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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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Ferdinando passato a Savona, e trovato il Re di Francia, con molti segni di stima e di confidenza fra di loro, per tre giorni si trattenne quivi; nel qual tempo ebbero segretissimi e lunghissimi ragionamenti; ed il Gran Capitano fu con eccessive lodi, e con incredibile stima ed ammirazione di tutti onorato sopra la fortuna degli altri uomini dal Re di Francia, il quale aveva voluto, che alla mensa medesima, nella quale cenarono insieme Ferdinando, e la Regina, ed egli, cenasse ancora Consalvo, siccome ne gli avea fatto comandare da Ferdinando; indi, dopo il quarto giorno, i due Re con le medesime dimostrazioni di concordia si partirono da Savona: Ferdinando col Gran Capitano prese il cammino per mare verso Barcellona, ed il Re Luigi se ne ritornò per terra in Francia. Fu questo l'ultimo de' gloriosi giorni del Gran Capitano; poichè giunto che fu con Ferdinando in Ispagna, gli fece questi intendere, che non venisse in Corte, ma andasse alle sue Terre, nè si partisse se non veniva da lui chiamato; il perchè non si videro mai più mentre vissero, nè uscì mai da' Reami di Spagna, nè ebbe più facoltà d'esercitare la sua virtù, perchè da poi non fu adoperato nè in guerra, nè mai in cose memorabili di pace: onde si narra, che soleva dire, di tre cose pentirsi, la prima aver mancato di fede a D. Ferdinando Duca di Calabria figliuolo del Re Federico; la seconda non avere osservata la fede al Duca Valentino; e la terza non poterla dire, giudicandosi che fosse, di non avere, per la gran benevolenza de' Nobili e de' Popoli verso di lui, consentito di farsi gridare Re di Napoli245.

Tornato il Re Cattolico in Ispagna, gli fu subito dalla Regina sua figliuola dato il governo de' Regni di Castiglia, ed il Regno di Napoli fu amministrato da Vicerè suoi Luogotenenti, a' quali concedendosi pieno potere e assoluta autorità, per ciò che riguarda il suo governo, si vide Napoli già regia sede, quando prima era immediatamente governata da' suoi Principi, mutata in sede di Vicerè, e pendere da' loro cenni; onde fu nuova politia introdotta, scemata a' primi Ufficiali del Regno molta autorità, ed introdotti nuovi Magistrati e leggi, come qui a poco diremo.

Resse Ferdinando per nove altri anni, fin che visse, il Regno, da Spagna per suoi Ministri e rimossone il Gran Capitano, che fu il primo suo Vicerè, anzi suo gran Plenipotenziario, che per quattro anni con tanta sua lode e soddisfazione di tutti gli Ordini e nelle cose di guerra e nelle più importantissime di pace avea amministrato il Regno: vi lasciò in suo luogo D. Giovanni d'Aragona Conte di Ripacorsa, che fu il secondo Vicerè del Regno, che per lo spazio di due anni e quattro mesi lo governò con molta saviezza e prudenza.

Diede ancora Ferdinando, per la caduta del Gran Capitano, l'Ufficio di Gran Contestabile al famoso Fabrizio Colonna Duca di Tagliacozzo valoroso Capitano, al quale commise l'espedizione contra i Vineziani per la ricuperazione de' Porti, e delle città, che coloro tenevano occupate nel Regno alla riva del mare Adriatico. Erano, come si è narrato, stati del Regno scacciati interamente i Franzesi: solo rimaneva per ridurlo nel suo primiero stato, che se gli restituissero le città di Trani, Monopoli, Mola. Polignano, Brindisi ed Otranto, che ancora i Vineziani tenevano occupate; onde Ferdinando ordinò, che loro s'intimasse la guerra, e nel 1509 diede il comando delle sue truppe a Fabrizio, il quale andò coll'esercito ad assediar Trani, e non tantosto fu accampato vicino a quella città, che i cittadini consapevoli del valore di Fabrizio, subito si resero: seguitarono l'esempio di Trani, tutte le altre soprannominate città; onde furono quelle co' loro porti restituite alla Corona di Napoli, siccome erano prima246.

Il Conte di Ripacorsa, richiamato dal Re alla Corte, lasciò per suo Luogotenente D. Antonio di Guevara Gran Siniscalco del Regno, il quale non più che sedici giorni l'amministrò; ma sopraggiunto a' 24 d'ottobre del medesimo anno 1509 D. Raimondo di Cardona, destinato dal Re successor Vicerè, fu da costui amministrato il Regno finchè Ferdinando visse.

Intanto per la morte di Luigi XII sursero nuovi sospetti con Francesco I suo successore per le cose di Napoli. E dall'altro canto Massimiliano Re de' Romani mal sofferendo, che Ferdinando avesse preso il governo de' Regni di Castiglia, in pregiudizio di Carlo nipote comune, minacciava nuove intraprese; il perchè parve a Ferdinando, per potere attendere con maggiore animo ad impedire la grandezza del Re di Francia a lui sempre sospetta, per l'interesse del Reame di Napoli, di rappacificarsi nel miglior modo, che potè con Massimiliano; onde nella fine di quest'istesso anno 1509 fra di loro fu stabilita concordia, per la quale fu convenuto, che il Re Cattolico, in caso non avesse figliuoli maschi, fosse Governadore di que' Reami, insino che Carlo nipote comune pervenisse all'età di vinticinque anni; e che non pigliasse Carlo titolo regio vivente la madre, la quale avea titolo di Regina, poichè in Castiglia le femmine non sono escluse dai maschi.

Stabilito per tal convenzione il Re d'Aragona nel governo de' Regni di Castiglia, fu tutto inteso ad impedire i disegni del Re franzese, che teneva sopra Italia, e sopra il Regno di Napoli. Ma questo inclito Re mentre apparecchiavasi a sostenere la guerra, che il Re Francesco minacciavagli, finì i giorni suoi in Madrid in età di 75 anni.

Morì Ferdinando nel mese di Gennaio del 1516 siccome scrissero il Guicciardino e gli altri Istorici contemporanei247, a' quali deve prestarsi più fede, che a qualunque altro Scrittor moderno248, che ingannati da una scorrettissima data d'una lettera di Carlo, fissano il giorno della sua morte in gennaio dell'anno precedente 1515. Morì (mentre andava con la Corte a Siviglia) in Madrid, villa allora ignobilissima del Contado di Toledo, presso a S. Maria di Guadalupe, e volle, che il suo corpo fosse seppellito a Granata, ove fu trasferito. Re secondo l'elogio, che gli tessè il Guicciardino, di eccellentissimo consiglio e virtù, nel quale, se fosse stato costante nelle promesse, non potresti facilmente riprendere cos'alcuna, perchè la tenacità dello spendere, della quale era calunniato, dimostrò facilmente falsa la morte sua; conciossiacosachè avendo regnato quaranta due anni, non lasciò danari accumulati; ma accade quasi sempre, per lo giudicio corrotto degli uomini, che ne' Re è più lodata la prodigalità, benchè a quella sia annessa la rapacità, che la parsimonia congiunta con l'astinenza della roba d'altri. Alla virtù rara di questo Re, si aggiunse la felicità rarissima e perpetua (se tu ne levi la morte dell'unico figliuolo maschio) per tutta la vita sua, perchè i casi delle femmine e del genero furono cagione, che insin alla morte si conservasse la grandezza: e la necessità di partirsi, dopo la morte della moglie, di Castiglia, fu più tosto giuoco, che percossa della fortuna: in tutte le altre cose fu felicissimo. Di secondogenito del Re d'Aragona, morto il fratello maggiore, ottenne quel Reame: pervenne per mezzo del matrimonio contratto con Isabella al Regno di Castiglia: scacciò vittoriosamente gli avversarj, che concorrevano al medesimo reame. Ricuperò poi il Regno di Granata posseduto da' nemici della nostra fede poco meno di 800 anni: aggiunse all'Imperio suo il Regno di Napoli, quello di Navarra, Orano e molti luoghi importanti de' liti dell'Affrica: superiore sempre e quasi domatore di tutti i nemici suoi; ed ove manifestamente apparì congiunta la fortuna con l'industria, coprì quasi tutte le sue cupidità sotto colore d'onesto zelo di religione e di santa intenzione al ben comune.

Morì circa un mese innanzi alla morte sua (a' 2 decembre del 1515) il Gran Capitano, assente dalla Corte e mal soddisfatto di lui249; e nondimeno il Re per la memoria della sua virtù, volle egli, e comandò, che da se, e da tutto il Regno gli fossero fatti onori insoliti a farsi in Ispagna ad alcuno, eccetto che nella morte de' Re, con grandissima approvazione di tutti i Popoli, a' quali il nome del Gran Capitano per la sua grandissima liberalità era gratissimo; e per l'opinione della prudenza, e che nella scienza militare trapassasse il valore di tutti i Capitani de' tempi suoi, era in somma venerazione.

 

Saputosi in Napoli la morte di sì gran Re, D. Bernardino Villamarino, che per l'assenza di D. Raimondo di Cardona Vicerè si trovava in Napoli suo Luogotenente, gli fece con grandissimo apparato celebrare esequie pomposissime nella chiesa di S. Domenico, ove intervenne tutto il Baronaggio con gli Eletti e Deputati della città, e tutti gli Ufficiali Regj. E la Piazza del Popolo, ricordevole de' privilegi e grazie concedutegli, gli fece ancora con grandissimo apparato celebrare i funerali nella chiesa di S. Agostino: ed in memoria d'un tanto lor benefattore statuì, che ogni anno a' 23 gennaio se gli celebrasse un Anniversario, ciò che veggiamo nel dì statuito continuarsi sino ai dì nostri con molta celebrità e pompa.

Morto Ferdinando, il Principe Carlo Arciduca d'Austria, ch'era in Brusselles, ancorchè vivesse Giovanna sua madre, alla quale s'apparteneva la successione del Regno, non tralasciò di scriver subito alla città di Napoli una molto affettuosa lettera250, nella quale profferendole il suo amore, le impone che ubbidisse per l'avvenire a D. Raimondo di Cardona, come aveano fatto per lo passato, ch'egli confermava Vicerè. Governò sola Giovanna pochi mesi la Monarchia; ma arrivato, che fu Carlo in Ispagna l'associò al Regno, da lui poi amministrato con quella saviezza, e prudenza, che sarà narrata ne' seguenti libri di quest'Istoria.

Così le Spagne, e tutti i dominj, onde si componeva sì vasta Monarchia, passarono negli Austriaci discendenti da' Conti d'Aspurg; e con meraviglia di tutti fu veduto, che Ferdinando Re d'Aragona, per far maggiore la grandezza del successore (mosso non da altra cagione, che da questo, con consiglio dannato da molti, e per avventura ingiusto) spogliò del Regno d'Aragona il Casato suo proprio tanto nobile, e tanto illustre, e consentì contra il desiderio comune della maggior parte degli uomini, che il nome della Casa sua si spegnesse, e si annichilasse.

CAPITOLO II
Nuova politia introdotta nel Regno; nuovi Magistrati e leggi conformi agl'istituti e costumi Spagnuoli. De' Vicerè e Regenti suoi Collaterali, donde surse il Consiglio Collaterale e nacque l'abbassamento degli altri Magistrati ed Ufficiali del Regno

Siccome s'è potuto vedere ne' precedenti libri di questa Istoria, il Regno di Napoli, così nel principio del suo stabilimento sotto i Normanni, come nel lungo regnare de' Re della illustre casa d'Angiò, fu composto ad esempio del Regno di Francia, dal quale prese molti istituti e costumi. Alfonso I d'Aragona lasciò i suoi Regni ereditari, e volle in Napoli trasferire la sua sede regia, e conformossi alle leggi e costumi che vi trovò. Gli altri Aragonesi di Napoli non alterarono la sua politia, poichè non avendo Stati in altre province, come Regno lor proprio e nazionale lo governarono colle medesime leggi ed istituti: ma ora che Napoli, avendo perduto il pregio d'esser sede regia, viene ad essere amministrata da' Re di Spagna, i quali tenendo collocata altrove, ed in remotissime parti la loro sede, reggendo il Regno per mezzo de' loro Luogotenenti, che si dissero Vicerè, prese il suo governo nuova forma e venne più tosto a conformarsi a' costumi ed istituti di Spagna, che di Francia. Nacquero per ciò e negli Ufficiali del Regno e ne' Magistrati della città non picciole mutazioni e cangiamenti.

Non vi ha dubbio, che gli Spagnuoli, per ciò che riguarda l'arte del regnare, s'avvicinassero non poco a' Romani; e Bodino251 e Tuano252, ancorchè franzesi, siccome Arturo Duck inglese253, portarono opinione che di tutte le Nazioni, che dopo la caduta dell'Imperio signoreggiarono l'Europa, la Spagnuola in costanza, gravità, fortezza e prudenza civile fosse quella che più alla romana s'assimilasse. Nello stabilir delle leggi niun'altra Nazione imitò così da presso i Romani, quanto che la spagnuola. Essi diedero a noi leggi savie e prudenti, nelle quali non vi è da desiderar altro, che l'osservanza e l'esecuzione. Ma siccome niuno può contrastar loro questi pregi, nulladimanco in questo s'allontanarono da' Romani, che i Romani debellando le straniere Nazioni, le trattarono con tanta clemenza e giustizia, che i vinti stessi si recavano a lor sommo onore d'essere aggiunti al loro Imperio, e le loro leggi erano ricevute con tanto desiderio, che non come leggi del vincitore, ma come proprie le riputarono. Non così fecero gli Spagnuoli, da' quali, fuori di Spagna, i Regni e le province, che s'aggiunsero alla loro Monarchia, erano trattate con troppo alterezza e boria. Dalle memorie che ci lasciò il Vescovo di Chiapa, si sa ciò che fecero nel Nuovo Mondo; quel che fecero in Fiandra; e si saprà quel che praticarono presso di noi. Ma ciò che più gli allontanò da' Romani, fu, perchè loro mancò quella virtù, senza la quale ogni Stato va in rovina, cioè l'economica: quanto erano profusi, altrettanto per nudrir questo vizio, bisognava che ricorressero all'altro della rapacità, gravando i Popoli con taglie e donativi, e con tuttociò profondendo senza tener modo, nè misura, non per questo gli eserciti non si vedevano spesso ammutinati per mancanza di paghe e gli Ufficiali mal soddisfatti. Non bastò l'oro del nuovo Mondo, nè le tante tirannidi e le crudeltà usate a que' Popoli per loro rapirlo254. L'altro difetto fu di non aver proccurato ne' loro Regni d'ampliare il commercio, e favorir la negoziazione, avendo tanti famosi porti, non rendergli frequenti di navi, di fiere e di scale franche come l'altre Nazioni, che hanno gli Stati in mare fanno; siccome, infra gli altri, a' dì nostri si sono distinti gl'Inglesi, gli Olandesi ed i Portoghesi.

La perpetua adunque e continua residenza de' nostri Re in Ispagna seco portava, che fossero creati i Vicerè che reggessero questo Reame. Prima i suoi Re, ancorchè per alcune occorrenze fossero stati costretti esserne lontani, lasciavano per governarlo i loro Vicarj che solevano per lo più essere del loro sangue, e quelli, che doveano dopo la lor morte essere loro successori; ma la lontananza era breve, e tosto venivano essi a ripigliarne il governo. Vi furono alcune volte, ma assai di rado, occasioni, che per l'assenza de' Re, vi lasciavano loro Luogotenenti, chiamati pure Vicerè; ma ora, che la lontananza era perpetua, bisognava, che ad un Ministro di sperimentata probità e prudenza ne commettessero l'amministrazione, al quale dessero tutta la loro autorità ed illimitato potere per ciò che riguardava il governo e buona cura del medesimo. Bisognò per tanto dar loro l'autorità di far leggi, ovvero prammatiche o altri regolamenti, che conducessero a questo fine. Così da ora avanti le prammatiche si vedranno stabilite non men da' Re, che da' loro Vicerè e Luogotenenti. Bisognò parimente che a questo Ministro se gli dessero Giureconsulti, che assistendo al suo lato lo consigliassero bene, affinchè la sua potestà fosse regolata dalle leggi, e non passasse in tirannide. Vi fu de' nostri chi lungamente scrisse della lor potestà; ed il Reggente de Ponte ne compilò un ben grande volume, che va per le mani di tutti.

§. I. Del Consiglio collaterale e sua istituzione

Ferdinando adunque, quando temendo della sterminata potenza del G. Capitano che s'avea acquistata nel Regno per lo suo valore e virtù, e per la benevolenza di tutti gli ordini; si determinò di persona a venire in Napoli per condurlo seco in Ispagna, ed in suo luogo lasciare il Conte di Ripacorsa per Vicerè, portò seco tre Giureconsulti ch'erano Reggenti del supremo Consiglio d'Aragona, per istabilirne un altro in Napoli a somiglianza di quello, non altrimente di ciò, che fece Alfonso, che a similitudine del Consiglio di Valenza introdusse nel Regno quello di Santa Chiara, il quale, quando risedevano i Re in Napoli, era il supremo come quello, nel quale giudicava l'istesso Principe, che n'era capo. Questi furono Antonio di Agostino, padre del famoso Antonio cotanto celebre e rinomato Giureconsulto, Giovanni Lone e Tommaso Malferito, colui che in tutti i trattati di tregua e di pace stabiliti ne' precedenti anni tra Ferdinando e Lodovico XII Re di Francia, rapportati da Federico Lionardo255 fu adoperato dal Re Ferdinando per suo Procuratore e Nunzio insieme con Giovanni di Silva Conte di Sifuentes e Fr. Giovanni Enguera Inquisitor di Catalogna, onde vien chiamato ne' suddetti trattati Dottore e Reggente di Cancelleria. A costoro s'unì anche Bernardo Terrer, il quale essendo stato creato Consigliere di S. Chiara si rimase in Napoli. Mentre il Re in que' sette mesi, cioè da ottobre insino a giugno del 1507 si trattenne in Napoli, si valse per Reggenti della sua Cancelleria di due, cioè di Giovanni Lone e di Tommaso Malferito; ond'è, che quelle prammatiche ch'egli promulgò in Napoli, portano la soscrizione di Malferit; poichè in questi principj si praticava che un solo Reggente sottoscrivesse.

Bisognando poi partire per Ispagna, per le cagioni di sopra rapportate, e partir con animo di non mai più farci ritorno, lasciò come s'è detto per Vicerè il Conte di Ripacorsa, che per antonomasia veniva chiamato il Conte, ed in cotal guisa si firmava nelle scritture, e dovendosi seco ricondurre in Ispagna i due Reggenti Lone e Malferito, creò egli in lor vece due altri Giureconsulti per Reggenti, che dovessero assistere a lato del Vicerè per sua direzione, onde ne nacque il nome di Reggenti Collaterali. Erano ancora chiamati Auditori del Re, e ne' privilegj di Napoli e ne' capitoli conceduti alla città dal Conte di Ripacorsa, sono perciò indifferentemente chiamati Auditori e Reggenti256.

Nel principio di questa istituzione non era composto tal Consiglio che di due soli Reggenti e d'un Segretario; e questi furono Lodovico Montalto Siciliano, il quale mentr'era Avvocato fiscale in Sicilia fu dal Re Ferdinando creato Reggente di Napoli, e Girolamo de Colle catalano (il quale trovandosi Consigliere di Santa Chiara fu parimente dal Re fatto Reggente) e sostituiti in luogo di Lone e Malferito, che ritornarono col Re in Ispagna. E durante il Regno di Ferdinando per tutto l'anno 1516 non furono in quello Consiglio, di cui era capo il Vicerè, che i suddetti due Reggenti col Segretario Pietro Lazaro Zea.

Nell'anno seguente 1517 e nel principio del Regno del Re Carlo e poi Imperadore, fu aggiunto il terzo Reggente, e stabilito che di tre, due fossero ad arbitrio e beneplacito del Re, ed il terzo nazionale e Regnicolo257. Fu costui il famoso Sigismondo Loffredo, il quale per la sua gran dottrina e saviezza, perchè il Re e la sua Corte stesse informata degli affari del Regno, fu da Carlo chiamato in Germania alla sua Corte, ove dimorò per tre anni continui. Quindi avvenne, che per la lunga dimora del terzo Reggente nella Corte, non risedendo nel collateral Consiglio di Napoli, che due soli, fosse costituito il quarto Reggente, affinchè uno che doveva esser nazionale andasse a risedere appresso il Re, perchè come istrutto delle cose del Regno informasse quella Corte, e tre stabilmente dovessero risedere in Napoli. Così nel 1519 fu creato Reggente Marcello Gazzella da Gaeta, che si trovava in Napoli Presidente della regia Camera, destinato per la Corte in luogo del Reggente Loffredo, il quale avea ottenuta licenza dal Re di poter tornare in Napoli, siccome tornò.

 

Narra Girolamo Zurita258, che questo prudente consiglio di far venire a risedere nella Corte del Re un Ministro da' Regni d'Italia, fu ordinato dall'istesso Re Cattolico nel suo testamento, che fece prima di morire nel 1516, nel qual tempo, non essendosi ancora aggiunto alla Corona di Spagna lo Stato di Milano, ma solo i Regni di Napoli e di Sicilia, stabilì che venissero in Ispagna ad assistere con gli altri al Consiglio ch'egli avea eretto per l'indisposizione della Regina sua figliuola Giovanna, due Dottori, uno napoletano e l'altro siciliano; onde avvenne, che il Re Carlo suo successore, seguendo il suo consiglio, introducesse questo costume; e che poi avendo egli alla Corona di Spagna aggiunto il Ducato di Milano, venisse non pur da Napoli e da Sicilia, ma anche da Milano un Ministro ad assistere appresso lui nella sua Corte.

In questi principj, ancorchè fosse destinato un Reggente per la Corte, perchè l'Imperador Carlo V non avea in Ispagna perpetua residenza, ma scorrendo secondo i bisogni della sua Monarchia, ora la Germania, ora la Spagna, la Fiandra e l'Italia, i Reggenti destinati per la Corte doveano seguitarlo dovunque risedesse. Ma quando per la rinunzia e poi per la morte dell'Imperadore, alla Monarchia di Spagna succedè Filippo II suo figliuolo, questi mal imitando i costumi di suo padre, fermatosi in Ispagna, e quivi collocando stabilmente la sua sede regia, pensò di stabilire in Ispagna un Consiglio ove degli affari d'Italia si trattasse, e a dargli un Presidente; il qual Consiglio si componesse oltre de' Reggenti Spagnuoli, di vari Ministri che da Napoli, Milano e Sicilia si mandassero. Così nel 1558 fu stabilito in Ispagna il supremo Consiglio detto d'Italia; ed il suo primo Presidente fu D. Diego Urtado de Mendozza Principe di Mileto e Duca di Francavilla. Ed in questi principj Filippo II non contento d'uno, volle che da Napoli venissero in Ispagna due, li quali furono il Reggente Lorenzo Polo e Marcello Pignone, che si trovava Presidente di Camera, siccome leggesi in una sua regal carta rapportata dal Toppi259 con tali parole: Para resedir aqui en esta Corte, y que se entiendan bien los negocios deste Reyno, de cuya buena, o mala espedicion pende mucha parte del govierno, y buena administracion de la Justicia: havemos accordado, que como solia haver un Regente, aya dos, y que estos sean el Doctor Polo Regente, y del nostro Consejo Collateral, y el Doctor Marcello Pinnon Presidente de la Summaria, etc.

In cotal guisa col correr degli anni fu stabilito questo supremo Consiglio, al quale essendo poi aggiunti altri due, si venne a comporre di cinque Reggenti, alcuni nazionali, altri ad arbitrio del Re, il quale per lo più eleggeva Spagnuoli. Il Regno d'Aragona pretese, che uno dovesse essere aragonese, riputando questo Regno dipendente da quella Corona, come acquistato da Alfonso colle forze d'Aragona, e non senza ajuto del Re Giovanni suo fratello. Ha per suo Capo, come s'è detto, il Vicerè, nelle di cui mani i Reggenti danno nel principio dell'anno il giuramento di serbar il secreto. E nel caso della colui morte, quando non se gli trovi dato il successore, nell'interregno assumono il governo insieme con essi, i Reggenti di Spada nominati di Stato, i quali sono creati dal Re, perchè in mancanza del Vicerè, sottentrando in suo luogo, prendano le redini del governo co' Togati, i quali assembrati insieme nel regal Palazzo trattino dei negozi attinenti allo Stato ed alla buona amministrazione del Regno, sino a tanto che il Re non provvegga del successore.

Stabilito che fu dunque in Napoli questo supremo Consiglio, conciosiachè avesse per capo il Vicerè, a cui era commessa la somma delle cose, venne per ciò ad innalzarsi sopra tutti gli altri, e vennero gli altri Tribunali a perdere l'antico lor lustro e splendore. Ma molto più per la lontananza della sede regia furono abbassati i sette Ufficiali del Regno; onde col volger degli anni si ridussero nello stato, nel quale oggi li veggiamo.

Molto perdè il Gran Contestabile, che avea la soprantendenza degli eserciti di Terra in campagna, perchè costituito il Vicerè Luogotenente del Re e suo Capitan Generale del Regno, tutta la sua autorità passò nella di lui persona; avendo egli il comando non pur degli eserciti in campagna, ma anche in tutte le Piazze e sopra tutti li Governi delle province, a cui ubbidiscono tutti gli altri Generali e Marescialli. Solo, come fu detto nel libro XI di questa Istoria, quando il Vicerè sia lontano dal Regno, nè altri fosse stato deputato, potrebbe oggi il Gran Contestabile ne' casi repentini, e quando la necessità lo portasse, riassumere il comando delle armi: ond'è, che ancora duri il costume, che in caso di non pensata morte del Vicerè, il Gran Contestabile, quando dal Re non sia stato altrimente provveduto, sottentri in suo luogo al Governo del Regno.

Per l'erezione di questo nuovo Consiglio, tutte quelle belle prerogative, che adornavano il Gran Cancelliere furono da lui assorbite. Fu ne' tempi d'appresso riputato prudente consiglio de' Principi di togliere a' Gran Cancellieri quelle tante ed eminenti loro prerogative, ed unirle a' Reggenti, ed alla loro Cancelleria260. Si rapportò a questo fine nel libro XI di quest'Istoria l'esempio del Cancelliere della Santa Sede di Roma, il quale, poi che quasi de pari cum Papa certabat, fu risoluto da Bonifacio VIII toglierlo, attribuendo la Cancelleria a se medesimo, stabilendo solamente un Vicecancelliere. Così appunto avvenne appresso noi nel Regno di Ferdinando il Cattolico, di Carlo e degli altri Re di Spagna suoi successori. La Cancelleria per questo nuovo Collateral Consiglio fu attribuita al Re ed a questo suo Consiglio, amministrato da' Reggenti detti per ciò anche di Cancelleria. Prima i Gran Cancellieri aveano la presidenza al Consiglio di Stato negli affari civili del Regno, l'espedizione degli editti e d'ogni altro comandamento del Re: aveano la soprantendenza della giustizia: eglino erano i Giudici delle differenze, che accadevano sopra gli Ufficj ed Ufficiali: regolavano le loro precedenze e distribuivano a ciascun Magistrato ciò, ch'era della sua incombenza, perchè l'uno non attentasse sopra dell'altro. Presentemente i Reggenti di Cancelleria sottoscrivono i memoriali, che si danno al Vicerè, essi pongon mano ai privilegi, interpretano le leggi; hanno l'espedizione degli editti e de' comandamenti del Re. Essi sono i Giudici delle differenze che accadono fra gli altri Ufficiali, decidono le precedenze, destinano i Giudici, distribuiscono a ciascun Magistrato ciò, che se gli appartiene, ed è della loro incumbenza. Presso loro risiede la Cancelleria, e con essa gli scrigni, i registri e tutto ciò che prima era presso il Gran Cancelliere.

Per ciò hanno un Segretario, il quale tien sotto se e sotto la sua guida altri Ufficiali minori, che sono tutti impiegati alla spedizion delle lettere regie, degli assensi, de' privilegi, delle patenti degli Ufficiali del Regno. Tiene per ciò sei Scrivani, che si dicono di Mandamento, quattro Cancellieri: un altro de' negozj della soprantendenza della Campagna; un altro dei negozi della regal giurisdizione e sei altri Scrivani ordinari, che han cura de' registri, del Suggello e dell'altre cose appartenenti alla Cancelleria: dodici Scrivani di forma: due Archivarj, un Tassatore, un Esattore, un Ufficiale del suggello e quattro Portieri. Tutti questi sono uffici vendibili, fuor che del Cancelliere della giurisdizione, il quale per essere ufficio di confidenza, si concede graziosamente a persona meritevole261.

Quando prima i diritti delle spedizioni della Cancelleria erano regolati dal Gran Cancelliere, da poi Ferdinando il Cattolico per mezzo d'una sua prammatica, che si legge sotto il titolo super solutione facienda in Regia Cancellaria pro scripturis ibidem expediendis, prescrisse la quantità, che dee pagarsi, così per ispedizioni di lettere di giustizia, come di grazia, e per le concessioni delle Baronie e de' Titoli, de' Privilegi, de' Capitanati, de' Baliati, delle Castellanie, delle concessioni di mero e misto imperio, delle lettere di cittadinanza, di emancipazione, di Protomedici, Protochirurgi, di Doganieri e di Portolani, in brieve di tutti gli Uffici e di molte altre spedizioni: delle quali in quella prammatica fece egli un lungo catalogo, proscrivendo e tassando per ciascheduna le somme, che per diritto dee esiger la Cancelleria262. Prima, come narra il Tassone263, non s'esigevano questi diritti; ma per mantenere gli Ufficiali minori della Cancelleria erano destinati li frutti d'un feudo posto tra li confini di Lettere e di Gragnano, che per ciò acquistò il nome di Cancelleria. Ma poi, essendo stato quello venduto al monastero di S. Jacopo dell'isola di Capri dell'Ordine della Certosa, fa uopo esigerli dalle parti e tassarli nella maniera, che si è divisata. Fu variato il modo delle spedizioni, e quando prima non era usata che la lingua latina, indi cominciò ad introdursi la spagnuola, e le prammatiche ancora a dettarsi con quel linguaggio.

Fu parimente per l'erezione di questo nuovo Consiglio molto scemata l'autorità del Gran Protonotario e del suo Luogotenente. Quasi tutte le prammatiche, i privilegi e l'altre scritture prima erano firmate dal Gran Protonotario o suo Luogotenente; al presente non si ricerca più la lor firma, ma de' soli Reggenti. Fu sì bene a tempo di Ferdinando il Cattolico in questi principi ritenuto il costume, che oltre a' Reggenti le prammatiche fossero anche firmate dal Viceprotonotario; e quando si trattava di cose attenenti al patrimonio regale, le spedizioni si facevano pro Curia dal Luogotenente del Gran Camerario, come s'osserva in quelle poche prammatiche, che promulgò in Napoli Ferdinando; nulladimanco nel decorso degli anni fu tolta affatto la lor firma, e rimase quella de' soli Reggenti. Anche nella creazione de' Notari e de' Giudici a contratti vi vollero la lor parte, ed oltre di prescrivere i diritti per le lettere de' Notari e de' Giudici, i loro privilegi pure si spediscono dalla Cancelleria con firma di un Reggente, oltre del Viceprotonotario.

Il Gran Camerario ed il suo Tribunale della regia Camera fu posto nella suggezione, nelle cause più gravi del Patrimonio regale, ed ove l'affare il richiegga, di dovere il Luogotenente e Presidenti di quella andare in questo Consiglio a riferir le loro cause, ed ivi deciderle; e ciò per la soprantendenza, che tiene sopra tutti i Tribunali della città e del Regno, drizzata al fine, che non altrimente potrebbe sperarsene un ottimo e regolato governo; ond'è, che si esiga la loro riverenza e rispetto.

Prima le dimande de' sudditi, che si facevano al Re, siano di giustizia o di grazia, si portavano al Gran Giustiziere, il quale nel giorno stesso, col consiglio d'un Giudice della Gran Corte, quelle che erano regolari, e che non avean bisogno di parteciparsi al Principe, le spediva egli immediatamente nel giorno seguente, le altre che richiedevano la scienza del Re, si mandavano suggellate al suo Segretario per la spedizione264. Ora per l'elezione di questo Consiglio, tutti li preghi e memoriali si portano dirittamente al Segretario del Collaterale e suoi Scrivani di Mandamento, e vi si dà la provvidenza.

245Cam. Tutin. de' Contestab. p. 176.
246Cam. Tut. de' Contestab. in Fabrizio Colon.
247Guicc. lib. 12. Jo. Vasaei Chronic. Hispan. pag. 164 Franc. Carap hae de Reg. Hisp.
248Summon. tom. 4 lib. 6.
249Giov. Vita del G. Capit
250Si legge tra' Capitoli e Grazie della Città e Regno fol. 78 con data scorrettissima, dovendosi leggere: Ex Bruxella XI Feb. MDXVI.
251Bodin. lib. 5. Rep. cap. 1.
252Tuan. Hist. lib. 1.
253Artur. lib. 2 cap. 6 num. 1.
254V. Michel di Montagna ne' Saggi, lib. 2 cap 6.
255Lionard tom 2 ivi: Doctorem, et Regentem Cancellariae.
256Privil. Neap. in c. 9. Comitis Ripae Cursiae.
257In privileg. et cap. Neap. fol. 148 et 159 cap. 4 Tasson. de Antef. vers. 7 obs. 3 num. 14
258Zurita de las empresas, y Ligas de Italiae, l. 10 c. 99
259Topi t. 3 orig. Trib. p. 154.
260V. Tappia de praeemin. R. Cancell.
261V. Tasson. De Antef. vers. 7 obs. 3 n. 40.
262Privil. et c. Neap. fol. 50. Pragm. 1 de Offic. Secret.
263Tasson. de Antef. vers. 7 obs. 3 n. 7.
264Constit. Regni, Accipimus.