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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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Ecco, come, discacciato Federico, fu partito il Regno in due parti, e con nuova politia governato dagli Ufficiali di due Re. In Napoli il Re di Francia vi teneva per Vicerè Luigi d'Armignac Duca di Nemors il quale reggeva Terra di Lavoro e l'Apruzzo, e tutta quella parte a lui spettante. In Calabria e Puglia, province alla Sicilia vicine, governava il Gran Capitano, come Vicerè e Gran Plenipotenziario di Ferdinando Re di Spagna.

CAPITOLO IV
Origine delle discordie nate tra Spagnuoli e Franzesi, e come finalmente cacciati i Franzesi, tutto il Regno cadesse sotto la dominazione di Ferdinando il Cattolico

Non così subito, in vigor della convenzione pattuita, si vide diviso il Regno tra questi due potentissimi Re e due emule Nazioni, che in questo stesso anno 1501 sursero infra di loro gravi discordie intorno al prefiggere i termini della accordata divisione. L'origine di queste contese nacque, perchè nella divisione non furono espressi bene i confini, ed i termini delle province; in quella non si espresse, se non generalmente, che al Re di Francia fosse aggiudicata Terra di Lavoro ed Apruzzi, ed al Re di Spagna la Puglia e la Calabria. Vi erano alcune Province come Capitanata, Contado di Molise, e Val di Benevento, Principato e Basilicata, le quali chi pretendeva che dovessero comprendersi nella sua metà, e chi nell'altra parte a se appartenente.

S'accrebbero le discordie in questo stesso anno 1501 per l'esazione della dogana del passaggio delle pecore in Puglia, nella provincia di Capitanata227. I Capitani franzesi pretendevano, che questa Provincia dovesse appartenere ali Apruzzi, fondando questa lor pretensione in una ragione, secondo che la rapporta il Guicciardino, affatto vana, cioè di non doversi stare alla moderna divisione fatta da Alfonso, di cui a bastanza si è discorso ne' precedenti libri, ma doversi nel dividere aver rispetto all'antica. Allegavano, che Capitanata essendo contigua all'Apruzzi, e divisa dal resto della Puglia dal fiume dell'Osanto, già detto Aufido, dovea a loro aggiudicarsi: o che non si comprendesse sotto alcuna delle quattro Province nominate nella divisione, o che più tosto fosse parte dell'Apruzzi, che della Puglia. La premura, che ne mostravano era grandissima, poichè non gli moveva tanto quello, che in se importasse il paese, quanto perchè non possedendo Capitanata, essendo privato l'Apruzzi e Terra di Lavoro de' frumenti, che nascono in Capitanata, potevano ne' tempi sterili esserne facilmente quelle province ridotte in grandissima estremità, qualunque volta dagli Spagnuoli fosse proibito loro il trarne dalla Puglia e dalla Sicilia. Il Guicciardino rapporta ancora, che per altra cagione loro premeva aver quel paese, perchè non possedendolo, non apparteneva a loro parte alcuna dell'entrate della dogana delle pecore, membro importante dell'entrate del Regno. Ma se è vera la carta rapportata da Federico Lionard e dal Tutino di questa divisione, com'è verissima, si vede che questa cagione non potè allora muovergli; poichè in quella fu espressamente convenuto, che queste rendite dovessero per metà fra di loro dividersi; e l'istesso Guicciardino confessa, che in questo primo anno per togliere l'altercazioni, erano stati contenti di partire in parte uguale l'entrate della Dogana, la quale divisione, com'egli crede, fu in vigor di questa concordia, non già della prima convenzione; tanto che nel seguente anno, non contenti della medesima divisione, ne avea ciascuno occupato il più che avea potuto.

Ma in contrario, per parte de' Capitani Spagnuoli, forse con maggior ragione, s'allegava non poter Capitanata appartenere a' Franzesi, perchè l'Apruzzi terminando ne' luoghi alti, non si stende nelle pianure, e perchè nelle differenze de' nomi e confini delle province, s'attende sempre all'uso recente; s'aggiungeva che sebbene Capitanata fosse contigua alli Apruzzi, e divisa dal resto della Puglia dal fiume Ofanto, nulladimanco la Puglia essere stata sempre divisa in tre parti, cioè in Terra d'Otranto, Terra di Bari e Capitanata; onde dovea riputarsi questa compresa sotto la Puglia, una delle quattro province nominate nella convenzione.

S'aggiunsero da poi nuove contenzioni, nutrite insino allora più per volontà de' Capitani che per consentimento de' Re; poichè gli Spagnuoli pretendevano che il Principato e Basilicata si comprendesse nella Calabria; e che il Val di Benevento che tenevano i Franzesi, fosse parte di Puglia: e però mandarono Ufficiali a tenere la giustizia nella Tripalda, vicina a due miglia ad Avellino, dove dimoravano gli Uffiziali de' Franzesi.

Queste dissensioni essendo moleste a' principali Baroni del Regno, per mezzo delle loro interposizioni proccurarono che si componessero da Consalvo, e dal Duca di Nemors Vicerè del Re di Francia; ed essendo venuti per opera loro il Duca a Melfi e Consalvo ad Atella, Terra del Principe di Melfi, dopo le pratiche di qualche mese, nelle quali anche i due Capitani parlarono insieme; non trovandosi tra loro forma di concordia, convennero aspettare la determinazione de' loro Re, e che in questo mezzo non s'innovasse cosa alcuna. Ma il Vicerè franzese insuperbito, perchè era molto superiore di forze, avendo pochi dì da poi fatta altra dichiarazione, protestò la guerra a Consalvo, in caso non rilasciasse subito Capitanata: e da poi immediatamente fece correre le genti sue alla Tripalda, dalla quale incursione che fu fatta il decimo nono dì del mese di giugno di quest'anno 1501 ebbe principio la guerra, la quale continuamente proseguendo, i Franzesi cominciarono senza rispetto ad occupar per forza in Capitanata ed altrove le Terre che si tenevano per gli Spagnuoli: le quali cose non solamente non furono emendate dal loro Re; ma avendo già notizia che il Re di Spagna era determinato a non gli cedere Capitanata, voltato con tutto l'animo alla guerra, mandò loro in soccorso per mare duemila Svizzeri, e fece condurre agli stipendi suoi i Principi di Salerno e di Bisignano, ed alcuni altri de' principali Baroni. Venne, oltra questo, il Re a Lione per potere di luogo più propinquo fare le provvisioni necessarie all'acquisto di tutto il Reame, al quale, non contento de' luoghi della differenza, già manifestamente aspirava, con intenzione di passare, se bisognasse, in Italia.

Portatosi con effetto Re Luigi a Milano, rivolse tutti i suoi pensieri alle cose di Napoli, le quali pareva che insino allora succedessero prosperamente, e si sperava per l'avvenire maggiore prosperità, perchè il Vicerè Duca di Nemors, che avea già, toltone Manfredonia e S. Angelo, occupata tutta Capitanata, coi nuovi soccorsi avuti dal Re, avea occupate molte terre di Puglia e di Calabria; ed eccetto Barletta, Andria, Gallipoli, Taranto, Cosenza, Gerace, Seminara e poche altre città vicine al mare, tutto era passato sotto le bandiere de' Franzesi: tanto che il Gran Capitano, trovandosi molto inferiore di gente, si ridusse coll'esercito in Barletta senza danari, e con poca vettovaglia.

Queste prosperità, mentre che il Re era in Italia, non solo lo fecero negligente a continuare le debite provisioni, nelle quali continuando sollecitamente avrebbe facilmente cacciati i nemici da tutto il Regno, ma come se l'impresa fosse finita lo fecero deliberare di tornarsene in Francia: onde le cose de' Franzesi dopo la sua partita d'Italia, non procederono più così prosperamente; poichè essendo passato da Messina in Calabria D. Ugo di Cardona con 800 fanti spagnuoli; e poco da poi arrivate di Spagna a Messina nuove truppe guidate da Emmanuele di Benavida, col qual passò allora in Italia Antonio di Leva, che salito poi di privato soldato per tutti i gradi militari al Capitanato Generale, acquistò in Italia molte vittorie; cominciarono gli Spagnuoli a prender vigore, e venutosi a vari fatti d'armi, ne' quali gli Spagnuoli rimasero superiori, sempre più andavan riprendendo animo, ed all'incontro s'andava diminuendo l'ardire de' Franzesi.

Ma assai più si videro costernati e pieni di rossore, quando per alcune parole ingiuriose vicendevolmente dette da' Franzesi contro agl'Italiani, e da questi contra quegli, s'accesero gli animi in guisa, che ciascuno di loro per sostenere l'onore della propria Nazione, si convennero, che in campo sicuro, a battaglia finita, combattessero insieme tredici uomini d'arme franzesi e tredici uomini d'arme italiani. Fu eletto per luogo del combattimento una campagna tra Barletta, Andria e Quarato. Ciascuno de' Capitani confortava i suoi; ma come fu dato il segno, combattendo ciascuno con grandissima animosità ed impeto, finalmente i Franzesi furon vinti, e chi da uno e chi da un altro degli Italiani furono fatti tutti prigioni; questo abbattimento de' Franzesi cotanto ben descritto dal Guicciardino228 e dal Giovio229, siccome riempì di coraggio gli Italiani, che militavano sotto il G. Capitano, così è incredibile quanto animo togliesse all'esercito franzese e quanto n'accrescesse all'esercito spagnuolo, facendo presagio da questa isperienza di pochi del fine universale di tutta la guerra.

 

Il Re di Francia Luigi vedendo per questi progressi degli Spagnuoli, che non vi era speranza di liberarsi da questa guerra, se non tentando con varie pratiche l'animo del Re di Spagna, di ridurlo ad una pace, non cessava di proccurarla; e mentre che tra l'uno e l'altro Re erano questi trattati, s'offerse assai opportuna congiuntura di ridurle ad effetto.

Filippo figliuolo di Massimiliano Imperadore, Arciduca d'Austria, Principe di Fiandra e più prossimo alla successione de' Regni di Spagna, per Giovanna sua moglie (unica figliuola, ed erede di Ferdinando e di Elisabetta) essendo dimorato lungamente in Spagna tra le carezze de' suoceri, deliberò tornare in Fiandra, e far il viaggio per terra traversando la Francia: e benchè i suoi suoceri glielo sconsigliassero, nulladimanco stando sicuro della fede e lealtà del Re Luigi, volle intraprendere quel cammino: e con tal occasione venendo sollecitato dal Re di Francia per la pace, proccurò, che i suoi suoceri gli dassero ampia facoltà e libero mandato di conchiuderla nel passaggio di Francia con quel Re; ed oltre a ciò, perchè fosse stabile ciò, ch'egli avrebbe conchiuso, proccurò che fosse accompagnato da due loro Ambasciadori, senza la participazione de' quali non voleva egli nè trattare, nè conchiudere cos'alcuna. Partito Filippo di Spagna, ed entrato in Francia, fu incredibile con quanta magnificenza ed onore fosse per ordine del Re ricevuto per tutto il Regno di Francia, non solo per desiderare di farselo propizio nella pratica dell'accordo, ma per conciliarsi per ogni tempo l'animo di quel Principe giovane, ed in espettazione di somma potenza, perchè era il più prossimo alla successione dell'Imperio romano, e de' Reami di Spagna con tutte le loro dipendenze: furono colla medesima liberalità raccolti, e fatti molti donativi a quegli ch'erano grandi appresso a lui: alle quali dimostrazioni corrispose Filippo con magnanimità reale; perchè avendo il Re, oltre la fede datagli, che e' potesse sicuramente passare per Francia, mandato per sua sicurtà a far dimorare in Fiandra, sin ch'egli fosse passato, alcuni de' primi Signori del Reame, Filippo come fu entrato in Francia, per dimostrare di confidarsi in tutto della sua fede, ordinò che gli Statichi fossero liberati. Nè a queste dimostrazioni d'amicizia tanto grandi succederono, per quanto fu in loro, effetti minori, perchè convenutisi a Bles, dopo la discussione di qualche giorno, conchiusero la pace con queste condizioni:

Che il Reame di Napoli si possedesse secondo la prima divisione: ma lasciarsi in deposito a Filippo le province, per la differenza delle quali s'era venuto alle armi.

Che fin dal presente Carlo figliuolo di Filippo e Claudia figliuola del Re, tra' quali si stabiliva lo sposalizio altre volte trattato, s'intitolassero Re di Napoli e Duchi di Puglia e di Calabria.

Che la parte che toccava al Re di Spagna, fosse in futuro governata dall'Arciduca Filippo, quella del Re di Francia, da chi deputasse il Re, ma tenersi l'una e l'altra sotto nome de' due fanciulli, a' quali, quando consumavano il matrimonio, il Re consegnasse per dote della figliuola la sua porzione.

Fu questa pace, secondo il Guicciardino, pubblicata nella chiesa Maggiore di Bles, e confermata con giuramento del Re e di Filippo, come Proccuratore de' Re suoi suoceri: ma il trattato di questa pace che tutto intero si legge nel secondo tomo di Federico Lionard della sua Raccolta, porta la data di Lione a' 5 aprile del 1502. Pace certamente, se avesse avuto effetto, di grandissimo momento, perchè si sarebbero posate le armi tra' Re tanto potenti.

(Gli Articoli concessi in questa Pace si leggono in Lingua franzese presso Lunig tom. 2, pag. 1331 ed hanno la stessa data de' 5 aprile 1502).

Ma avendo subito il Re e Filippo mandato nel Regno di Napoli ad intimarla ed a commandare a' Capitani che insino a tanto venisse la ratifica de' Re di Spagna, possedendo come possedevano, s'astenessero dall'offese, offerse il Capitan Franzese d'ubbidire al suo Re; ma lo Spagnuolo o perchè più sperasse nella vittoria o perchè l'autorità sola di Filippo non gli bastasse, rispose, che infino non avesse il medesimo comandamento da' suoi Re, non poteva omettere di fare la guerra. Così Consalvo che, vedendo ora i suoi vantaggi, non gli parve trascurar le opportunità, sperando, prima che venisse la commessione del suo Re, aver fatto tanto acquisto che non si sarebbe la pace ratificata, proseguì con maggior fervore che mai a molestare i Franzesi, co' quali venuto a battaglia, interamente li ruppe e disperse, talchè abbandonando ogni cosa, si ritirarono tra Gaeta e Trajetto. Ottenuta Consalvo tanta vittoria, non allentando il favor della fortuna, si dirizzò coll'esercito a Napoli, ove come cominciò ad accostarsi, i Franzesi che v'erano dentro si ritirarono in Castel Nuovo. I Napoletani abbandonati mandarono Ambasciadori ad incontrar Consalvo, ed a pregarlo che li accettasse in fede: il che egli fece molto volentieri sottoscrivendo i privilegi dei Re passati, ed il quartodecimo giorno di maggio di quest'anno 1503 entrò in Napoli, ove fu ricevuto con gran pompa e giubilo, ed il giorno seguente si fece giurar fedeltà in nome del Re Ferdinando: e nel medesimo tempo l'istesso fecero Aversa e Capua.

Pervenute al Re di Francia le novelle di tanto danno in tempo che più poteva in lui la speranza della pace che i pensieri della guerra, commosso gravissimamente per la perdita d'un Reame tanto nobile, per la ruina degli eserciti suoi, ne' quali era tanta nobiltà e tanti uomini valorosi, per li pericoli, ne' quali rimanevano l'altre cose che in Italia possedeva; come ancora per riputarsi grandissimo disonore d'essere vinto da' Re di Spagna, senza dubbio meno potenti di lui; e sdegnato sommamente d'essere stato ingannato sotto la speranza della pace, deliberava d'attendere con tutte le forze sue a ricuperare l'onore ed il Regno perduto, e vendicarsi con l'armi di tanta ingiuria. Ma innanzi procedesse più oltre si lamentò efficacissimamente con l'Arciduca, che ancora non era partito da Bles, dimandandogli facesse quella provvisione ch'era conveniente, se voleva conservare la sua fede ed il suo onore, il quale essendo senza colpa, ricercava con grandissima istanza i suoceri del rimedio: dolendosi soprammodo che queste cose fossero così succedute con tanta sua infamia nel cospetto di tutto il Mondo.

Ferdinando innanzi alla vittoria avea con varie scuse differito di mandare la ratifica della pace, allegando, ora non trovarsi tutti due, egli e la Regina Elisabetta sua moglie in un luogo medesimo, com'era necessario, avendo a fare congiuntamente l'espedizione; ora l'essere occupati molto in altri negozi. Eran essi mal soddisfatti della pace, o perchè il genero avesse trapassate le loro commessioni, o perchè dopo la partita sua di Spagna avessero conceputa maggiore speranza dall'evento della guerra; o perchè fosse paruto loro molto strano, ch'egli avesse convertita in se medesimo la parte loro del Reame, e senza certezza alcuna, per l'età tanto tenera degli Sposi, che avesse ad avere effetto il matrimonio del figliuolo, e nondimeno non negando, anzi sempre dando speranza di ratificare, ma differendo, si avevano riservato più tempo che potevano a pigliare consiglio secondo i successi delle cose; ma intesa la vittoria de' suoi, deliberati di disprezzare la pace fatta, allungavano nondimeno il dichiarare all'Arciduca la loro intenzione; perchè quanto più tempo ne stasse ambiguo il Re di Francia, tanto più tardasse a fare nuove provvisioni per soccorrere Gaeta e l'altre Terre che gli restavano; ma stretti finalmente dal genero, determinato di non partire altrimente da Bles, vi mandarono nuovi Ambasciadori, i quali dopo aver trattato qualche giorno, manifestarono finalmente non essere la intenzione de' loro Re di ratificare quella pace, la quale non s'era fatta in modo che fosse per loro, nè onorevole, nè sicura; anzi venuti in controversia con l'Arciduca, gli dicevano essersi i suoceri maravigliati assai, ch'egli nelle condizioni della pace avesse trapassata la loro volontà, perchè, benchè per onor suo il mandato fosse libero ed amplissimo, egli si aveva a riferire alle istruzioni ch'erano state limitate. Alle quali cose rispondeva Filippo non essere state meno libere le istruzioni che 'l mandato; anzi avergli nella partita sua efficacemente detto l'uno e l'altro de' suoceri che desideravano e volevano la pace per mezzo suo; ed avergli giurato in sul libro dell'Evangelio ed in su l'Immagine di Cristo Crocifisso che osserverebbono tutto quello che da lui si concludesse; e nondimeno non avere voluto usare sì ampia e libera facoltà, se non con partecipazione ed approvazione de' due uomini che seco aveano mandati.

Proposero gli Oratori con le medesime arti nuove pratiche di concordia, mostrandosi inchinati a restituire il Regno al Re Federico: ma conoscendosi essere cose non solo vane ma insidiose, perchè tendevano ad alienare dal Re di Francia l'animo di Filippo, intento a conseguire quel Reame per lo figliuolo; il Re proprio in pubblica audienza fece loro risposta, denegando volere prestare orecchi in modo alcuno a' nuovi ragionamenti, se prima non ratificavano la pace fatta, e davano segni che fossero loro dispiaciuti i disordini seguiti; aggiungendo parergli cosa non solo maravigliosa, ma detestanda ed abbominevole che quelli Re, che tanto si gloriavano d'avere acquistato il titolo di Cattolici, tenessero sì poco conto dell'onor proprio, della fede data, del giuramento e della religione: nè avessero rispetto alcuno all'Arciduca, Principe di tanta grandezza, nobiltà e Virtù, e figliuolo ed erede loro; con la qual risposta avendo il dì medesimo fattigli partire dalla Corte, si volse con tutto l'animo alle provvisioni della guerra, disegnando farle maggiori, e per terra e per mare che già gran tempo fossero state fatte per alcuno Re di quel Reame.

Deliberò dunque di mandare grandissimo esercito, e potentissima armata marittima nel Regno di Napoli; e perchè in questo mezzo non si perdesse Gaeta e le castella di Napoli, mandarvi con prestezza per mare soccorso di nuove genti e di tutte le cose necessarie; e per impedire che di Spagna non v'andasse soccorso (il che era stato cagione di tutti i disordini) assaltare con duo eserciti per terra il Regno di Spagna, mandandone uno nel Contado di Rossiglione, l'altro verso Fonterabia e gli altri luoghi circostanti; e con un'armata marittima molestare nel tempo medesimo la costiera di Catalogna e di Valenza.

Mentre che il Re Luigi con grandissima sollecitudine preparava queste spedizioni, il Gran Capitano non tralasciava proseguire l'espugnazione delle Castella di Napoli, e riuscendogli con prospera fortuna ogni impresa, finalmente fu tutto rivolto all'espugnazione di Gaeta, ed a discacciare interamente i Franzesi dagli altri luoghi del Regno.

Ma quello che fece a' Franzesi uscir totalmente di speranza di ristabilirsi, fu la morte accaduta in questi tempi del Pontefice Alessandro, al quale sebbene fosse succeduto Pio III, questi non avendo tenuto più quella Sede che 20 giorni, fu rifatto in suo luogo Giulio II, il quale, contro l'espettazione di tutti, riuscì il più fiero nemico che avessero avuto mai i Franzesi, onde le imprese cominciate con tanta speranza dal Re di Francia, erano ridotte in molta difficoltà: tanto che Re Luigi mal volentieri inchinava alla guerra di là de' monti, e datasegli apertura di pace facilmente vi diede orecchio.

Colui, che vi s'interpose, fu il nostro discacciato Re Federico, il quale trovandosi in Francia appresso quel Re, lusingato dalle finte promesse del Re di Spagna, che gli dava intenzione di consentire alla restituzione sua nel Regno di Napoli, e sperando che avesse parimente a consentirvi il Re di Francia, appresso al quale, indotta a compassione, si affaticava molto per lui la Regina di Francia, avea introdotto tra loro pratiche di pace, per le quali, mentre che ardeva la guerra in Italia, andarono in Francia Ambasciadori del Re di Spagna, governandosi con tanto artificio che Federico si persuadeva che la difficoltà della sua restituzione (contraddetta estremamente da' Baroni della parte Angioina) consistesse principalmente nel Re di Francia. Ma mentre con questi artifici si trattava di pace, il Gran Capitano non tralasciava vieppiù che mai di molestare i Franzesi; ed essendogli riuscito dargli una memorabil rotta appresso il Garigliano, cotanto ben descritta dal Giovio e dal Guicciardino, oltre d'essergli stata dai Franzesi consegnata Gaeta e la Fortezza; il primo giorno del nuovo anno 1504 se n'uscirono finalmente dal Regno, il quale in quest'anno cadde interamente sotto la dominazione di Ferdinando, e sotto il governo ed amministrazione del Gran Capitano suo Plenipotenziario.

 

Non si rallentavano in questo tempo medesimo i trattati di pace tra il Re di Francia ed i Re di Spagna, i quali simulatamente proponevano che il Regno si restituisse al Re Federico o al Duca di Calabria suo figliuolo, a' quali il Re di Francia cedesse le sue ragioni; e che al Duca si maritasse la Regina vedova nipote di quel Re, ch'era già stata moglie di Ferdinando il giovane d'Aragona. Nè era dubbio, il Re di Francia essere alienato tanto con l'animo dalle cose del Regno di Napoli che per se avrebbe accettata qualunque forma di pace; ma nel partito proposto lo ritenevano due difficoltà: l'una, benchè più leggiera, che si vergognava abbandonare i Baroni che per avere seguitata la parte sua erano privati de' loro Stati, ai quali erano proposte condizioni dure e difficili; l'altra che più lo movea, che dubitando, che se i Re di Spagna, avendo altrimenti nell'animo, proponessero a qualche fine con le solite arti questa restituzione, temeva che consentendovi, la cosa non avesse effetto, e nondimeno alienarsi l'animo dell'Arciduca, il quale desiderando di avere il Regno di Napoli per lo figliuolo, faceva istanza che la pace fatta altre volte da se andasse innanzi; però rispondeva generalmente, desiderarsi da se la pace, ma essergli disonorevole cedere le ragioni che avea in quel Regno ad un Aragonese; e dall'altra parte continuava le pratiche antiche col Re de' Romani e con l'Arciduca: le quali, come fu quasi certo dovere avere effetto, per non l'interrompere con la pratica incerta de' Re di Spagna, licenziò gli Ambasciadori Spagnuoli, ed a Blois nel mese di settembre del 1504 si conchiuse la pace con Massimiliano e l'Arciduca, con istabilirsi prima di ogni altro, che il matrimonio prima trattato di Claudia sua figliuola con Carlo Duca di Lucemburgo primogenito dell'Arciduca, avesse effetto; ed intorno al Regno di Napoli fu convenuto, che niuno delli contraenti potesse trattare co' Re di Spagna, e col Re Federico d'Aragona sopra questo Regno senza volontà e sapere di tutti, dandosi tre mesi di tempo ai suddetti Re di Spagna se volessero entrare in questa pace ed essere in quella compresi; purchè però rimettessero il Regno, per quanto si apparteneva ad essi, a Carlo Duca di Lucemburgo; e per quanto si apparteneva al Re di Francia, a Claudia sua figliuola; ma dovesse amministrarsi dal Re di Castiglia insino che sarà consumato il matrimonio tra detto Duca e Claudia230.

In questo stato di cose morì a' 9 di settembre di quest'anno 1504 nella città di Tours il Re Federico, privato di speranza d'avere più per accordo a ricuperare il Regno di Napoli, benchè prima ingannato (com'è cosa naturale degli uomini) dal desiderio, si fosse persuaso, essere più inclinati a questo i Re di Spagna, che il Re di Francia, non considerando, come assai a proposito ponderò il Guicciardino231, essere vano sperare nel secolo nostro sì magnanima restituzione di un tanto Regno, essendone stati esempj sì rari, eziandio ne' tempi antichi, disposti molto più che i tempi presenti, agli atti virtuosi e generosi: nè pensando essere alieno da ogni verisimile che chi avea usato tante insidie per occupare la metà, volesse ora che l'avea conseguito tutto, per liberalità privarsene; ma nel maneggio delle cose s'era finalmente accorto, non essere minore difficoltà nell'uno che nell'altro: anzi doversi più disperare, che chi possedeva restituisse, che chi non possedeva consentisse.

Questo fu l'ultimo Re discendente da Alfonso I ultimo ancora degli Aragonesi di Napoli, e con lui il nostro Regno perdè il pregio d'avere Re propri e nazionali; perdè ancora la città di Napoli essere sede regia, e quel pregio, col quale tanti Re suoi predecessori, per averla eletta per loro residenza, l'avean illustrata ed ornata di tanti splendori, quanto seco ne porta una Corte regale. Morì nell'età di cinquanta due anni, avendone regnato meno di cinque. Principe cotanto saggio e di molte lettere adorno, che a lui, non men che a Ferdinando suo padre deve Napoli il ristoramento delle discipline e delle buone lettere. Ci restano ancora di lui alcune savie e prudenti leggi che nel volume delle nostre prammatiche si leggono.

Non meno infelice fu la sua progenie: egli ancorchè di se e della Regina Isabella sua legittima moglie lasciasse cinque figliuoli, tre maschi e due femmine, ebbero tutti infelicissimo fine. Il Duca di Calabria, Ferdinando suo figliuol primogenito, fu mandato prigione in Ispagna, dove finchè visse Ferdinando il Cattolico, fu tenuto assai ristretto, e ben guardato. Gli fu data da Ferdinando per moglie Mencia di Mendozza sterile, perchè non ne nascesse prole. Innalzato al trono l'Imperador Carlo V, per aver Ferdinando ricusato d'esser Capitano della sedizione seguita in Ispagna l'anno 1522, lo richiamò nella sua Corte, ove lo tenne con grande amore: e gli diede non molto da poi, essendo morta Mencia, per moglie Germana di Fois figliuola d'una sorella del Re Lodovico di Francia, quella che nel 1505 fu maritata col Re Cattolico. Era costei molto ricca, ma sterile; onde per questo si pensò congiungerla con Ferdinando, acciò che in lui, ultima progenie de' discendenti d'Alfonso, il vecchio Re d'Aragona, s'estinguesse quella famiglia, siccome nel 1550, nel qual anno morì Ferdinando, affatto s'estinse.

Era egli rimaso l'ultimo, perchè due altri figliuoli d'età minore, erano già prima morti, uno in Francia, l'altro in Italia: imperocchè Isabella stata moglie di Ferdinando, licenziata da quel Re dal Regno di Francia, per aver ricusato di mettere questi due figliuoli in potestà del Re Cattolico, se n'andò a Ferrara, dove l'anno 1533 morì, avendo veduto prima morire questi due suoi figliuoli. Le due figliuole femmine nate di questo matrimonio parimente morirono senza lasciar di se prole alcuna.

Alcuni Scrittori rapportano, che Federico colla prima moglie Anna di Savoja procreasse una figliuola nominata Carlotta d'Aragona Principessa di Taranto; ed i Franzesi scrivono che questa fosse stata maritata in Francia nel 1500 a Guido XVI Conte di Lavalla, essendo poi morta nel 1505. Nacquero da queste nozze Caterina ed Anna di Lavalla: la posterità di Caterina restò estinta per la morte senza prole di Guido XX Conte di Lavalla, morto nel 1605. Anna di Lavalla fu maritata nel 1521 a Francesco della Tremoglia, da' quali nacque Luigi Duca della Tremoglia; onde essendo estinta la famiglia de' Lavalli in Francia, e nelle di lui ragioni succeduta la Casa de' Duchi della Tremoglia, discendenti da Luigi nipote di Carlotta; si pretende ancora oggi che le ragioni di Carlotta sopra il Reame di Napoli si fossero trasferite a' Duchi della Tremoglia; e ne' tempi di Filippo IV per le note revoluzioni accadute nel regno, avendo il Re di Francia Luigi XIV, per non perder quell'occasione, voluto anch'egli entrarvi in parte, per le pretensioni che vi teneva, come discendente di Luigi XII che fece divolgare per più manifesti; si vide ancora uscir fuori nel 1648 una scrittura in nome del Duca della Tremoglia di quel tempo, in lingua franzese, che fu anche tradotta in Italiano, portando in fronte questo titolo: Trattato del jus, e de' diritti ereditarj del Signor Busa della Tremoglia sopra il Regno di Napoli. Parimente nel tempo medesimo se ne fece imprimere un'altra latina in Parigi: De Regni Neapolitani jure pro Tremollio Duce. Pretendeva il Duca per le ragioni di Carlotta appartenere a se il Regno, e ne fece allora tanto rumore, che nell'Assemblea tenuta in detto anno 1648 nella città di Munster per la pace generale, il Duca fece presentar nell'Assemblea la scrittura latina a' Mediatori della pace dall'Abate Bertault in suo nome, ove fece più proteste e pubblici atti per questa pretensione. Il libro tradotto in Italiano, con tutti questi atti e protesti, ebbi io opportunità di leggerli nella Biblioteca de' Brancacci al Seggio di Nido, ove si conserva.

(Oltre ciò nella pace di Nimega trattata e conchiusa nel 1678 Carlo Duca della Tremoglia spedì pure Giovanni Gabriele Sanguiniere per suo Messo al Nunzio appostolico straordinario Bevilacqua, residente, con lettere di 7 luglio del suddetto anno, di dover proteggere in quell'accordo la sua pretensione, e dal medesimo fece presentare a 16 agosto nel Congresso per man di Notajo una simile protesta, la quale colle suddette lettere si legge presso Lunig Tom. 2. pag. 1395. Di vantaggio, nella pace di Risuich, trattata nel 1697 fece altra simil Protesta narrata da Struvio Syntag. Hist. Germ, diss. 37 § 87 pag. 1811, il qual scrive: Tremouillus Dux contra Hispanorum possessionem Regni Neapolitani; extant haec scripta in Actis et M. Tom. III. pag. 319)

227Thuan. lib. 1. Hist. Sed non diu inter victores reges mansit in societate concordia; nam cum de vectigali, quod in Apulia ad fines Sannii ex quadrupedum transitu colligitur, inter partes ambigeretur, etc.
228Guic. l. 5.
229Giov. lib. 2. Vita Consalvi.
230Frider. Lionard. tom. 2 della Raccolta de' Trattati di Pace co' Re di Francia, ed altri Principi.
231Guic. lib. 6.