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Blues e Magia


Blues e Magia nera. Se ne parla tanto, a volte in modo inesatto, a volte ripercorrendo la strada già tracciata ai tempi in cui agli schiavi ne era vietata la pratica definita malefica, e fissata nell’immaginario collettivo grazie al libro del 1884 Haiti or the black Republic, scritto da S. St John, che descriveva il voodoo come culto oscuro e lo legava indissolubilmente al Blues. In realtà di oscuro nel blues c’è solo il ricordo della patria perduta, il famoso ”ritorno a casa” che avviene ( perché solo lì può avvenire) in una dimensione spirituale, e c’è il dolore della schiavitù che tuttavia non ha annullato nell’ Afro-Americano l’orgoglio delle proprie radici. Lo schiavo, anche nelle condizioni più disperate, non ha mai smesso di essere figlio della propria patria. Ed è riuscito a mantenere vivo il legame con essa grazie alle poche armi con cui è salito sulle navi negriere, cioè la sua musica e la sua religione. Due armi ”nude” eppure infallibili, in quanto profondamente e indissolubilmente radicate in ogni individuo.

L’Africa è un continente dagli ampi spazi che l’uomo, unicamente con le sue forze fisiche, non può percorrere da solo. Ai tempi in cui lo schiavismo moderno fu legalizzato, nel 1510, distanze enormi separavano i piccoli villaggi e ogni uomo era solo a lottare con il volere del cielo. Perfettamente integrato nel suo piccolo universo l’Africano viveva in stretta simbiosi con tutti gli elementi della natura, a cui riconosceva una specifica identità. Ogni cosa aveva un’anima, il vento, l’acqua od un semplice sasso; in questo contesto l’uomo era soltanto UNA delle tante cose che costituivano il mondo, né migliore né peggiore delle altre. La possibilità di sopravvivenza era quindi determinata dal rispetto verso ogni forma vivente e dalla eventuale comunicazione che poteva stabilirsi con essa.

L’idea di un eventuale Dio Creatore nell' Africano è sempre stata molto pallida, rispetto al credo Europeo. Egli concepiva Dio non come un Essere Supremo presente e attivo nella vita terrena bensì come un'Entità astratta e poco definibile, che vive di riflesso nelle sue creature, a cui infonde parte della sua energia. Possederne anche solo una piccola parte era dunque per l’Africano dei villaggi l'unica modalità per dominare le forze della natura e riuscire infine ad elevarsi nel mondo degli Spiriti.

L'espressione più straordinaria dell' Energia è la "vibrazione", che è facilmente percepibile in ogni creatura vivente ma anche negli agenti atmosferici, negli oggetti inanimati e in tutto ciò che i circondai. I rituali Africani, quindi, si basano sull’utilizzo della vibrazione, sulla sua riproduzione attraverso il suono, la ritmica e la parola, e l’incanalamento di essa in oggetti riproducenti nelle fattezze il destinatario della Magia, oppure una sua rappresentazione simbolica.

Lo Sciamano, attraverso la ritmica del tamburo, delle mani o delle stesse voci dei componenti della tribù che partecipavano al Rito, entrava in contatto con l’essenza delle cose per carpirne i segreti e aiutare la sua gente a sopravvivere.

Aiutato da droghe vegetali, che ne alteravano lo stato di coscienza permettendogli di attingere alla parte più profonda dell’anima (ossia al sistema limbico del cervello umano, che controlla l’aspetto emozionale dell’uomo), lo Sciamano ”prevedeva” le gli esiti della caccia, combatteva gli spiriti malvagi che portavano le malattie, e si ingraziava le forze della natura parlandone la stessa lingua.

L’utilizzo del ”feticcio” era quindi strumentale: la riproduzione materiale di ciò che era una forza astrale, che quindi fungeva da catalizzatore di energia. Il feticcio ne assorbiva la potenza, riusciva a mantenerla nel tempo e, adeguatamente trattato, conferiva il suo potere a chi lo possedeva. Un gioco di vibrazioni che non ha nulla a che fare con la cosiddetta ”Magia Nera“.



Maschera Sciamanica Costa d’Avorio, 1700

Fu solo in seguito all' importazione forzata degli schiavi in America che la religione Africana subisce profondi cambiamenti. Una tratta che durò circa quattro secoli e che iniziò per opera dei Portoghesi allo scopo di sostituire la manodopera Africana, più robusta e longeva, a quella Indigena ormai decimata dalle malattie Europee. e dal super lavoro. Le Americhe, infatti, erano ricche di immense piantagioni che richiedevano costantemente manodopera a basso prezzo, e il mercato degli schiavi Africani si rivelò ben presto per tutti un’ attività estremamente redditizia.

Ebbe origine in territori come il Togo, il Ghana, il Benin (ex Dahomey) e la Nigeria, grazie al supporto dei Re locali che si arricchivano sulla pelle dei loro stessi connazionali vendendoli ai negrieri. Primi tra tutti gli AGASOUVI, i famosi Figli della pantera, la cui capostipite, Principessa di Aligbonon, secondo la leggenda si era accoppiata con una pantera. La dinastia era profondamente radicata nel Dahomey e fungeva da governo centrale per tutti i principi e i capo villaggio della zona, imponendo le proprie leggi grazie alle forti tecniche guerriere e, non ultimo, all’ ausilio delle mitiche Amazzoni.


Re del Dahomey, fine 1800



Rara foto di Amazzone

Esse sgozzavano con ferocia qualsiasi nemico, arrivando a strapparne la carne coi denti, ed erano altresì famose perché amavano ”spolpare” i crani dei loro nemici, offrendoli poi in dono agli alti funzionari Europei i quali, chiaramente, ne erano inorriditi. E giacché tutte le compravendite si svolgevano presso il Palazzo Reale dei figli della pantera in Abomey, ecco spiegata l’origine del termine abominio.

Se a ciò aggiungiamo che il trono di Ghezo, Re di Abomey, fino al 1858 poggiava vistosamente su 4 teschi umani… capirete come fosse facile abbinare l’Africa alla magia nera e all’idea del Male!

Altrettanto ”abominevole” era il tipo di pagamento degli schiavi ai re di Dahomey. Questa volta però non sembra che i Governi Europei, tanto facili a inorridire in materia di magia nera e di sacrifici di sangue, ne provassero orrore. Lo storico e scrittore Bruce Chatwin nel suo romanzo Il vicere di Ouidha ha ricostruito gran parte del primo periodo dello schiavismo in America, in particolare quello per opera dei Portoghesi, che usavano corrispondere dei Cipridi ai Re Africani in pagamento per gli schiavi. Si tratta di una sorta di lumache di fiume che prolificano sul fondo fangoso dei fiumi, agendo come naturali spazzini e cibandosi di tutta quella poltiglia di microorganismi dannosi che rendono tossiche le acque. Una moneta preziosa, dunque, per l’Africa da sempre afflitta dal problema della sete, e che vedeva nel guscio di queste creature non solo moneta corrente ma anche talismano propiziatorio. Purtroppo questi gasteropodi sono estremamente aggressivi e…carnivori, ghiotti di tessuti molli e spugnosi tipici dei mammiferi, per cui la loro cattura in acqua risultava assai problematica. Il Mississippi tuttavia ne era pieno, per cui i negrieri escogitarono un modo molto economico per pagare gli schiavi ai Re: sceglievano uno schiavo, gli legavano mani e piedi e lo buttavano in acqua a testa in giù. In tal modo i cipridi gli si attaccavano addosso e, mentre mangiavano vivo lo sventurato partendo dagli appetitosi occhi e dalla bocca, potevano facilmente essere tratti in secca e chiusi in bolle di vetro, e infine offerti in pagamento per gli schiavi. Il prezzo naturalmente variava a seconda della richiesta, ma in generale per ogni lumaca era facile ottenere almeno 10 individui in buona salute.


Mercato degli schiavi, fine 1700

Comprenderete dunque ”la forza del ricordo“ che ha sempre gonfiato le acque del Mississippi nell’ anima dell’Afro-Americano. Il luogo dell’olocausto diviene fulcro dell’identità dello schiavo, con doppia valenza: il dolore dell’ingiustizia e il desiderio di rivalsa. Quando si dice che il Blues è nato sul delta del Mississippi non si fa riferimento al solo elemento geografico, ma al culto della memoria che la Black People ha elaborato nei secoli. Ogni vittima del sacrificio si tramuta in un Dio che ha perduto la luminosità originaria e non alberga più nei cieli. Gli Dei degli schiavi divengono oscuri e minacciosi e l’acqua, da sempre portatrice di vita, si tramuta per l' Afro-Americano in una tomba fangosa.


Papa Legba Africano


Eppure, queste povere anime trasformate in Dei sono facili da raggiungere: essendo state una volta uomini conoscono le difficoltà dell’esistenza, e possono comprenderne i bisogni. Tuttavia la loro morte dolorosa le ha private del balsamo del perdono e sono divenute ostili nei confronti dell’umanità. Il loro potere è enorme, superiore perfino a quello degli Dei della luce, in quanto non conoscono limiti e non sono ostacolate da alcun senso di Giustizia. Esse rappresentano il vero ponte tra questa dimensione e quella ultraterrena, e solo tramite il loro aiuto è possibile ottenere favori.

 

Così nel pantheon degli Dei Africani, in genere legati alle forze benefiche della natura, si inseriscono terribili creature, gli EXU’ della Nuova Terra, raffigurate come ominidi armati di pala (la stessa con cui gli schiavi venivano recuperati dal Mississippi dopo il sacrificio delle cipridi) e conchiglie al posto degli occhi e della bocca.

Questi Dei feroci che non avevano ancora perso la nostalgia della dimensione terrena, venivano lusingati con doni molto semplici, ma non certo alla portata degli schiavi, come alcool, galline e sigari.


Un Papa Legba della religione voodoo. Dahomey, fine 1700

Non avendo ricevuto degna sepoltura, era facile richiamarli in luoghi silenziosi legati alla morte: cimiteri chiaramente, ma anche campi di grano, vecchie mura diroccate e lì dove si erano svolte esecuzioni capitali. I Rituali invece si svolgevano nei crocicchi, a rappresentare il punto di intersezione tra la dimensione umana e quella ultraterrena.

E' ciò che diverrà iconografia classica non solo del voodoo ma anche del Blues delle origini.

Signore dei crocicchi e padre di tutti i nuovi Exù era il temuto PAPA LEGBA, una figura emblematica già presente nella tradizione Africana, ma il cui significato originario di Luce portatrice di vita viene stravolto, fino ad assumere sembianze maligne e legate alla stregoneria. Erroneamente confuso con il Lucifero Cristiano, Papa Legba divenne l’elemento scatenante della feroce repressione nei confronti dei culti Africani e della musica che li celebrava, prima tra tutte il Blues. Molte canzoni del blues originario parlano esplicitamente di pratiche magiche e di possessioni demoniache. Vi ho già espresso le condizioni di degrado in cui vivevano gli schiavi, durante ma anche dopo la guerra di secessione. Il “To have the blue devils” che ha dato origine poi al termine BLUES è un mirabile modo per esprimere una condizione dell’ anima rintracciabile in tutti i bluesman dell’ epoca.

Il colore blue nella lingua inglese indica uno stato di sofferenza, di malinconia e di profondo disagio esistenziale; ma l’associazione al termine ”devil” (diavolo) ne amplifica le suggestioni, le lega al Male, rendendo doppiamente viva l’ immagine che ne scaturisce.

Il Blues NON è canto di rassegnazione ma di rabbia. NON è solo disperazione ma ansia di reazione.. Le famose NOTE BLUES (la III, la V e la VII della scala maggiore) che vengono abbassate di un semitono rendendo l'armonia leggermente calante, creano appositamente un’ atmosfera di luci e di ombre che fanno di ogni canzone un brano ”in divenire“, un' immagine proiettata nel futuro, un' attesa in musica di ”ciò che avverrà”, un futuro possibile in cui tutto sarà diverso. La cosiddetta FINE DEL TUNNEL, per essere chiari.

Il rifugiarsi nel talismano catalizzatore di energia e nella pratica magica, motivo dominante del primo blues, non è solo retaggio della cultura Africana ma un tentativo efficace di riversare il dolore dell’anima nell’oggetto catalizzatore, che potrà concedere al cantore la forza necessaria per vivere. Essa verrà fuori direttamente dall’oscurità, dagli abissi delle acque del Mississippi e dagli Dei limacciosi che la abitano, per portare la LUCE. Pregare Il diavolo equivale quindi a servirsi di lui per ottenere giustizia, poiché alla fine della notte c’è sempre il giorno, e in ogni piega del Male si nasconde il calore del Bene.


Satanizzazione di Papa Legba

I riferimenti alla Magia, bianca o nera, del primo blues si sprecano. Dalla figura emblematica dell’HOOCHIE COOCHIE MAN di Willie Dixon, l’eremita e stregone portatore della buona quanto della cattiva sorte, ai crocicchi di Robert Johnson, alle citazioni specifiche del ”lavoro con polveri magiche” di Muddy Waters, il Blues elargisce a piene mani i significati profondi della propria cultura. A conferma di ciò vi cito solo alcune delle frasi più indicative di famosi brani musicali. Partiamo dall' intramontabile Bessie Smith. Impensabile che anche nel Blues di città si alludesse alla magia nera? Niente affatto. Ecco cosa dice Bessie in Blue spirit Blues.

The devil came and grabbed my hand

Took me way down to that red hot land…

Mean blue spirits stuck their forks in me

Demons wid their eyelids dripping blood.

Il diavolo è arrivato e mi ha preso per mano

E mi ha portato in quel luogo così rosso e caldo

Turpi spiriti blu mi infilzavano con le loro forche

Demoni sprizzavano sangue dalle palpebre.

Questo invece è Robert Johnson in Hellhound on my trail di qualche anno dopo.

I got to keep movin’,

I got to keep movin’

There’s a hellhound on my trail.

Mi devo muovere, mi devo muovere,

C’è un cane infernale sulle mie tracce.

Per non parlare del termine ”MOJO” che troviamo praticamente in TUTTE le canzoni del primo Blues. Si tratta di un sacchetto di polveri magiche costituite da varie erbe afrodisiache ma soprattutto dal famoso John the Conqueror, un tubero di bosco che concede potenza fisica a chi lo possiede. E che dire dell’altrettanto famoso "black cat bone", un osso di gatto nero offerto in sacrificio al Dio dei crocicchi che, messo sotto la lingua, conferirebbe il dono dell’ invisibilità?


Evidente Americanizzazione di Papa Legba

Furono proprio l’esplicitazione delle pratiche magiche mescolate ai riferimenti satanici e sessuali a rendere inviso il Blues ai bianchi quanto ai neri, maledetto dalle Chiese e dalle masse, a far ripiombare i primi Bluesmen nel fango delle paludi da cui erano venuti….

Il cammino del Blues
Dal Delta alle grandi etichette discografiche


Il Blues non è solo musica viscerale. E’ un riflesso dell’ anima sulla solitudine della vita, è il grido di liberazione di un popolo vessato che ha saputo riscattarsi dalla schiavitù, ma soprattutto è l’odore della Nuova Era che si leva dalle paludi del Mississippi. Erroneamente considerato musica ripetitiva, di schema minimalista e poco armoniosa. ”Fare Blues” è un’arte per pochi.

Simile all’acqua del fiume dal quale si origina, questo genere musicale, esattamente come l’acqua, prende la forma dell’ambiente circostante, adattandosi pienamente agli usi e costumi del luogo pur mantenendo intatta la sua anima originaria.

I primi musicisti Blues, i famosi BLUESMAN ”brutti sporchi e cattivi” non avevano armi per esprimersi, se non un rudimentale strumento allestito artigianalmente col materiale che riuscivano a trovare, e la propria voce; in ciò esistono delle affinità con la musica di altri disperati, i cowboys. Tuttavia le similitudini finiscono qua: se li paragoniamo tra loro, ci rendiamo subito conto che tra questi due generi musicali non c’è altro aggancio se non quello di utilizzare chitarra e voce o chitarra e armonica.

Ciò che li separa NON E’ il senso di degrado che li accompagna, NON E’ la cultura Afro od Europea e NON E’ nemmeno il colore della pelle. I Cowboys, i Ramblers e i Bluesmen sono tutte persone sole, che esprimono attraverso la musica il proprio mal vivere e la rabbia dell’alienazione. Ma, se il cowboy e il rambler appoggiano la propria malinconia agli echi del passato Europeo che risuona nelle melodie Old Time, nel Bluesman si assiste ad un fenomeno che non ha precedenti nella storia: privato anche del ricordo delle proprie tradizioni egli riesce a costruire per se stesso una identità NUOVA, che tuttavia rimane istintivamente Africana .

Nato nel Nuovo Continente, lo schiavo Africano conia una musica con riflessi ATAVICI, ANIMISTI e SCIAMANICI che tuttavia si proietta inconsapevolmente verso il futuro, utilizzando un gioco di vibrazioni e suggestioni che si legano perfettamente alle tradizioni del proprio popolo, malgrado egli non le conosca affatto. Gli ideali di uguaglianza, liberazione e indipendenza saranno poi elementi costanti del Blues, rappresentativi di un punto di svolta non solo per l' Afro-Americano ma per l' intera America.


Sulle rive del Mississippi. Schiavi liberati,1875.

E, come la storia rivela che l’Adamo della Bibbia era nero di pelle, risulta ormai chiaro che la prima grande musica dell’Era MODERNA è Africana.

Il grande fiume è fangoso; le sue acque spesso sono vortici e rapide cascate, che a tratti si mutano in burrascosi torrenti. Poi scende a valle e finalmente si ferma, rendendo limpida l’onda prima nerastra.

Così è il Blues. Un giro di accordi dai forti accenti ritmici che si gonfia in un urlo e si spegne in un sussurro, straziato in stanche dissonanze o rianimato dal vibrare della voce. L’ emblema di un popolo che rimane sempre se stesso ma che pure assorbe l'anima dell'ambiente in cui vive.

Tecnicamente il Blues è costituito da 12 loops che si ripetono per l’ intera melodia, con un tempo di 6/8 0 12/8 battute in terzine.. ma in pratica NON HA regole fisse ed è un genere musicale assolutamente INDETERMINATO. Questo perché, parlando a livello tecnico, se lo si suona in Maggiore non si ha MAI la sensazione netta dell’accordo, ma a volte anzi sembra di suonarlo in MINORE, la nota ci appare IMPRECISA e dallo sgradevole effetto calante. Ciò è in parte vero.

La famosa scala Blues, che ne è l' elemento caratteristico, viene in effetti suonata in Minore ma utilizza ANCHE la scala pentatonica Maggiore, che viene PRIVATA della sua componente armonica naturale. Per esprimere in parole povere il concetto, esistono nel Blues delle note ”non centrate” ma leggermente calanti le quali, pur arrivando alla melodia precisa, lo fanno ”con qualche esitazione”.

Ne consegue che la melodia risulterà non immediata ma, leggermente rallentata, e non orecchiabilissima. Per questo ”fare un buon blues ” dipenderà dalla gamma di variazioni che si utilizzeranno, dal gioco della voce e dal sapiente utilizzo della scala pentatonica maggiore, cioè quella classica, che andrà a riempire armonicamente quegli spazi un po’ cacofonici

Sembra difficile? Beh, LO E’.

Il Blues delle origini è sicuramente ”brutto, sgraziato e asincrono“; tuttavia era in grado di parlare alla gente. Si dice che sia nato sul delta del Mississippi e sicuramente, quando l’industria discografica l’ ha ”scoperto”, accaparrandosene i diritti e facendoci una banca di denaro, i neri lo cantavano già da tempo.

Se si parla del delta si deve parlare del Tennessee, di Memphis e di Vicksburg, che furono le prime terre conquistate e abitate dagli Spagnoli e poi dai coloni Inglesi, o ancor di più la zona delle antiche piantagioni, Bolivar, Cohaoma, Issaquena, Warren, Washington e Yazoo, dove la mescolanza tra Europei e Afro-Americani era più antica ed evidente. Nel 1850 tale zona contava una popolazione di 51.847 abitanti suddivisa tra 13.153. bianchi e …38.711 schiavi neri! Le piantagioni, con annesse farms, erano 306.000.

Tutta questa gente viveva in un angusto ma stabile equilibrio: gli schiavi erano ormai…di casa in America e, benché i padroni mantenessero su di loro il diritto di vita o di morte, i tentativi di fuga erano rarissimi e le condizioni di vita decisamente migliori di quelle che saranno solo 20 anni dopo, con la fine della guerra di secessione.

Dopo la lunga giornata di lavoro allo schiavo veniva permesso di sfogarsi con la musica. Vietata definitivamente la pratica del tamburo, dato il suo possibile utilizzo come arma di sovversione e di rivolta, ai figli d’Africa restava la possibilità di utilizzare o costruirsi strumenti personalizzati, in genere a fiato o a corde.


Cigar box dei primi del ‘900

 

Pochi fortunati riuscivano ad acquistarne qualcuno, in genere violini, halam e banjo con i quali spesso allietavano le serate danzanti dei padroni.

Tuttavia costruirsi uno strumento a corde con striscioline di budella di animali era abbastanza facile. IN seguito, a questi strumenti rudimentali si aggiunsero le JUGS, bottiglioni dal grosso collo entro cui si soffiava, e anche semplici arnesi di utilizzo comune, come le assi di legno per lavare i panni. La chitarra sarebbe arrivata solo molto dopo, con gli immigrati Spagnoli e le prime ferrovie. Essendo molto costosa e difficile da procurarsi gli schiavi puntarono a dei suoi surrogati costruiti con materiali di recupero, come ad esempio…le scatole di sigari! Le CIGAR BOX GUITARS, imperversarono per vari decenni in tutti gli Stati Uniti del Sud e di loro non si è affatto spenta la tradizione. Pensate che ancora oggi a LOUISVILLE, nel Kentucky, ogni anno si celebra il CIGAR BOX GUITARS FESTIVAL che accoglie musicisti professionisti e non da ogni parte del mondo per sfidarsi a suon…di sigari! Ma già così il primo Blues è una scala pentatonica, con note appiattite e uso del vibrato, grida parossistiche e ritmi sincopati in grado di ”adattarsi” anche alle fini orecchie dei padroni Inglesi e Scozzesi che, d’altra parte, amavano ascoltare i loro schiavi suonare. Miscelandosi alle suggestioni dei canti Spirituals, al lamento degli Hollers e passando indenni attraverso le Work Songs, il Blues delle origini si eleva poi con ”la Liberazione” della Guerra Civile. Sbandati, costretti a emigrare nelle paludi da bonificare o assorbiti al nord nel duro lavoro delle Ferrovie, gli ex schiavi si trovano a respirare la stessa aria degli emigrati Bianchi, i ”pezzenti tra i pezzenti”, dai quali imparano a suonare la chitarra o l’armonica a bocca. Altri, più fortunati, incontrano il balsamo della religione Cristiana, ne intuiscono il forte potere liberatorio e la integrano con le superstizioni Africane.

Assistiamo quindi, tra il 1860 e il 1890 alla famosa ”spaccatura del Blues” che, sulle medesime sponde del Mississippi, da un lato affonda nelle paludi e dall’ altro sale al Paradiso…


Una nascente Chicago del 1886.

Nel Blues l’utilizzo dell’armonica arrivò intorno agli inizi del ‘900 come appendice” della voce umana, prendendo spunto direttamente dalle tradizioni del Delta e passando poi attraverso gli influssi degli emigrati che venivano dall’ Europa. Gli Spagnoli avevano già introdotto la chitarra che, come abbiamo visto, veniva reinterpretata in chiave artigianale con degli scatoli di sigari. Questo perché l’armonia della vibrazione, che si poteva ottenere facilmente con gli strumenti a corde, è sempre stato elemento basilare della tradizione musicale Afro-Americana. Inizialmente ”musica da strada” o ”da lavoro” in quanto accompagnava le ore di solitudine dei neri che emigravano a nord nel periodo immediatamente precedente al Proibizionismo, divenne poi affare commerciale di altissimo livello per le nascenti etichette discografiche, che vedevano nella nuova musica la possibilità di espandersi oltreoceano con una spesa irrisoria. Tecnicamente parlando, lo Chicago Blues è forse uno dei più plastici e gradevoli, grazie alla vasta gamma di possibilità stilistiche che permette e alla successiva introduzione di numerosi strumenti musicali. C’è chi lo definisce un primo abbozzo del jazz…ma io non concordo pienamente.

E’ vero che, rispetto al primo Blues, qui l’utilizzo della scala maggiore è evidente, ed è anche vero che l’ utilizzo anche di strumenti a fiato gli conferiscono un suono più caldo tipicamente da orchestra, ma l’approccio viscerale viene mantenuto se non addirittura amplificato dalle note stridenti dell’armonica prima e dal famoso ”rotolamento” poi, una tecnica oscillatoria e prevalentemente ritmica che ispirò i musicisti Anglosassoni e il successivo Rock’n Roll.


Stringband Chicago, 1900

Se si fa un discorso puramente cronologico possiamo riconoscere nello Chicago Blues due periodi di fondamentale importanza, a cavallo tra le due guerre mondiali.

Il primo, quello di cui sto parlando e che vide l’esplosione delle etichette discografiche, è forse il più puro e legato alla tradizione Afro. L’utilizzo dell’armonica e degli strumenti di fabbricazione casalinga che lo contraddistinguono rimangono l’espressione più autentica di questo “canto dell’anima“ che solo in seguito, sulla spinta dei mercati economici che lo inghiottirono, si commercializzò assumendo connotati Europei ed Urbani. Intorno al 1950, infine, l'uso della chitarra elettrica e l’amplificazione e la correzione manuale del suono asciutto dell’armonica, lo defraudarono della originaria visceralità, rendendolo fenomeno di costume e quindi più adatto al pubblico.


Emigranti, primi del ‘900

Quando i primi neri arrivarono a Chicago si trovarono in una città in pieno sviluppo. Nata per accogliere i ricchi Europei, Chicago in seguito si spaccò in due, concedendo ai nuovi immigrati ”bevitori e puzzolenti” di installarsi nella parte sud meno servita e in certo senso porto di sbarco degli ex schiavi. D’altra parte Chicago era costretta ad assorbire quanta più manovalanza possibile, dato lo sviluppo crescente delle industrie e la costruzione incessante delle ferrovie. Il lavoratore nero, o anche Irlandese, Spagnolo e Italiano, arrivava nelle fabbriche facendosi a piedi mezza città ma portandosi appresso sempre la sua armonica, che gli faceva compagnia nella breve pausa tra un turno e l’altro. A dispetto di ciò che si crede, tra i lavoratori neri finalmente affrancati dalla schiavitù non esisteva capacità di coesione, e l 'operaio Afro-Americano era solo.

L' isolamento e la separazione tra le razze era in parte favorita dagli stessi datori di lavoro, sulla scia delle nascenti Leggi segregazioniste, e in parte auspicata dallo stesso Bluesman, un individuo ormai disadattato e incline alla solitudine. Durante la pausa pranzo, quindi, si formavano spontaneamente gruppetti isolati di lavoratori: Afro-Americani, Inglesi, Irlandesi, qualche Olandese e gli Italiani. Altri gruppi di Europei costituivano ulteriore minoranza, come Francesi e Spagnoli. Ancora più isolati i Messicani, i Nativi Pellerossa e rarissimi Indiani. Per tirarsi un po' su il morale tutta questa gente faceva musica: cominciavano gli Irlandesi con le loro ballate, seguivano gli Italiani con le canzoni natie ma gli Spagnoli tenevano banco con le loro chitarre. L' Afro-Americano con l’ armonica non era da meno. Tuttavia la musica non fungeva da collante sociale ma anzi stimolava litigi e minacce che si tramutavano non di rado in sfide musicali, le quali assorbivano e mescolavano le suggestioni dei vari gruppi, dando origine a stili e variazioni di grande impatto sonoro, che gli Afro-Americani riuscivano a riproporre in chiave decisamente originale. Queste gare improvvisate attirarono ben presto l' attenzione di commercianti e uomini d'affari che bazzicavano le fabbriche, i quali presero a organizzare le attività musicali degli operai. Molti di loro gestivano o avevano rapporti diretti con le giovani etichette discografiche; l' interesse per la nuova musica Afro, che fondeva voce e armonica con rabbia e dolore, divenne palpabile tra i bianchi. D’altra parte Chicago si stava riempiendo di Blues. Ad ogni angolo di strada gruppetti di musicisti improvvisati cercavano di sbarcare il lunario offrendo ai passanti la propria arte. La maggior parte erano Afro-Americani che dormivano sui marciapiedi e facevano letteralmente la fame. Benché le porte della Grande Città fossero aperte, infatti, non c’era lavoro per tutti. Agli inizi degli anni ’20 il sovraffollamento era ormai evidente.


Chicago cambiava a vista d’occhio. Qui nel 1928


E qui come appare solo due anni dopo, nel 1930!

Per fortuna la nuova musica cominciò a girare: inizialmente ospitata nei numerosissimi Club Afro di cui Chicago era piena e disdegnata dal pubblico bianco, in seguito alla sua commercializzazione da parte delle grandi case discografiche divenne la moda del momento e…grande affare per pochi. Diciamo che lo Chicago Blues più che fenomeno di massa fu soprattutto una miniera d’oro per le etichette, che fiorirono e ingrassarono grazie all’ ispirazione di musicisti poverissimi e sconosciuti, che venivano risarciti con pochi spiccioli per l' acquisto in blocco delle loro incisioni. Queste divenivano proprietà esclusiva e patrimonio multimiliardario dei produttori. Anche se moltissimi furono gli interpreti di colore dello Chicago Blues, tuttavia NESSUNO di loro si arricchì mai e anzi quasi tutti morirono nella più squallida miseria. Un fenomeno generalizzato per tutta la musica Afro-Americana che però a Chicago assunse tinte vergognose, viste le cifre astronomiche che incassarono i primi dischi venduti.


Locandina esplicativa dei "miti" del Blues a Chicago e del BOOM della nuova musica. Locandina dei miti del Blues a Chicago e del BOOM della nuova musica.

Una delle primissime e quotatissime etichette fu la BLUEBIRD RECORD, che godeva di un produttore decisamente dinamico, il quale seppe cavalcare la grande l’onda del blues. Sto parlando del mitico LESTER MELROSE che, tra il 1930 e il 1942, riuscì a gestire un monopolio economico multimiliardario, producendo musicisti passati poi alla storia non solo per il Blues ma anche per il nascente R&B e perfino per il Rock’n Roll: ROOSEVELT SKY, TAMPA RED e SONNY BOY WILLIAMSON furono solo alcune delle numerose stars della valente scuderia, che trasformò una piccola casa discografica in un affare faraonico, lasciando dietro di sé un’ impronta denominata appunto Sound Bluebird .