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A Ogni Costo

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A Ogni Costo
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Is reading Federico Foglia
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Capitolo 12



“Non potete stare qui!” urlò l’uomo. “Fuori! Fuori da casa mia!”



Erano in un’ampia zona giorno. C’era un pianoforte a mezza coda bianco nell’angolo più lontano, e delle finestre che partivano quasi da terra e arrivavano al soffitto svelavano panorami mozzafiato. La luce del mattino si diffondeva all’interno. Vicino c’era un moderno sofà bianco e un tavolo, delle poltrone raggruppate attorno a un gigantesco schermo televisivo piatto appeso al muro. Sulla parete opposta c’era un’enorme tela, alta tre metri, con strane chiazze e gocce dai colori brillanti. Luke di arte ne sapeva qualcosa. Pensava si trattasse di un Jackson Pollock.



“Sì, ci siamo già passati con i tizi nell’ingresso,” disse Luke. “Noi non possiamo stare qui, eppure… eccoci qui.”



L’uomo non era alto. Era grosso e tozzo, e indossava una sfarzosa vestaglia bianca. Teneva in mano un grande fucile e puntava la canna nella loro direzione. A Luke sembrava un vecchio Browning da safari, probabilmente con un caricatore Winchester da 270 colpi. Quella cosa avrebbe seccato un alce a trecentocinquanta metri di distanza.



Luke si mosse verso la parte destra della stanza, Ed verso sinistra. L’uomo faceva oscillare il fucile avanti e indietro, incerto su chi prendere di mira.



“Ali Nassar?”



“Chi lo vuole sapere?”



“Sono Luke Stone. Questo è Ed Newsam. Siamo agenti federali.”



Ed e Luke circondarono l’uomo, avvicinandosi sempre di più.



“Sono un diplomatico della Nazioni Unite. Non avete giurisdizione qui.”



“Vogliamo solo farle un paio di domande.”



“Ho chiamato la polizia. Arriveranno tra poco.”



“Allora perché non getta a terra l’arma? Ascolti, è un’arma vecchia. Ha un otturatore girevole-scorrevole quella cosa. Se spara una volta, non avrà mai il tempo di ricaricarla per il secondo round.”



“Allora ucciderò lei e lascerò vivere l’altro.”



Ruotò verso Luke. Luke continuava a muoversi lungo il muro. Alzò le mani per mostrare di non essere minaccioso. Gli erano state puntate addosso così tante armi nel corso della sua vita da averne perso il conto molto tempo fa. Eppure, provava una brutta sensazione. Ali Nassar non aveva l’aria di un cecchino, ma se riusciva a sparare gli avrebbe fatto un bel buco da qualche parte.



“Se fossi in te, ucciderei quell’omone laggiù. Perché se uccidi me, nessuno può immaginarsi cosa farà quello lì. Io gli piaccio.”



Nassar non esitò. “No. Ammazzo lei.”



Ed era già dietro all’uomo, a tre metri. Coprì la distanza in un secondo. Colpì la canna facendo ruotare il fucile verso l’alto proprio mentre Nassar premeva il grilletto.



BUM!



La detonazione rimbombò fortissima tra le quattro mura dell’appartamento. Il colpo aprì un buco nell’intonaco bianco del soffitto.



Con una sola mossa, Ed allontanò l’arma, colpì con un pugno Nassar alla mascella e lo portò a sedersi su una poltrona.



“Okay, si accomodi. Con calma, per favore.”



Nassar era sotto shock a causa del pugno. Gli ci vollero diversi secondi perché gli occhi ritrovassero il loro centro. Teneva una mano paffuta sul livido rosso che gli si stava già formando sulla mascella.



Ed mostrò a Luke il fucile. “E questo?” Era elaborato, con il calcio intarsiato di perle e il caricatore lucido. Probabilmente era rimasto appeso a un muro da qualche parte fino a pochi minuti prima.



Luke dirottò la sua attenzione all’uomo sulla poltrona. Ricominciò dall’inizio.



“Ali Nassar?”



L’uomo era imbronciato. Aveva la stessa aria arrabbiata di suo figlio Gunner quando aveva quattro anni.



Fece un cenno col capo. “Ovviamente.”



Ed e Luke si mossero veloci, senza perdere tempo.



“Non potete farmi questo,” disse Nassar.



Luke guardò l’orologio. Erano le 7. La polizia poteva arrivare in qualsiasi momento.



Lo portarono in un ufficio appena fuori dalla zona giorno. Gli avevano tolto gli abiti. Gli avevano portato via le pantofole. Indossava dell’aderente biancheria intima bianca e nient’altro. Il suo stomaco sporgeva. Era teso come un rullante. Lo avevano fatto sedere, i polsi legati ai braccioli e le caviglie alle gambe della poltrona.



L’ufficio aveva una scrivania con un case vecchio stile e un monitor. Il processore era all’interno di una scocca in spesso acciaio, ancorata al pavimento in pietra. Non c’era un modo chiaro di aprire il case, nessun lucchetto, nessuna porta, niente. Per prendere l’hard disk un saldatore avrebbe dovuto tagliare la scocca. Non c’era tempo.



Ed e Luke erano in piedi davanti a Nassar.



“Ha un conto numerario alla Royal Heritage Bank sulla Grand Cayman,” disse Luke. “Il 3 marzo ha fatto un trasferimento di $250.000 a un conto intestato a un uomo di nome Ken Bryant. Ken Bryant è stato strangolato a morte a una qualche ora la scorsa notte in un appartamento di Harlem.”



“Non ho idea di cosa stiate parlando.”



“Lei lavora per un uomo di nome Ibrahim Abdulraman, che è morto stamattina in uno scantinato del Center Medical Center. È stato ucciso da un colpo d’arma da fuoco alla testa mentre rubava materiale radioattivo.”



Un lampo di consapevolezza attraversò il viso di Nassar.



“Non conosco quest’uomo.”



Luke fece un respiro profondo. Normalmente, avrebbe avuto ore per interrogare un soggetto del genere. Oggi aveva minuti. Ciò significava che forse avrebbe dovuto imbrogliare un po’.



“Perché il computer è imbullonato al pavimento?”



Nassar scrollò le spalle. Cominciava a riacquistare fiducia in sé. Luke poteva quasi vederla riemergere. L’uomo credeva in se stesso. Pensava di riuscire a ostacolarli.



“C’è un bel po’ di materiale confidenziale lì. Ho dei clienti che sono coinvolti in transazioni commerciali sulla proprietà intellettuale. E io sono, come ho detto, un diplomatico assegnato alle Nazioni Unite. Di tanto in tanto ricevo comunicazioni che sono… come definirle? Secretate. Occupo questa posizione perché sono noto per la mia discrezione.”



“Può essere,” disse Luke. “Ma avrò bisogno che lei mi dia la password in modo che possa dare un’occhiata io stesso.”



“Temo che non sarà possibile.”



Dietro a Nassar, Ed rise. Sembrava un grugnito.



“Sarà sorpreso nello scoprire che cosa è possibile,” disse Luke. “Le cose stanno così, noi accederemo a quel computer. E lei ci darà la password. Ora, c’è un modo facile per farlo, e c’è un modo difficile. La scelta è sua.”



“Non mi farete del male,” disse Nassar. “Siete già in guai seri.”



Luke guardò Ed. Ed si mosse e si chinò alla destra di Nassar. Prese la mano destra di Nassar nelle sue forti mani.



Ed e Luke si erano conosciuti la prima volta la scorsa notte, ma stavano già cominciando a lavorare insieme senza comunicazione verbale. Era come se si leggessero nella mente a vicenda. A Luke era già capitato in passato, di solito con tizi che avevano fatto parte di unità speciali come la Delta. Alla relazione di solito occorreva più tempo per svilupparsi.



“Lo suona, quel piano?” chiese Luke.



Nassar annuì. “Ho studiato musica classica. Quand’ero giovane, ero un pianista concertista. Suono ancora per divertimento.”



Luke si accovacciò per essere all’altezza dello sguardo di Nassar.



“Tra un attimo, Ed le spezzerà le dita. Le sarà difficile poi suonare il piano. E farà male, probabilmente parecchio. Non sono sicuro che sia il tipo di dolore a cui un uomo come lei è abituato.”



“Non lo farete.”



“La prima volta, conterò fino a tre. Per darle qualche ultimo secondo per decidere cosa vuole fare. A differenza sua, noi avvertiamo le persone prima di ferirle. Noi non rubiamo materiale radioattivo con l’obiettivo di uccidere milioni di innocenti. Diavolo, se la caverà con poco in confronto a ciò che farà agli altri. Ma dopo questa prima volta, non ci saranno più avvertimenti. Mi limiterò a guardare Ed, e lui lei spezzerà un altro dito. Capito?”



“Le toglierò il lavoro,” disse Nassar.



“Uno.”



“Lei è un omuncolo senza alcun potere. Si pentirà di essere venuto qui.”



“Due.”



“Non si azzardi!”



“Tre.”



Ed spezzò il mignolo di Nassar a livello della seconda nocca. Lo fece velocemente, con pochissimo sforzo. Luke sentì lo scricchiolio appena prima che Nassar urlasse. Il mignolo sporgeva storto di lato. C’era qualcosa di osceno nell’angolo che faceva.



Luke mise la mano sotto al mento di Nassar e gli sollevò la testa. Nassar digrignava i denti. Aveva il viso arrossato e respirava a sussulti. Ma lo sguardo era severo.



“Era solo il mignolo,” disse Luke. “Il prossimo sarà il pollice. I pollici fanno molto più male dei mignoli. E sono anche più importanti.”



“Siete animali. Non vi dirò niente.”



Luke guardò Ed. Aveva un’espressione seria. Scrollò le spalle e spezzò il pollice. Questa volta lo schiocco fu forte.



Luke si alzò in piedi e lasciò che l’uomo strillasse per un attimo. Il suono era assordante. Poteva sentirne l’eco nell’appartamento, come le grida dei film horror. Forse sarebbe stato il caso di prendere un asciugamano dalla cucina da usare come bavaglio.



Camminava avanti e indietro per la stanza. Non gli piacevano queste cose. Era tortura, ne era consapevole. Ma le dita dell’uomo sarebbero guarite. Se una bomba sporca fosse scoppiata su un treno della metro, sarebbero morte molte persone. I sopravvissuti si sarebbero ammalati. Nessuno sarebbe mai guarito. Paragonando le due cose, le dita dell’uomo e i morti su un treno, la decisione era facile da prendere.



Nassar adesso piangeva. Del muco trasparente gli usciva da una delle narici. Respirava come un pazzo. Faceva huh-huh-huh-huh.

 



“Mi guardi,” disse Luke.



L’uomo fece quello che gli era stato detto di fare. Lo sguardo non era più severo.



“Ho visto che il pollice ha catturato la sua attenzione. Poi lavoreremo sul pollice sinistro. Dopodiché, cominceremo con i denti. Ed?”



Ed si spostò alla sinistra dell’uomo.



“Kahlil Gibran,” Nassar rantolò.



“Cosa? Non ho sentito.”



“Kahlil underscore Gibran. È la password.”



“Come lo scrittore?” chiese Luke.



“Sì.”



“Ma cosa significa lavorare con amore?” disse Ed, citando Gibran.



Luke sorrise. “Significa tessere la tela con fili tirati dal tuo stesso cuore, come se quella tela dovesse essere indossata dal tuo caro. Ce l’abbiamo appeso al muro della cucina. Mi piace questa roba. Credo che siamo tre inguaribili romantici.”



Luke andò al computer e fece volare le dita sul touchpad. Si aprì la schermata per l’inserimento della password. La scrisse.



Kahlil_Gibran



Apparve lo schermo del desktop. Lo sfondo era una foto di montagne con le punte coperte di neve, con prati gialli e verdi in primo piano.



“Sembra che finalmente ci siamo. Grazie, Ali.”



Luke tirò fuori un hard disk esterno che gli aveva dato Swann dalla stretta tasca dei pantaloni cargo. Lo collegò a una porta USB. La memoria esterna aveva una grande capacità. Avrebbe dovuto ingoiare facilmente tutto il computer del tizio. Potevano preoccuparsi più tardi di decifrare le informazioni.



Cominciò il trasferimento file. Sullo schermo, apparve una barra orizzontale vuota. La barra cominciò a riempirsi da sinistra con il colore verde. Tre percento verde, quattro percento, cinque. Sotto la barra, un casino di nomi di file apparivano e scomparivano una volta copiati sul drive di destinazione.



Otto percento. Nove percento.



Fuori dalla stanza principale ci fu un improvviso fracasso. La porta si aprì con uno schianto. “Polizia!” urlò qualcuno. “Lasciate cadere le armi! A terra!”



Si muovevano nell’appartamento, buttando giù cose, spalancando porte. Sembrava che fossero in parecchi. Sarebbero arrivati tra pochissimo.



“Polizia! A terra! A terra! Buttatevi a terra!”



Luke guardò la barra orizzontale. Sembrava bloccata al dodici percento.



Nassar fissava Luke. La palpebre gli scendevano pesanti sugli occhi. Gli uscivano delle lacrime. Gli tremavano le labbra. Aveva la faccia rossa, e il suo corpo quasi nudo era tutto sudato. Non aveva l’aria innocente né trionfante.





Capitolo 13



7:05 a.m.



Baltimora, Maryland – A sud del tunnel Fort McHenry




Eldrick Thomas si svegliò da un sogno.



Nel sogno si trovava in una piccola capanna sulla cima di una montagna. L’aria era pulita e fredda. Sapeva di sognare perché non era mai stato in una capanna prima. C’era un caminetto in pietra acceso. Il fuoco era caldo e lui allungava le mani verso le fiamme. Poteva sentire la voce di sua nonna dalla stanza accanto. Stava cantando un vecchio inno religioso. Aveva una voce meravigliosa.



Aprì gli occhi alla luce del giorno.



Sentiva molto dolore. Si toccò il petto. Era appiccicoso di sangue, ma i proiettili non l’avevano ucciso. Era malato per via delle radiazioni. Se lo ricordava. Si guardò attorno. Era disteso nel fango ed era circondato da spessi cespugli. Alla sua sinistra c’era un grande specchio d’acqua, un fiume o un porto. Poteva sentire un’autostrada da qualche parte lì vicino.



Ezatullah gli aveva dato la caccia fin qui. Ma era stato… molto tempo fa. Ezatullah probabilmente ormai se n’era andato.



“Coraggio,” gracchiò. “Devi andartene.”



Sarebbe stato facile rimanere lì. Ma se l’avesse fatto, sarebbe morto. Non voleva morire. Non voleva più essere uno jihadista. Voleva solo vivere. Anche trascorrere il resto della vita in prigione gli andava bene. La prigione andava bene. Ci aveva passato molto tempo. Non era così male come diceva la gente.



Cercò di alzarsi, ma non si sentiva le gambe. Non c’erano più. Si rotolò sullo stomaco. Il dolore lo bruciò come una scossa elettrica. Se ne andò in un posto buio. Passò del tempo. Dopo un po’, tornò. Era ancora qui.



Si mise a strisciare, con le mani stringeva la sporcizia e il fango e si trascinava avanti. Si strascicò su una lunga collina, la collina da cui era sceso la notte precedente, la collina che probabilmente gli aveva salvato la vita. Piangeva dal dolore, ma continuava a muoversi. Non gliene fregava un cazzo del dolore, cercava solo di arrivare in cima.



Passò molto tempo. Teneva la faccia nel fango. I cespugli erano un po’ più fitti qui. Si guardò intorno. Era sopra al fiume ora. Il buco nel recinto era dritto davanti a lui. Strisciò in quella direzione.



Rimase incastrato sul fondo del recinto mentre cercava di attraversarlo. Il dolore lo fece urlare.



Due uomini di colore sedevano su secchi bianchi non molto lontano. Eldrick li vide con chiarezza surreale. Non aveva mai visto nessuno con tanta chiarezza prima. Avevano canne, equipaggiamento vario e un grosso secchio bianco. Avevano un grosso frigorifero portatile blu su ruote. Avevano borse di carta bianca e contenitori a isolamento termico di McDonald’s. Dietro di loro c’era una vecchia e arrugginita Oldsmobile.



Sembravano vivere in paradiso.



Dio, ti prego, fammi essere loro.



Quandò urlò, gli uomini lo raggiunsero di corsa.



“Non mi toccate!” disse. “Sono contaminato.”





Capitolo 14



7:09 a.m.



La Casa Bianca - Washington D.C.





Thomas Hayes, presidente degli Stati Uniti, era in piedi in pantaloni e camicia elegante al banco della cucina di famiglia della Casa Bianca. Sbucciava una banana e aspettava che il caffè fosse pronto. Quando era solo, preferiva venirsene qui in silenzio e prepararsi da solo una colazione semplice. Non aveva ancora indossato la cravatta. Era a piedi nudi. E pensieri oscuri lo tormentavano.



Questa gente mi sta mangiando vivo.



Il pensiero era un intruso sgradito nella sua mente, il tipo di cosa che gli accadeva sempre di più nell’ultimo periodo. Una volta era stato la persona più ottimista che conosceva. Fin da piccolo, era sempre stato il migliore, ovunque si fosse trovato. Aveva tenuto il discorso di commiato al liceo, era stato il capitano della squadra di canottaggio e presidente del corpo studentesco. Summa cum laude a Yale, summa cum laude a Stanford. Borsista Fulbright. presidente del senato dello stato della Pennsylvania. Governatore della Pennsylvania.



Aveva sempre creduto di poter trovare la soluzione giusta a ogni problema. Aveva sempre creduto nel potere della sua leadership. Ma più importante ancora era che aveva sempre creduto nella bontà innata della gente. Queste cose non erano più vere. Cinque anni di mandato gli avevano risucchiato via tutto l’ottimismo.



Poteva gestire le lunghe ore. Poteva gestire i vari dipartimenti e la vasta burocrazia. Fino a poco fa, era stato in buoni rapporti con il Pentagono. Poteva vivere ventiquattro ore al giorno con i servizi segreti che si intrufolavano in ogni aspetto della sua vita.



Poteva persino gestire i media, e i modi poco intellettuali con cui lo attaccavano. Poteva convivere con il modo in cui deridevano la sua “educazione da country club”, e con il fatto che lo chiamassero “liberale da limousine”, presumendolo privo di qualsiasi capacità di sintonia con la gente. Il problema non erano i media.



Il problema era la Camera dei rappresentanti. Erano degli immaturi. Erano dei deficienti. Erano dei sadici. Erano un’orda di vandali, intenti a smantellarlo e portarlo via, un pezzo alla volta. La Camera era come un congresso studentesco delle medie, uno dove i bambini venivano eletti tra i peggiori delinquenti della classe.



I repubblicani più in vista erano un’irosa orda di barbari medievali, e i conservatori del Tea Party anarchici guerrafondai. E intanto, più vicino a casa, il leader della minoranza stava puntando dritto allo Studio Ovale, senza nascondere il suo desiderio di spingere il presidente in carica sotto a un autobus. I democratici della Blue Dog erano traditori a due facce – i tipici cugini che un secondo fanno gli amiconi e quello dopo sono bianchi arrabbiati che inveiscono contro gli arabi e gli immigrati e il crimine dei quartieri poveri. Ogni mattina, Thomas Hayes si svegliava sicuro che il suo gruppo di amici e alleati sarebbe diminuito nel corso dell’ora successiva.



“Sei con me, Thomas?”



Hayes guardò su.



David Halstram, il suo capo di gabinetto, era davanti a lui, completamente vestito, con l’aria che aveva sempre – sveglia, energica, assolutamente viva, preso dalla battaglia e impaziente di vederne delle altre. David aveva 34 anni, e lavorava lì da soli nove mesi. Diamogli tempo.



“Quando è uscita la storia?” chiese Hayes.



“Una ventina di minuti fa,” rispose David. “È già un trend nei social, e le reti televisive si stanno dimenando per mettere insieme degli ospiti per i dibattiti televisivi delle 8 del mattino. Se ne parlerà per molto tempo. Tra lo speaker Ryan e il fiasco dell’Iran e i terroristi a New York, siamo messi male.”



Hayes fece il pugno con la mano destra. Aveva fatto a pugni esattamente con due persone in tutta la sua vita. In entrambi i casi era stato tanto tempo fa, quando era un giovanissimo studente. In questo momento avrebbe voluto fare di Bill Ryan il numero tre.



“Abbiamo un pranzo in programma per domani,” disse. “Pensavo che potrebbe essere un passo avanti. Non che si possa appianare tutto in un solo incontro, ma…”



David allontanò l’idea con la mano. “Ci ha colti impreparati. Devi ammettere che è stata una mossa piuttosto scaltra. Praticamente ti mette in stato d’accusa perché non dai inizio alla terza guerra mondiale. E lo fa in un ambiente favorevole come quello di Newsmax, dove non ci saranno commenti critici a opporvisi, nessuna oggettività nemmeno nell’articolo, tutta questa roba può essere diffusa via Twitter e blog dai conservatori tutto il giorno, senza che lui abbia bisogno di dire una sola parola. È una storia che ha già una vita tutta sua. Nel frattempo noi dobbiamo comportarci come adulti. Dobbiamo tenere una conferenza stampa per parlare della minaccia di un attacco terroristico e della possibilità che sia stato finanziato dall’Iran. Dobbiamo rispondere a domande su un’eventuale ondata di supporto all’impeachment e su ciò che facciamo per salvaguardare i materiali radioattivi presenti in tutto il paese.”



“Cosa facciamo?”



“Per i materiali radioattivi?”



“Sì.”



David scrollò le spalle. “Dipende da quello che intendi dire. La politica è far sì che le scorie radioattive vengano stipate in sicurezza, ma ciò non accade sempre. Okay, la stragrande maggioranza viene trattata in modo ragionevolmente corretto. Ci sono posti, come il Center Medical Center tra l’altro, che sono piuttosto bravi a gestirle e rimuoverle stipandole in siti sicuri. Ma spediscono anche questa roba in furgoni di contenimento senza personale di sicurezza, usando le strade pubbliche. Poi ci sono ospedali che stipano le scorie insieme al materiale a rischio biologico. C’è pure una manciata di ospedali, specialmente al sud, che sembrano buttar via il materiale radioattivo insieme ai rifiuti normali. Non scherzo. E non farmi parlare delle testate nucleari. Originariamente, tutte le barre di combustibile usato dovevano essere trasferite in impianti di deposito sicuri, ma non è mai successo. Gli impianti non sono mai stati costruiti. La stragrande maggioranza delle barre di combustibile utilizzato negli Stati Uniti, già nei primi anni Settanta, venivano stipate in loco insieme ai reattori dove erano state usate. E ci sono prove che suggeriscono che quasi il novanta percento dei reattori del paese abbia delle perdite, anche nelle acque sotterranee dei dintorni.”



Il presidente Hayes fissò il suo capo di gabinetto. “Perché non sono a conoscenza di queste cose?”



“Be’, tecnicamente, tu sei a conoscenza di queste cose. Ne sei stato informato, ma non è mai stata una priorità prima di oggi.”



“Quando ne sono stato informato?”



“Vuoi le date?”



“Le date, il personale, i contenuti. Sì.”



David lasciò crollare le spalle. Fece una pausa. “Thomas, posso farlo. E poi? Rileggerai il briefing della Commissione normativa sul nucleare di tre anni fa? Penso che abbiamo pesci più grossi da friggere in questo momento. Abbiamo una crisi in corso nel Medio Oriente, e un bombardamento pro guerra nei media e nei corridoi del Congresso. Abbiamo del materiale radioattivo rubato e un potenziale attacco terroristico che scoppierà a New York City. Stiamo perdendo l’ala destra del nostro partito. Potrebbero spostarsi in massa dall’altra parte entro questo pomeriggio. E il secondo uomo più potente di Washington ti ha appena messo in stato di accusa. Siamo su un’isola, e l’acqua sale tutto intorno a noi. Dobbiamo agire, e dobbiamo farlo oggi.”

 



Hayes non si era mai sentito così perso. Era troppo, tutto quanto. Sua moglie e le sue figlie erano in vacanza alle Hawaii. Buon per loro. Avrebbe voluto essere lì invece che qui.



Ricorse a David Halstram come se l’uomo fosse un salvagente gettatogli in un mare in burrasca.



“Che cosa facciamo?”



“Ci prepariamo a difenderci,” disse David. “Il gabinetto è ancora saldo. Lì ti copriranno le spalle. Mi sono preso la libertà di organizzare una riunione per la mattinata di oggi. Porteremo qui tutti i geniacci e costruiremo un fronte unito. Kate Hoelscher del Tesoro. Marcus Jones del Dipartimento di Stato. Dave Delliger della Difesa non ci potrà essere per ovvie ragioni, ma chiamerà sulla linea sicura. E Susan Hopkins ci sta raggiungendo in aereo dalla costa occidentale mentre parliamo.”



“Susan,” cominciò Hayes.



Non poteva dire altro che il nome. Per più di mezza decade, aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per prendere le distanze dalla sua candidata a vice e attuale vice presidente. Tutta la situazione con Susan, lei stessa, lo metteva in imbarazzo. Aveva cominciato la sua vita come modella. Ritiratasi dall’ambiente a ventiquattro anni, aveva sposato un miliardario della tecnologia. Quando i suoi figli avevano raggiunto l’età della scuola, si era buttata in politica con i soldi del marito.



La gente la adorava perché era bella. Era rimasta snella e in forma e entusiasta nella mezza età. Una rivista femminile di recente l’aveva fotografata mentre faceva jogging all’aperto con pantaloni yoga di un luminoso arancione e canottiera. Era una discreta oratrice. Era inarrestabile quando si trattava di tagliare nastri e nelle competizioni di cucina. Si occupava di rendere nota alla gente l’esistenza del cancro al seno (come se per una qualche ragione la gente non ne fosse già a conoscenza), del fitness e dell’obesità infantile.



Non era Eleanor Roosevelt.



David alzò una mano. “Lo so, lo so. Credo che Susan sia un peso leggero, ma tu non le dai mai una chance. È stata senatrice della California per due mandati, Thomas. È la prima donna vice presidente nella storia degli Stati Uniti. Sono traguardi non da poco. È sveglia, e brava con le persone. Ma soprattutto sta dalla tua parte. Hai bisogno di tutto l’aiuto che puoi avere adesso, e credo che lei possa darti una mano.”



“Ma cosa vuoi che faccia? Non stiamo organizzando una sfilata di moda.”



David scrollò le spalle. “Il tuo ultimo indice di popolarità era del 12%. È un dato di tre giorni fa, prima di quest’ultimo disastro. Potrebbe trasformarsi in un numero a una cifra entro la prossima settimana. Alla tua nemesi Bill Ryan non va tanto meglio. È al 17%, più che altro perché è stato incapace di giungere a una dichiarazione di guerra. Probabilmente farà un salto in avanti temporaneo per la minaccia dell’impeachment.”



“Okay. La gente non è felice del governo.”



David sollevò un dito. “Piuttosto vero. Tranne per quanto riguarda Susan. Questa cosa dell’Iran non l’ha sfiorata. Il suo indice complessivo è del 62%, e lei è solida come una roccia per tutte le donne tranne che per le conservatrici credenti. Gli uomini liberali e indipendenti la adorano. È il politico più popolare d’America, ed è possibile che possa prestarti un po’ della sua popolarità.”



“Come?”



“Venendo qui alla Casa Bianca, lavorando spalla a spalla con te sui problemi più pressanti con i quali questo paese deve fare i conti, e facendosi fotografare nel mentre. Con apparizioni pubbliche insieme a te, e quasi letteralmente alzando lo sguardo su di te sul podio della leadership, come se tu fossi il suo eroe.”



“Gesù, David.”



“Scarta l’idea a tuo rischio e p