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From the series: Appunti di un Vampiro #9
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Caitlin si diresse alla porta d'ingresso. Per qualche ragione, sentiva che forse Scarlet si trovava lì, ad aspettarla.

Aprì lentamente la pesante porta, guardando all'esterno. Ma il mondo era assolutamente silenzioso. Non c'era anima viva per le strade e nemmeno una sola auto in vista. Tutto ciò che poteva sentire era il verso di un solitario uccello mattutino. Guardò in alto, e vide che era un corvo.

Caitlin sentì un suono improvviso, si voltò e rientrò in casa. Si recò in cucina, cercando dei segnali di qualcuno. Sentì un altro suono metallico, il che la indusse a correre verso la finestra che si apriva nella parete posteriore. Anche lì le tende erano abbassate, il che era strano, perché Caitlin le teneva sempre aperte. Si avvicinò alle tende e tirò la corda.

Non appena lo fece, saltò all'indietro per la paura. Fuori, con il volto schiacciato contro la finestra, c'era il volto bianco, pallido di un vampiro, completamente calvo, con le zanne estese a contatto del vetro. Caitlin vide le sue lunghe unghie gialle.

Si sentì un altro rumore improvviso; Caitlin si voltò di scatto e vide il volto di un altro vampiro alla finestra laterale.

Ci fu il suono di un vetro rotto, lei si voltò dall'altra parte e vide ancora un altro volto: un vampiro infilò la testa nella finestra, ringhiando contro di lei.

Improvvisamente, la sua casa si riempì del suono di vetri rotti. Caitlin corse per la casa, e, ovunque guardasse, le pareti erano diverse da come lei ricordava. Ora erano tutte fatte di finestre e, ovunque guardasse, le tende erano state tirate giù e le finestre distrutte, mentre vampiro dopo vampiro infilando la testa in casa.

Caitlin corse di stanza in stanza, alla porta d'entrata, provando a scappare, mentre sempre più finestre venivano infrante.

Raggiunse la porta d'entrata, la aprì e si fermò.

Lì, ad osservarla, con uno sguardo mortale negli occhi, c'era Scarlet. La ragazza guardò Caitlin, sembrando più morta che viva, completamente pallida; lo sguardo crudele indicava la sua voglia di uccidere. Cosa ancora più scioccante, dietro di lei c'era un esercito di vampiri—migliaia di vampiri. Tutti in attesa di seguirla, di fiondarsi nella casa di Caitlin.

“Scarlet?” lei chiese, sentendo la paura nella sua stessa voce.

Ma prima che potesse reagire, Scarlet fece una smorfia, si piegò all'indietro e puntò a Caitlin, mirando proprio alla sua gola.

Caitlin si svegliò urlando, saltando sulla sedia. Si toccò il collo, massaggiandolo con una mano, mentre con l'altra, provava a scacciare via Scarlet.

“Caitlin? Stai BENE?”

Dopo svariati secondi, Caitlin si calmò, guardò in su e realizzò che non si trattava di Scarlet. Era Sam. All'inizio, era confusa. Poi si rese conto, con enorme sollievo, che stava dormendo0. Era stato solo un incubo.

Caitlin era seduta lì, respirando con affanno. Sopra di lei, c'erano Sam, con una mano sulla sua spalla, visibilmente preoccupato, e Polly. Le lampadine erano accese, e lei vide che fuori era buio. Diede un'occhiata all'orologio a pendolo, e vide che era trascorsa la mezzanotte. Doveva essersi addormentata sulla sedia.

“Stai bene?” Sam le chiese di nuovo.

Adesso Caitlin era imbarazzata. Si tirò su, asciugandosi la fronte.

“Mi spiace di averti svegliata, ma sembrava che stessi avendo un incubo,” Polly aggiunse.

Caitlin si tirò su lentamente, alzandosi e camminando a passo regolare, provando a scuotersi di dosso quella tremenda visione del sogno. Era sembrato così reale, che sentiva quasi il dolore alla gola dove era stata morsa dalla sua stessa figlia.

Ma era stato soltanto un sogno. Lei continuava a ripeterselo. Soltanto un sogno.

“Dov'è Caleb?” lei chiese, ricordando. “Avete saputo qualcosa? Come sono andate le telefonate?”

Le espressioni sui volti di Sam e Polly le comunicarono tutto quello che lei aveva bisogno di sapere.

“Caleb è ancora fuori a cercare,” Sam disse. “L'ho chiamato quasi un'ora fa. E' molto tardi. Ma volevamo tenerti compagnia finché non fosse tornato a casa.”

“Ho chiamato tutti i suoi amici,” Polly intervenne. “Ogni singolo amico. Tutti in pratica. Nessuno ha visto o sentito qualcosa. Erano tutti sorpresi quanto noi. Ho persino chiamato Blake. Ma ha detto che non ha sentito una sola parola da lei. Mi dispiace tanto.”

Caitlin si massaggiò il viso, provando a scrollarsi di dosso le ragnatele. Aveva sperato di scoprire che nulla di tutto ciò fosse reale. Che Scarlet fosse tornata a casa, e fosse al sicuro. Che la vita fosse tornata alla normalità. Ma vedere Sam e Polly lì, a casa sua, con l'espressione preoccupata, dopo mezzanotte, la fece tornare alla realtà. Era tutto vero. Troppo vero. Scarlet era scomparsa. E poteva persino non tornare più indietro.

Il rendersene conto fu quasi una pugnalata per Caitlin. Riusciva a malapena a respirare al solo pensiero. Scarlet, la sua unica figlia. La persona che più amava al mondo. Non riusciva proprio ad immaginare la vita senza di lei. Voleva correre fuori, percorrere ogni strada, gridare e urlare contro l'ingiustizia di tutto ciò. Ma sapeva che sarebbe stato inutile. Doveva solo restarsene seduta lì ad aspettare.

Improvvisamente, ci fu un rumore alla porta. I tre saltarono in piedi e guardarono, speranzosi. Caitlin corse alla porta, pregando di vedere il volto familiare della figlia adolescente.

Ma il cuore sprofondò nel vedere che era soltanto Caleb. Ritornato a casa—e con un'espressione cupa dipinta sul volto. Vederlo in quelle condizioni fece sprofondare ancora di più il suo cuore. Chiaramente la sua ricerca non aveva avuto successo.

Lei sapeva che era inutile, ma lo chiese comunque: “Niente?”

Caleb guardò verso il pavimento mentre scuoteva la testa. Sembrava un uomo distrutto.

Sam e Polly si scambiarono uno sguardo, poi si avvicinarono a Caitlin e l'abbracciarono uno alla volta.

“Tornerò domani mattina presto,” Polly disse. “Chiamami se senti qualcosa. Anche nel bel mezzo della notte. Promesso?”

Caitlin annuì, troppo sconvolta persino per parlare. Sentì che Polly l'abbracciava, e la ricambiò, poi abbracciò suo fratello minore.

“Ti voglio bene, sorella,” lui disse oltre la spalla di lei. “Aspetta qui. Lei starà bene.”

Caitlin si asciugò le lacrime e osservò Sam e Polly uscire fuori dalla porta.

Adesso, erano rimasti soltanto lei e Caleb. In genere, sarebbe stata elettrizzata al restare sola con lui — ma dopo il loro litigio, era nervosa. Caleb, lei vide, era perso nel suo mondo di tristezza e rimorso; lei sentiva anche che era ancora furioso con lei, per aver riferito le sue teorie alla polizia.

Era fin troppo da sopportare per Caitlin. Si rese conto di aver riposto la sua speranza nel ritorno di Caleb, nell'illusione che lui entrasse in casa e annunciasse qualcosa, una buona notizia. Ma vederlo ritornare in quello stato, con nulla, nulla di nulla, spense quella sensazione positiva che albergava dentro di lei. Nessuno sapeva dove fosse sua figlia. Era trascorsa la mezzanotte, e lei non era tornata a casa. Sapeva che questo era un cattivo segno. Non voleva nemmeno riflettere sulle varie possibilità, ma sapeva che era davvero molto negativo.

“Vado a letto,” Caleb annunciò, voltandosi e iniziando a salirelungo le scale.

Caleb le augurava sempre la buonanotte, le chiedeva sempre di andare a dormire con lui. In effetti, Caitlin non riuscì a ricordare una notte in cui non fossero andati a dormire insieme.

Adesso, lui non aveva neppure chiesto.

Caitlin tornò alla sua sedia in soggiorno, e vi si sedette sopra, ascoltando gli stivali del marito salire lungo le scale, sentendo la porta della loro camera da letto chiudersi dietro di lui. Fu il suono che più di tutto esprimeva solitudine: non aveva mai vissuto qualcosa di simile.

Lei scoppiò in lacrime, e pianse talmente tanto da non saper dire per quanto tempo. Infine si raggomitolò, piangendo sul cuscino. Ricordò vagamente Ruth venire verso di lei, provando a leccarle il viso; ma fu tutto davvero annebbiato, perché presto, con il corpo scosso dal singhiozzare, cadde in un sonno profondo e irregolare.

CAPITOLO TRE

Caitlin sentì qualcosa di freddo e bagnato sul viso, e lentamente aprì gli occhi. Disorientata, guardava il suo soggiorno, di traverso; si rese conto di essersi addormentata sulla sedia. La stanza era buia, e dalla luce fioca che proveniva dalle tende, realizzò che il giorno stava cominciando a nascere. Il suono della pioggia scrosciante batteva contro il vetro della finestra.

Caitlin sentì guaire, e sentì qualcosa di bagnato sul suo viso ancora una volta, e vide che si trattava di Ruth, sopra di lei, che la leccava e guaiva istericamente. La stava sollecitando con il freddo muso bagnato, e non aveva intenzione di smettere.

Finalmente, Caitlin si tirò su, realizzando che c'era qualcosa che non andava. Ruth non smetteva di guaire, più forte, sempre più forte per poi cominciare ad abbaiare — non l'aveva mai vista agire in quel modo.

“Che cosa c'è, Ruth?” Caitlin chiese.

Ruth abbaiò di nuovo, poi si voltò e corse fuori dalla stanza, dirigendosi verso la porta d'entrata. Caitlin guardò in basso, e nella luce fioca scorse una serie di impronte infangate su tutto il tappeto. Ruth doveva essere stata fuori, Caitlin realizzò. La porta d'entrata doveva essere aperta.

Caitlin saltò in piedi, rendendosi conto che Ruth stava provando a dirle qualcosa, conducendola da qualche parte.

Scarlet, lei pensò.

Ruth abbaiò ancora, e Caitlin sentiva che era così. Ruth stava cercando di portarla da Scarlet.

 

Caitlin corse fuori dalla stanza, con il cuore in subbuglio. Non voleva perdere neanche un secondo per correre di sopra a chiamare Caleb. Attraversò il soggiorno, poi passò per il salotto, e fuori dalla porta d'entrata. Dove Ruth poteva aver trovato Scarlet? si chiese. Era al sicuro? Era viva?

Caitlin fu sopraffatta dal panico, mentre usciva dalla porta, lasciata semiaccostata da Ruth, che in qualche modo era riuscita ad aprirla, per uscire poi sul portico. Il mondo era sovrastato dal suono della pioggia scrosciante. Ci fu un leggero rimbombo di un tuono, e ci fu un lampo che illuminò l'alba, e nella fioca luce grigia, la pioggia torrenziale cadeva violentemente sulla terra.

Caitlin si fermò in cima alle scale, e vide dove era andata Ruth. Fu presadal panico. I lampi riempirono il cielo, e lì, davanti a lei, c'era un'immagine che la sconvolse—un'immagine che le si impresse nel cervello e che non avrebbe mai dimenticato per tutta la vita.

Lì, sul prato davanti casa, raggomitolata a formare una palla, priva di sensi e nuda, giaceva sua figlia, Scarlet. Esposta alla pioggia.

Camminando davanti a lei, abbaiando a più non posso, Ruth spostò lo sguardo, passando da Caitlin a Scarlet.

Caitlin entrò in azione: corse giù per le scale, inciampando, urlando colta dal terrore, mentre raggiungeva sua figlia. Nella sua mente si succedettero un milione di scenari possibili, su quello che poteva esserle successo, su dove fosse andata e come fosse ritornata. Se stesse bene. Viva.

I peggiori scenari possibili le passarono nella mente tutti insieme, mentre Caitlin corse nell'erba fangosa, scivolando e allungandosi.

“SCARLET!” Caitlin urlò, e un altro tuono sopraffece il suo grido.

Era il lamento di una madre colta dal dolore, che non poteva più aspettare, mentre correva verso Scarlet; s'inginocchiò accanto a lei, la strinse tra le braccia e pregò il Signore con tutto il cuore che sua figlia fosse ancora viva.

CAPITOLO QUATTRO

Caitlin era seduta accanto a Caleb nella stanza d'ospedale color bianco pallido, guardando dormire Scarlet. I due erano su due sedie separate, a pochi metri l'uno dall'altra, ognuno perso nel proprio mondo. Erano entrambi emotivamente sconvolti, così affranti dal panico, che non avevano più energia nemmeno per parlarsi. In tutti gli altri momenti difficili del loro matrimonio, avevano sempre trovato conforto reciproco; ma stavolta era diverso. Gli eventi del giorno precedente erano stati fin troppo drammatici, troppo terrificanti. Caitlin era ancora in stato di shock; e lei sapeva che ciò valeva anche per Caleb. Avevano bisogno di elaborare il tutto, ognuno a modo proprio.

Sedettero lì in silenzio, guardando Scarlet dormire; l'unico suono nella stanza proveniva dai vari macchinari accesi. Caitlin aveva paura a levare gli occhi di dosso a sua figlia: temeva che, se avesse distolto lo sguardo, l'avrebbe persa di nuovo. L'orologio posto al di sopra di Scarlet indicava che erano le 8 di mattina, e Caitlin si rese conto che era seduta lì da almeno tre ore, sin da quando l'avevano ammessa a vegliare. Scarlet non si era svegliata sin da quando l'avevano ricoverata.

Le infermiere li avevano rassicurati diverse volte, sul fatto che tutte le funzioni vitali di Scarlet fossero normali, che era solo profondamente addormentata, e che non c'era nulla di cui preoccuparsi. Da un lato, Caitlin ne era stata molto sollevata; ma, dall'altro, non ci avrebbe davvero creduto finché non lo avesse visto di persona, finché non avesse visto Scarlet sveglia, con gli occhi aperti, la stessa vecchia Scarlet che aveva sempre conosciuto — felice e sana.

Caitlin ripercorreva velocemente nella sua mente, di continuo, gli eventi delle ultime 24 ore. Ma non importava quanto a fondo li esaminasse, nessuno aveva alcun senso — a meno che non tornasse alla stessa conclusione: che Aiden aveva ragione ed il suo diario era reale. Che sua figlia era un vampiro. Che anche lei, Caitlin, una volta lo era stato. Che aveva viaggiato indietro nel tempo, aveva trovato l'antidoto, e aveva scelto di tornare lì, in quel luogo e in quell'epoca, per condurre una vita normale. Che Scarlet era l'ultimo vampiro restante sulla terra.

Quel pensiero terrorizzò Caitlin. Era così protettiva nei confronti di Scarlet, e determinata che nulla di male potesse accaderle; ma al contempo, si sentiva anche responsabile nei confronti dell'umanità, sentiva che, se tutto ciò era vero, allora non poteva permettere a Scarlet di diffondere il vampirismo, di ricreare di nuovo la razza vampira. Sapeva a stento che cosa doeva fare; in realtá dubitava di quello che pensava o credeva. Il suo stesso marito non le prestava fede, e riusciva a malapena a biasimarlo. Credeva a malapena a se stessa.

“Mamma?”

Caitlin balzò sulla sedia, appena vide gli occhi di Scarlet iniziare ad aprirsi. Si alzò dalla sedia, e corse a raggiungere un lato del letto, così come Caleb. I due si misero vicino a Scarlet, mentre lei apriva lentamente i suoi grandi e splendidi occhi, illuminati dalla luce del sole del mattino, che filtrava dalla finestra.

“Scarlet? Tesoro?” Caitlin chiese. “Ti senti bene?”

Scarlet sbadigliò e si strofinò gli occhi con i palmi delle mani, poi si tirò su, sbattendo gli occhi, disorientata.

“Dove mi trovo?” lei chiese.

Caitlin si sentì totalmente risollevata al suono della sua voce; era in tutto e per tutto la stessa vecchia Scarlet. C'era forza nella sua voce, forza nei suoi movimenti, nelle sue espressioni facciali. Infatti, con grande sorpresa di Caitlin, Scarlet sembrava assolutamente normale, come se si fosse finalmente svegliata da un lungo sonno.

“Scarlet, ricordi qualcosa di quello che è successo?” Caitlin chiese.

Scarlet si voltò e guardò sua madre, poi si appoggiò su un gomito.

“Sono in un ospedale?” lei chiese, sorpresa. Poi scrutò la stanza e capì di avere ragione. “Oh mio Dio. Che cosa ci faccio qui? Stavo davvero male?”

Caitlin sentì persino un maggiore senso di sollievo per le sue parole—e le sue emozioni. Era seduta. Era vigile. La sua voce era completamente normale. Gli occhi erano brillanti. Era difficile era credere che qualcosa di anormale fosse mai accaduto.

Caitlin rifletté su come rispondere, su quanto dirle. Non intendeva affatto spaventarla.

“Sì tesoro,” s'intromise Caleb. “Eri malata. L'infermiera ti ha mandato a casa da scuola, e noi ti abbiamo portato all'ospedale questa mattina. Ti ricordi qualcosa di tutto ciò?”

“Ricordo di essere stata mandata a casa da scuola…di essermi messa a letto, in camera mia…poi…” La ragazza aggrottò il sopracciglio, come se tentasse di ricordare. “…tutto qui. Cos'è stato? Una febbre? Qualsiasi cosa fosse, mi sento bene ora.”

Caleb e Caitlin si scambiarono entrambi uno sguardo confuso. Chiaramente, Scarlet sembrava normale, e non ricordava alcunché.

Dovremmo dirglielo? Caitlin si chiese.

Non voleva terrorizzare sua figlia. Ma, al contempo, sentiva che aveva bisogno di sapere, aveva bisogno di conoscere una parte di ciò che le era accaduto. Poteva sentire che Caleb stava pensando alla stessa cosa.

“Scarlet, tesoro,” Caitlin esordì dolcemente, provando a pensare come formulare bene le parole, “quando eri malata, sei saltata fuori dal letto e sei corsa fuori dalla casa. Te lo ricordi?”

Scarlet la guardò, con gli occhi spalancati per la sorpresa.

“Davvero?” lei chiese. “Corsa fuori dalla casa? Che cosa vuoi dire? Ero, come dire, sonnambula? Quanto mi sono allontanata?”

Caitlin e Caleb si scambiarono uno sguardo.

“In realtà correvi piuttosto velocemente,” Caitlin disse. “Non siamo riusciti a trovarti per tanto tempo. Abbiamo chiamato la polizia, e abbiamo telefonato ad alcuni tuoi amici—”

“Sul serio?” Scarlet domandò, mettendosi seduta in posizione eretta, e diventando rossa. “Hai telefonato ai miei amici? Perché? E' così imbarazzante. Dove hai preso i loro numeri?” Poi, realizzò. “Hai guardato nel mio cellulare? Come hai potuto farlo?”

La ragazza si distese nel letto, sospirando, guardando il soffitto, esasperata.

“Questo è così mortificante. Non posso essere preparata ad una cosa del genere. Come farò ad affrontare tutti? Ora, penseranno che sono una specie di scherzo della natura o che so io.”

“Tesoro, mi dispiace, ma eri malata, e non riuscivamo a trovarti—”

Improvvisamente, la porta della stanza si aprì ed entrò un uomo che era chiaramente il suo medico responsabile. Si fece avanti ostentando autorità, affiancato da altri due medici, ognuno dei quali aveva in mano una cartellina. Si diressero verso la base del letto di Scarlet e lessero la cartella clinica.

Caitlin fu contenta dell'interruzione, che aveva spezzato il litigio.

Un'infermiera passò loro davanti, si diresse verso Scarlet e le sollevò il letto, fino a portarlo in posizione tale che la ragazza potesse stare seduta. Le avvolse il bicipite e le misurò la pressione sanguigna, poi le inserì un termostato digitale nell'orecchio, e lo fece leggere al medico.

“Normale,” lei annunciò al medico, mentre lui leggeva la cartellina, annuendo. “E' nelle stesse condizioni in cui è arrivata qui. Non abbiamo trovato affatto nulla che non andasse in lei.”

“Mi sento bene,” Scarlet intervenne. “So che ieri stavo male, immagino di avere avuto la febbre o che so io. Ma ora sto bene. Infatti, vorrei davvero tornare a scuola. Ho molti compiti in classe oggi. E devo fare un controllo dei danni,” lei aggiunse, rivolgendo uno sguardo arrabbiato ai genitori. “E ho fame. Posso andare adesso?”

Caitlin fu preoccupata dalla reazione di Scarlet, dalla sua insistenza nel provare soltanto a nascondere tutto sotto il tappeto e tornare alla vita normale. Guardò Caleb, sperando che provasse la stessa cosa, ma anche in lui percepì un desiderio di dimenticare tutto ciò e tornare alla normalità. Lui sembrava sollevato.

“Scarlet,” il medico esordì. “Va bene se ti visito e ti faccio qualche domanda?”

“Certo.”

Lui diede la sua cartellina ad uno degli altri medici, prese lo stetoscopio, lo posò sul petto della ragazza e ascoltò. Poi, mise le dita su vari punti del suo stomaco, si spostò sui polsi e le piegò le braccia in varie direzioni. Sentì i linfonodi, poi passò la gola e i punti di pressione dietro gomiti e ginocchia.

“Mi è stato detto che ieri sei stata mandata a casa da scuola con la febbre,” lui disse. “Come ti senti ora?”

“Mi sento benissimo,” lei rispose, allegra.

“Puoi descrivermi come ti sentivi ieri?” l'uomo insistette.

Scarlet aggrottò le sopracciglia.

“Sono confusa a dire il vero,” lei disse. “Ero in classe e poi ho cominciato a stare davvero male. Avevo mal di testa, e la luce mi faceva male agli occhi, ed ero davvero dolorante … ricordo di aver avuto molto freddo quando sono tornata a casa … Ma il resto mi appare annebbiato.”

“Hai dei ricordi legati a ieri, qualcosa che ti sia accaduto dopo che sei stata male?” lui le chiese.

“Lo stavo proprio dicendo ai miei genitori, non ricordo. Mi dispiace. Loro hanno detto che era come se camminassi nel sonno, fossi sonnambula. Ma non ricordo. Ad ogni modo, vorrei davvero tornare a scuola.”

Il medico sorrise.

“Sei una ragazza forte e coraggiosa, Scarlet. Ammiro la tua etica del lavoro. Vorrei che tutti gli adolescenti fossero come te,” le disse, facendo l'occhiolino. “Se non ti dispiace, vorrei parlare con i tuoi genitori per pochi minuti. E sì, non vedo alcuna ragione per cui tu non possa tornare a scuola. Parlerò con le infermiere e compileremo il modulo per dimetterti.”

“Sì!” Scarlet disse, stringendo il pugno per l'eccitazione, mentre si alzava, con gli occhi che le brillavano.

Il medico si rivolse a Caitlin e Caleb.

“Potrei parlarvi in privato?”

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