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Della scienza militare

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DISCORSO IV

Della scienza della guerra e delle sue correlazioni con le altre scienze e con lo stato sociale dalla scoverta della polvere fino al suo risorgimento sotto Nassau e Gustavo Adolfo.

Il periodo che ci siamo proposti di trattare in questo discorso comprende lo spazio di tempo trascorso fra 'l 1350 e 'l 1560, cioè tra la scoverta della polvere ed il rinascimento dell'arte militare in un modo piú compiuto. Il carattere di questo periodo differisce da quello dell'antichitá ove segnalammo la diversitá grande che interveniva tra le nazioni, e da quell'epoca distruggitrice dell'antica civiltá e del lento risorgimento della nuova che nel medio evo riconoscemmo. Qual è dunque il marchio caratteristico di un tale periodo? Questa è la prima quistione che ci mettiamo innanzi come una nozione preliminare e necessaria.

Il decimoquarto e decimoquinto secolo è l'epoca in cui tutti gli elementi della nuova civiltá erano in fermentazione ed in urto coi vecchi elementi che dominavano nel primo periodo del medio evo e che tendevano spesso ad amalgamarsi perché eguali di forza, e quindi nessuno poteva distruggere quello che gli era contrario. Per la qual cosa può asserirsi francamente che il carattere di questo periodo sia quello di un'epoca transitoria, ove un ordine di sentimenti, d'idee e d'istituzioni finisce ed un altro ne incomincia, com'era il passaggio dal medio evo all'epoca moderna.

Fedeli al nostro sistema noi divisiamo di dedurre il carattere che segnalammo in questo periodo dallo stato contemporaneo dell'arte militare. Per ciò conseguire ci proponghiamo i seguenti problemi:

1. Determinare qual era lo stato della scienza militare dalla scoverta della polvere al risorgimento dell'arte, considerata negli uomini, nelle armi e negli ordini.

2. Determinare la correlazione dello stato della scienza bellica con quello delle altre scienze tutte e collo stato sociale.

3. Esporre gli effetti istorici che derivano dallo stato dell'arte militare in questo periodo.

L'Europa nel decimoquinto secolo presenta all'osservatore uno spettacolo quanto grandioso altrettanto importante. La Spagna con la riunione dei regni di Castiglia e di Aragona combatte e discaccia i mori che da secoli dominavano nella penisola, per la presa di Granata.

L'unitá nazionale si formava in Francia dalla riunione dei grandi feudi alla corona, e la lotta contro gl'inglesi e la loro espulsione dal territorio furono fondamento e dimostrazione dei progressi verso un sentimento comune di nazionalitá.

L'impero germanico cercava di ordinare le sue leggi e tendeva a concentrare la dignitá imperiale nella famiglia divenuta potente di Hapsbourg.

In Inghilterra la guerra civile delle due rose si terminava, pel bisogno d'ordine e di calma che vi era, colla concentrazione del potere nel regno del primo dei Tudor.

L'Italia vide succedere locali dominatori all'indipendenza di una gran parte delle sue cittá. Le dissensioni intestine, l'usanza de' mercenari, tutto faceva presagire una intervenzione straniera, la quale sarebbe stata egualmente determinativa sí per la parte politica che pel benessere civile di questa bella contrada.

L'impero ottomano si stabiliva solidamente in Europa con la presa di Costantinopoli e la distruzione dell'impero greco, e l'Europa era atterrita di questo nuovo elemento che nel suo seno si creava, estraneo ai suoi costumi ed alle sue credenze religiose.

Le nazioni slave avevano sorte diversa. La Russia cercava di scuotere, e gli riuscí, il giogo dei tartari; e la Polonia riuniva a sé la Lituania ed era considerata come il baluardo della civiltá europea e del cristianesimo contro la barbarie e le religioni dell'Oriente. La penisola scandinava formava un mondo politico a parte ora separando ed ora riunendo le nazioni che la componevano sotto la stessa autoritá.

Dopo questo breve cenno ci affrettiamo di rispondere ai quesiti che ci siamo proposti.

Gli eserciti nel periodo di cui discorriamo cominciarono a divenire permanenti, venendo sostituiti alle mercenarie, feudali e comunali milizie, come abbiamo indicato nel nostro precedente discorso. Ma questo cangiamento, importante per la sua influenza politica sulla composizione della forza pubblica, non fu operato né in tutti gli Stati né compiutamente, per cui il nuovo sistema si trova coesistere coi precedenti. Infatti le milizie feudali, le cerne delle comuni e i mercenari ordinati componevano gli eserciti delle potenze principali e belligeranti in quel tempo. La proporzione tra questi diversi elementi corrispondeva allo stato sociale di ogni nazione, ed indicava nettamente che l'ordine antico era giá scosso nelle sue basi ed il nuovo piú inoltrato nel suo progressivo sviluppamento. Facevan fede di ciò l'importanza de' jommenry ossia milizie comunali inglesi, la gendarmeria francese, le milizie delle comuni nelle Fiandre, gli ordini cavallereschi nella monarchia spagnuola, la nazionalitá delle milizie svizzere, la decadenza delle italiane alle quali venian sostituiti i mercenari, le compagnie d'ordinanza di Carlo settimo, prima fanteria permanente e regolare di Francia, lo stabilimento di una fanteria permanente sotto il nome di «giannizzeri» nell'impero ottomano, infine la mista composizione degli eserciti germanici. Tutti questi, a nostro credere, sono segni evidenti dello stato di quelle societá e spargono luce sulle classi che piú avevano importanza sociale in ognuno di quegli Stati.

Per le armi è necessario osservare che la scoperta della polvere è separata cronologicamente dal suo uso negli eserciti per lo spazio che separa il 1330 dal 1460, venendo a quest'ultima epoca segnalate dagli storici le prime armi da fuoco che furono piccioli cannoni e non moschetti, vale a dire che erano un'arma ausiliaria nulla cangiante nell'armamento degli ordini principali, e particolarmente della fanteria di cui le armi da fuoco son divenute in séguito l'armamento unico. Da ciò possiamo dedurre e dimostrare che l'arco, cioè l'arbalete, formava l'armamento delle truppe leggiere le quali servivansi con preferenza delle armi da trarre; che l'infanteria era armata di lunghe spade, cominciando le picche a prevalere in ragione dei progressi che si facevano nell'arte; che l'esempio degli svizzeri, seguíto dagli spagnuoli, avvalorava quest'uso per l'utile impiego che ne avevano fatto nelle loro guerre; e che in séguito furono introdotti i plotoni di moschettieri (quando il moschetto divenne piú maneggevole) destinati piú a supplire gli arcieri che l'infanteria di battaglia. Non è se non nel principio del decimosesto secolo che nell'ordinanza generale dell'infanteria si trovano miste le armi da trarre e da ferir da presso, e pare che negli eserciti di Carlo quinto si sia cominciata questa piú larga applicazione delle nuove armi derivanti dalla scoperta della polvere. Possiamo quindi conchiudere che nel periodo che discorriamo le armi si conservarono in principio come nell'antecedente periodo, particolarmente per tutto ciò che riguarda quelle difensive e per la cavalleria che poco risentivasi dei nuovi metodi e nella sua composizione e nel suo armamento. Piú positivo e piú compiuto divenne il cambiamento per la guerra d'assedio a cagione dell'uso di nuove macchine che mostraron facilmente la loro superioritá sulle antiche.

Gli ordini, che sono una conseguenza necessaria ed un riflesso della natura delle armi, si risentivano di ciò che vi era di misto e d'indeterminato in queste ultime. Le armi da fuoco dovevano direttamente mutare gli ordini nel far diminuire la profonditá ed estendere il fronte; ma questo risultamento, lento come tutte le innovazioni, trovava ostacoli nella forza di ciò che esisteva per costumanza. Da quanto dicemmo è ben chiaro che in questo periodo l'ordine profondo restò l'ordine primitivo ed abituale della fanteria di battaglia. Quelli che lo sostenevano si appoggiavano alle classiche tradizioni dei popoli colti della antichitá, che a quell'epoca erano considerati come modelli di tutte le discipline e la cui imitazione piú compiuta era la scala sulla quale si misurava il merito dei detti e dei fatti. L'espressione di questa disposizione degli spiriti elevati, che si congiungevano alle masse per l'erudizione come gli altri per abitudine, si trova nell'opera piú notabile di quel tempo sull'arte della guerra, la quale ha il raro vantaggio di essere sempre piú apprezzata nel progresso della scienza e con l'andar dei secoli, vogliam dire l'Arte della guerra del Segretario fiorentino. Quel sagacissimo ingegno, non ostante l'imperfezione delle armi da fuoco, ne aveva prevedute tutte le conseguenze nelle future guerre, e ciò che ha detto sugli effetti dell'artiglieria sorprende oggidí i militari piú istruiti e piú ricchi in esperienze guerriere. Ma il Machiavelli, dominato dall'ammirazione dei romani, si trova combattuto tra la sua alta intelligenza e gli usi del popolo che tanto venerava; per cui sostiene l'ordine profondo come abituale, non ostante la scoperta della polvere di cui aveva calcolato le ultime conseguenze sull'arte. È giusto il far osservare che la fanteria svizzera, la prima che tra i moderni si fosse formata, aveva avuto successi tali da non mettere in dubbio alcuno la bontá degli ordini da essa adottati. La battaglia di Marignano fu quella che mostrò non potere una fanteria in ordine profondo lottar con vantaggio contro eserciti forniti di artiglierie, ma debbe ancora aversi in considerazione che questa pruova decideva piú contro il sistema greco della falange che contro quello romano della legione. Epperò il Machiavelli nelle sue Legazioni, ove descrive le truppe e gli ordini degli Stati che è destinato a far conoscere, indica questo difetto dell'ordinanza svizzera, come Polibio accusava la falange macedone di mancanza di flessibilitá nei suoi movimenti. Infatti Francesco primo chiamò «legioni» le prime truppe che ordinò. Per il che possiamo conchiudere che a quell'epoca la quistione era tra i due ordini profondi dei greci e dei romani e non tra l'ordine profondo ed il sottile dei moderni. La cavalleria aveva le stesse armi, la stessa composizione, come abbiamo veduto; e questo feudale elemento perdeva della sua importanza militare in modo che dall'essere il nerbo dell'esercito passava ad essere un'arma ausiliaria. Le truppe leggiere mutavano armi ed erano in un insensibile movimento ascendente che corrispondeva a quello delle comuni, da cui erano tolte il piú sovente. L'artiglieria che rappresentava la scienza si mostrava subordinata, ausiliaria, ma piena d'avvenire. Le fortificazioni che possono risguardarsi come ordini immobili dovevano essere grandemente modificate dalla scoperta della polvere, e può considerarsi come determinato questo cangiamento dall'epoca in cui i bastioni furono sostituiti alle torri; trasformazione che dimostrava l'effetto delle nuove armi e che corrispondeva all'abbandono dell'ordine profondo nella fanteria. Ma è da riflettere che non ostante la minor difficoltá ad ordinare gli uomini in un modo differente da quello delle mura, pure cronologicamente la modificazione fu operata prima in fortificazione che in tattica, benché riguardo alla prima esistessero contemporaneamente, e ve ne sono ancora i vestigi, il sistema antico delle torri con quello moderno dei bastioni.

 

La logica conseguenza di quanto esponemmo sugli uomini d'armi e gli ordini del periodo che trattiamo ci conduce naturalmente a determinare qual fosse il sistema generale di guerra derivante dagli elementi che abbiamo esaminati, giacché nella loro applicazione, che forma la parte trascendente dell'arte, si riassume al tempo stesso la loro natura, il loro uso ed il loro scopo.

La strategia che forma i piani di campagna e dá i metodi delle grandi operazioni della guerra, la tattica che decide delle battaglie che compiono i movimenti strategici, e l'attacco e la difesa delle piazze che hanno per oggetto di difendere il proprio suolo o di solidamente stabilirsi su quello del nemico, costituiscono la parte alta della scienza militare.

Far conoscere brevemente le pratiche di quei tempi su questi tre oggetti è il mezzo piú accurato a nostro credere per risolvere compiutamente il problema che ci siamo proposti.

La strategia non è se non le leggi della guerra: ed applichiamo la definizione del Montesquieu, che considera le leggi come i rapporti tra le cose, vale a dire naturali, eterni, che l'uomo non crea, che può scovrire con la scienza, sconoscerli quando n'è privo, ma anche in questo caso averne l'istinto ed il presentimento.

E tal era a nostro credere il caso della strategia nell'epoca di cui discorriamo, mentre l'antichitá militare era male studiata e non bastava a risolvere tutte le quistioni che le nuove armi facevano nascere e per teorica e per pratica. In sostegno di questa opinione citeremo quella di un sapiente italiano che ha corredata la bella edizione di Montecuccoli da lui data di note sagacissime, il signor Foscolo, il quale cosí si esprime sul proposito dello stato teorico della scienza col periodo che seguí la scoperta della polvere. – «Ma le divisioni provinciali, il sistema feudale d'Europa e le cattedre della letteratura usurpate da gente senza amor di patria e senza cuore allontanarono dalle guerre del secolo decimosesto le grandi teorie degli antichi. Molte furono le battaglie, poche le risultanze: si operò sempre e non si meditò mai. E mentre la fortuna e le passioni governavano la guerra, innumerevoli traduttori e interpetri desunsero esattamente le istituzioni e i metodi della Grecia prima inventrice della disciplina militare, e di Roma conquistatrice del mondo; ma si tradusse col lessico e si commentò colla grammatica. Raro la filosofia e rarissimo l'esperienza concorrevano negli studi eruditi. Si ammirava l'antica milizia, si notomizzavano ad una ad una le imprese; ma chi mai dalle scuole di Giusto Lipsio e di Giovanni Meursio poteva risalire alle ragioni universali delle vittorie greche e romane? Cosí i guerrieri abbandonavano i maestri di guerra agli antiquari. Questi per fastidio delle cose contemporanee, quelli per poca stima dell'antichitá, credeano che la diversitá originata dalle armi, dalle artiglierie e dalle fortificazioni non ammettesse piú omai né paragone né imitazione tra gli eserciti antichi e i moderni».

Questo passaggio sí sublime fa chiaramente conoscere la veritá della nostra assertiva, cioè che la strategia era nell'infanzia e le sue leggi eterne ignote ai guerrieri ed ai sapienti. Il Machiavelli stesso che il suo ingegno distingue dagli altri eruditi pel carattere positivo e chiaro che prendevano le scienze da esso trattate, si attiene anch'egli troppo alla stretta imitazione delle marcie e degli accampamenti dei romani, che non erano del tutto applicabili e lo divenivano ogni giorno meno. Ma bisogna osservare che come filosofo politico volea ottenere questi successi per l'ordinamento di eserciti nazionali, per le istituzioni e per le discipline che ha sí ben osservate ed esposte ne' suoi Discorsi su Livio; per lo che intendeva egli, per rilevare la grandezza italica, ad opporre anziché metodi puramente guerrieri, la forza morale degli eserciti al tristo spettacolo che i conduttori gli presentavano. Ci resta ora ad esaminare se nell'ignoranza della scienza vi fosse in alcuni capitani l'istinto ed il presentimento. Noi rispondiamo affermativamente a questa dimanda.

L'invasione di Carlo ottavo in Italia, la lega che si gli formò contro per chiuderlo in essa, la sua ritirata troncata strategicamente dall'Alviano general veneziano, la difesa della Calabria fatta da Aubigny, la fine della battaglia di Fornuovo che aprí la strada all'esercito francese, rassomigliano di molto alle operazioni che precedettero la battaglia della Trebbia nel 1799, al passaggio della Beresina nel 1812, alla battaglia di Hanau nel 1813, e dimostrano che i capitani di quel tempo avevano l'istinto delle grandi operazioni di guerra, mentre veggiamo che cercarono con le marcie di prevenire il nemico in un punto geografico importante e di giugnere allo stesso scopo che a' nostri tempi cercan di conseguire generali istruiti e che la scienza ridotta a regole chiare indica e facilita. Se vi aggiungiamo il merito militare di Marcantonio e Prospero Colonna, che seguivano ed ingrandivano le strategiche combinazioni le quali noi segnalammo nel precedente discorso non essere ignote ai piú illustri condottieri del decimoquarto e decimoquinto secolo, troviamo la serie di queste regole non interrotta. La campagna del gran capitano Gonsalvo sul Garigliano, quelle di tutta la scuola dei capitani spagnuoli sotto Carlo quinto, le sue imprese di Affrica, ove era indispensabile la cooperazione della marina militare che si personificava in Andrea Doria, tutto pruova il progresso in cui erano le combinazioni militari, giacché uno de' suoi segni piú evidenti è quello della combinazione degli eserciti con le armate di mare. Le guerre di Solimano e quelle dei capitani francesi del tempo sono pruove novelle che vengono ad avvalorare la nostra assertiva. Maurizio elettore di Sassonia era un generale pieno del vigoroso istinto della gran guerra, di cui vediamo indicato il carattere in tutti gli Stati belligeranti di allora. Ciò doveva essere, mentre il combattimento si era ingrandito, le guerre civili della feudalitá finite, le nazioni combattevano tra esse per mezzo di eserciti permanenti, con vasti spazi da percorrere, da conquistare, da difendere, e le campagne dovevano avere una durata corrispondente allo scopo della guerra. Tutte queste circostanze forzavano l'ingegno umano a svilupparsi nella direzione delle sue necessitá, per la qual cosa, come dicemmo, la strategia fu sentita, presentita e praticata, benché non composta ed elevata a grado di scienza. Queste istesse circostanze resero indispensabile un sistema di amministrazione militare, essendo divenuti gli eserciti colonie operanti. Ma l'imperfezione dell'amministrazione degli Stati faceva sentirsi nell'esercito, per cui la guerra era funesta alle contrade che n'erano il teatro; e basta la presa di Roma del contestabile Borbone, cosí per la cagione come per gli effetti, a far comprendere che cosa fosse l'amministrazione di un esercito del piú potente sovrano di que' tempi. Può dirsi per la tattica che le stesse enunciate circostanze che aveano fatto giungere gli spiriti elevati alle combinazioni della parte trascendente dell'arte, dovevano produrre lo stesso risultamento per muovere le masse che si urtavano tra esse, per ordinarne e sottometterne a calcolo i movimenti ed i loro effetti. Ma benché sembri piú naturale e piú ragionevole che la tattica, meno sublime nei suoi metodi, dovesse progredire prima della strategia, pur nondimeno il contrario è provato dall'istoria militare. Ed acuta quanto profonda troviamo l'osservazione di un uffiziale sapiente, vogliam dire del general Pelet, cioè non essere anche oggidí la tattica in armonia con la strategia, anzi dover fare assai progressi per livellarsi con quelli da questa fatti.

Con estrema diffidenza osiam proporre una spiegazione di questo fenomeno, e diremo, se cosí possiamo esprimerci, che la strategia, come tutto ciò ch'è generale nello scibile, si rivela piú facilmente al genio, qualunque sia lo stato della societá, mentre che la tattica, piú metodica e piú artistica, ha bisogno di piú condizioni prese nello stato generale della societá per fissarsi. Osiam ancor dire che in un'epoca poco inoltrata in civiltá si ritrovano uomini superiori che giungono con la forza del loro genio a penetrare le grandi leggi della natura, ma non a ridurle a metodo. I filosofi sono piú antichi della filosofia, i gran poeti della poetica ed i legislatori dei giureconsulti, come i capitani degl'ispettori. Del resto abbiamo veduto dall'incertezza degli ordini che produceva quella delle armi, che tattica non ve n'era, e non ostante accurate ricerche, noi non possiamo citare nelle battaglie di quell'epoca nessuna di quelle finezze dell'arte che restano modelli in tutt'i tempi per gl'imitatori illuminati3, come osservammo per le operazioni generali tra le quali citammo la guerra del gran capitano Gonsalvo di Cordova sulle rive del Garigliano.

Per la fortificazione e la guerra di assedio noi facemmo notare nel precedente discorso che l'Italia, essendo molto innanzi nella civiltá e coltivando tutte le scienze esatte, base della civile architettura e dell'idraulica, doveva naturalmente essere la prima ad applicarla all'arte militare. Infatti il Tartaglia di Brescia, il Lanteri, il Zanca, il Cataneo ed il Castrioto, e tutta la scuola celebre d'ingegneri militari che si riassume nel De Marchi, avevano esposto in teoriche chiare e positive la scienza della fortificazione e ne praticavano l'arte da per tutto, con Solimano come con Carlo quinto. Gli assedi di Rodi, di Malta, d'Algieri e di Granata confermano questo nostro detto, giacché si trovano ingegneri italiani che ne diriggono l'attacco o la difesa. Non solo a quei tempi alle torri venivano sostituiti i bastioni, ma Pietro di Navarra inventava la guerra sotterranea in Napoli e ne faceva la prima pruova; ed il Darçon osserva che la difesa esterna da lui e dal Carnot tanto raccomandata ai nostri tempi, era in quell'epoca praticata talmente che all'assedio di Granata di Ferdinando il cattolico vi fu un'opera esterna presa e ripresa trentasei volte.

Ora ci resta per seguire il nostro ragionamento a determinare l'ultima parte del problema, cioè lo stato delle scienze e della societá, per metterlo in comparazione di quello dell'arte militare che abbiamo giá esposto ed indicarne gli storici risultamenti.

La tendenza del secolo che abbiamo fatto osservare era doppia: aveva per oggetto di ristabilire la civiltá degli antichi e di entrare in quella che corrispondeva agli elementi ed ai destini delle moderne societá. Una combinazione comune legava queste due disposizioni, cioè quella di combattere il medio evo nelle sue massime e nelle sue istituzioni. Ma queste, forti del loro dominio e della loro durata, reagivano contra tutte le contrarie tendenze. Nello stato dello scibile si vede chiaramente questa lotta ed i suoi caratteri. L'amore dei classici dell'antichitá spinto fino alla superstizione faceva entrare la filosofia antica, la giurisprudenza ed il dritto romano negli studi dell'epoca, i quali dovevano combattere la filosofia scolastica ed il dritto canonico, che si difendevano e si amalgamavano a vicenda con questi nuovi elementi. La letteratura e le lingue della classica antichitá si trovavano nella stessa posizione in presenza delle nuove lingue europee e della letteratura che ne derivava nelle diverse nazioni formate sulla rovina dell'impero romano. Le scienze esatte contavano giá egregi cultori come Regio Montano, Liva Poggioli, Lucio di Borgo celebre nel calcolo algebraico, e Copernico che aveva applicato le matematiche ed il calcolo all'astronomia. La bussola ritrovata nel decimoquarto secolo, i nomi di Gioia, di Lullo e di Musa, l'invenzione della stampa circa il 1440, tutte sono pruove del progresso delle scienze in quel periodo. Le naturali non potevano fare gran passi, giacché le esatte non erano giunte ad un grado da renderne l'applicazione compiuta. Ma il carattere generale della coltura può riassumersi dicendo che la scienza era piú considerata come una serie di veritá la cui cognizione doveva soddisfare la intelligenza umana, che come una utile applicazione ai bisogni generali della societá; disposizione naturale a tutte l'epoche di creazione e di risorgimento, mentre vi sono degli sforzi che l'uomo fa per l'amore del bello e del vero piú che non farebbe per quello dell'utile.

 

Da quanto dicemmo possiamo dedurre che la separazione degli eruditi dagli uomini pratici, come delle scienze dalla loro utilitá pratica, fece sí che l'arte militare non trovasse in esse quei mezzi e quei metodi che corrispondevano al loro stato; il che aggiunge veritá al citato passo del Foscolo.

Ed invero non si vedono ancora né collegi militari né grandi arsenali di fabbricazione di armi, nel mentre che le universitá eran in gran progresso e le istituzioni di questa natura si stabilivano per le altre carriere pubbliche, quali la medicina ed il fòro.

Indicando brevemente lo stato dell'Europa al principio di questo discorso, abbiamo dato le idee preliminari che necessarie erano per far ben concepire lo stato sociale del periodo che ci occupa.

La prima considerazione che dee aversi presente per ben giudicare dello stato sociale nel decimoquinto secolo l'abbiamo indicata nel nostro secondo discorso, ove comparando e mostrando le differenze dell'arte militare delle nazioni antiche da quelle delle moderne, facemmo osservare che ciò che caratterizzava le nazioni antiche si era la loro differenza tra esse, la loro intiera ed originale individualitá; l'opposto di ciò che vedesi tra i moderni, presso i quali le differenze sono le eccezioni e le somiglianze la regola. Questo principio sussiste tanto per lo stato scientifico quanto per lo sociale. Ciò premesso, possiamo dire che ciò che caratterizza questi secoli si è che le nazioni cominciavano a ricreare l'unitá nazionale; la feudalitá decaduta dal grado di assoluta dominatrice pare aver servito d'istrumento a questa metempsicosi politica, che aveva trasformato in nuova vita le moderne nazioni dopo averle decomposte negli ultimi loro elementi. Ma la feudalitá era rimasta un elemento forte il quale aveva piú pretensioni che forze, piú forze però di quelle che dee avere chi fa parte dello Stato senza rappresentarlo solo. Debole come governo era formidabile come opposizione.

Le comuni al contrario erano deboli: incapaci di aver forza preponderante dovevano essere protette dal poter centrale contra il poter feudale, e secondo che questo decadeva, il poter centrale sentiva meno il bisogno di proteggerle e considerava i loro privilegi come ostacoli all'azione amministrativa e non come mezzi di aiuto. La Chiesa combatteva da un lato per lo limite del potere spirituale con le sovranitá e dall'altro pei suoi dritti spirituali e per le sue dottrine con gli eresiarchi che si succedevano in questo periodo da Viccleffo fino a Lutero. Tutti i poteri aveano pretensioni esclusive, ma mancavano di forze preponderanti per effettuare le pretensioni e ridurle a realitá. Ecco perché vi erano urti continui e poi transazioni, le quali tutte cedono alle circostanze cercando di salvare il principio per farlo valere a miglior tempo. Epoca di tregua e non di pace, ma che mentre non impediva il progresso della societá e la lenta migliorazione delle condizioni delle ultime classi, rilevava l'importanza delle medie, le quali entravano nelle politiche riunioni in Francia, in Inghilterra, in Germania ed in Ispagna. Quando si paragona questa combinazione di monarchia in avanzamento, di aristocrazia in insensibile decadimento e dei comuni che progrediscono con eguale lentezza, se ne trova il compiuto nesso negli eserciti, i quali erano formati di gendarmeria nobile che rappresenta la feudalitá combattente, composta ed armata come nel medio evo; delle truppe leggiere, cerne delle comuni armate con le armi da trarre, le quali debbono predominare nell'avvenire dell'arte, ma che nel momento non rappresentano che un'arma ausiliaria; della fanteria mercenaria che rappresenta con la sua organizzazione il potere centrale reso sempre piú dominante; delle artiglierie e degli attrezzi di guerra che sono il mezzo piú naturale e al tempo stesso la dimostrazione della vittoria indistruttibile riportata sulla federazione feudale e della unitá della forza pubblica nello Stato. Ecco come questo periodo di fatica, ove nello scibile e nella societá si vede riunirsi, coesistere e combattersi elementi diversi, trova il suo compiuto simbolo nello stato dell'arte militare dai suoi elementi fino alla sua parte trascendentale. I politici e morali effetti delle guerre di questo periodo e quindi dei progressi dell'arte militare possono ridursi alla distruzione dell'impero greco e all'occupazione di quelle contrade dai turchi, che creavano in Europa un interesse comune in politica, ed al sistema di equilibrio che era il prodotto naturale dei rapporti che le nazioni acquistavano tra esse per operare con interessi comuni al di fuori del loro territorio. In conseguenza l'adoperare dei negozianti e delle negoziazioni, vale a dire la creazione della diplomazia, faceva presentire che la giurisprudenza sarebbe stata applicata alle quistioni tra le nazioni; il che doveva produrre la scienza del dritto pubblico, ch'è la misura del progresso della civiltá e ch'era ignota alla colta antichitá, l'abbassamento degli Stati repubblicani e quindi dell'Italia, contro la quale si rivolgevano le grandi scoperte di quell'epoca, cioè quelle dell'America e del passaggio pel capo di Buona speranza.

Crediamo aver raggiunto il nostro scopo avendo determinato lo stato dell'arte militare nel periodo che abbiamo impreso a trattare, e avendo mostrato la sua connessione con lo stato delle scienze e quello della societá e 'l modo di chiarire le loro strette correlazioni; quali sieno stati gli effetti istorici delle belliche operazioni; e come la scoperta della polvere da cannone dovesse nei susseguenti periodi partorire tutte le sue conseguenze, nel mentre che in questo avea giá fatto stabilire gli eserciti permanenti, la fanteria per arme principale, la cavalleria e l'artiglieria per ausiliarie, il bisogno d'ordine, d'amministrazione e d'istituzioni per reggere una societá che dee operare per uno scopo dato, e l'importanza della castrametazione, della tattica e della strategia. Chiuderemo questo discorso col quale ci avevam proposti di dimostrare nello sviluppamento dell'arte militare la costante relazione della guerra considerata come scienza alle altre scienze ed allo stato sociale, con le seguenti parole del Foscolo: – «Se si fosse considerato che le arti tutte sono fondate sui principi veri ed eterni della natura delle cose; che dallo scoprimento, dal calcolo e dall'applicazione de' principi derivano le scienze e che quindi una scienza piú o meno sviscerata fu sempre la mente dell'arte della guerra; si sarebbero, investigando questi princípi, riconciliate le diversitá accidentali dei metodi antichi e moderni».

3In effetto tutte le battaglie si riducevano piú o meno ad un urto in ordine parallelo; la vittoria, il piú sovente riportata sopra un'ala, dava per risultamento il disordine che il vincitore subiva egli stesso per abbandonarsi ad inseguire il nemico: da ciò risultava che l'ala di questo che si era conservata piú intatta ne profittava per piombare sopra i suoi avversari rimasti cosí isolati, e colui che si credea vincitore al primo periodo si trovava vinto nel secondo. Allora come anche oggidí la vittoria restava a chi conservava le ultime truppe ordinate; con la differenza che ciò che allora il caso operava, oggidí costituisce l'arte dell'impiego delle riserve, che è il punto culminante della gran tattica e che caratterizza i generali di battaglia.