Free

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

Text
iOSAndroidWindows Phone
Where should the link to the app be sent?
Do not close this window until you have entered the code on your mobile device
RetryLink sent

At the request of the copyright holder, this book is not available to be downloaded as a file.

However, you can read it in our mobile apps (even offline) and online on the LitRes website

Mark as finished
Font:Smaller АаLarger Aa

CAPITOLO V
Pace conchiusa tra 'l Pontefice Clemente coll'Imperador Carlo in Barcellona, che fu seguita dall'altra conchiusa col Re di Francia a Cambrai, e poi (esclusi i Fiorentini) co' Vineziani; e coronazione di Cesare in Bologna

Gl'infelici successi delle armi franzesi in Italia fecero, che pensasse il Papa, l'istesso Re Francesco, e tutti coloro della Lega alla pace; onde tutti i loro pensieri furono rivolti a trovarne il modo. Il Papa fu il primo che trattasse accordo, e per mezzo del General de' Francescani, creato da lui Cardinale del titolo di S. Croce, che sovente portandosi da Spagna in Roma, e da quivi in Ispagna, ridusse l'accordo con Cesare in buono stato, e già in Napoli nel principio di questo nuovo anno 1529 penetrò qualche avviso di speranza di pace. Finalmente dopo essersi negoziata per alquanti mesi dal suddetto Cardinale, fu ridotta a fine da Giovan-Antonio Mascettola, che si trovava in Roma Ambasciadore per l'Imperadore, e si conchiuse molto favorevole per lo Pontefice, o perchè Cesare, desiderosissimo di passare in Italia, cercasse di rimoversi gli ostacoli, parendogli per questo rispetto aver bisogno dell'amicizia del Pontefice, o volendo con capitoli molto larghi dargli maggiore cagione di dimenticare l'offese praticate da' suoi Ministri e dal suo esercito: in effetto gli accordò ciò che il Papa più ardentemente desiderava, cioè lo ristabilimento della sua Casa in Fiorenza, promettendo l'Imperadore per rispetto del matrimonio nuovo di Margherita sua figliuola naturale con Alessandro de' Medici suo nipote, figliuolo di Lorenzo, di rimettere Alessandro in Fiorenza nella medesima grandezza ch'erano i suoi innanzi fossero cacciati.

I Capitoli di questa pace si leggono nell'Istoria del Giovio352 e del Guicciardino353, e sono rapportati da altri Scrittori354. Il Summonte355 ed il Chioccarelli356 ne trascrivono le parole; e per ciò che riguarda il Regno di Napoli, fu convenuto:

Che il Pontefice concedesse il passo per le Terre della Chiesa all'esercito Cesareo, se volesse partire dal Regno di Napoli; e che passando Cesare in Italia debbiano abboccarsi insieme per trattare la quiete universale de' Cristiani, ricevendosi l'un l'altro con le debite e consuete cerimonie ed onore.

Che Cesare curerà il più presto si potrà, o con l'arme, o in altro modo più conveniente, che il Pontefice sia reintegrato nella possessione di Cervia e di Ravenna, di Modena, di Reggio e di Rubiera, senza pregiudizio delle ragioni dell'Imperio e della Sede Appostolica.

All'incontro, concederà il Pontefice a Cesare, avute le Terre suddette, per rimunerazione del beneficio ricevuto nuova investitura del Regno di Napoli, con rimettergli tutti li censi imposti per lo passato, riducendo il censo dell'ultima investitura ad un cavallo bianco, in ricognizione del feudo, da presentarsegli nel giorno di S. Pietro e Paolo. Fu questo censo sempre vario, ora diminuendosi, ora accrescendosi a considerabili somme, le quali poi non pagandosi, i Pontefici per non pregiudicarsi, con altre Bolle solevano rimettere a' Re i censi decorsi, ma volevano, che nell'avvenire si pagassero; ma poi nè tampoco sodisfacendosi, si tornava di nuovo alla remissione.

Per questa capitolazione si tolse ogni censo pecuniario, e la cosa si ridusse ad un solo cavallo bianco da presentarsi il dì di S. Pietro in Roma, come fu da poi praticato. Tommaso Campanella perciò compose una Consultazione De Censu Regni Neapoletani, che non si trova impressa357. Paolo IV non ostante questa capitolazione, lo pretese da Filippo II, ed arrivò per questa cagione di non essersi pagato, sino a dichiarare divoluto il Regno; ma di ciò si parlerà più innanzi nel Regno di quel Principe.

Di più sarà conceduta a Cesare la nominazione di ventiquattro Chiese Cattedrali del Regno, delle quali era controversia: restando al Papa la disposizione delle altre Chiese, che non fossero di Padronato e degli altri Beneficj. Di che ci tornerà occasione di lungamente ragionare, quando tratteremo della politia Ecclesiastica del Regno di questo secolo.

E per ultimo, per tralasciar le altre che non appartengono alle cose di Napoli, si convenne, che non potesse alcuno di loro in pregiudicio di questa confederazione, quanto alle cose d'Italia, fare leghe nuove nè osservare le fatte contrarie a questa: possano nondimeno entrarvi i Vineziani, lasciando però quello, che posseggono nel Regno di Napoli.

Furono queste Capitolazioni fatte in Barcellona e furono solennemente ivi stipulate a' 29 giugno di quest'anno 1529, dove intervenendo per Ambasciadori di Cesare Mercurio Gattinara e Lodovico di Fiandra, e per lo Pontefice, il Vescovo Girolamo Soleto suo Maggiordomo, furono ratificate innanzi all'altar grande della Chiesa Cattedrale di Barcellona con solenne giuramento.

Volendo per tanto Cesare in esecuzione di questa concordia riporre Alessandro de' Medici nello Stato di Firenze, deliberò valersi per quella impresa del Principe d'Oranges nostro Vicerè: al quale comandò, che da Apruzzo, ov'era, si mettesse in cammino con la sua gente alla volta di Firenze; e che nel passare andasse a Roma a ricevere gli ordini del Papa.

Nel medesimo tempo con non minor caldezza procedevano le pratiche della concordia tra Cesare ed il Re di Francia, per le quali, poichè furono venuti i mandati, fu destinata la Città di Cambrai, luogo fatale a grandissime conclusioni.

I negoziati di questa pace furono appoggiati a due gran donne, a Madama Margherita d'Austria, zia dell'Imperadore, ed a Madama la Reggente, madre del Re di Francia, acconsentendo a questi maneggi il Re d'Inghilterra, il quale avea mandato per ciò a Cambrai un suo Ambasciadore. Re Francesco si studiava con ogni arte e diligenza, con gli altri Ambasciadori della Lega d'Italia, di dar loro a sentire, che non avrebbe fatta concordia con Cesare, senza consenso e loro soddisfazione. Si sforzava persuaderli di non sperare nella pace, anzi avere volti i suoi pensieri alle provvisioni della guerra: temendo, che insospettiti della sua volontà, non prevenissero ad accordarsi con Cesare; onde mostrò essere tutto inteso a provvisioni militari, e mandò a questo fine il Vescovo di Tarba in Italia con commessione di trasferirsi a Venezia, al Duca di Milano, a Ferrara ed a Firenze per praticare le cose appartenenti alla guerra: e promettere, che passando Cesare in Italia, passerebbe anch'egli nel tempo medesimo con potentissimo esercito. Queste erano l'apparenze; ma il desiderio di riavere i figliuoli, rimasi per ostaggio in Ispagna, lo faceva continuamente stringere le pratiche dell'accordo, per cui a' 7 di Luglio entrarono per diverse porte con gran pompa amendue le Madame in Cambrai; ed alloggiate in due case contigue, che aveano l'adito l'una nell'altra, parlarono il dì medesimo insieme, e si cominciarono per gli Agenti loro a trattare gli articoli; essendo il Re di Francia, a chi i Veneziani, impauriti di questa congiunzione, facevano grandissime offerte, andato a Compiegne, per essere più da presso a risolvere le difficoltà, che occorressero.

Convennero in quel luogo non solamente le due Madame, ma eziandio, per lo Re d'Inghilterra, il Vescovo di Londra, ed il Duca di Suffocle, perchè col consenso e partecipazione di quel Re si tenevano queste pratiche. Il Pontefice vi mandò l'Arcivescovo di Capua e vi erano gli Ambasciadori di tutti i Collegati; ma a costoro riferivano i Franzesi cose diverse dalla verità di quello che si trattava; ed il Re sempre lor prometteva le medesime cose, che non si sarebbe conchiuso niente senza lor consenso e soddisfazione. Sopravvenne intanto a' 28 di luglio l'avviso della capitolazione fatta tra 'l Pontefice e Cesare; ed essendosi per ciò molto stretto l'accordo, fu per isturbarsi per certe difficoltà, che nacquero sopra alcune Terre della Franca Contea; ma per opera del Legato del Pontefice e principalmente dell'Arcivescovo di Capua, fu quello conchiuso.

 

Si pubblicò questa pace solennemente il quinto dì d'agosto nella Chiesa maggiore di Cambrai, e l'istromento di quella è rapportato da Lionard nella sua Raccolta358. I principali articoli, e quelli che riguardarono il nostro Reame furono.

Primieramente, che i figliuoli del Re fossero liberati, pagando il Re a Cesare per taglia loro un milione e ducentomila ducati, e per lui al Re d'Inghilterra ducentomila359.

Che si restituisse a Cesare tra sei settimane dopo la ratificazione tutto quello possedeva il Re nel Ducato di Milano, con rilasciargli parimente Asti, e cederne le ragioni.

Che lasciasse il Re più presto che potesse Barletta e tutto quello che teneva nel Regno di Napoli. Che protestasse il Re a' Vineziani, che secondo la forma de' Capitoli di Cugnach, restituissero le Terre di Puglia, ed in caso non lo facessero, dichiararsi loro nemico, ed ajutare Cesare per la ricuperazione con 30 mila scudi il mese e con dodici Galee, quattro Navi e quattro Galeoni pagati per sei mesi.

E per tralasciar gli altri, fu parimente convenuto, che il Re dovesse annullare il processo di Borbone e restituire l'onore al morto ed i beni a' successori. Siccome dovesse restituire i beni occupati a ciascuno per conto di guerra, o a' loro successori. Le quali cose dal Re, ricuperati ch'ebbe i figliuoli, non furono attese: perchè tolse i beni a' successori di Borbone, nè restituì i beni occupati al Principe d'Oranges, del che Cesare cotanto si querelava.

Fu compreso in questa pace per principale il Pontefice, e vi fu incluso il Duca di Savoja. Vi fu ancora un capitolo, che nella pace s'intendessero inclusi i Vineziani ed i Fiorentini, in caso che fra quattro mesi fossero delle loro differenze d'accordo con Cesare, che fu come una tacita esclusione; ed il simile fu convenuto per lo Duca di Ferrara. Nè de' Baroni e fuorusciti del Regno di Napoli fu fatta menzione alcuna.

Pubblicata che fu, non si può esprimere quanto se ne dolessero i Vineziani, e più i Fiorentini, che non furono in quella compresi, vedendosi così abbandonati, ed in arbitrio di Cesare e del Pontefice; il quale, giunto che fu il Principe d'Oranges in Roma, destinato da Cesare a ridurre i Fiorentini, l'avea accolto con giubilo grande, e datigli molti ajuti per facilitare quella impresa, che tanto desiderava vederla ridotta a felice fine.

Intanto Cesare dopo aver conchiusa la pace col Pontefice, si era posto subito in cammino per Italia, dove avea deliberato di venire, non già per quella cerimonia di pigliare la corona imperiale di mano del Pontefice, ma fu mosso per cagioni assai più serie; poichè con tal occasione pensava d'abboccarsi col Papa per dar sesto a molte cose d'Italia ancor fluttuanti. E partito da Barcellona con le Galee d'Andrea Doria a' 8 di luglio, arrivato che fu a Genova a' 12 agosto, gli furono presentati gli articoli della pace conchiusa in Cambrai col Re di Francia, li quali di buona voglia ratificò. In esecuzione della quale, dall'altra parte, il Re di Francia chiamò le sue genti, che erano nel nostro Regno, comandando a' suoi Capitani, che restituissero a' Ministri di Cesare, Barletta e tutti gli altri luoghi, che si tenevano nel Regno a nome suo, come fu eseguito360.

Da questa pace di Cambrai in poi i Re di Francia non fecero altre spedizioni in lor nome sopra il Regno di Napoli, nè mai pretesero per loro le conquiste che furon poi tentate. S'unirono bensì nelle congiunture co' nemici de' Re di Spagna a lor danni, ma per altre cagioni, che si diranno nel progresso di questa Istoria.

Rimanevano ancora in Puglia le reliquie della guerra; poichè i Vineziani non compresi nella pace, ostinatamente attendevano a guardarsi quelle Terre e quei Porti dell'Adriatico, che tenevano occupati. E quantunque fosse stato dato il carico al Marchese del Vasto di discacciarli, questi però essendo stato richiamato in Fiorenza dal Principe d'Oranges, che avea trovata l'impresa assai più lunga e difficile di quello si credeva; fu dato il carico all'Alarcone, già fatto Marchese della Valle Siciliana, per ricuperar quelle Terre361.

Ma giunto che fu l'Imperadore in Bologna a' 5 del mese di novembre, ove secondo concertarono, si fece parimente trovar il Papa, abboccatisi insieme, la prima cosa che fra di loro si trattò, fu la restituzione dello Stato al Duca di Milano, e la pace con gli Vineziani e con gli altri Principi Cristiani: per agevolar la quale molto vi cooperò Alonzo Sances Ambasciadore di Cesare alla Signoria di Venezia. Giovò ancora a Francesco Sforza l'essersi presentato, subito che arrivò in Bologna, al cospetto di Cesare: onde trattatesi circa un mese le difficoltà dell'accordo suo e di quello de' Vineziani, finalmente a' 23. decembre di quest'anno, essendosene molto affaticato il Pontefice, si conchiuse l'uno e l'altro. Fu convenuto che al Duca si restituisse lo Stato con pagare a Cesare in un anno ducati 400 mila, ed altri cinquecentomila poi in diece anni, restando in tanto, fin che non fossero fatti i pagamenti del primo anno, in mano di Cesare Como ed il Castel di Milano; e gli diede l'investitura, ovvero confermò quella, che prima gli era stata data362.

Che i Vineziani restituissero al Pontefice Ravenna e Cervia co' suoi Territorj, salve le loro ragioni.

Che restituissero a Cesare per tutto gennajo prossimo tutto quello che possedevano nel Regno di Napoli.

Che se alcun Principe Cristiano, eziandio di suprema dignità, assaltasse il Regno di Napoli, siano tenuti i Vineziani ad ajutarlo con quindici Galee sottili ben armate.

E per ultimo, tralasciando gli altri, fu convenuto, che se il Duca di Ferrara si concorderà col Pontefice e con Cesare, s'intendesse incluso in questa confederazione.

Nel primo di gennajo del nuovo anno 1530 fu nella Cattedral Chiesa di Bologna solennemente pubblicata questa pace, nella quale solamente i Fiorentini ne furono esclusi. In esecuzione della quale Cesare restituì a Francesco Sforza Milano e tutto il Ducato, e ne rimosse tutti i soldati, ritenendosi solamente quelli, ch'erano necessari per la guardia del Castello e di Como, li quali restituì poi al tempo convenuto; e poichè per questa pace i Capitani dell'Imperadore erano rimasi mal contenti, particolarmente il Marchese del Vasto, ed Antonio di Leva: l'Imperadore, per mantenerli soddisfatti, persuase al Duca di Milano, che avesse per bene, che quelli nel suo Ducato possedessero alcune Terre.

I Vineziani restituirono al Pontefice le Terre di Romagna, e nello stesso mese furono da essi restituite a Cesare Trani, Molfetta, Pulignano, Monopoli, Brindisi e tutte l'altre Terre, che tenevano nelle marine della Puglia.

Così liberato il Regno da straniere invasioni, e restituito in pace, avea bisogno di tranquillità e maggior riposo per ristorarsi de' passati danni.

CAPITOLO VI
Governo del Cardinal Pompeo Colonna, creato Vicerè in luogo dell'Oranges, grave a' sudditi, non tanto per lo suo rigore, quanto per le tasse e donativi immensi, che coll'occasione dell'incoronazione, e del passaggio di Cesare in Alemagna, per la natività di un nuovo Principe, e per le guerre contra al Turco riscosse dal Regno

Eletto il Principe d'Oranges per l'impresa di Fiorenza, fu ne' principj di luglio del passato anno 1529 rifatto in suo luogo il Colonna. Costui fu il primo Cardinale, ch'essendo ancora Arcivescovo di Monreale, si vide in qualità di Vicerè e Capitan Generale governare il Regno. In altri tempi, quando chi era destinato a' ministerj della Chiesa, non poteva impacciarsi ne' negozi ed affari del secolo, avrebbe ciò portato orrore; ma ne' pontificati d'Alessandro VI, di Giulio II (di cui scrisse Giovanni Ovveno363, che avendo deposte le chiavi, e presa la spada, attese più alle arti della guerra, che al ministerio sacerdotale) di Lione (che come dice il Guicciardino364, niente curando della Religione, avea l'animo pieno di magnificenza e di splendore, come se per lunghissima successione fosse disceso di Re grandissimi, favorendo con profusioni di regali Letterati, Musici e Buffoni) di Clemente VII (nel di cui tempo gli abusi della Corte di Roma eran trascorsi in tanta estremità, che fu desiderato un Concilio per estirparli) non parevano queste cose strane. Non dava su gli occhi, che un Arcivescovo insieme e Cardinale, lasciata la sua Cattedra, governasse Regni e Province da Vicerè e da Capitan Generale. E tanto meno stranezza dovea apportare il Cardinal Colonna, il quale niente curando delle cose della Religione, fu tutto applicato alle armi, ed agli amori, siccome correva la condizione di que' tempi.

Egli nella sua adolescenza fu applicato da Prospero Colonna suo zio all'esercizio dell'armi, e militò sotto il G. Capitano, dando pruove ben degne del suo valore. Poi stimò meglio lasciar la guerra, e ritirarsi in Roma, dove si diede allo studio di lettere umane, e nella poesia fece maravigliosi progressi, e per ciò fu molto stimato dal Minturno365, e dagli altri Letterati del suo tempo. Essendo costume de' Poeti eleggersi un'Eroina, onde ispirati da quel Nume con maggior fervore e vena poetassero, così ancora fece il Colonna, il quale acceso fortemente dell'avvenenza e venustà di D. Isabella Villamarino Principessa di Salerno, cantò di lei altamente, e per cui compose molti versi, che ancor si leggono. Fu carissimo ancora alla cotanto celebre D. Vittoria Colonna sua parente, di cui parimente cantò le sue lodi e' suoi pregi; e per mostrare al mondo quanto le donne gli fossero a cuore, compose un giusto volume delle loro virtù, lodandole e defendendole da tutti quelli, che le soglion biasimare366.

In premio di queste sue fatiche, essendo morto il Cardinal Giovanni Colonna suo zio, Giulio II lo creò Vescovo di Rieti. Lione X, a cui assai più aggradivano le sue maniere e la sua letteratura, l'innalzò a più grandi onori: oltre averlo fatto passare a più sublimi Cattedre, lo creò Vicecancelliere della Sede Appostolica, e finalmente Cardinale. Ma Clemente VII l'odiò sopra modo, siccome colui, che aderendo, come tutti gli altri Colonnesi, alle parti imperiali, continuamente s'opponeva al suoi pensieri. Ed il Cardinale col favor di Cesare fatto più ardito e fastoso, non si conteneva di parlar pubblicamente di lui, come di asceso al Papato per vie illegittime; e magnificando le cose operate dalla Casa Colonna contra altri Pontefici, aggiungeva esser fatale a questa famiglia l'odio de' Pontefici intrusi, e ad essi l'esser ripressi dalla virtù di quella. Di che irritato il Pontefice pubblicò un severo Monitorio contra di lui, citandolo a Roma sotto gravissime pene: nel qual anche toccava manifestamente il Vicerè di Napoli, ed obbliquamente l'Imperadore. Il Cardinal Pompeo non lasciò di vendicarsene, quando entrati i Colonnesi in Roma, saccheggiarono tutta la suppellettile del Palazzo Pontificio e la Chiesa di S. Pietro; onde avvenne, che assicurato il Papa per la tregua fatta per quattro mesi con D. Ugo Moncada, scomunicando, e dichiarando eretici e scismatici i Colonnesi, privò ancora il Cardinale della dignità Cardinalizia. Trovavasi allora il Cardinale in Napoli, il quale intesa la sua privazione, non stimate le censure del Papa, pubblicò un'appellazione al futuro Concilio, citando Clemente a quello, con proporre l'ingiustizia e le nullità de' monitorj, censure e sentenze contra di lui e' Colonnesi pubblicate; e dai partigiani de' Colonnesi, di questa appellazione ne furono affissi più esemplari in Roma di notte sopra le porte delle Chiese principali ed in diversi altri luoghi, e disseminati per Italia.

 

(Questi Atti del Cardinal Pompeo Colonna contra Clemente VII sono stati raccolti ed impressi nelle collezioni di Goldasto; de' quali non si dimenticò Struvio367, che l'avvertì pure scrivendo alla pag. 1262, Extant Acta Pompeii Cardinalis, adversus Clementem VII apud Goldastum. L'esempio di Carlo V rese frequenti, mentre durarono le brighe con questo Pontefice, le appellazioni contra i Monitorj, censure ed ogni altro atto Papale, al futuro Concilio. Anzi l'appellazione interposta dall'Imperadore, contiene una formola assai notabile; poichè si dimandano al Papa gli Apostoli (vocabolo forense) cioè le lettere dimissoriali per la trasmissione degli atti al futuro Concilio, affinchè intanto egli non procedesse, nè innovasse cos'alcuna. Ecco le parole, colle quali egli termina quella dotta e grave risposta fatta a Clemente VII siccome si leggono, ed in Goldasto, ed in Lunig368. Nos enim, quum ex his, et aliis satis notoriis causis turbari videremus universum Ecclesiae et Christianae Religionis statum ut nobis, ac ipsius Reipublicae saluti consulatur, pro his omnibus ad ipsum Sacrum Universale Concilium per praesentes recurrimus, ac a futuris quibuscunque gravaminibus, eorumque comminationibus provocamus, appellamus et supplicamus a Vestra Sanctitate ad dictum Sacrum Concilium, cujus etiam officium per viam querelae his de causis implorandum censemus: petentes cum ea, qua decet instantia, Apostolos et litteras dimissorias, semel, bis, ter, et pluries nobis concedi, et de harum praesentatione testimoniales litteras fieri, ac expediri in ea qua decet forma, quibus suis loco et tempore uti valeamus. Et quum ad haec solemniter peragenda ejusdem Sanctitatis Vestrae praesentiam habere nequeamus, ut inde futuris forsan gravaminibus occurramus, has nostras ejus Nuncio Apostolico penes nos agenti et Legationis munere, nomine Vestrae Sanctitatis fungenti, per actum publicum coram Notario et Testibus exhibendas intimandasque censuimus. Dat. Granatae die 17 Septembris 1526.)

Durarono le suddette aspre contese finchè non seguì la pace, conchiusa tra il Pontefice e Cesare in Barcellona; in vigor della quale restando assoluti tutti quelli, che in Roma, o altrove aveano offeso il Pontefice, fu il Cardinale restituito alla prima dignità, ma non mai alla grazia del Papa; e per questi successi vie più entrato in sommo favore dell'Imperador Carlo V, questi lo nominò Arcivescovo di Monreale, Chiesa, come ciascun sa, di ricchissime rendite in Sicilia; e partito l'Oranges per l'impresa di Fiorenza, trovandosi il Cardinale in Gaeta, gli diede il governo del Regno, creandolo suo Vicerè.

Giunto il Cardinale a Napoli, trovò il Regno per le precedute calamità e disordini, non men esausto di denari che pieno di dissolutezze. I suoi predecessori per le precedute guerre e rivoluzioni, dovendo più attendere alle cose della guerra, trascurarono gli esercizi della giustizia; e l'Oranges più col suo esempio che per trascurarne il castigo, ne' giovani Nobili avea introdotta un'estrema licenza e dissolutezza con grande oltraggio della giustizia. Non pure i Grandi del Regno, ma i semplici Gentiluomini privati, toglievano alla scoverta dalle mani della giustizia i delinquenti, oltraggiavano i popolari, si ritenevano le mercedi ai poveri artigiani, e talora richieste, erano battuti. I Potenti dentro le loro case tenevano uomini scellerati per ministri delle loro voglie, nè li Capitani di giustizia vi potevano rimediare: i loro Palagi erano divenuti tanti asili, e coloro che v'entravano, ancorchè rei di mille delitti, eran ivi sicuri, e se talora venivano estratti dalla giustizia, erano i birri bastonati, perseguitali e costretti a renderli.

Il Cardinale nel principio del suo governo, seguitando le vestigia de' suoi predecessori, lasciava correre i disordini, come per l'innanzi camminavano: poi vedendo le cose ridotte all'ultima estremità, si riscosse alquanto. Fece tagliar la mano a Giovan-Battista d'Alois di Caserta suo valletto, il quale nella sua anticamera avea data una guanciata ad un altro suo servidore; ed ancorchè Vittoria Colonna si fosse mossa sin da Ischia a dimandargli il perdono, fu l'opra sua tutta vana; e l'istessa Isabella Villamarino Principessa di Salerno, cotanto da lui celebrata ne' suoi versi, non potè impetrar altro, che siccome dovea recidersi la mano destra, si troncasse la sinistra, come, fu eseguito369. Fece impiccare nella piazza del Mercato Cola Giovanni di Monte, che nel 1525 era stato Eletto del popolo, ed era allora Maestrodatti delle contumacie di Vicaria, e Giulio suo fratello parimente Maestrodatti, per mille ruberie, falsità ed altri enormi delitti, dei quali furon convinti. Ed essendo un malfattore scappato dalle mani del Bargello, ricovrato nel palazzo del Principe di Salerno, minacciò al Principe la confiscazione dei suoi beni se non lo consegnava in poter della Corte, da chi fu prontamente ubbidito; e negli ultimi suoi giorni i rigori che usò con Paolo Poderico leggermente indiziato d'aver avuta mano nell'assassinamento del Conte di Policastro, sarebbero trascorsi in crudeltà e manifeste ingiustizie, se non fossero stati ripressi da Tommaso Gramatico nostro Giureconsulto, che si trovava allora Giudice di Vicaria. Questi rigori giovaron non poco a tener molti in freno, ma non che la giustizia riprendesse affatto il suo vigore. Questa parte stava riserbata a D. Pietro di Toledo suo successore, il quale, come diremo, appena giunto la rialzò tanto, che in una medaglia che si coniò a suo tempo in Napoli colla giustizia cadente e da lui rialzata, meritò che se gli ponesse il motto: Erectori Justitiae.

(Questa Medaglia in vano a Napoli ricercata, si conserva nel Museo Cesareo di Vienna, è per quel che si sappia, sin qui non ancor impressa. È di bronzo di mezzana grandezza: da una parte ha l'effigie del Toledo con barba lunga, ed intorno PETRUS TOLETUS OPT. PRIN. e dall'altra l'imagine dell'istesso D. Pietro, sedente, che avanti a' suoi piedi ha la Giustizia in ginocchione, la quale è innalzata dal suo braccio destro, ed intorno il motto: ERECTORI JUSTITIAE).

Ma il governo del Cardinal Colonna riuscì a' Napoletani pur troppo grave per li bisogni, che occorsero nel suo tempo di nuove tasse e donativi. Essendo ancora l'Imperadore a Bologna, venne nuova di Spagna, avere l'Imperadrice partorito un figliuolo: onde in Napoli, nella fine di gennajo di quest'anno 1530 nell'istesso tempo, che si facevano feste e tornei, si pensava per la natività di questo Principe a far nuovo dono a Cesare. Si era parimente appuntato il dì della sua incoronazione, e fu destinato quello di S. Mattia, giorno a lui di grandissima prosperità, perchè in quel dì era nato, in quel dì era stato fatto suo prigione il Re di Francia; ond'era di bene che in quel dì stesso assumesse i segni e gli ornamenti della dignità Imperiale. Prese per tanto in Bologna nel dì statuito per mano del Pontefice la Corona Imperiale; della prima si era già coronato in Aquisgrana colla corona di Carlo Magno: si fece anche da Monza venire in Bologna l'altra di ferro, che parimente con molta solennità ricevette dal Papa: il dì poi di S. Mattia 24 febbraio fu coronato con l'altra d'oro, e con molto strepito di trombe e d'artiglierie fu acclamato Augusto. Il Guicciardino370 narra, che questa coronazione si fece ben con concorso grande di gente, poichè da Napoli, e da altre parti d'Italia vi accorsero infiniti, ma con picciola pompa e spesa; ed ancorchè la spesa fosse picciola, da Napoli però gli furono dal Principe di Salerno per questa incoronazione mandati 300 mila ducati.

Si affrettò tanta celebrità per la premura che avea Cesare di passare tosto in Alemagna, così per dar sesto alli tanti sconvolgimenti, che in quella Provincia avea apportati l'eresia di Lutero; come per l'elezione del Re de' Romani, che e' proccurava far cadere in persona di Ferdinando suo fratello. Gli erano perciò venute premurose lettere di Germania, che lo sollecitavano a trasferirsi colà: gli Elettori e gli altri Principi della Germania ne facevano istanza per cagion delle Diete: Ferdinando per essere eletto Re dei Romani; e gli altri, riputando, che tante rivoluzioni nate per causa di Religione non potessero sedarsi, che per via d'un Concilio, lo sollecitavano ancora a questo fine.

Partì per tanto l'Imperadore da Bologna per Germania alla fine di marzo, nell'istesso tempo, che il Papa partì per Roma, e giunto a' 18 giugno in Augusta trovò ivi i Principi di Germania, che l'aspettavano per la Dieta, che dovea tenersi contra l'eresia di Lutero. Ed essendo stato a' 3 agosto di quest'anno ucciso in battaglia il Principe d'Oranges, rimase il Cardinal Pompeo non più Luogotenente, ma assoluto Vicerè del Regno.

Intanto l'Imperador Carlo dimorando in Germania, era tutto inteso a dar sesto a quelle Province, e proccurare l'elezione del Re de' Romani per suo fratello, come felicemente gli riuscì: poichè nel principio del nuovo anno 1531 fu eletto Ferdinando, e coronato in Aquisgrana.

Ma le infelicità di questo Regno bisogna confessare essere state sempre pur troppo grandi e compassionevoli; poichè essendo dominato da piccioli Re, come furono gli Aragonesi di Napoli, non avendo questi altri Dominj, onde potevan ritrarre denaro, era cosa comportabile e degna di compatimento, che nei bisogni della guerra i sudditi contribuissero talora alle spese. Ma chi avrebbe creduto, che Napoli caduta ora sotto un Principe cotanto potente, Signore di due Mondi, a cui, non pur l'oro della Spagna, ma quello delle Nuove Indie veniva a colare, si vedesse sempre in necessità, spesso si sentissero ammutinati i suoi eserciti per mancanza di paghe, e si udissero continuamente richieste di nuovi sussidj e donativi?

L'altra infelicità che sperimentò questo Regno fu, che quando ebbero finito i Franzesi, ricominciarono i Turchi. Fu veduto perciò sempre combattuto, e posto in mezzo a soffrire intollerabili spese, o sia per la guerra degli uni, o per lo timore (ch'era peggiore della guerra) degli altri. Solimano Imperador de' Turchi si preparò in quest'anno con potentissimo esercito per invadere l'Austria, e cingere nuovamente di stretto assedio Vienna; e nell'anno seguente si vide passare con grandi apparati in Ungheria, onde fu obbligato Cesare ad apparecchiarsi ad una valida difesa. Mancavano però denari e gente per resistere a tanto nemico: perciò fu da Cesare insinuato al Cardinal Vicerè, che per li bisogni di questa guerra, proccurasse, che da Napoli si facesse altro più grosso donativo. Il Cardinale a 11 luglio di quest'anno 1531 fece, secondo il costume, convocar un general Parlamento in S. Lorenzo, ove esposti i desiderj di Cesare, proccurò, esagerando il bisogno, persuadere i Baroni, e i Popoli ad assentirvi, e che il donativo fosse almeno di ducati seicentomila. I Deputati all'incontro, ancorchè mostrassero la prontezza del loro animo di farlo, nulladimeno gli posero innanzi gli occhi la loro impotenza: trovarsi il Regno affatto esausto, e per gli preceduti flagelli di guerra, di fame e di peste, quasi del tutto ruinato: ricordassesi, che nell'occasione della sua coronazione s'erano mandati in dono a Cesare per lo Principe di Salerno ducati trecentomila; onde erano in istato cotanto miserabile, che avevano bisogno di maggior compatimento: che con tutto ciò per mostrare al lor Principe la prontezza del loro animo profferivano donargli ducati trecentomila. Ma stando il Cardinale inflessibile, ed ostinato alla prima dimanda, fu forza alla fine d'offrire in donativo li ducati seicentomila da pagarsi però fra quattro anni, per potersi frattanto riscuotere dalle tasse, che a proporzion de' fuochi s'imponevano. Si diede al Principe di Salerno la commessione di portare il donativo; e con tal occasione si domandò nuova conferma de' vecchi Capitoli, e si cercarono a Cesare nuove grazie, le quali nel seguente anno, stando egli in Ratisbona, le concedette, e ne spedì privilegio colla data di Ratisbona, sotto li 28 luglio del 1532, che si leggono fra' privilegi e grazie della Città e Regno di Napoli371; ma il denaro di questo donativo fu impiegato la maggior parte a pagare la soldatesca, ch'era in Toscana, ed a soldare, ed in Napoli e nell'altre parti delli Regni dell'Imperadore, più genti, per accrescere i suoi eserciti.

352Giovio l. 26 et 27.
353Guic. l. 9.
354Tarcagnota lib. 2 vol. 4. Panvinio in Vita Clem. VII. Bugato lib. 6. Bellai lib. 3.
355Summ. tom. 4.
356Chioccar. M. S. Giurisd. tom. I.
357Toppi Biblioth. lit. T.
358Lionard tom. 2 pag. 346.
359Guic. l. Bellai lib. 3.
360Gior. del Rosso pag. 61.
361Rosso loc. cit.
362Guic. lib. 19.
363Jo. Ovveni Epigr. 77.
364Guic lib. 14.
365Lettere del Minturno, car. 9.
366Vedi Nicod. Biblioth. in Pompeo Colonna.
367Syntagm. Hist. Germ. Disser. 32 § 29
368Cod. Diplom. Ital. Tom. 3 pag. 1012.
369Gior. del Rosso fol. 63.
370Guic. lib. 20.
371Capitoli e Grazie di Napoli in tempo del Cardinal Colonna, fol. 87.