Free

La plebe, parte I

Text
iOSAndroidWindows Phone
Where should the link to the app be sent?
Do not close this window until you have entered the code on your mobile device
RetryLink sent

At the request of the copyright holder, this book is not available to be downloaded as a file.

However, you can read it in our mobile apps (even offline) and online on the LitRes website

Mark as finished
Font:Smaller АаLarger Aa

«Ma intanto, lavorando tutto il giorno, vegliando a studio la notte, non uscendo quasi mai, dormendo troppo poco, nutrito troppo male, pensati come se ne dovesse avvantaggiare la mia salute! Io diventava allampanato che era una compassione il vedermi, cotanto che ne fu tocca quella rozza, grossolana e burbera Dorotea.

«Costei aveva una certa influenza su messer Nariccia: era anzi l'unica persona ch'io mi accorgessi mai che avesse alcun potere su quell'uomo che non sentiva nulla, che non si preoccupava di nulla che non fosse l'oro e l'amor del guadagno. La sua ipocrisia medesima, la smania che sembrava avere di conseguire stima ed osservanza presso il pubblico non erano altro per lui che un mezzo maggiore con cui, ingannando la gente, aumentarsi gli spedienti e le probabilità degl'illeciti profitti. Ebbene a quest'uomo, quella vecchia donnaccia, sempre aspra ed incollerita, pareva incutere quasi direi una certa paura, e fosse abitudine presa da lungo tempo (erano di begli anni che que' due stavano insieme), fosse una dipendenza stabilita per qualche segreta ragione, il fatto è che Nariccia, per tutto quello che non toccava i suoi traffichi impuri e scellerati, in certa proporzione sottostava alle volontà della Dorotea.

«Or bene, questa donna che in fatto fin dal primo giorno, come ti ho narrato, non era stata senza pietà a mio riguardo, una bella volta manifestò più spiccatamente la sua compassione per me.

«Messer Nariccia era il più incontentabile uomo del mondo. Per quanto uno si industriasse a far con zelo il dover suo, non solamente egli non trovava mai una parola di lode per esso, ma non desisteva pur mai, ciò nulla meno, dal brontolare e rampognarlo. Con me gli era un rimprovero continuo, e il quale aumentava di intensità in due occasioni: quando veniva alcuno in istudio, e non si trattava d'affari segreti che io non dovessi ascoltare, perchè in tal caso ero sempre mandato in altra stanza, e quando ci sedevamo al desco per mangiare quello scarso cibo che ci era ammanito. Nel primo caso egli pigliava qualunque pretesto per entrare a dire della gran pazienza che io gli faceva esercitare, della croce che per causa mia gli toccava portare, della grandissima carità che egli usava a mio riguardo tenendo seco un buon da nulla ed un ingrato; e torceva il collo più che mai, e giungeva le mani, e diceva le più infervorate giaculatorie del mondo. Nel secondo caso, cioè a tavola, egli mi rivolgeva per punta, come dice Dante, quella lama che già di taglio mi tornava troppo acre, e siccome s'era accorto, io credo, che per la commozione ond'era preso non potevo più mandar giù che pochi bocconi, sono persuaso che lo faceva apposta, avarissimo secondo che egli è, a cominciare quei discorsi appena ci trovavamo seduti a tavola.

«E se avesse almeno prorotto in una sfuriata, e poi smesso, pazienza! Per quanto frequenti fossero quelle sfuriate ci sarebbe sempre stato frammezzo un po' di tempo di riposo; ma no, il suo era un continuo tatamellare colle più untuose sembianze e colle esclamazioni della più afflitta anima del mondo. Non era un temporale che passa e cessa, e lascia venire il sole a rasciugare; era una piova continua che immolla senza riparo e senza interruzione.

«Una volta adunque ch'egli aveva incominciato all'ora del pranzo la sua solita tiritera contro di me, ed io, rimasto lì col groppo nella gola, non potevo più mandar giù il boccone, Dorotea interrompendo colla sua voce grossa quella esile e sottile del padrone, disse in quel tono di collera che le era abituale:

« – Eh! lasci un po' stare tranquillo un momento questo povero scempiatello, che la vede bene non ha più tanto fegato da tirar nemmanco il fiato. Certo che la non lo ingrassa, che lo manda pasciuto di rimbrotti e di trafitture.

«Nariccia alzò verso la serva il suo volto flosciamente paffuto, ed una fiamma di sdegno lampeggiò ne' suoi occhi balusanti.

« – Che temerità è questa vostra, Dorotea? Diss'egli. Voi abusate stranamente, mi pare, della bontà con cui tollero le vostre impertinenze.

«Dorotea mise le mani in sui fianchi nell'attitudine battagliera d'una treccona che si appresta a mandare ed a ricevere una bordata di ingiurie nella lotta con una sua compagna.

« – Abuso? Gridò essa con voce più sonora che mai. Le mie impertinenze? Ella tollera?.. Un corno! Oh! non mi guardi pure di cattiv'occhio che a me la sa che non mi fa paura… Nè lei ned altri musi più brutti del suo. E le mie buone verità glie le ho sempre dette e voglio continuare a dirgliele… Ah! Ed a me di questo cazzatello me ne importa tanto quanto delle prime scarpette che ho frustato, va benissimo; ed ella poteva far benissimo senza d'una nuova bocca da alimentare, e se avesse dato retta a me non si sarebbe caricato d'un impiastrino che non so a qual cosa le possa servire. Ma poichè le è piaciuto far di sua testa e condursi in casa questo tristanzuolo, io le dico che bisogna almanco trattarlo come un cristianello e non farlo morire a pizzichi ed a piccol fuoco.

«La fiamma di sdegno balenò più intensa e più viva negli occhietti di messer Nariccia, ed io credetti vicino il momento in cui fra quei due avvenisse un aspro battibecco; invece di botto quel lampo nel padrone passò, gli occhi suoi ed anche il volto si chinarono verso terra, le mani si congiunsero e le labbra mormorarono col solito tuono di giaculatoria:

« – Sant'Antonio, mio protettore, datemi voi pazienza, e che io possa sopportar tutto di buon animo, in espiazione de' miei peccati.

« – Sì, bravo, continuava più fiera la fante, intanto la espiazione de' suoi peccati la fa sostenere agli altri.

«E rivolgendosi a me, con aspetto ed accento così grazioso come un cane che voglia mordere:

« – E voi, povero martuffino che siete, non lasciate sgomentarvi così e fatevi un po' più di animo. Mangiate, sostentatevi, mettete un po' di carne addosso; non vedete che non avete altro che un po' di pelle tirata su quattro ossa mal giunte insieme?.. To', prendete, nutritevi, e non date retta più alle malignità di questo pilastro d'acquasantino.

«Nel dir così aveva afferrato il piatto di mezzo al desco e mi aveva fatto cadere nel tondo che avevo dinanzi una enorme porzione della pietanza.

«Nariccia si drizzò in piedi, levò gli occhi al soffitto, torse il collo, mandò un sospiro e poi a schiena curva, con quei suoi passi riguardosi che non facevan rumore, uscì dalla stanza senza più aggiunger nemmanco una parola.

« – Oh oh! Sì ch'io so tenergli il bacino alla barba: esclamò con tono di trionfo Dorotea colle mani nuovamente in su' fianchi guardando dietro al padrone che partiva.

«Anch'io mi levai di tavola e mi disposi ad uscire.

« – Ebbene, che cosa fate? Mi disse Dorotea. Suvvia mangiate quella roba.

«Io aveva sempre più stretto il groppo nella gola.

« – Grazie: risposi: non posso, non mi sento.

«La donna mi guardò con espressione tra di collera e di disprezzo.

« – Andate là che siete proprio un povero baggiano voi!

«Questa era la sola persona che mi manifestasse alcun interesse, e questo il modo in cui me lo dimostrava.

«Messer Nariccia aveva sofferto in tal occasione una vera sconfitta, ma i danni di questa toccò sopportarli tutti a me, il quale se prima non poteva vantarmi d'avere l'affetto del padrone, di poi dovetti accorgermi che ero divenuto oggetto speciale della sua antipatia. Nell'ora dei pasti, ei non mi diceva più nulla; ostentava anzi di non badar più menomamente a me e faceva proprio come se io non esistessi, ma come se ne ricattava durante le lunghe ore che mi toccava passare con lui in quel tristissimo studio!

«Per mia fortuna mi rimaneva il compenso dei miei diletti studi, delle mie care letture la notte.

«Ti ho già detto come la grande soggezione che avevo per Nariccia, fosse ancora superata in ampiezza dalla grandissima disistima che avevo dovuto acquistare di lui.

«Diffatti non passò molto tempo che io dai lavori che venivo facendo e dai colloquii che udivo di coloro che venivano nel suo studio, avevo dovuto esser chiaro di tutta la scelleraggine che quell'uomo nascondeva sotto la sua schifosa ipocrisia. Ciò che peggio mi sdegnava era lo spietato rigore ch'egli, padrone di casa, usava verso i poveretti che avevano tolto da lui in affitto e non potevano pagare la pigione. Mentre ostentava di far parte di non so quante congregazioni di carità, egli toglieva a povere famiglie le ultime loro masserizie, mettendole sul lastrico, affine di esser pagato di ogni aver suo; e tutto ciò sempre invocando al suo solito Dio, la Madonna e tutti i Santi del calendario.

«Quelli poi che ricorrevano a lui per imprestito di denaro non potevano trovare altrove un peggiore usuraio. Fra questi vidi anche venire Gian-Luigi, e fu l'unica volta che lo vedessi dappoi che egli mi aveva allogato in quella casa. Nariccia trovavasi assente in quel momento, ma per tornare fra poco, e Gian-Luigi volle aspettarlo, stando meco in istudio a discorrere.

«Mi disse: che la somma avuta come legato del suo protettore era tutta consumata; che, avendo impreso a vivere con una certa eleganza non poteva nè voleva smetter più; che la professione della medicina avrebbe ancora tardato troppo assai a rendergli qualche cosa e i guadagni di essa non sarebbero pure stati mai tali da bastargli all'uopo; ch'egli perciò aveva rinunciato al proposito di farsi medico non sentendosi acconcio per istentar la vita ad arrampicar sulle soffitte a visitare degl'infelici che crepano di miseria, come deve fare ogni medico principiante, oppure per andarsi a seppellire in qualche paesucolo remoto, felice di avere uno scarso tozzo di pane in quello che si suol chiamare una condotta, non potendo aspirare a un po' di agiatezza e un po' di fama, anche avendo e mostrando molto talento, se non quando i capelli fossero brizzolati e la bella età tutta trascorsa. Egli aveva però, soggiunse, trovato il modo di pure strappare a questa nefasta matrigna che è per noi la società, i mezzi onde soddisfare ai suoi desiderii imperiosi. Il mondo era secondo lui un paese nemico da conquistare, e vi occorrevano forza, ingegno e tenacità di propositi. Egli possedeva tutto questo, e avrei dovuto vedere come sarebbe riuscito. Ma frattanto, durante il tempo della lotta, egli veniva a cercare munizioni di guerra anche all'usura di messer Nariccia e di altri suoi pari.

 

«Poichè il mio padrone tardava, discorremmo a lungo su tali argomenti: Gian-Luigi trascurava un poco le ragioni e le necessità d'ordine morale; nel suo materialismo scettico ed egoistico, egli veniva abituandosi a non discernere altro più che il suo vantaggio, inteso a modo suo. Dimenticava, anzi non curava appositamente, e quasi direi disdegnava tutti gli argomenti d'una filosofia superiore al sensismo epicureo, che in ogni fatta di quistioni pone per base e per norma il solo soddisfacimento dell'individuo. In me i libri avevano istillato qualche insegnamento superiore; gli amorosi ammonimenti della religione di Don Venanzio avevano lasciato tuttavia un tipo più elevato, un ideale più sublime della vita e del compito dell'uomo anche nell'ordine sociale come nel morale e nell'intellettivo. Abbracciavo col pensiero vedute e concetti più generali, e il motto del nostro destino mi pareva più grandioso che non quello cui affermava la smania di godimenti personali onde era travagliato Gian-Luigi.

«Fu quella la prima volta che io, contro il fascino seducente della persona e della parola ornata ed attraente del mio compagno d'infanzia, ebbi la fermezza di proclamare i miei diversi principii. Gian-Luigi se ne stupì. Volle ribattere, e il calore della disputa unita colla convinzione dovette darmi alcuna maggiore efficacia di discorso, di quella ond'egli mi credesse capace, perchè tutto attonito esclamò ad un punto:

« – Dove hai tu appreso cotante cose? Onde il tuo ingegno ha egli attinto tanta forza e tanto sviluppo? Se queste tue qualità tu impiegassi al conseguimento d'uno scopo preciso e definito, alla croce di Dio, che tu riusciresti senza fallo nell'intento.

«Nariccia sopraggiunse, ed entrato con Gian-Luigi dietro il cancello, discorsero abbastanza lungamente a voce bassa, senza ch'io potessi capire pure una parola, ma in tal modo che sembrommi l'usuraio opporre molte difficoltà alle domande del giovane, e finire per arrendersi poi sotto condizioni che udii Gian-Luigi in un momento in cui alzò la voce, chiamare enormi.

«Partendo, il mio compagno d'infanzia mi disse che sarebbe tornato a vedermi e che avremmo ripreso il nostro discorso, ma non lo vidi più in quella casa per quel poco tempo durante cui ancora ci rimasi.

«Chi ci veniva sovente era quel gesuita che Nariccia diceva suo confessore, padre Bonaventura…

– Quello è uno scellerato di frate, interruppe Giovanni Selva. In quante famiglie egli ha cacciato la dissensione e seminato l'odio! La mia è una di quelle. Quante eredità ha captate! Quante intelligenze ha castrate per farne ciechi stromenti alle voglie ed alle ambizioni del suo ordine! Un povero giovane che caschi in quelle mani, ne viene impastato, maneggiato, plasmato al modello di quel menno San Luigi che i gesuiti han creato per ideale della gioventù educata da loro. Ho visto ciò che hanno fatto di mio fratello. Un automa a cui essi tirano i fili. Non ci hanno lasciato nemmanco più il posto per un po' di cuore.

– Quando veniva costui, così riprese la sua narrazione Maurilio, io era inevitabilmente mandato fuor della camera, e lunghe lunghe ore passavano prima che il gesuita partisse, ed io fossi richiamato al mio tavolino. Approfittavo di questo tempo, che avrei voluto si rinnovasse anche più spesso, per correre ai miei libri nella mia stanza.

– Ma come mai messer Nariccia, il quale non mi pare molto amante di libri e d'istruzione, aveva egli in suo potere quelle tali casse?

Così domandò Selva; e Maurilio rispose:

– Avevo pensato ancor io a codesto e mi ero immaginato che ciò fosse in dipendenza di qualcheduno di quei suoi prestiti da usuraio cui lo vedevo fare tutti i giorni agli infelici che gliene capitavano tra mano. E mi ero diffatti bene apposto come un giorno mi venne chiarito.

«Vidi entrare un uomo di età matura, vestito di poveri panni, ma pulitissimo, con aspetto di onestà e di dignità modesta insieme, che lo rendeva affatto rispettabile.

«Dal colloquio che ebbe con Nariccia appresi chi fosse e quali rapporti avesse con codestui.

«Egli era un libraio, il quale, volgendo a male i suoi affari, era stato costretto a ricorrere a quell'arpia affino di averne danari in imprestito. A poco per volta il debito del povero libraio si era cresciuto talmente, che non potendo bastar più a pagare nonchè il capitale, ma gli interessi enormi che erano pattuiti per Nariccia, questi avealo minacciato di fargli vendere ogni cosa sua per giustizia e il povero libraio pregando e strapregando aveva ottenuto un po' di respiro col patto di dare in pegno al creditore tutto quel meglio che aveva della mercanzia del suo fondaco. Si era egli obbligato a pagare in certe rate a dati tempi il suo debito a Nariccia, il quale credendosi che mai più il debitore sarebbe a ciò riuscito aveva già intanto in sua mano il più prezioso di quanto avesse mai potuto prendere al suo debitore, e ne sarebbe stato padrone senza intromissione di tribunali o d'altro e senza ulteriori spese di sorta.

«Il buon libraio aveva ristretto il suo negozio ad un modesto baraccone sotto i portici, e vivendo con ogni fatta di privazioni egli e la sua famiglia, coll'aiuto, com'egli diceva, di qualche caritatevole persona, era giunto a tale da poter mettere insieme i denari occorrenti per la prima rata, e si era affrettato a venirli portare. Pregava intanto Nariccia a volergli restituire se non tutti quei libri che avevagli dato in pegno, almanco una parte; ciò, soggiungeva, sarebbegli stato di gran vantaggio, perchè avrebbe potuto così dare nuovamente maggiore sviluppo al suo commercio che ora pareva volersi ravviare, e così porsi in grado eziandio di più sicuramente adempire a tempo agli obblighi assunti verso il creditore.

«Ma per quanto egli dicesse e pregasse e scongiurasse, Nariccia fu incrollabile. Il pegno doveva stare presso di lui fino a totale estinzione del debito; egli non voleva privarsi dell'unica guarentigia che avesse, e quindi non avrebbe consentito a nulla di codesto, finchè non avesse ricevuto sino all'ultimo centesimo il pagamento dell'aver suo.

«Durante questa discussione il mio animo era combattuto da diversi sentimenti. La pietà mi faceva desiderare che Nariccia cedesse alle domande del libraio; ma l'idea che sarei privato dei miei libri diletti mi era pur dolorosissima. Senza quell'unico conforto qual vita sarebbe stata la mia in quella casa? Mi dicevo fra me che certo, ove ciò avvenisse, non avrei resistito più e sarei partitomi di là. Ma per andar dove? Per far che?

«Frattanto l'idea che il libraio avrebbe potuto pagar quanto prima tutto il suo debito e riavere i suoi libri, mi pungeva continuamente e mi dava nuovo ardore a studiare. Non dormivo più che un'ora appena per notte, la mia salute se ne stremava sempre più, e le candele consumavano in fretta, così che la sottrazione ch'io ne faceva doveva pur finalmente apparire alla Dorotea. Ben lo pensavo alcuna volta, e un gran spavento mi occupava, ma come fare altrimenti?

«In questo frattempo ecco un giorno avvenire tal cosa che tutto mi conturbò più che non ti possa dire.

«Ero, secondo il solito, nello studiolo con Nariccia. Entra un uomo piccolo, mal in arnese, sottile, con faccia di faina, il quale interpella con una strana domestichezza il mio padrone:

« – Eh buon giorno, messer Nariccia. Come va? Mi riconoscete ancora? Gli amici non si debbono dimenticar mai.

«Quella voce non mi era ignota. Alzo gli occhi e figurati come io mi rimanessi nel vedermi innanzi il naso affilato di Graffigna, il mio compagno di carcere!

«La presenza di codestui non parve andar molto a sangue neppure a messer Nariccia. La bassa di lui fronte s'intorbidò, gli occhi rotarono inquieti intorno, come a cercar uno scampo.

« – Chi siete voi? Che volete? Diss'egli, volendo assumere un aspetto imponente ed altezzoso.

«Graffigna s'inchinava umilmente, ma ad un tratto drizzando la persona, mettendo il suo muso volpino sotto il naso di Nariccia e piantandogli in faccia gli occhi, rispose con una certa sicurezza che toccava l'impertinenza:

« – Chi sono? Possibile che abbiate perduto siffattamente la memoria, messer Antonio, o che io mi sia tanto cambiato da non riconoscere più in me un antico amico?

«A questa parola Nariccia diede in un soprassalto, e uno de' suoi occhi fece scivolare uno sguardo verso di me, che tutto stupito di codesto stavo a guardare a bocca larga colla penna in mano.

« – Sono Graffigna, continuava quell'altro con accento e con sorriso ironici, e se volete che aiuti un poco la vostra memoria…

« – No, no: interruppe affrettatamente Nariccia, dando alla sua fisionomia l'ipocrita mansuetudine che soleva portarvi stampata su per maschera. Non vi avevo di subito ravvisato. È tanto tempo che non vi ho visto!..

« – Ma! Esclamò Graffigna con un dolentissimo sospiro. Non è la mia volontà che m'abbia tenuto lontano da voi sì a lungo. Sono le circostanze; è quel maledetto destino che non cessa di perseguitarmi, sapete. La calunnia si accanisce dietro di me e la persecuzione non si stanca mai contro questo povero diavolo. Ultimamente ancora, figuratevi che venni accusato…

«Nariccia lo interruppe di nuovo con sollecita premura:

« – Aspettate, venite qui, sedete, discorreremo più a bell'agio delle cose vostre.

«Poi si rivolse a me e mi disse con insolita dolcezza:

« – Andate da Dorotea, Tognino; può essere ch'ell'abbia bisogno di venire aiutata in qualche cosa. E vi riposerete anche un poco dal lavorare al tavolino.

«Uscii molto volentieri, perchè, oltre il resto, la presenza di Graffigna mi era supremamente impacciosa; invece di recarmi in cucina da Dorotea, fui nella mia cameretta intorno ai miei libri.

«Graffigna mi aveva egli riconosciuto? Avrei detto di no, avrei detto ch'egli non mi avesse neppur scorto, o quanto meno dato non mi avesse alcuna attenzione, se nel momento appunto in cui uscivo dalla stanza non mi avesse scoccato ratto e di sottecchi uno sguardo in cui c'era come un saluto, come una segreta intelligenza, come un segno di convenzione.

«Per un poco non potei attendere alla mia diletta lettura a cagione dell'ansietà in cui ero posto dal timore che Graffigna dicesse al mio padrone chi fossi e dove mi avesse conosciuto; poi, secondo il solito, lo studio prese tutta l'anima mia, e non badai più e non pensai più ad altro.

«Quando cessai, già stanco dallo studiare, mi stupii che tanto tempo di libertà mi fosse stato lasciato, senza venirmi ad interrompere, ed uscii dal mio stanzino assai peritoso. Nariccia era andato fuor di casa ned era ancora tornato. Dorotea impaziente ed inquieta, brontolava che il pranzo pel troppo ritardo andava a male.

«Il padrone rientrò con faccia evidentemente preoccupata, non mangiò nulla, non aprì bocca neppure per rispondere alle interrogazioni di Dorotea, e fu sollecito a ritrarsi nella sua camera.

«Due giorni dopo ricorreva la domenica. Nella mattina io aveva un'ora di libertà per andare a messa, e ne profittavo sempre per recarmi fuori porta a respirare un po' d'aria libera.

«Quel giorno appena fui sotto i viali di porta Susa, udii dietro me il passo d'un uomo che pareva affrettarsi sulle mie peste; mi rivolsi a guardare, e vidi con isgradita sorpresa Graffigna, il quale mi fece segno lo attendessi e camminava ratto per raggiungermi. Lo avrei evitato molto volentieri; mi venne in mente di correr via per isfuggirlo; ma in un attimo egli mi fu accosto e mi prese famigliarmente pel braccio.

« – Buon giorno, caro figliuolo, mi disse. Ho tanto piacere di vedervi; il diavolo mi porti, che sono stato più di un'ora stamattina alla porta della casa di Nariccia, aspettando che ne usciste. Non vi ho voluto fermare per le strade e per non darvi suggezione, e per prudenza; ma quando vi ho visto venir fuori di città, ho detto: bene! Giusto quello che ci vuole. Qui si può discorrere senza che vi sia un orecchio di troppo ad ascoltare.

«Prese a camminarmi accosto, avviandoci giù per lo stradale di Rivoli.

« – Misericordia! Come siete gramo, mio povero Maurilio; riprese egli a dire. Pare che viviate di lucertole e di brodo di malva. Quel caro messer Nariccia, birbone matricolato, brav'uomo d'un avaro degno della galera, che leverebbe la pelle ad una pulce, vi fa patir della fame, ci scommetto. Eh! lo conosco da un pezzo io. Sono sicuro che questa mattina non avete ancora fatto colazione. Lo si vede chiaro su quella vostra bella faccia verde da minchione intisichito. Buono! Graffigna è un amico, sapete! C'è in questi dintorni una spelonca di bettolaccia che è la migliore del mondo, in cui uno scellerato di taverniere, mio buon amico, avvelena la gente nel modo più squisito del mondo. Venite meco che ci mangieremo una fetta di eccellente salame e due peperoni coll'olio che vi dico io!..

 

«Me ne scusai a gran pena. Quando vide che non poteva trarmi dov'egli voleva, Graffigna disse:

« – Ebbene, pazienza, discorreremo all'aria aperta. Si tratta del vostro interesse. Io sento, in fede di galantuomo, che il boia mi strozzi, una viva sollecitudine de' fatti vostri. Che bella vita è quella che vi tocca con quell'animale d'un usuraio, mio buon amico, ladro, impostore che vorrei vedere affogato nella pece bollente! Vi fa lavorare da un'alba all'altra quel cane e vi mantien magro come siete, e vi veste di questa bella guisa da farvi suonar le tabelle dietro, e sono più di certo che non vi lascia veder mai la croce d'una mezza muta. Ditemi un po' se la sbaglio.

«Non potei a meno di consentire che tutto codesto era vero.

«Graffigna strinse il pugno e lo levò con atto di minaccia verso il cielo.

« – Uh! appenderlo per la gola e poi dargli da bere. Gli è proprio un ingrataccio scellerato quel caro uomo che merita non so che cosa. E a me sapete che cosa ha fatto, a me che sono suo amico da vent'anni, a me che, non fo per dire, ma gli ho resi dei bei servigi, e sono stato causa ch'ei guadagnasse delle rotonde sommette di denaro? A me che, come sapete anche voi, ho avuto delle disgrazie, a me che esco di carcere pulito e liscio come un soldo frusto, egli ha il coraggio di rispondere che non può dare nè far nulla a mio vantaggio, e poichè io mi credo in diritto di ricordargliene alcune delle cagioni per cui mi dovrebbe essere riconoscente, sto birbone va dal commissario Tofi e mi denunzia come un individuo pericoloso che gli ha fatto delle minacce e che merita di essere sorvegliato da quella p… invenzione che è la polizia. A me Graffigna se ne fanno di queste! Buono! Me la sono appiccata qui all'orecchia e tosto o tardi glie la farò pagare. Se fosse tosto mi piacerebbe tanto di meglio, ma se avessi ad aspettare ei non ci perderebbe nulla per questo, che vorrei dargliene il capitale coll'usura, usuraio che egli è appunto! Or dunque voi, giovinotto, potreste servirmi appuntino nei miei disegni, e fareste con un colpo un fatto e due servizi, perchè contentereste me ed aggiustereste nello stesso tempo i fatti vostri di guisa che non avreste mai più freddo ai piedi e vi impipereste di quanti sono al mondo.

« – Io? Che cosa c'entro io? Domandai, non comprendendo affatto le intenzioni di Graffigna.

« – Voi, sicuro. Egli rispose. Prima di tutto, mio caro ragazzo, se non siete proprio quel babbuino di cui avete l'aria, dovete rendervi conto della condizione in cui vi trovate. Nariccia vi tiene a rosicchiar le croste del suo pane, perchè non sa che siete stato in prigione. Lo sappia stassera, e domani voi siete messo bravamente sul lastrico con un caritatevole calcio dove m'intendo io. Vi converrebbe imbrogliar qualchedun altro perchè vi prendesse seco, per vedervene mandato via con quel medesimo garbo il primo momento ch'egli apprendesse il vostro passato. Ad un miseruzzo che si presenta colla vostra figura, coi vostri panni per guadagnarsi un tozzo di pane, tutti domandano donde viene, che ha fatto, che cos'è, e via dicendo. Ad un messere che comparisca vestito da milorde, colla borsa piena d'oro, nessuno cerca altro più per inchinarlo, riverirlo e stimarlo il più rispettabile uomo del mondo. Perchè dunque vorreste ostinarvi a far la brutta figura e crepar di miseria, mentre non avreste che ad allungar la mano e procacciarvi la più agiata esistenza?

«Io feci un movimento di stupore, e fors'anco di curiosità. Egli mi strinse forte il braccio e continuò, abbassando la voce, ma con molta forza nell'accento:

« – Sì, carissimo amico, stupido come un orciuolo, che il fistolo vi colga. Niente altro che allungar la mano. Ma non sapete voi che dietro quel cancello di ferro, in quella cassa-forte, in presenza della quale voi poverino, tòcco d'imbecille che Dio vi benedica, vi state sciupando gli occhi e la vita per guadagnarvi tanto da non morire di fame, colà vi stanno rammontati a centinaia di migliaia i marenghini? Or bene, è la cosa più semplice del mondo. Io vi do quattro pezzetti di cera: voi, un bel momento che vi trovate solo in quell'antro, applicate discretamente questi pezzi di cera alle serrature dell'uscio del cancello di ferro… non dico alla cassa-forte, perchè avrei alcuni bravi amici, fior di gente, che verrebbero ad aiutarmi e senza tanti discorsi, per guadagnar tempo, se la porterebbero via in ispalla come un cuscino di piume! Poi date a me le impronte, ed io in pochi giorni ho le mie brave chiavi, per cui entro, e faccio, e dispongo, e porto a cambiar aria il tesoro di Nariccia…

«Io feci a liberarmi dalla mano di quel scellerato che mi teneva ancora pel braccio, e volli allontanarmi da lui.

« – Oh non c'è da aver pure un'ombra di paura: egli soggiunse interpretando in un altro senso il mio movimento di disgusto e d'orrore. Graffigna è prudente: sa disporre le cose, e non lascia nessuno de' suoi amici nelle peste. Voi, mio bell'angioletto da f… dopo che ci avreste aiutati nell'opera, verreste con noi, piglieremmo tutti il volo che nessuno dei segugi della polizia, per quanto di naso fino, potrebbe averne pure il minimo sentore; avreste la vostra buona porzione da vivere da signore in altro paese, e chi s'è visto si è visto.

«Io lo respinsi da me con disdegno.

« – Sciagurato, esclamai, per chi mi prendete? Ringraziate che qui non c'è anima viva; se fossimo in città, griderei al ladro per farvi arrestare.

« – Oh oh! Diss'egli con ironia. Che virtù delle mie ciabatte, caro il mio santino d'un maccherone! Ne ho sentito dei panegirici di santi meravigliosi, ma un tanto esempio di virtù non ci fu ancora mai! Bravo! Pensate che il vostro rifiuto vi può far mettere alla porta da Nariccia senza che abbiate più altro mezzo di sussistenza.

« – Come?

« – Una lettera anonima che dicesse a Nariccia: badate che quel vostro miseruzzo di segretario è un galantuomo di ladroncello uscito dalle carceri…

« – E voi scriverete questa lettera?

« – Se rifiutate di assecondarmi, certo che sì.

«Stetti un momento in silenzio, non perchè fossi dubbioso o perplesso, ma perchè la tristizia di quell'uomo mi gettava in una dolorosa attonitaggine.

« – Fate pure quello che credete contro di me: gli dissi poscia fermandomi sui due piedi; ma qualunque minaccia anche più terribile di questa, non m'indurrà mai a fallire all'onestà.

«Egli accennò voler parlare, ma io non gli lasciai pronunziare parola.

« – Ora basta. Esclamai con forza. Vi ho già dato retta di troppo; di troppo già ho tollerato la vostra compagnia. Lasciatemi, lo voglio, ve l'impongo!

«L'aspetto e l'accento dovettero avere in me una certa nuova autorevolezza onde quello sciagurato fu come sovraccolto. Mi guardò un poco ma fu costretto a chinare innanzi ai miei quei suoi piccoli occhi affondati; esitò un istante, e poi si decise ad allontanarsi.

« – Come volete: diss'egli: eccelso stupido che siete, caro figliuolo che la peste vi affoghi! Il colpo si farà lo stesso e voi avrete il gran merito di non avere neppure un da due denari. Così la vostra eroica virtù sarà contenta… Ma andate pur là che un giorno o l'altro la fame e il bisogno di ogni cosa vi faranno cascare, e invece di aver per primo un bel colpo, come quello che vi propongo io, mercè cui sareste colla pignatta provveduta per tanto tempo, sarete costretto a qualche miserabile ladroncelleria che vi manderà a marcire in prigione in causa di un tozzo di pane. Fate a vostro modo: vi lascio e non vi dico più nulla: ma vi pentirete, ne sono certo, e vi rincrescerà all'anima di avermi oggi risposto a questo modo.