimicizia. Filostorgio lo paragona (l. VIII, c. 11-15) a S. Basilio e a S. Gregorio.
26Due prelati dell'Oriente, Gregorio Abulfaragio, primo Giacobita di quella parte del Mondo, ed Elia, metropolitano di Damasco, addetto alla Setta di Nestorio (Vedi Asseman, Bibl. orient., t. II, p. 291; t. III, p. 514, ec.) confessano, che i Melchiti, i Giacobiti, i Nestoriani ec. andavan d'accordo sulla dottrina, e non differivan che sull'espressione. Basnagio, Le Clerc, Beausobre, La Croze, Mosemio e Jablonski sono inclinati a questa caritatevole opinione, ma lo zelo di Petavio è veemente ed adiroso, e appena Dupin lascia traspirare la sua moderazione.
27La Croze (Hist. du Christianisme des Indes, t. I. p. 24) confessa la poca stima che fa dell'ingegno e degli scritti di S. Cirillo. «Fra tutte l'opere degli antichi, egli dice, poche se ne leggono di meno profittevoli». E Dupin (Bibl. eccl., t. IV, p. 42-52) c'insegna a sprezzarle, quantunque ne parli con rispetto.
28Chi gli fa questo rimbrotto è Isidoro di Pelusio (l. I, epist. 25, p. 8). Non essendo troppo autentica la lettera, Tillemont, men sincero dei Bollandisti, affetta il dubbio, se questo Cirillo fosse il nipote di Teofilo (Mémoires ecclés., t. XIV, p. 268).
29Socrate (lib. VII, 13) chiama un grammatico διαπυρος δε ακρατης του επισκοπου κυριλλου καθεστως, και περι το ακροτους εν ταις διοδασκαλιαις αυτου εγειρειν ην σπουδαιοτατος, un uditore del vescovo Cirillo che assisteva con fervore alle sue prediche, ed era tutto intento a suscitargli applausi.
30Socrate (l. VII, c. 7) e Renaudot (Hist. patriarch. Alexand., p. 106-108) parlano della gioventù di S. Cirillo e della sua nomina alla sede d'Alessandria. L'abate Renaudot trasse i suoi materiali dalla Storia araba di Severo, vescovo di Ermopoli Magna od Ashmunein, nel secolo decimo, autore cui non si può mai prestar fede, quando non abbiano i fatti in se stessi il carattere dell'evidenza.
31I Parabolani d'Alessandria erano una Compagnia di carità, fondata nel tempo della peste sotto Gallieno, per visitare i malati e sotterrare i morti. A poco a poco si moltiplicarono; fecero abuso e traffico dei loro privilegi. L'insolenza da essi manifestata sotto il pontificato di S. Cirillo determinò l'imperatore a privare il patriarca del diritto di eleggerli, e a restringerne il numero a cinque o seicento; ma sì fatte restrizioni furono passaggere ed inefficaci (Vedi il Cod. Teodos., l. XVI, t. II; e Tillemont, Mém. ecclés., t. XIV, p. 276-278.)
32S. Cirillo non può dirsi esente de' difetti come scrittore, e come Patriarca d'Alessandria; aveva uno spirito così sottile nelle controversie, ed era tanto facondo, che spesse volte non s'intende ciò ch'egli scrisse. Non può negarsi essere egli stato altiero, ed impetuoso specialmente nella sua controversia con Nestorio Patriarca eretico di Costantinopoli, e Capo dei Vescovi, preti, e secolari detti da lui Nestoriani, de' quali un picciolo resto trovasi ancora in qualche provincia d'Europa, ed in qualche borgata della Persia, e dell'Armenia, malgrado le persecuzioni de' Cattolici; ma S. Cirillo sosteneva la retta dottrina intorno a Gesù Cristo; perciò il suo procedere per giungere al suo fine, che il Concilio d'Efeso I condannasse Nestorio, che negava la Divinità di Cristo colla distinzione delle persone divina ed umana, asserendo che Maria aveva partorito Cristo Uomo, e non Cristo Dio, cioè la persona umana, e non la persona divina, devesi chiamare non ambizioso, ed impetuoso, ma zelante dell'Ortodossia, secondo il sano linguaggio de' teologi; altrimenti la maggior parte dei sostenitori di essa diventano uomini impetuosi, ed ambiziosi. Non può negarsi aver S. Cirillo posto mano francamente nelle cose civili, e governative d'Alessandria, onde ne vennero i forti risentimenti di Oreste governatore per l'Imperatore romano, ed avvenne il fatto terribile dei Monaci di Nitria; ma non consta che la morte lagrimevole, d'Ipazia, tanto celebrata dagli storici per il suo sapere, ed accusata di avere attraversato la riconciliazione fra Oreste, e Cirillo, possa a questo essere attribuita: quel fatto orribile, che tolse dalla cattedra una dottissima donna, è avvenuto per la furia dei due partiti di Oreste, e di Cirillo, che non avrà neppur esso potuto impedire il male. Bisogna dimenticarsi quei difetti, che poteva avere Cirillo a cagione della sua animosa difesa della Ortodossia, e devesi considerare da ogni buon credente, per essere stato fatto Santo dalla chiesa, pienamente da ogni colpa giustificato. (Nota di N. N.)
33Vedi intorno a Teone, e sua figlia Ipazia, il Fabricio (Bibl., t. VIII, p. 210, 211). Il suo articolo nel Lessico di Suida è assai curioso e originale. Esichio (Meursii opera, t. VII. p. 295, 296) nota che quella figlia fu perseguitata δια την υπερβαλλουσαν σοφιαν, per l'eminente sapienza: ed un epigramma dell'antologia greca (l. I, c. 76, p. 159, edit. Brodaei) ne vanta il sapere e l'eloquenza. Il vescovo filosofo Sinesio, suo amico e discepolo, ne parla in modo onorevole (Epist. 10, 15, 16, 33, 80, 124, 135, 153).
34Οςρακοις ανειλον, και μεληδον διασωπασαντες, etc. ne straziarono le carni con cocci d'ostriche, e scerpandone a brani le membra, ec. Le scaglie d'ostriche erano sparse abbondevolmente sulle rive del mare rimpetto a Cesarea. Piacemi adunque di attenermi qui al senso letterale, senza rifiutar la version metaforica di tegolae, tegole, seguìta dal Sig. de Valois; non so, se Ipazia fosse ancor viva, ed è probabile che gli assassini non si pigliassero pensiero di questo.
35Da Socrate (l. VII, c. 13, 14, 15) son raccontate sì belle geste di S. Cirillo, ed è obbligato il fanatismo, tuttochè con ripugnanza, a copiare le parole d'uno storico, il quale chiama freddamente i sicari d'Ipazia ανδρες το φρονημα ενθερμοι uomini caldi di testa. Noto con piacere, che quel nome tanto vilipeso fa arrossire lo stesso Baronio (A. D. 415, n. 48).
36Quand'anche per supposizione avesse avuto colpa S. Cirillo della morte orribile della povera Ipazia, non essendo la religione cristiana per sua essenza sanguinaria, come evidentemente consta dall'Evangelo, non le verrebbe alcuna macchia per la colpa di S. Cirillo, e se non è provato, che questi ne abbia avuto, e quindi fu egli fatto Santo, molto meno può dirsi, che la religione sia macchiata pel massacro d'Ipazia. (Nota di N. N.)
37Non volle ascoltare le preghiere d'Attico di Costantinopoli, e d'Isidoro di Pelusio; e se si crede a Niceforo (l. XIV c. 18) cedette soltanto all'interposizion della Vergine. Negli ultimi anni per altro andava pur susurrando che Gian Grisostomo era stato giustamente condannato (Tillemont, Mém. ecclés. t. XIV, p. 278-282; Baronio, Annal. eccles. A. D. 412, n. 46-64).
38Vedi le particolarità intorno ai loro caratteri nella Storia di Socrate (l. VII, c. 25-28), e intorno alla loro autorità e alle pretensioni, nella voluminosa compilazione del Tomassino (Discipl. de l'Eglise, t. I, p. 80-91)
39Racconta Socrate la Storia del suo avvenimento alla sede episcopale di Costantinopoli, e ne descrive le azioni (l. VII, c. 29-31), e sembra che Marcellino gli adatti le parole di Sallustio, loquentiae satis, sapientiae parum.
40Cod. Theod., l. XVI, tit. 5, leg. 65, cogli schiarimenti del Baronio (A. D. 428, n. 25, etc.); Gotofredo (ad locum), e Pagi (Critica, t. II, p. 208).
41S. Isidoro di Pelusio (l. IV, epist. 57). Le sue espressioni sono energiche o scandalose: τι θανμαζεις ει και νυν περι πραγμα θειον και λογου κρειττον διαφωνειν προσποιουντ αι υπο φιλαρχιας εκβαυχευομενοι, perchè ti maravigli se anche adesso preferiscono di disputare sulle cose divine e sul miglior senso delle parole, accesi dalla smania di dominare. Isidoro è un Santo, ma non fu mai vescovo; e sono tentato a credere che l'orgoglio di Diogene si ponesse sotto i piedi l'orgoglio di Platone.