Free

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

Text
iOSAndroidWindows Phone
Where should the link to the app be sent?
Do not close this window until you have entered the code on your mobile device
RetryLink sent

At the request of the copyright holder, this book is not available to be downloaded as a file.

However, you can read it in our mobile apps (even offline) and online on the LitRes website

Mark as finished
Font:Smaller АаLarger Aa

CAPITOLO III
Regno breve di Federico d'Aragona: sue disavventure, e come cedendo a' Spagnuoli ed a Franzesi fosse stato costretto abbandonarlo, e ritirarsi in Francia

Federico Principe cotanto savio e molto caro alle Muse, appena morto suo nipote, fu in Napoli con allegrezza di ciascuno gridato Re; e la Regina vecchia sua matrigna, ancor che molti dubitassero, non lo volesse ritenere per Ferdinando Re di Spagna suo fratello, gli consignò subito Castel Nuovo; nel quale accidente si dimostrò egregia verso Federico, non solo la volontà del Popolo di Napoli, ma eziandio de' Principi di Salerno e di Bisignano e del Conte di Capaccio, i quali furono i primi in Napoli che chiamarono il suo nome, lo salutarono Re, contenti molto più di lui che del Re morto, per la mansuetudine del suo ingegno, e perchè già era nata non picciola sospizione, che Ferdinando avesse in animo, come prima fossero stabilite meglio le cose sue, di perseguitare ardentemente tutti coloro che in modo alcuno si fossero dimostrati fautori de' Franzesi; onde Federico per riconciliarseli interamente, restituì a tutti liberamente con molta lode le loro Fortezze; e per dimostrar maggiormente questo suo animo, fece coniare una sorte di moneta, la quale da una banda avea un libro con una fiamma di fuoco, col motto: Recedant vetera, e dall'altra una Corona, col motto: A Domino datum est istud.

(Sebbene questa moneta così descritta, come la rapporta il Diario di Silvestro Guarino presso il Pellegrino, non siasi ancor veduta; nulladimanco il Vergara nel suo libro delle monete de' Re di Napoli alla Tav. XXII, num. I se non porta la stessa, ne portò una simile, la quale da una parte ha il libro tra fiamme di fuoco, col motto intorno: Recedant vetera: e dall'altra non già la Corona, il motto A. Domino etc. ma l'immagine di Federico coronato col suo nome e titolo FEDERICUS DEI GR. SI. HI. ed a ragione riprova l'interpretazione che le diede Giovanni Luchio Sylloge Nunismat. Elegant. il qual rapportando pure questa moneta, sognò che fosse fatta coniare da Federico in tempo che non avea un palmo di terra, cioè allora che scacciato e ramingo, passò in Francia appresso il Re Ludovico XII per dinotare la lealtà della sua fede; ed essersi dimenticato delle ingiurie da lui ricevute, quando fatta lega col Re Cattolico, e divise le sue spoglie, lo discacciarono dal Regno).

Fugli parimente da Alessandro VI sotto li 7 giugno del seguente anno 1497 spedita Bolla d'Investitura per la morte di suo nipote; e per mostrare la sua contentezza che ne avea, glie la mandò accompagnata con una sua lettera tutta affettuosa e cordiale. Parimente a' 9 del medesimo mese ne gli spedì un'altra, per la quale l'avvisava aver destinato il Cardinal Cesare Borgia suo figliuolo e suo Legato appostolico per coronarlo213;214 e poichè in questo tempo Napoli era travagliata da una mortifera pestilenza, deliberò di far la cerimonia e pompa della incoronazione nella città di Capua, alla quale Federico scrisse un'affettuosa lettera, che si legge presso il Chioccarello, dove le dava avviso dell'investitura mandatagli dal Papa e dell'incoronazione ch'egli per mano del Cardinal Borgia intendeva far seguire in quella città. Camillo Pellegrino215 rapporta una scrittura cavata dagli atti della Cancellaria regia, ed un passo del Diario di Silvestro Guarino Aversano, non ancor impresso, che lo scrisse a que' tempi, dove si descrive la celebrità e pompa fatta di questa incoronazione. Si fece alli 10 d'agosto nella Chiesa cattedrale di Capua per mano del Borgia Legato, e v'intervennero l'Arcivescovo di Cosenza allora Segretario del Papa, con molti Arcivescovi, Vescovi ed altri Prelati, e gli Ambasciadori di vari Principi. Vi fu l'Ambasciadore del Re de' Romani, quello del Re di Spagna, di Vinezia e del Duca di Milano. Vi assisterono Prospero Colonna Duca di Trajetto, Fabrizio Colonna Duca di Tagliacozzo, Alfonso d'Aragona de' Piccolomini Duca d'Amalfi, Ferdinando Francesco Guevara Marchese di Pescara, Trojano Caracciolo Duca di Melfi, Alberigo Caraffa Duca d'Ariano, Andrea di Altavilla Duca di Termoli, Francesco de Ursinis Duca di Gravina, Petricono Caracciolo Conte di Polcino, Giovanni Tommaso Caraffa Conte di Madaloni, Trojano Cavaniglia Conte di Montella, Bellisario Acquaviva Conte di Nardò, Marcantonio Caracciolo Conte di Nicastro, Giovanni Caraffa Conte di Policastro, Vito Pisanello Segretario Regio, Antonio Grifone Regio Camerario, Roberto Bonifacio Milite, cum aliis Donnicellis Baronibus, et Militibus, etc. Ed il Guarino nel suo Diario rapporta, che sebbene fra questi Baroni in questo dì dell'incoronazione non vi fu nullo Barone di Casa Sanseverino, nulladimanco al convito che fece il Re il giorno seguente al Cardinal Legato ed a tutti i Baroni, vi si trovò il Principe di Bisignano.

Il Regno di Federico, Principe cotanto savio, sarebbe stato più lungo e placido, se la morte di Carlo VIII seguita in aprile del seguente anno 1498 non avesse ogni cosa conturbata e poste in su nuove pretensioni: poichè Carlo tornato in Francia, ancorchè alle volte pensasse al riacquistare il perduto Regno, ed incessantemente ne fosse stimolato da' suoi, nulladimeno l'età sua giovanile lo trasportava a' piaceri e sollazzi, e narra il Signor d'Argentone, che fermato nella città di Lione si diede tutto a tornei, giostre, e dopo il principio dell anno 1496, che si portò di là de' monti insino al 98, poco pensiero si prendeva delle cose d'Italia: nutriva sì bene egli desiderj grandi, ma bisognava pensare a mezzi, nel che egli non voleva fastidio, nè noia tale, che lo potessero divertire da' suoi spassi. Mostrò più premura di rappacificarsi col Re e Regina di Castiglia, i quali gli davano gran molestia per mare e per terra, e gli mandò Ambasciadori per trattare fra di loro una lega.

Sin da questo tempo in vita di Carlo si cominciarono i trattati col Re di Castiglia della divisione del Regno di Napoli a danno de' Principi d'Aragona, poichè narra il medesimo Argentone216, essersi in nome del Re di Castiglia proposto, che dovessero insieme mover l'arme contra Italia a spese comuni, e che il Re di Spagna, insieme col Re di Francia, dovessero ambedue in persona porsi alla testa de' loro eserciti; e che gli Spagnuoli per ogni loro pretensione si contentavano, del Regno di Napoli aver quella parte ch'è più vicina alla Sicilia, cioè la Puglia e la Calabria, di cui n'aveano in potere quattro o cinque Fortezze, delle quali Cotrone n'era una città buona e forte; ed i Franzesi Napoli e tutto 'l rimanente. Ma eravi sospetto, che tutti questi trattati non si proponessero per frastornare la lega, e fossero tutte dissimulazioni del Re di Castiglia, il quale aspirava a cose maggiori, e non era verisimile, che dovessero venire nè personalmente alla guerra, nè volesse di pari portare col Re di Francia il premio e la spesa della guerra. Niente pertanto fu concluso, e toltone una brieve triegua, le cose rimasero così come erano prima. Ma l'improvvisa morte di Carlo cagionò nuovi movimenti. Nel fiore de' suoi anni, essendo in Ambuosa, mentre stava a vedere giuocare alle palle ne' fossi del castello, il settimo giorno d'aprile di quest'anno 1498 fu sorpreso da un accidente di gocciola, detta da' Fisici apoplesia, e cadendo all'indietro perdè la parola, ed in poche ore la vita. Non avendo lasciato figliuoli, il Duca di Orleans, a cui s'apparteneva, come a più vicino, succedè alla Corona di Francia e fu chiamato Luigi XII.

Ciascuno riputava, che la morte dovesse liberare Italia d'ogni timore della Francia, perchè non si credeva, che Luigi nuovo Re avesse nel principio del suo Regno ad implicarsi in guerre di qua da' monti Ma non rimasero gli animi degli uomini, consideratori delle cose future, liberi dal sospetto, che 'l mal differito non diventasse in progresso di tempo più importante e maggiore; poich'era pervenuto a tanto imperio un Re maturo d'anni, sperimentato in molte guerre, ordinato nello spendere e senza comparazione più dependente da se stesso, che non era stato l'antecessore; ed al quale non solo appartenevano, come a Re di Francia, le medesime ragioni al Regno di Napoli, ma ancora pretendeva, che per ragioni proprie se gli appartenesse il Ducato di Milano, per la successione di Madama Valentina sua avola, della quale ben a lungo scrissero il Giovio e 'l Guicciardino217.

 

Divenuto pertanto Luigi Re di Francia, niun desiderio ebbe più ardente che d'acquistare, come cosa ereditaria il Ducato di Milano ed il Regno di Napoli. Però pochi dì dopo la morte del Re Carlo, con deliberazione stabilita nel suo Consiglio, s'intitolò non solamente Re di Francia, ma ancora per rispetto del Reame di Napoli, Re di Gerusalemme, e dell'una e l'altra Sicilia e Duca di Milano. E per far noto a ciascuno qual fosse l'inclinazione sua alle cose d'Italia, scrisse subito lettere congratulatorie della sua assunzione al Pontefice, a' Vineziani ed a' Fiorentini: e mandò uomini propri a dare speranza di nuove imprese, dimostrando espressamente prima d'ogni altro di voler fare l'impresa di Milano, indi quella di Napoli.

Trovò Luigi maggiori opportunità che non ebbe Carlo: poichè oltre di alcuni Principi odiosi allo Sforza, che ardentemente desideravano la sua ruina, il Pontefice Alessandro stimolato dagl'interessi propri, li quali conosceva non poter saziare stando quieta Italia, desiderava che le cose di nuovo si turbassero. E disposto di trasferir Cesare suo figliuolo dal Cardinalato a grandezze secolari, alzò l'animo a maggiori pensieri, e di stringersi perciò col Re di Francia, sperando di conseguir per mezzo suo non premj mediocri ed usitati, ma il Regno di Napoli. Non avea mancato Alessandro nella bassa fortuna de' Re aragonesi, innanzi che totalmente deliberasse d'unirsi col Re di Francia, di tentar tutti i modi per aprir la strada al Cardinal Borgia suo figliuolo al trono di Napoli; egli dimandò al Re Federico la sua figliuola per moglie del Cardinale, il quale era già apparecchiato di rinunziare alla prima occasione il Cardinalato, come già poi fece, e pretese che in dote se gli desse il Principato di Taranto, persuadendosi, che se 'l figliuolo grande d'ingegno e d'animo, s'insignorisse d'un membro tanto importante di quel Reame, potesse facilmente, avendo in matrimonio una figliuola regia, avere occasione con le forze e con le ragioni della Chiesa, spogliar del Regno il suocero debole di forze ed esausto di danari.

Federico intanto sentendo l'apparato di tanta guerra minacciata da Lodovico sopra il suo Regno, si vide posto in gravissime angustie; ma con tutto ciò, ancorchè grave gli fosse l'alienarsi dal Papa, ricusò sempre ostinatamente queste nozze; e benchè il Duca di Milano, a cui parimente dispiaceva la congiunzione del Papa col Re di Francia, avesse proccurato con ragioni efficaci persuaderlo a consentirvi; nondimeno Federico ricusò sempre, confessando, che l'alienazione dal Papa era per mettere in pericolo il suo Reame; ma che conosceva anche che 'l dare la figliuola col Principato di Taranto al Cardinal di Valenza, lo metteva parimenti in pericolo; e però de' due pericoli, volere più presto sottoporsi a quello, nel quale s'incorrerebbe più onorevolmente, e che non nascesse dà alcuna sua azione.

Intanto il Re di Francia, calato in Italia con felicissimi progressi, discacciò il Duca di Milano dalla sua sede; fecelo prigione, e nell'anno del giubileo 1500 fine del decimoquinto secolo s'impadronì interamente di quel Ducato.

Ma molto più importanti mutazioni si videro per noi nell'entrar del nuovo secolo; poichè Federico sgomentato della prigionia del Duca di Milano e della sua ruina, temendo non sopra di lui, Principe senza appoggio, debole di forze, ed esausto di denaro, cadessero le medesime sciagure, non sapeva ove volgersi per aiuti. Avea egli sì bene pensato di ricorrere agli aiuti del Turco, al quale avea con grandissima istanza dimandato soccorso, dimostrandogli, dalla vittoria del Re di Francia presente nascere quel medesimo, anzi maggior pericolo di quello, che avea temuto dalla vittoria del Re passato; ma i ricorsi riusciron vani e gli aiuti sperati mancarono: del Re di Spagna era entrato in gravissimi sospetti, poichè gli erano note le sue pretensioni sopra il Reame ed i suoi ardenti desiderj, che copriva con pazienza e simulazione spagnuola. Con tutto ciò la dura necessità lo costrinse a ricorrere agli aiuti di costui, il quale con incredibile celerità e contento rimandò tosto il Gran Capitano in Sicilia, perchè eseguisse i suoi disegni. Ma tuttavia temendone, si narra ancora, che nell'istesso tempo mandasse il Bernaudo al Re di Francia ad offerirgli, pur che lo lasciasse regnare, di render il Regno a lui tributario, ed egli far suo uom ligio.

Ma Lodovico avendo voltato tutti i suoi pensieri all'impresa del Regno, alla quale temeva non se gli opponesse il Re di Spagna, riputò meglio di rinovare con Ferdinando quelle stesse pratiche cominciate a tempo del Re Carlo della divisione del Regno. Ferdinando Re di Spagna, come si è veduto nei precedenti libri, non meno che suo padre Giovanni, pretendeva il Regno di Napoli a se appartenere, non altrimenti che il Regno di Sicilia, di cui era in possesso; poichè se bene Alfonso I Re d'Aragona l'avesse acquistato per ragioni separate dalla Corona d'Aragona, e però come di cosa propria ne avesse disposto in Ferdinando suo figliuolo naturale, nondimeno in Giovanni suo fratello, che gli succedette nel Regno d'Aragona, ed in Ferdinando figliuolo di Giovanni, era stata insino allora querela tacita, che avendolo Alfonso conquistato con l'arme e co' danari del Reame d'Aragona, apparteneva legittimamente a quella Corona. Questa querela avea Ferdinando lungo tempo tenuta coperta con astuzia e flemma spagnuola, non solo non pretermettendo con Ferdinando I, e poi con gli altri che succederono a lui, gli uffici debiti tra parenti, ma eziandio augumentandoli con vincolo di nuova affinità; poichè a Ferdinando I dette per moglie Giovanna sua sorella, e consentì poi, che Giovanna figliuola di costei si maritasse a Ferdinando II, ma con tutto ciò non avea conseguito, che la cupidità sua non fosse stata molto tempo prima nota a questi Principi. Concorrendo adunque in Ferdinando, e nel Re di Francia la medesima inclinazione, l'uno per rimoversi gli ostacoli e le difficoltà, l'altro per acquistare parte di quello, che lungamente avea desiderato, poichè a conseguire il tutto non appariva per allora alcuna occasione, facilmente convennero per la divisione. Il Giovio218 aggiunge, che Ferdinando venne ancora a tal partito, perchè ebbe molto a male, che Federico pensasse di farsi uom ligio e tributario de' Franzesi a lui cotanto nemici. Fu per tanto infra di lor conchiuso e pattuito.

Che da amendue si dovesse assaltare in un tempo medesimo il Reame di Napoli, il quale tra loro si dividesse in questo modo.

Che al Re di Francia toccasse la città di Napoli, la città di Gaeta e tutte le altre città e terre di tutta la provincia di Terra di Lavoro: tutto l'Apruzzo e la metà dell'entrate della dogana delle pecore di Puglia: avesse i titoli regj, in guisa che oltre di nominarsi Re di Francia e Duca di Milano, si chiamasse ancora Re di Napoli e di Gerusalemme.

Che al Re di Spagna Ferdinando si dasse il Ducato di Calabria e tutta la Puglia, e l'altra metà delle entrate della dogana, col titolo ancora di Duca di Calabria e di Puglia.

Che ciascuno si conquistasse da se stesso la sua parte, non essendo l'altro obbligato ad aiutarlo, ma solamente non impedirlo; e sopra tutto convennero, che questa concordia si tenesse segretissima sin a tanto che l'esercito, che 'l Re di Francia mandava a quell'impresa, fosse arrivato a Roma, al qual tempo gli Ambasciadori d'amendue, allegando essersi fatta per beneficio della cristianità questa convenzione, e per assaltare gl'Infedeli, unitamente ricercassero il Pontefice, che concedesse l'investitura secondo la divisione convenuta, investendo Ferdinando sotto il titolo di Duca di Puglia e di Calabria, ed il Re di Francia sotto titolo non più di Sicilia, ma di Re di Gerusalemme e di Napoli. L'intero trattato di questa pace e confederazione tra Luigi XII Re di Francia, e Ferdinando ed Isabella Re di Spagna che porta la data in Granata de' 11 novembre del 1500 si legge nel primo tomo della raccolta di tutti i trattati delle paci, tregue ec. fatte da' Re di Francia con altri Principi di Federico Lionard, impresso a Parigi l'anno 1693, ed alcuni capitoli di quello si leggono parimente presso Camillo Tutini219 nel trattato degli Ammiranti del Regno; dove è degno da notare, che questi due Re, oltre delle loro pretensioni, che dicono avere ciascuno sopra il Reame, e che a niun altro poteva appartenere se non ad uno di essi, allegano ancora un'altra cagione, onde furono mossi a tal divisione, ed a discacciare Federico dal Regno, che fu, perchè era a tutto il Mondo notissimo, Regem Fredericum saepe Turcarum Principem christiani nominis hostem acerrimum, Literis, Nunciis, ac Legatis ad arma contra populum Christianum capessenda sollicitasse, ac in praesentiarum sollicitare, qui ad ejus maximam instantiam cum ingenti classe, ac validissimo terrestri exercitu ad christianorum terras invadendas, vastandasque jam movisse intelligitur: igitur tam imminenti periculo, ac damno Christianae Reipublicae obviari volentes etc.

Così i Principi quando loro veniva in acconcio proccuravano coprire la loro immoderata sete di dominare col manto della religione, per coonestare al Mondo, e rendere meno biasimevoli le loro intraprese. Pure Carlo VIII dipinse l'impresa di Napoli col colore di religione, protestando che i suoi sforzi erano per conquistar quel Regno, non ad altro fine che per passare in Macedonia contra al Turco. Nel che Ferdinando il Cattolico fu eccellentissimo sopra tutti gli altri, il quale s'ingegnava coprire quasi tutte le sue cupidità sotto colore d'onesto zelo della religione, per la qual cosa ne acquistò il soprannome di Cattolico, e n'avrebbe anche dal Papa ottenuto quello di Cristianissimo, se non si fossero opposti i Cardinali franzesi per non soffrire il torto che si sarebbe fatto al loro Re220. E narra Bacone di Verulamio nell'istoria dei Regno d'Errico VII Re d'Inghilterra, che Ferdinando quando ricuperò Granata, da molti secoli posseduta da' Mori, ne diede con sue lettere avviso a quel Re con tanta affettazione di zelo di religione, che sino gli scrisse le solennità sagre che si celebrarono nel dì, ch'egli prese il possesso di quella città.

Fermata che fu da' due Re questa capitolazione, il Re di Francia cominciò scopertamente a preparare l'esercito, e destinò il Generale Obignì con mille lance e diecemila fanti all'impresa di Napoli, il quale già a gran giornate s'incamminava a questa volta. L'infelice Principe Federico, che per essersi la capitolazione tenuta segretissima, niente ne sapeva, sentendo questi movimenti de' Franzesi, sollecitava il G. Capitano (il quale colla sua armata era fermato in Sicilia sotto simulazione di dargli aiuto) che tosto venisse a Gaeta; ed intanto niente sapendo, che le armi Spagnuole sotto spezie d'amicizia fossero preparate contra lui, gli avea messe in mano alcune terre di Calabria, che Consalvo, sotto colore di volerle per sicurtà delle sue genti, gli avea dimandate; ma la verità era, che le richiese per farsi più facile l'acquisto della sua parte. Sperava per ciò Federico, che congiunto che fosse Consalvo con l'esercito suo, e coll'aiuto de' Colonnesi, con tutto che gli mancassero gli aiuti del Turco, di potere in campagna resistere all'esercito franzese, e per ciò avendo prima mandato Ferdinando suo primogenito ancora fanciullo a Taranto, più per sicurtà del medesimo, se caso avverso succedesse, che per difesa di quella città, si fermò egli con l'esercito suo a S. Germano, ove aspettando gli aiuti degli Spagnuoli, e le genti che conducevano i Colonnesi, sperava con più felice successo d'aver egli a difendere l'entrata del Regno, che non avea nella venuta di Carlo fatto Ferdinando suo nipote. Ciascuno riputava che questa impresa avesse ad essere principio di grandissime calamità in Italia per la contenzione acerbissima che vi dovea nascere fra Principi sì potenti; ma si dileguò ogni timore, subito che l'esercito franzese fu giunto in Terra di Roma, perchè gli Oratori franzesi e spagnuoli entrati insieme nel Concistoro, notificarono al Pontefice ed a' Cardinali la lega e la divisione del Regno fatta tra loro Re, per potere attendere (come dicevano) all'espedizione contra i nemici della Religion cristiana, e gli dimandarono per ciò l'investitura secondo il tenor della convenzione ch'erasi fatta.

 

Papa Alessandro non men per odio concepito contra Federico per le niegate nozze, che per la confederazione pattuita col Re di Francia, senza dilazione alcuna concedè tosto l'investitura, e sotto i 25 giugno di quest'anno 1501 ne spedì Bolla che si legge presso il Chioccarelli221, con la quale privando il Re Federico del Regno di Napoli, e dividendo detto Regno in due parti secondo la convenzione pattuita, d'una ne investì Lodovico Re di Francia con titolo di Re di Napoli e di Gerusalemme, e dell'altra Ferdinando il Catolico, ed Elisabetta sua moglie Re di Spagna, con titolo di Duca e Duchessa di Calabria e di Puglia; concedendo di vantaggio nel seguente anno ai detti Re di Spagna, che non fossero tenuti, nè essi nè loro eredi e successori venire di persona a dar il giuramento al Pontefice romano per la parte del Regno a lor toccata, ma che lo dassero in mano di persona che sarebbe destinata dal detto Pontefice222.

(Vien'anche rapportato questo Breve d'Alessandro, spedito in Roma nel mese di maggio del 1505, dove rimette a Ferdinando ed Isabella il doversi portare personalmente a dargli il giuramento di fedeltà, da Lunig p. 1335.)

Narra il Guicciardino223, che non dubitandosi più quale avesse da essere il fine di questa guerra, non cessavano gli uomini prudenti di sommamente maravigliarsi, come il Re di Francia avesse voluto più tosto, che la metà di questo Regno cadesse nelle mani del Re di Spagna, e introdurre in Italia, (dove prima era egli solo arbitro delle cose) un Re suo emolo, al quale potessero ricorrere tutti i nemici mal contenti di lui, e congiunto oltra questo al Re de' Romani con interessi molto stretti; anzi che comportare, che il Re Federico restasse padrone del tutto, riconoscendolo da lui, e pagandogliene tributo, come per vari mezzi avea cercato d'ottenere.

E dall'altra parte non era nel concetto universale meno desiderata l'integrità e la fede di Ferdinando, che la prudenza di Luigi, maravigliandosi tutti gli uomini, che per cupidità d'ottenere una parte del Reame, si fosse congiurato contra ad un Re del suo sangue, e che per potere più facilmente sorprenderlo, l'avesse sempre pasciuto di promesse false d'aiutarlo, oscurando lo splendore del titolo di Re Cattolico pochi anni innanzi conseguito dal Pontefice, e quella gloria, con la quale era stato esaltato insin al cielo il suo nome, per avere non meno per zelo della religione, che per proprio interesse, cacciati i Mori dal Reame di Granata.

Alle quali accuse date all'uno ed all'altro Re, non si rispondeva in nome del Re di Francia, se non che la possanza franzese era bastante a dar rimedio, quando fosse il tempo, a tutti i disordini. Ma in nome di Ferdinando si diceva, che se bene da Federico gli fosse stata data giusta cagione di moversi contra lui, per sapere, ch'egli molto prima avea tenute pratiche segrete col Re di Francia in suo pregiudizio; nondimeno non esser da ciò stato spinto, ma dalla considerazione, che avendo quel Re deliberato di fare ad ogni modo l'impresa del Reame di Napoli, si riduceva in necessità, o di difenderlo o d'abbandonarlo: pigliando la difesa, era principio d'incendio sì grave, che sarebbe stato molto pernizioso alla Repubblica cristiana, e massimamente trovandosi l'arme de' Turchi sì potenti contra i Vineziani per terra e per mare; abbandonandolo, conoscere, che il Regno suo di Sicilia restava in grave pericolo, e senza questo risultare in danno suo notabile, che il Re di Francia occupasse il Regno di Napoli appartenente a se giuridicamente, e che gli poteva anche pervenire con nuove ragioni, in caso mancasse la linea di Federico; laonde in queste difficoltà aver eletto la via della divisione, con speranza, che per li cattivi portamenti de' Franzesi, gli potesse in brieve tempo pervenire medesimamente la parte loro; il che quando succedesse, secondo che lo consigliasse il rispetto dell'utilità pubblica, alla quale sempre più che all'interesse proprio avea riguardato, o lo riterrebbe per se, o lo restituirebbe a Federico, anzi più presto a' suoi figliuoli, perchè non negava d'aver quasi in orrore il suo nome, per quello ch'e' sapea che insino innanzi, che 'l Re di Francia pigliasse il Ducato di Milano, avea trattato co' Turchi224.

La nuova di questa concordia spaventò in modo Federico che ancor che Consalvo, mostrando di disprezzar quello che s'era pubblicato in Roma, gli promettesse con la medesima efficacia di andare a suo soccorso, si partì dalle prime deliberazioni, e si ritirò da S. Germano verso Capua; e Consalvo avendo inteso che l'esercito franzese avea passato Roma, scoperte le sue commessioni, mandò a Napoli sei galee per levarne le due Regine vecchie, sorella l'una, e l'altra nipote del suo Re. Allora Federico deliberato di ridursi alla guardia delle Terre, intesa la ribellione di S. Germano e degli altri luoghi vicini, determinò di fare la prima difesa nella città di Capua. A guardia di Napoli lasciò Prospero Colonna, ed egli col resto della gente si fermò in Aversa. Ma Obignì non trovando alcuna resistenza ne' luoghi dove passava, occupò tutte le Terre circostanti alla via di Capua; onde Federico si ritirò in Napoli, abbandonando Aversa, la quale insieme con Nola, e molti altri luoghi, si dette a' Franzesi. Capua fu presa per assalto, ed al 25 luglio di quest'anno 1501 fu saccheggiata da' Franzesi, nella quale diedero l'ultime pruove della loro crudeltà, avarizia e libidine. Con la perdita di Capua fu troncata ogni speranza di poter più difendere cos'alcuna. Si arrese senza dilazione alcuna Gaeta, ed essendo venuto Obignì con l'esercito ad Aversa, Federico abbandonata la città di Napoli, la quale s'accordò subito, con condizione di pagare sessantamila ducati a' vincitori, si ritirò in Castel Nuovo; e pochi giorni dapoi convenne con Obignì di consegnargli fra sei dì tutte le Terre e le Fortezze, che si tenevano per lui, della parte, la quale, secondo la divisione fatta, apparteneva al Re di Francia, ritenendosi solamente l'Isola d'Ischia per sei mesi: nel quale spazio di tempo gli fosse lecito d'andare in qualunque luogo gli paresse, eccetto per lo Regno di Napoli, e di mandare a Taranto cento uomini d'arme, potesse cavare qualunque cosa di Castel Nuovo, e dal Castel dell'Uovo, eccetto l'artiglierie che vi rimasero del Re Carlo: fosse data venia a ciascuno delle cose fatte da poi che Carlo acquistò Napoli, ed i Cardinali Colonna e d'Aragona godessero l'entrate ecclesiastiche che aveano nel Regno.

Si videro veramente nella Rocca d'Ischia accumulate con miserabile spettacolo tutte le infelicità della progenie di Ferdinando il vecchio, perchè oltre Federico spogliato nuovamente di Regno sì preclaro, ansioso ancora più della sorte di tanti figliuoli piccoli, e del primogenito rinchiuso in Taranto che della propria; era nella Rocca Beatrice sua sorella, la quale, avendo, dopo la morte di Mattia Re d'Ungheria suo marito, avuta promessa di matrimonio da Uladislao Re di Boemia col fine d'indurla a dargli aiuto a conseguire quel Regno, era stata da lui, da poi ch'ebbe ottenuto il desiderio suo, ingratamente ripudiata e celebrato con dispensa di Alessandro Pontefice un altro matrimonio: eravi ancora Isabella già Duchessa di Milano, non meno infelice di tutti gli altri, essendo stata quasi in un tempo medesimo privata del marito, dello Stato e dell'unico suo figliuolo.

Ma Federico risoluto, per l'odio estremo, che e' portava al Re di Spagna, di rifuggire più tosto nelle braccia del Re di Francia, mandò al Re a dimandargli salvocondotto, ed ottenutolo, lasciati tutt'i suoi nella Rocca d'Ischia, sotto il governo del Marchese del Vasto, se n'andò con cinque galee sottili in Francia. Consiglio, come saviamente dice il Guicciardino225, certamente infelice; perchè se fosse stato in luogo libero, avrebbe forse nelle guerre che poi nacquero tra i due Re, avute molte occasioni di ritornare nel suo Reame; ma eleggendo la vita più quieta, e forse sperando questa essere la via migliore, accettò dal Re il partito di rimanere in Francia, dandogli il Re la Ducea d'Angiò, e tanta provvisione che ascendeva l'anno a trentamila ducati; ond'egli comandò a coloro che avea lasciati al governo d'Ischia che la dessero al Re di Francia.

Dall'altra parte il Gran Capitano nel tempo medesimo ora passato in Calabria, dove benchè quasi tutto il paese desiderasse più presto il dominio dei Franzesi; nondimeno non avendo chi gli difendesse, tutte le Terre lo riceverono volontariamente, eccetto Manfredonia e Taranto; ma avuta Manfredonia con la Fortezza per assedio, si ridusse col campo intorno a Taranto, dove appariva maggior difficoltà; nondimeno l'ottenne finalmente per accordo, perchè il Conte di Potenza D. Giovanni di Guevara, sotto alla cui custodia era stato dato dal Padre il piccolo Duca di Calabria, e Fra Lionardo Napoletano, Cavalier di Rodi, Governadore di Taranto, non vedendo speranza di poter più difendersi, convennero di dargli la città e la Rocca, se in tempo di quattro mesi non fossero soccorsi, ricevuto da lui giuramento solennemente in su l'Ostia consegrata di lasciar libero il Duca di Calabria; il quale avea segreto ordine dal padre di andarsene, quando più non si potesse resistere alla fortuna, a ritrovarlo in Francia. Ma nè il timor di Dio, nè il rispetto dell'estimazione degli uomini poterono più che l'interesse di Stato; perchè Consalvo giudicando che potrebbe importare assai il non essere in podestà del Re di Spagna la persona del Duca, sprezzato il giuramento, non gli dette facoltà di partirsi, ma come prima potè lo mandò bene accompagnato in Ispagna, dove dal Re accolto benignamente, fu tenuto appresso a lui nelle dimostrazioni estrinseche con onori quasi regj, ma in realtà in una splendida ed onorata prigione226.

213Chioc. M. S. Giur. tom. I.
214(Presso Lunig pag. 1307 e 1310 si leggono la Bolla dell'Investitura, ed il Breve spedito al Card. Borgia suo Legato, per l'incoronazione di Federico).
215Cam. Pell. in Append. ad Castig. in Lupum Protosp.
216Memor. Arg. lib. 8 cap. 14.
217Guic. lib. 4 in princip. Istoria d'Italia.
218Giov. lib. I della Vita del Gran Capitano.
219Tutin. degli Ammiranti pagin. 171.
220V. Guicc. lib. 12. Boccalino nella Pietra di Paragone.
221Chioccar. M. S. Giurisd. tom. I. Vien rapportata anche questa Bolla da Lunig Tom. 2 pag. 1311.
222Chiocc. loc. cit.
223Guicc lib. 5.
224Guicc. l. 5.
225Guic. lib. 5.
226Thuan. lib. 1. Histor. sui temporis.