Goccia A Goccia

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Riempii il lavandino per sciacquarmi la faccia e, senza sapere il motivo, rimasi incantata a fissarlo come ipnotizzata. Ogni goccia che cadeva dal rubinetto e toccava l’acqua formava onde che si allargavano fino ai bordi e ritornavano poi verso il centro.

Nonostante il rubinetto fosse chiuso lasciava comunque cadere qualche goccia, che formava un luccicante mondo di piccole onde che si toccavano e creavano riflessi.

Non mi ricordo il tempo che passai ad osservare questi movimenti. Mi era sembrata un’eternità ma dovevano essere stati solo pochi istanti perché, poco dopo, la caffettiera iniziò a far rumore suggerendomi che il mio caffè fosse finalmente pronto. Non sapevo perché quelle onde avessero attirato così tanto la mia attenzione e, soprattutto, la cosa più bizzarra era che in quei momenti mi ero sentita estremamente tranquilla, dimenticandomi di tutto lo stress che dovevo sopportare quotidianamente nel mio lavoro.

Notavo i miei movimenti più calmi, come se quella quiete si fosse estesa anche dentro di me, ed ora non riuscivo più a dare un senso alla fretta che accompagnava le mie giornate. Dovevo andare al lavoro ma non mi preoccupava più il fatto di arrivare un quarto d’ora in anticipo o al minuto esatto. Inoltre, cercavo sempre di non lasciare nessuna attività per il giorno successivo e di non accumulare il lavoro, non sarebbe successo nulla se avessi affrontato la giornata in modo più rilassato.

Avevo finito di prepararmi ed uscii; notai il cielo grigio e l’aria alquanto fredda, così tornai a casa per prendere un ombrello.

Ero seduta sul treno che mi stava portato al lavoro e aspettavo pazientemente di arrivare alla mia fermata, quando iniziò a piovere. Senza accorgermene, rimasi incantata a guardare come le gocce d’acqua scendevano lentamente sul finestrino accanto a me.

Una goccia che corre giù rapidamente è un evento poco importante e usuale, ma quell’immagine era per me una meraviglia della natura inspiegabile. Fortunatamente una voce squillante annunciava i nomi delle fermate, altrimenti non mi sarei resa conto del mio arrivo a destinazione, rimando invece seduta a fissare quella piacevole visione.

Scesi dal treno e, raggomitolata sotto l’ombrello, nel corto tragitto che mi separava dal mio ufficio non prestai attenzione a nulla se non ad evitare le numerose pozzanghere.

La mia giornata trascorse senza problemi ma mi sentivo stanca, quasi stremata fin dal mattino, e per questo cercai di lavorare con molta tranquillità senza tensioni o nervosismi.

Nel pomeriggio chiamai la mia amica per spiegargli il mio malessere e mi disse che mi sarebbe venuta a prendere all’uscita dal lavoro per parlarne. Così fece, e andammo in un bar poco distante da casa sua. Rimanemmo ore a parlare dell’incontro del giorno prima, le domandai quali fossero state le sue impressioni e di confrontare le informazioni ricevute con quelle che le erano state fornite in passato.

Vedendo il mio interesse per questi temi, rimase molto sorpresa ma allo stesso tempo entusiasta ed iniziò a parlarmi di tutto quello che aveva appreso e che si ricollegava all’argomento della riunione a cui avevamo partecipato. Ad un certo punto, però si interruppe, ed io le chiesi stupita:

― Questo è tutto?

― Si, non posso aggiungere nient’altro perché ti ho raccontato tutto quello che so, non è qualcosa che attiri particolarmente la mia attenzione e non ho avuto un grande interesse nell’approfondirlo.

― Non sono certa che quel poco che mi hai detto possa rendermi più tranquilla ― replicai io perplessa.

― Forse sarebbe una buona idea tornare a parlare con quell’uomo, ricordi che questo fine settimana terrà un corso? Lui potrebbe sicuramente toglierti ogni dubbio.

― Pagare per partecipare ad un corso nel weekend? Non sai che la cifra è, di solito, molto alta? ― Obiettai sorpresa dalla sua proposta.

― Ciò che intendo dire è che potremmo andare al centro dove terrà il corso e proporgli di bere un caffè con noi per affrontare questi temi ― mi rispose con un tono tranquillizzante.

―Non credo che accetterebbe facilmente, sicuramente vorrà qualcosa in cambio.

― Non ti preoccupare, se ce ne fosse bisogno potrei comprare due bottigliette dell’acqua che vende, ad ogni modo mi è rimasta la voglia di provarle da quando le ho scoperte ― commentò ridendo e facendomi l’occhiolino.

Non mi sembrava affatto giusto, sarebbe stato cadere nella sua rete, cedere alla famosa “necessità psicologica” che aveva creato in noi e questo non lo condividevo; sapendo già dall’inizio che cosa volesse, mi sentivo in una posizione sicura e non avevo affatto bisogno di qualcuno che mi facesse dubitare o che mi creasse bisogni superflui e marginali.

Non potevo negare, però, che qualcosa dentro di me era cambiato; avevo un’inquietudine che nonostante i miei sforzi non riuscivo a spiegare completamente alla mia amica, che mi guardava ridendo e dicendomi che sembravo una bambina che aveva perduto qualcosa, ma non sapeva che cosa.

Forse era proprio questo, la ricerca di qualcosa che avevo smarrito, però che cosa poteva mai essere e perché me ne rendevo conto solo ora, dopo tanto tempo? Perché non potevo ricordare di cosa si trattava?

Mi sentivo disorientata e lei, malgrado le sue buone intenzioni, sembrava non riuscire a darmi le risposte che stavo cercando. Decisi, quindi, di accettare il suo consiglio e chiamare il relatore per sapere se era possibile fissare un incontro.

Successe due giorni dopo, nello stesso centro in cui tutto aveva avuto inizio; ancora non avevo molto chiaro che cosa stessi facendo di nuovo lì e se quell’uomo mi avrebbe potuto realmente aiutare, dato che l’ultima volta che lo avevo visto non mi aveva dato l’impressione di poterlo fare.

― Buon pomeriggio ragazze, in che cosa posso esservi utile? ― domandò sfoggiando un gran sorriso.

― Siamo venute qui perché la mia amica vorrebbe chiederle qualcosa ― spiegò lei mentre mi dava una gomitata per invitarmi a parlare.

― Mi piacerebbe sapere qualcosa di più sul tema che abbiamo trattato ― commentai con la voce rotta.

― Per questo ci sono i miei corsi, se vuole altre informazioni sul modo di relazionarsi e su come trovare l’amore, dovrà solamente iscriversi ed assistere ― spiegò mentre tirava fuori da una cartelletta i fogli d’iscrizione.

― No, ho solamente bisogno di conoscere di più l’argomento di cui parlammo, delle caratteristiche dell’acqua. Disse qualcosa che, non so perché, mi impressionò.

― Non riesco a capire quello che vorrebbe sapere, tutto è riportato nei trattati scientifici scritti negli ultimi anni. Ho lavorato con questo prodotto per molto tempo e non credo di aver detto cose differenti. Quello che cambia sono le accezioni che ogni partecipante dà alla parola AMORE, e non molto di più.

― Ma Lei disse che era un elemento che non appartiene a questo pianeta, e che ha proprietà speciali.

― Esatto. Come dissi, c’è chi lo considera l’elemento che è stato decisivo per far nascere la vita sulla Terra, magari un meteorite di ghiaccio che la urtò quando era ancora fatta di crepe, magma e vulcani.

La conversazione si concluse così, poiché io non avevo un’idea precisa delle risposte che stavo cercando e lui non sembrava aver chiaro come mi potesse aiutare; si limitò solo a chiedermi se avessi altri dubbi e ad offrirmi un paio delle sue bottigliette.

La mia amica, come mi aveva accennato, accettò di comprarle per ripagarlo del disturbo che avevamo potuto causargli.

CAPITOLO 2. QUANDO IL FIUME CANTA

Erano passate diverse settimane da quando avevo provato quelle strane sensazioni e quasi non me ne ricordavo, ma non sapevo che quella conferenza avrebbe segnato un prima e un dopo nella mia vita.

Non mi ero resa conto di essere cambiata, ma le mie amiche ed i miei colleghi me lo avevano fatto presente in varie occasioni ripetendomi che sembrava avessi la testa tra le nuvole e che, nonostante prendessi il mio lavoro seriamente come sempre, non mi vedevano più entusiasta e devota come lo ero sempre stata.

Non sapevo il motivo, ma la mia prospettiva era cambiata, come se fino ad allora avessi vissuto assopita, vivendo qualcosa che non sentivo mio e poi, di colpo, mi fossi svegliata con una nuova visione della vita e una nuova opportunità di viverla, giacché non mi sentivo più soddisfatta di come stavano andando le cose.

Sicuramente quello che ero riuscita a costruirmi aveva fatto sì che potessi godere di una stabilità economica, ma oramai il lavoro si era convertito in un’attività noiosa e monotona dato che passavo la maggior parte del tempo senza poter interagire con nessuno. Sentivo che avevo tanto da poter trasmettere agli altri, ma dover stare in un ufficio da sola per intere giornate non me lo permetteva.

Forse, se l’avessi saputo prima di intraprendere gli studi, ci avrei riflettuto meglio. Non era, però, il caso di rimuginare sulle scelte prese o sul fatto di aver perso tempo fino a quel momento, bensì di domandarmi come avrei potuto dare una svolta alla mia vita.

Certo, condividere il tempo libero con le amiche mi rendeva felice, ma questi momenti erano come dei cerotti che servivano a non far vedere la ferita. Avevo perso il senso delle cose ed ora non riuscivo più a comprendere perché mi sforzassi tanto. Avrei potuto continuare seguendo la stessa strada? Semplicemente adempiendo gli obblighi di cui, con il tempo, mi ero fatta carico, o avrei dovuto invece cercare qualcosa di diverso a cui potermi dedicare?

Il primo pensiero andò al lato economico, ero certa che non avrei potuto lasciare il lavoro perché mi permetteva di sopravvivere. Però, come potevo impiegare il resto del mio tempo?

 

Senza sapere il motivo, ogni mattina rimanevo assorta fissando il lavandino ricolmo d’acqua, osservando le piccole onde che per alcuni secondi alteravano la quiete della superficie.

Pensai che forse avrei dovuto essere come quella goccia e rompere la tranquillità della vita che stavo conducendo, o forse come il resto dell’acqua che riusciva ad integrare quei cambiamenti e lasciarsi trasportare modificando la sua forma. Ma perché e, soprattutto, in che modo farlo?

Probabilmente tutti quei dubbi erano solo una scusa per ritornare al mio stato anteriore e continuare a non far nulla per modificare il mio cammino.

L’amica che avevo accompagnato all’incontro si preoccupò nel vedermi in quello stato, ed era riuscita a trovare alcuni libri che avrebbero potuto chiarire il mio apparente cambio. Le spiegazioni che trovò erano le più disparate: dalla possessione demoniaca al cambio di personalità, tentò ogni strada per capire cosa mi stava succedendo.

Mi sentivo bene, avevo solamente preso le distanze dalle persone e dalla mia quotidianità. Non trovavo più un senso a tutto lo sforzo che avevo fatto in passato e che continuavo a fare, per arrivare poi in futuro a ricevere solamente una pacca sulla spalla e sentirmi dire che il mio posto sarebbe stato occupato da una persona più giovane.

La mia inquietudine più grande era la sensazione di vuoto che sentivo, soprattutto dopo la doccia, come se l’acqua che scorreva sulla mia pelle portasse via anche una parte del mio essere e mi creasse spazio.

Le mie compagne di avventure capirono che qualcosa non andava e mi proposero di andare in spiaggia nel fine settimana, anche se loro avevano sempre preferito le discoteche. Accettai, pensando che un po’ di svago mi avrebbe giovato e che, anche se per un breve momento, non sarei stata immersa nella solita vita già programmata.

Nonostante quasi tutto il giorno vestissi in modo formale, non era lo stesso se si trattava di dover uscire nel mio tempo libero. Così, lasciai il tailleur nell’armadio per indossare una gonna a balze e una camicetta semitrasparente

Quel giorno il sole mi sembrava diverso, non sapevo definirlo, forse più brillante e vivo. Mi resi conto che avevo bisogno di una vacanza e quella gita era come un piccolo aperitivo, che essendo breve e piacevole lo si riesce ad assaporare con più gusto.

Giungemmo ad una piccola cala che già conoscevamo, quasi privata, vergine, e per arrivarci avevamo dovuto percorrere vari chilometri lungo una strada sterrata ed isolata.

Lasciammo il cibo in macchina e corremmo subito a prender posto nel nostro angolo di paradiso, come lo chiamava una di noi. Stesi i teli e posizionato l’ombrellone, ci liberammo frettolosamente dei vestiti per rimanere in costume e tuffarci.

A tutte e tre piaceva divertirci con l’acqua, fare scherzi, tuffarci e poi metterci con le gambe e braccia aperte sulla superficie per lasciarsi trasportare da quelle onde calme. Lasciare il nostro corpo libero di muoversi lentamente, mentre entravamo in uno stato di pace e ci sentivamo parte della vastità di quelle acque.

Ero lì, sdraiata a pancia in su con gli occhi chiusi, e la mia mente iniziò a creare immagini come se stessi sognando. Erano sconnesse e mi passavano davanti troppo velocemente per poter dargli un senso.

All’inizio mi spaventai e, volendo rimettermi dritta, la mia testa scese sotto la superficie ma non appena risalii vidi le mie amiche ancora galleggiare sdraiate in uno stato di quiete, al che mi tranquillizzai e mi rimisi nella stessa posizione rilassante.

Poco dopo le immagini iniziarono di nuovo a scorrere davanti ai miei occhi chiusi e una sensazione strana mi pervase, come se avessi intorno a me molte televisioni accese e non sapessi su quale riporre la mia attenzione.

Ne guardavo una e poi un’altra, sembrava che ognuna stesse trasmettendo un film diverso e senza nessuna relazione con gli altri. Mi rimisi dritta ed iniziai a nuotare verso la riva, accompagnata da un senso di malessere. Non era dovuto alle figure che avevo appena visto, ma mi seccava il fatto di non poter godere della tranquillità e serenità che di solito mi pervadevano quando fluttuavo trasportata dei movimenti del mare.

Arrivai al mio telo, mi sdraiai con la testa all’ombra e chiusi gli occhi per riposare. Pensai che quel momento rifletteva perfettamente il significato di relax: niente da fare, senza fretta né obblighi, placidamente immersa nel nulla.

Quando poco dopo iniziò a piovere, il mio corpo steso al sole se ne accorse immediatamente a causa delle gocce che cadendo rinfrescavano e sforavano a poco a poco la mia pelle. Pensai che il tempo era stranamente cambiato, dato che poco prima il cielo era limpido e senza nessuna nube all’orizzonte. Le gocce iniziarono a scorrere sul mio corpo fino a ricoprire il mio petto.

All’inizio mi spaventai perché non capivo cosa stesse succedendo, quindi spalancai gli occhi e mi alzai, per scoprire con mia sorpresa che non si trattava di pioggia ma che le mie amiche avevano raccolto dell’acqua con le mani e la stavano lasciando cadere sopra di me.

Non appena videro che me ne ero accorta, corsero nuovamente verso l’acqua senza badare ai miei rimproveri; mi alzai anch’io in piedi e le rincorsi ridendo, per potermi vendicare bagnandole a mia volta.

La mia mente era così occupata mentre giocavo o nuotavo che le immagini ora si erano dissipate.

Spiegai alle mie amiche quello che mi era successo poco prima, ma si misero a ridere e non mi presero sul serio. Lucia, che si definiva la più spirituale, mi spiegò una tecnica che avrebbe potuto fare al caso mio: focalizzare tutta la mia attenzione su una sola immagine e cercare di mantenerla nella mia mente il maggior tempo possibile, per poi poterla ricordare e contemplarla con calma.

Ridemmo di lei per la serietà con cui aveva proferito quelle parole e che contrastava con il luogo in cui ci trovavamo. Le chiedemmo in che modo avesse appreso questo metodo e rispose che era parte dell’interessante corso di yoga a cui da poco partecipava, e aggiunse che erano tenute da un ragazzo molto attraente. Dopo aver capito che cosa avesse suscitato in lei il grande interesse per quelle lezioni, scoppiammo a ridere.

La giornata trascorse ridendo, giocando e prendendo in giro i nostri capi e colleghi. Da quello che ognuna di noi raccontava sembrava davvero che vivessimo in mondi differenti; soprattutto il mio lo sembrava, che a differenza dei loro era grigio e denotato da un ambiente di grande serietà, quasi senza contatti umani. Difatti, loro spesso ripetevano scherzando che mi relazionavo di più con la macchinetta del caffè che con gli altri impiegati. Forse avevano ragione, ma non ci volevo pensare. Era un momento dedicato al riposo e volevo godermelo fino in fondo.

Nel pomeriggio, già si notava sulla nostra pelle la prima abbronzatura. Ritornammo a nuotare e, poco dopo, tutte e tre ci mettemmo di nuovo stese a pancia in su per lasciare che le onde ci cullassero.

Di nuovo, iniziarono a scorrere davanti a miei occhi le stesse figure, sembrava che nella mia mente si fosse creata una tempesta. Cercai di fare quello che Lucia mi aveva consigliato: ne scelsi una e mi ci soffermai, ma non riuscivo a trattenerla e scompariva in fretta; provai subito con un’altra, ma rapidamente si dileguava.

Non sapevo se stessi sbagliando qualcosa, stavo seguendo il procedimento esattamente come me lo aveva spiegato, catturare una figura e fissarla nella mente. Non sembrava, però, funzionasse e poco a poi iniziai a sentirmi frustrata fino al punto di dover lasciar perdere. Il fallimento mi mise di malumore, uscii dall’acqua e mi diressi all’ombrellone, lasciandomi cadere sul telo per riposare di nuovo.

Iniziavamo a sentirci stanche ma il tempo stava trascorrendo così piacevolmente che nessuna voleva andare via. Quel giorno ci divertimmo molto, fu come un balsamo per le ferite.

Avevo la percezione di essere stata paralizzata per anni, persa in un sonno profondo, pensando solo al lavoro e a come risolvere i piccoli problemi che ogni giorno mi si presentavano, concentrata solo sulla mia vita e sui miei successi lavorativi e personali. Notavo, però, che mi mancava qualcosa; tutto questo non aveva più un senso per me e non sapevo come uscirne.

Se avessi chiesto la sua opinione a Lucia, forse mi avrebbe dato un’altra delle sue solite spiegazioni strane; ad alcune potevo trovare un senso, ma altre… non erano molto pertinenti.

Entrambe però si trovavano d’accordo nel dire che, qualunque cosa mi stesse succedendo, mi stava aiutando a curare di più il mio aspetto e che anche se gli indumenti che indossavo erano gli stessi di sempre, qualcosa in me era cambiato facendomi apparire più femminile nel mio modo di camminare e nel mio sguardo. Non sapevo se stavano cercando di tirarmi su il morale o sconcertarmi ancora di più, ma si stava facendo più concreta l’idea che dentro di me la mia femminilità stava cambiando e crescendo, e questo loro lo consideravano positivo.

Dopo una settimana nel mio ufficio, a volte sentivo la voglia di chiedere a qualche mia amica di scambiarci le vite, anche solo per un giorno.

Magari non avrei avuto le loro competenze ma ci avrei potuto provare e sperimentare qualcosa di nuovo. Alla fine l’essenza della vita era questo, collezionare esperienze che nella mente prendono poi la forma di un album fotografico.

Riuscivo solo ad immaginare una vita in cui ogni giorno sarebbe stato pieno di stimoli differenti; avevo già vissuto il periodo in cui mi accontentavo di una vita noiosa e ripetitiva, in cui ogni secondo era prevedibile e non accadeva nulla di inatteso o memorabile.

Giorni e giorni persi ― dicevo a me stessa ―. Ogni volta che pensavo a quanto la vita mi avrebbe potuto offrire, mi intristivo all’idea di non averne approfittato.

In aggiunta, stavo iniziando a provare un certo interesse per lo studio dell’acqua e delle sue proprietà, non avevo nessuna conoscenza riguardo questo argomento e lo trovavo affascinante.

Fu proprio per questo che mi decisi ad iniziare di nuovo a frequentare la biblioteca del mio quartiere, non mi ci recavo da anni per mancanza di tempo; ero sempre al lavoro o stanca e, nonostante fossi sempre stata un’ottima studentessa, non riuscivo mai a ritagliarmi un momento per leggere o imparare qualcosa di nuovo.

Iniziai proprio dai temi che erano stati illustrati nella conferenza: le proprietà benefiche che l’acqua ha sulla nostra salute, i litri giornalieri che abbiamo bisogno di assumere, la funzione purificante e lubrificante che svolge nell’organismo.

Focalizzandomi sui suoi benefici scoprii che sono differenti a seconda della sua temperatura e che ne esistono di diversi tipi, dipendendo della quantità delle sostanze contenute.

Imparai che può essere assunta in diversi modi, ingerendola o attraverso la pelle, facendo un bagno, e respirandola quando invece è vapore.

Continuavo a studiare e, nonostante queste nozioni mi sembravano curiose ed istruttive, non mi erano utili per far chiarezza su quello che stavo cercando e, anche se non avevo ben chiaro il mio obiettivo, non era questo.

Passai qualche giorno libera da questi pensieri, sicura che con il passare del tempo tutto sarebbe tornato come prima o che avrei avuto la risposta che cercavo nel momento più opportuno. Non volevo, però, continuare a rimuginare su questo argomento.

Ogni giorno che passava mi sentivo sempre più unita a questo elemento, così comune e normale ma allo stesso tempo inspiegabile e meraviglioso. Quello che avevo imparato mi aveva aiutato a rendermi conto di quanto poco conoscessi e quanto ancora ci fosse da scoprire nei campi della fisica e astronomia.

Un giorno, però, successe qualcosa di curioso. Sopra la mensola della libreria di un’amica notai un vaso che conteneva dell’acqua. Non sapevo cosa fosse, ma attirò la mia attenzione e mi avvicinai per poterlo vedere meglio. Maldestramente, lo feci quasi cadere e cercai di asciugare le gocce per lasciarlo esattamente com’era, mentre lei era intenta a preparare un the.

Non era casa mia e non sapevo dove avessi potuto trovare uno strofinaccio, così presi un fazzoletto dalla mia borsa ma il contatto con quell’acqua mi disorientò. Comparvero nella mia mente immagini piacevoli che sembravano appartenere ad un altro mondo, forse un altro continente, dove la gente era felice anche se non si trattava di un ambiente opulento, ma umile e semplice.

Forse era il ricordo di un sogno o di un momento che avevo vissuto, ma mi fu chiaro che ciò che aveva scatenato quella visione era stato il contatto con l’acqua. Apparve la mia amica portando con sé le tazze, e cercai subito di spiegargli quello che avevo visto, arricchendo il racconto con tutti i dettagli che potevo. Lei, replicò sorpresa:

 

― Sai, credo che stai iniziando ad avere un dono.

― A che dono ti riferisci? ―continuai.

― Vedi, il vaso conteneva acqua del Gange che portai da miei viaggi in India, ed è il posto più simile a quello che mi hai appena descritto.

― E come spieghi questa sensazione di benessere? ― Chiesi smarrita dopo le sue parole.

― Quest’acqua, come il vaso che la contiene, mi furono regalati da un’amica con cui stavo viaggiando in quelle terre meravigliose. Attraversammo il Paese, scoprimmo la loro cultura e praticammo la loro religione, passando del tempo anche in alcuni villaggi.

Forse a causa delle tante ore passate tra preghiere e meditazione sommate a quelle che aveva già vissuto anteriormente questo vaso, che rappresenta l’unione con la natura sacra attraverso il Gange, quest’acqua si è riempita della felicità che hai potuto percepire.

― Non ti capisco ― commentai spaventata ed incupita.

― Devi sapere che dentro e intorno a noi c’è energia, e non è solo quella fisica che possiamo vedere e toccare, ma ne esistono molte altre che ci influenzano e che noi a nostra volta influenziamo senza accorgercene.

Alcuni elementi possono contenere quest’energia, proprio come se fossero una batteria, è il caso di alcuni metalli e anche dell’acqua.

I componenti da cui è formata determinano la sua carica finale. Quest’acqua del Gange era carica di preghiere e buone intenzioni, ed è quello di cui si è riempita durante il viaggio.

― Capisco quello che stai cercando di dirmi, ma non il motivo per cui io possa sentirlo ― risposi turbata.

― Tutti possiamo percepirlo in forma diversa anche se, a volte, non siamo capaci di attribuirgli i benefici che le corrispondono; se qualcuno la usasse per sciacquarsi la faccia, riceverebbe quest’energia di pace e amore, e ciò farebbe sì che possa affrontare la giornata con positività. La persona potrebbe rendersi conto o meno della causa di questo cambiamento, pero quello che è certo è che c’è stato.

― Quelle che ho avvertito io non sono solo sensazioni positive, anche se le ho captate, ma entrando in contatto con l’acqua ho visto anche immagini dell’India.

― È proprio per questo che dico che hai un dono. Sei la prima persona che conosco che sia stata capace di sentire qualcosa di simile, non ho mai incontrato nessuno che riuscisse a farlo, e questa è sicuramente una benedizione.

― Come puoi esserne così certa?

― La vita ci mette sul nostro cammino ciò di cui abbiamo più bisogno, dipende da noi saperne approfittare nel modo giusto. Questo è il motivo per cui sono sicura che tu abbia un dono, e solo tu puoi decidere se usarlo.

― E cosa si suppone che io debba fare? ― chiesi incuriosita e sbigottita.

― Devi scoprire di che cosa si tratta e come poterlo sfruttare. Poi, una volta che hai a disposizione tutte le informazioni di cui hai bisogno, decidere come agire.

― E se invece semplicemente cercassi di dimenticarmene? ― replicai al suo consiglio.

― Avrai perso questa opportunità che ti è stata data. Non posso indicarti la strada giusta da seguire perché non mi è mai capitato qualcosa di simile, ma sono sicura che in futuro potrebbe essere un aiuto per te e per gli altri.

Sembrava molto sicura delle sue parole e per me era una consolazione potermi confrontare con qualcuno che capisse, anche se non totalmente, quello che stavo attraversando. Avevo una vita monotona e prevedibile ma allo stesso tempo tranquilla e comoda, e non ero di certo disposta ad abbandonarla facilmente. Avevo già visto altre persone lasciare il proprio lavoro, il compagno e la casa per spostarsi in un posto differente, in cerca di una nuova vita; di fatto, a lei era successo proprio questo: aveva divorziato ed intrapreso un nuovo cammino solitario, viaggiando per il mondo per scoprire “il lato spirituale delle cose”, come era solita definirlo.

Per me sarebbe stato un grande cambiamento e soprattutto non desiderato; se qualcuno mi aveva davvero concesso questo dono poteva essersi forse sbagliato, perché sicuramente la mia amica, per esempio, avrebbe sicuramente saputo come affrontare la situazione e trarne profitto.

A che cosa poteva mai essermi utile scoprire l’energia di un oggetto al semplice tatto? Per far quadrare i bilanci aziendali? Rendere più efficiente la mia giornata? Registrare le fatture? Assolutamente a nulla, ed averlo come complemento della mia vita significava solo complicarla.

Cambiammo discorso, concludendo che avrebbe chiesto informazioni ai suoi conoscenti affinché qualcuno potesse indicarmi cosa fare, e quale fosse stato il miglior passo da seguire. Dopo quel pomeriggio mi sentivo molto stanca, non so se per aver pensato così tanto all’idea di cambiare vita e di come sarebbe stata o a causa della visione che avevo avuto a contatto con quell’acqua.

I miei giorni continuavano a scorrere ma in maniera differente, e non solo durante le ore lavorative; iniziavo a sentirmi parte di qualcosa che mi rendeva diversa e che avevo condiviso solo con la mia amica, non sapendo se gli altri avessero potuto comprendere ciò che avevo da raccontare.

Ancora non mi era molto chiara l’utilità di quel dono, e credevo che chiunque ne possedesse uno avesse fatto degli sforzi per svilupparlo o che avesse raggiunto, per lo meno, una grazia sufficiente agli occhi di Dio affinché glielo concedesse, ma io non pensavo di rientrare in nessuno dei due casi.

Provai ad immaginare come avrei potuto usarlo e solo riuscivo a pensare a spettacoli circensi di fronte ai miei amici, vedendoli arrivare con diverse boccette per farmi indovinare da che parte del mondo provenissero o di quali sentimenti fosse carico, ma nient’altro.

Forse per ignoranza o mancanza di idee, decisi di lasciare questo dono, non sapendo neppure se stesse crescendo in me o fosse tutto quello che avrei avuto; continuai come sempre con la mia vita, senza dargli importanza.

Non mi risultò per niente difficile dissimulare il mio stato d’animo nell’ambiente lavorativo, poiché non parlavo con nessuno ad eccezione di alcuni temi specifici inerenti a qualche attività. Era talmente reale che un giorno mi chiesi perfino quanto avrebbero tardato i miei colleghi a accorgersene se avessi smesso di andare in ufficio per indisposizione o avessi rinunciato al posto. Sono sicura che sarebbero passati mesi prima che qualcuno si fosse accorto del fatto che non facevo più parte dell’azienda.

Qualche giorno dopo Lucia si presentò nel bar dove pranzavo, quel piccolo ma accogliente luogo che mi aiutava a distrarmi, e lo fece con una persona che non avevo mai conosciuto.

― Ciao, come stai?

― Bene, terminando il mio pranzo, è stata una mattinata impegnativa. Tu, invece? ― Chiesi cercando di capire il motivo della sua visita.

― Ho portato qui una persona, quando le ho raccontato ciò che ti è accaduto ha compreso la situazione e credo che ti possa aiutare ― affermò presentandomi la sua accompagnatrice.

― Non ho bisogno di aiuto, non sono affatto malata ― replicai infastidita dal fatto che avesse svelato il nostro segreto a qualcun altro.

― Non ti devi preoccupare, so esattamente come ci si sente all’inizio. Un mare di dubbi mentre si cerca di capire a che cosa può servire, come poterlo controllare e in che cosa si potrebbe trasformare ― intervenne la donna con un tono pacato e dolce.

― Si, è vero. Come lo sa? ― chiesi sbigottita.

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