Tre storie di santità femminile tra parole e immagini

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From the series: Orbis Romanicus #13
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Tre storie di santità femminile tra parole e immagini
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Mattia Zangari

Tre storie di santità femminile tra parole e immagini

Agiografie, memoriali e fabulae depictae fra Due e Trecento

Narr Francke Attempto Verlag Tübingen

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© 2019 • Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG

Dischingerweg 5 • D-72070 Tübingen

www.narr.de • info@narr.de

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ISBN 978-3-8233-8360-4 (Print)

ISBN 978-3-8233-0199-8 (ePub)

Inhalt

  Prefazione

  Introduzione

 «Hoc speculum cotidie intuere»: le «Vitae matrum» e la «fabula depicta» di Lutgarda d’Aywières (1182-1246)La storia dell’«antefatto» della «Vita Lutgardis» ossia le altre «matres»: la reclusa, la folle, la svanitaLutgarda: storia di una monacaDa Tommaso a Baro le Roy: stile del testo, codici manoscritti e edizioni a stampaSibilla de Gagis ed Elisabetta de Wans: due testimoni per un’inchiestaLa struttura del testoLe visioni. Sui metodi del raccontoLibri e immagini per LutgardaLa griglia di «tòpoi» di Tommaso di Cantimpré«Non amet absque pari»: i «volti» di Lutgarda «sponsa Christi»Nel «secretaire» di un’agiografia: il romanzo cortese di Lutgarda

 «Sicut pictor pingens»: il «Memoriale» di Angela da Foligno (1248-1309) e l’iconografia della basilica di AssisiUn memoriale a quattro maniLa «scriptura obscura»Il Codice 342 di AssisiAngela e l’iconografia: i crocefissi della pesteAngela da Foligno e gli affreschi della basilica inferiore di San FrancescoAngela e l’iconografia della basilica superioreAngela interprete della teatralità francescana

  «Dum puella devotius oraret coram immagine»: la «Legenda» di Agnese da Montepulciano (1268-1317) tra fonti classiche e santità femminile europea Note linguistiche e indicatori di un classicismo «velato» nella «Legenda beate Agnetis» La «Legenda» di Agnese da Montepulciano e i «tòpoi» di una santità femminile europea Agnese Poliziana: rapporto fra testo e iconografia in due visioni

  Conclusioni

 BibliografiaTestiBibliografia critica

  Apparato iconografico

Prefazione

Questo bellissimo studio di Mattia Zangari indaga, con eleganza e maestria, i complessi rapporti fra le parole e le immagini nelle esperienze di tre mistiche vissute fra Due e Trecento. Il lavoro è costituito da tre parti: la prima è dedicata a un modello di donna paradigmatico per l’agiografia medievale, ossia la Vita di santa Lutgarda d’Aywières (1182-1246), redatta da Tommaso di Cantimpré (1200?-1270); la seconda parte è dedicata al famoso Memoriale di sant’Angela da Foligno (1248-1309) e si concentra sulle relazioni fra il testo, le visioni e il programma iconografico della basilica di San Francesco di Assisi; la terza parte è dedicata alla mistica sant’Agnese da Montepulciano (1268?-1317), della quale si indagano le visioni, secondo un metodo affine a quello utilizzato nelle due parti precedenti.

Il lavoro ha origine da un’idea che si è sedimentata nel giovane studioso fin dai tempi della sua tesi magistrale, nella quale si prendeva in esame il rapporto fra le immagini e l’allora beata Angela da Foligno, che intanto è stata innalzata agli onori degli altari con la canonizzazione. La tesi magistrale ha conosciuto un significativo sviluppo, che ha condotto a una ricchissima e riuscitissima tesi di dottorato. Ciò che caratterizza la tesi dottorale, che oggi è un libro, è la struttura ternaria: il primo capitolo è dedicato a Lutgarda d’Aywières, il secondo ad Angela da Foligno e il terzo ad Agnese da Montepulciano. Lutgarda era una monaca benedettina proveniente dal Brabante che in seguito divenne cisterciense nel monastero di Aywières, nel Brabante vallone. Tommaso di Cantimpré le ha dedicato l’ultima parte delle Vitae matrum, una raccolta di biografie di quattro religiose: la monaca Lutgarda e le tre beghine Maria, Cristina e Margherita. Lo studio di Mattia Zangari si concentra sulle visioni della monaca Lutgarda e sulle relazioni della Vita Lutgardis con altri testi coevi (quali lo Specchio di Margherita Porète), con l’iconografia del tempo e, cosa molto interessante, con gli oggetti devozionali (ad esempio le culle con le quali le monache celebravano Gesù Bambino). Lo studioso analizza anche un elenco di motivi tradizionali (topoi) – tra questi lo «scambio del cuore» – presenti sia nella Vita di santa Lutgarda sia in molte altre Vitae di Sante, riprendendo una pista d’indagine proposta per la prima volta da Romana Guarnieri.

Agnese da Montepulciano, biografata dal noto Raimondo da Capua (1330-1399), è, come Lutgarda, molto sensibile alle rappresentazioni figurative; esse stimolano la sua immaginazione al punto che si può pensare a un influsso delle iconografie dell’epoca sulle visioni della mistica. Dopo aver condotto, con molta accortezza, un’analisi del testo (che rivela nessi molto interessanti fra il testo della mistica di Montepulciano e i testi della letteratura latina), l’autore analizza le visioni di Agnese e mette in luce alcuni tra i più importanti motivi di esse. Per esempio una volta la Madonna, con in braccio Gesù Bambino, compare alla mistica e poco dopo scoppia una lite fra la Vergine e la religiosa, che litigano perché si contendono Gesù Bambino. Sorprendentemente sant’Agnese afferra il Divino Infante trattenendolo per la collanina che ha indosso. La scena sembra essere esemplata sulle iconografie dell’epoca, che ritraggono Gesù Bambino con un amuleto al collo. Il collegamento fra testo e immagine sembra quindi fattibile e tutto è argomentato in modo molto convincente.

Tanto all’agiografia di Lutgarda, quanto a quella di Agnese è applicata la griglia interpretativa dei motivi tradizionali delle agio-biografie femminili e si dimostra la sussistenza di topoi che ritornano con corrispondenze sistematiche, delineando un fenotipo di santità femminile europea in cui le Sante del Nord Europa e quelle italiane sembrano essere straordinariamente consimili.

Il capitolo dedicato ad Angela da Foligno presenta dei risultati particolarmente interessanti. Si indagano coerentemente tre aspetti importanti del Memoriale: le specificità della tradizione manoscritta; la trasposizione linguistica delle percezioni soprasensibili, in specie percezioni visive e uditive che possono essere confrontate con altre testimonianze quali i testi poetici (come ad esempio il laudario di Jacopone da Todi); la connessione fra i contenuti delle visioni e il contesto delle mistiche, particolarmente con le testimonianze iconografiche (che danno luogo a dimensioni in cui la visione va «necessariamente» concepita come la risultante di parole e immagini, le quali si sovrappongono senza possibilità di scindere le une dalle altre).

L’ipotesi più originale riguarda il rapporto fra il Memoriale di sant’Angela e le immagini della basilica di San Francesco. Oggi possiamo ricostruire il programma iconografico della basilica di Assisi, elaborato dal Maestro di San Francesco prima di Giotto, e possiamo dunque capire come esso appariva ai tempi del pellegrinaggio di Angela da Foligno nel 1291. Secondo l’ipotesi di Zangari, le vie purgativa e illuminativa, percorse spiritualmente dalla Santa, possono essere ricollegate al ductus delle immagini, alla loro disposizione e al loro «potere». Ad esempio la scena nella quale sant’Angela si denuda davanti alla Croce dovrebbe essere ricondotta al fatto che la mistica vede l’affresco della Spoliazione di San Francesco, rappresentata negli affreschi della navata all’epoca del pellegrinaggio della Santa. La scena dunque può essere concepita nei termini di una sceneggiatura immaginaria del monito di san Girolamo «Nudum Christum nudum sequere». Tutte queste congetture mettono in luce l’acribia e più in generale le qualità intellettuali di Mattia Zangari.

Lo studioso parla, in definitiva, di forza «modellizzante» delle immagini (le cosiddette fabulae depictae), come se il testo, in alcune sue parti, prendesse corpo grazie alla percezione ottica. Nel contesto degli ultimi studi questa interpretazione sembra molto appetibile e metodologicamente solida; essa adotta gli strumenti del cosiddetto «ritorno delle immagini» (iconic turn), allontanandosi da prospettive tradizionali e unilaterali e ponendo in risalto i fenomeni di «intermedia», presenti nell’esperienza visiva e uditiva delle mistiche. L’autore sostiene che ci sia fluidità e permeabilità fra parole e immagini, fra testi e altri media. Le ipotesi si fanno più forti e convincenti quando si dimostra come oltre alle immagini ci fossero altre dimensioni che incrociavano l’esperienza mistica, come le varie biografie di san Francesco (spesso trasmesse solo oralmente), le sacre rappresentazioni, i «giochi» paraliturgici, la nascente poesia religiosa. A queste dimensioni si potrebbero aggiungere alcuni luoghi delle Sacre Scritture, le omelie e i sermoni, le collationes monastiche e anche le semplici catechesi, e cioè una gran quantità di prediche e di «dispositivi discorsivi» che trasmettevano conoscenze e risvegliavano l’immaginazione. Insomma tutte quelle pratiche comunicative che Michel de Certeau chiamava «scena dell’enunciazione» e che Etienne Gilson, ancora prima di Certeau, aveva definito con il termine polisemico di «conversatio» (divenuta, nella Spagna del Cinquecento, l’attività del «conversar» all’interno dei monasteri carmelitani).

 

Tutti questi influssi convergono creando un vero tesoro di immagini, di rappresentazioni e di contenuti sapienziali; stimolano l’immaginazione, la percezione uditiva e talvolta anche i sogni. Le acquisizioni presentate in questo libro fanno vedere che le esperienze mistiche non possono essere considerate fenomeni a sé stanti perché fra immagini, vetrate e affreschi intercorrono relazioni strutturali e bilaterali, affinità iconiche, così come pure sorprendenti e talvolta drammatiche trasformazioni, che creano forme e «schemi» culturali. Per esempio l’iconografia delle culle spinge Lutgarda a custodire il cuore di Gesù come se fosse un bimbo in una cuna, un bimbo da sventolare con un ventaglio; oppure, per fare un altro esempio, rimirare il corpo nudo di Cristo fa sì che Angela denudi sé stessa, come il Cristo che le sta davanti.

Queste prospettive danno luogo a un libro che rivela una capacità critica e interpretativa di alto livello, che mette in luce risultati sfuggiti, fino ad ora, alle maglie della critica. I risultati qui presentati possono essere considerati originali scoperte e interpretazioni innovative, frutto di un approccio euristico e di una prassi di ricerca che permetteranno alla comunità scientifica di approfondire ulteriormente l’indagine sui fenomeni mistici.

Monaco di Baviera, 16 luglio 2019 Bernhard Teuber

Introduzione

Per i boschi della Spagna del siglo de oro, una donna cattolica, ma con origini ebraiche, viaggiava raminga, spostandosi da un convento all’altro, animata da un ideale, ossia la riforma dei monasteri carmelitani: era Teresa d’Ávila, che da lì a poco sarebbe diventata, nell’immaginario cattolico, la santa fundadora, la mistica escritora. L’obiettivo di Teresa era sì il rinnovamento dei monasteri, ma pure la messa in forma di un ideale di monaca che prendesse le distanze dalle rilassatezze che dilagavano al monastero dell’Encarnación di Ávila. Tre secoli prima, come vedremo nel primo capitolo di questo libro, un frate domenicano brabantino – Tommaso di Cantimpré – si poneva il medesimo problema, ovvero la ricerca di un modello comportamentale che ispirasse le monache del suo tempo; per la messa a punto del suo progetto, il frate illustrò in un testo la vita esemplare di una monaca morta due anni prima in odore di santità: Lutgarda d’Aywières (1182-1246). È con la biografia di Lutgarda che si chiude la raccolta di vite di donne – le Vitae matrum – scritta da Tommaso di Cantimpré, il quale si era specializzato nell’arte di biografare donne sante, donne mistiche molto diverse dalle sante regine che altri agiografi, prima di lui, avevano profilato con dei ritratti a penna. Il testo che Tommaso dedica a Lutgarda è molto ricco di spunti d’indagine. L’analisi delle visioni della mistica, infatti, rivela un delicatissimo rapporto – talvolta molto stringente – fra parole e immagini. In questo libro vedremo innanzitutto il modo in cui Tommaso informa il suo prototipo di monaca, il suo specchio di donna pensato per le monache sì, ma pure per le tutte quelle religiose – come le beghine, le cellanae, le reclusae, le eremitesse – senza un’identità istituzionale precisa. Il testo deve rispondere a esigenze di veridicità, esso deve cioè convincere che la santa Lutgarda – mistica, profetessa, taumaturga – è realmente esistita. Per assolvere a questo compito il frate compie un’indagine, «intervista» una serie di testimoni fededegni; fra questi vi sono le consorelle di Lutgarda e una in particolare – Elisabetta de Wans – non solo rappresenta una straordinaria «teste», ma mostra pure di aver avuto esperienze mistiche molto simili a quelle di Lutgarda, diventando quindi una specie di doppio di lei.

Come anni fa ha mostrato Chiara Frugoni, le mistiche medievali sembrano sublimare il proprio desiderio di vita coniugale nelle loro esperienze di indiamento1 e, parimenti, il desiderio di maternage poteva manifestarsi nella voglia di cullare Gesù Bambino, come ben si vede nel caso di santa Gertrude di Helfta. Dato che nei monasteri del Nord Europa di allora è documentata la presenza di culle portatili e di corredi infantili, proveremo a vedere come si declinava il culto di Gesù Bambino all’interno del monastero di Lutgarda, con un’analisi che prende le mosse dal rapporto testo-immagine, ma che si allarga anche all’analisi dei cerimoniali delle monache. Come abbiamo detto all’inizio, l’agiografia oggetto del nostro commento è un testo estremamente ricco di spunti di riflessione e questo anche per via dell’ibrido genere di appartenenza; esso sembra cioè rispondere non solo allo «schema» della biografia mistica, ma pure a quello del romanzo cortese e si vedrà via via su che livello i due generi si intersecano.

L’agiografia – e non soltanto quella tardo-medievale – si configura dunque come un pensatissimo progetto «letterario» dalle finalità soteriologiche – e non solo – messo a punto nelle officine agiografiche dei vari Ordini religiosi, che sponsorizzano le proprie Sante per ragioni diverse, il che presuppone uno studio attento, un lavoro ricercatissimo da parte dei biografi, i quali «confezionano» le vitae delle religiose ricorrendo a dei motivi comuni, a dei tòpoi talvolta molto antichi, talaltra meno. L’analisi della Vita Lutgardis ha rivelato risvolti inattesi perché si può ragionevolmente pensare che essa sia una delle prime biografie in cui confluiscono alcuni fra i topòi più ricorrenti delle agio-biografie delle mistiche europee. Del resto quella di istituire dei confronti sistematici fra le mistiche italiane e quelle del Nord Europa, allo scopo di rinvenirvi dei punti di contatto, era una pista di indagine suggerita da Romana Guarnieri che si è voluta qui applicare, come mostreremo. «Sarebbe estremamente istruttivo» – affermava Romana Guarnieri più di vent’anni fa a proposito della mistica italiana Angela da Foligno – «compiere un raffronto serrato tra le esperienze – mistiche e paramistiche – tipiche di tutte queste donne estatiche e quelle corrispettive, narrate nel Liber di Angela da Foligno. Più fruttuoso ancora risulterebbe un raffronto sistematico tra le loro dottrine».2 Ad esempio il tema della maternità sublimata – come si vedrà – consente di raffrontare Lutgarda con le mistiche del monastero di Helfta, mentre il tema del sangue consente un «controllo incrociato» fra Lutgarda da un lato e santa Caterina da Siena dall’altro.

Appuntando l’attenzione sulle mistiche più sensibili alle immagini e segnatamente all’iconografia, incontreremo in questo percorso una visionaria straordinaria cui abbiamo accennato: Angela da Foligno (1248-1309). Nel ricco ventaglio delle mistiche francescane, Angela da Foligno rappresenta un esempio mirabile e affatto singolare nella sua ricerca dell’Assoluto. Di grande interesse è il testo che la mistica detta a un frate francescano: il Memoriale. Si tratta di un testo estremamente complesso non soltanto per la fase di redazione – durante la quale Angela interviene continuamente e corregge il suo scriptor – ma anche per la storia della tradizione. L’analisi del Memoriale, in questo libro, è rivolta al rapporto del testo con l’iconografia della basilica di San Francesco di Assisi, ove Angela pellegrina. Le maestranze che avevano lavorato nella basilica inferiore di Assisi avevano affrescato le pareti rappresentando la Gerusalemme celeste, con la quale culminava tutto un ciclo di immagini pensate per i pellegrini. Ora, le immagini lì affrescate – è noto – non avevano, ai tempi di Angela, una funzione puramente decorativa, elogiativa e documentale; alla stregua di Biblia pauperum, esse stimolavano l’intelletto dei pellegrini in maniera da far assimilare le cose viste. Inoltre le rappresentazioni pittoriche non erano lì «da sole» perché altre dimensioni, quali la predicazione e la presenza di tituli abbinati agli affreschi si sovrapponevano alla «voce» delle immagini. Dato che Angela pellegrina e nella basilica inferiore e nella basilica superiore, la folignate – ci siamo chiesti noi – trasferisce nel suo Memoriale queste immagini? Se è sì, in che modo e con quali risultati? Angela sembra effettivamente assimilare i concetti rappresentati nella basilica a seguito di una catechesi che procede proprio per immagini. Inoltre la mistica è colpita da una vetrata della basilica superiore – la Vetrata degli angeli – i personaggi della quale si animano fino a determinare in lei una reazione particolarmente violenta, che ricorda la stessa teatralità di san Francesco:

«Appena mi inginocchiai alla porta della chiesa e vidi san Francesco dipinto in braccio a Cristo, mi disse: “Ti abbraccerò così e molto di più di quanto si possa desiderare con gli occhi del corpo. […]”. […] poi si allontanò lentamente, indugiando. Fu allora, dopo la sua partenza, che incominciai a gemere a voce alta e a gridare. E senza nessuna vergogna davo gemiti e urli […]. E io gridavo che volevo morire […]».3

Incentrata sulla dimensione miracolistica della protagonista piuttosto che su quella «teatrale» è l’agiografia di sant’Agnese da Montepulciano (1268?-1317), un testo che abbiamo attraversato nel capitolo conclusivo. La biografia rivela molti punti di contatto con le fonti classiche, evidentemente familiari al dotto biografo: il domenicano Raimondo da Capua (1330-1399). Espressioni caratteristiche della letteratura latina, desunte dai più celebri autori, fanno bellamente capolino in questo nostro testo. Particolarmente evidenti sono i richiami alle biografie di Cornelio Nepote, dal quale sembrano estrapolate alcune aretalogie.

Un’altra prospettiva critica adottata nel capitolo è la relazione della biografia di Agnese con i testi delle mistiche europee. La pista di analisi suggerita da Romana Guarnieri sarà applicata nuovamente quindi, nel tentativo di capire, ancora una volta, se i testi delle mistiche presentino corrispondenze oppure no. Ci si soffermerà sulle immagini con le quali il testo «dialoga»; in particolare si analizzerà una visione in cui la Madonna, con in braccio Gesù Bambino, appare a sant’Agnese, che tenta di afferrare il piccolo, dando luogo quindi a una curiosa contesa fra la mistica e la Vergine. Il che farà vedere che le visioni delle donne mistiche si diversificano, dando forma ad esiti più o meno solenni – come la visione del sangue in Lutgarda, che ha valore martiriale e salvifico –, o più o meno naïf – come nel caso del certamen fra sant’Agnese e la Madonna.

Ancora una volta i testi confermano come le mistiche – e i biografi – considerassero le immagini parte integrante di un «processo» contemplativo, che può dare luogo ad esiti inattesi e interessanti, come le visioni, condite dalla vena sanguigna e passionale di chi, devotius, prega davanti all’immagine.

Questo libro è il risultato di una tesi dottorale discussa nel dicembre 2016 alla Scuola Normale Superiore di Pisa in co-tutela con la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Desidero ringraziare, in questa sede, quanti hanno contributo alla messa a sistema di questo lavoro. Anzitutto i relatori, i Proff. Lina Bolzoni e Bernhard Teuber, che mi hanno letto e ascoltato con dedizione, illuminandomi con il loro talento e i loro consigli. Ringrazio la commissione internazionale davanti alla quale ho discusso e dunque Isabella Gagliardi, Giovanna Rizzarelli, Florian Mehltretter e Albrecht Berger per il paziente lavoro di lettura. Devo grazie poi ai tanti interlocutori che hanno contribuito, ognuno a proprio modo, a dare una forma alle mie idee; un ringraziamento particolare va ad Anna Benvenuti, un’anima grande, che mi ha sempre incoraggiato a studiare le sante donne con uno stile che fosse il mio; un grazie sincero a Chiara Frugoni, per i consigli inerenti al rapporto testo-iconografia; altrettante grazie a Grado Giovanni Merlo, per la delicatezza di pensiero, senza la quale non avrei capito quanto forse ho capito dei testi francescani. Altrettanto importanti sono stati Massimo Vedova, per la perizia filologica che mi ha messo a disposizione e alla quale non ho attinto abbastanza; Rosanna Alhaique Pettinelli, per gli straordinari consigli di lettura inerenti al romanzo cortese e al romanzo cavalleresco; Alessandra Bartolomei Romagnoli per la disponibilità al dialogo sulle mistiche; Francesco Bausi per aver letto uno dei miei primissimi lavori su Angela da Foligno, ai tempi della mia tesi di Laurea magistrale; Mariateresa Horsfall Scotti, per il sostegno morale indefesso; il compianto Thomas Ricklin, per alcune generose osservazioni in merito al mio approccio alla mistica femminile; Claudia Märtl e Georg Strack per avermi accolto fra i dottorandi del ZMR (Zentrum für Mittelalter- und Renaissancestudien) della Ludwig-Maximilians-Universität München. Infine vorrei ringraziare padre Luigi Marioli, che mi ha beneficato a lungo con la sua finezza intellettuale; suor Maria Costanza Iannone, madre e sorella «in spirito»; i colleghi e gli amici della Normale, con i quali mi sono spesso interfacciato traendo sempre grande beneficio.

 

Questo libro è dedicato alle mie sorelle ai miei genitori, per me via maestra nel percorso «tra le stelle e il profondo».

Catanzaro, 20 luglio 2019. Mattia Zangari