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Racconti e novelle

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VI

Giudaino entrò nel collegio, e in breve divenne il Beniamino dei padri. Fece il corso di filosofia, applicandosi in specialità alla logica ed alla dialettica.

Imparò il giuoco della bazzica e del tresette, la dama, gli scacchi e da ultimo il tarocco; – divenne prefettone del collegio e segretario intimo del rettore, che aveva portati dal Belgio tutti i perfezionamenti della scienza umana; ma, sentendosi chiamato alla vita del secolo, un bel giorno si valse della protezione di Ponzio Pilato per riferirgli in confidenza certi segreti dello stabilimento, ch'egli conosceva meglio d'ogni altro convittore. Il collegio fu soppresso, e Giudaino, in premio delle sue rivelazioni, fu elevato al grado di sotto ispettore di polizia nell'undecimo circondario di Gerusalemme.

VII

L'impiego fruttava poco e gli incerti divenivano molto rari, malgrado l'astuzia e la rapace antiveggenza del giovane sotto ispettore, il quale, entrando in carriera, non avea tardato ad apprendere da' suoi superiori e colleghi il metodo più sicuro di quadruplicare le entrate, imponendo una contribuzione volontaria ai borsaiuoli ed alle donne di mal affare, a patto di chiudere uno o due occhi all'occorrenza. Ma il nostro Giudaino comprendeva i pericoli della sua falsa posizione. A quell'epoca, nella Giudea, cominciavano a manifestarsi i primi sintomi di ribellione al governo costituito. Giovanni Battista ed altri riformatori si creavano degli adepti colle prediche e colla moltiplicazione delle pagnotte. Gesù Cristo cospirava contro l'impero, e minacciava una repubblica democratica e sociale! – Gli ufficiali di polizia venivano dal popolo riottoso qualificati coll'ignobile titolo di due e cinquanta!

VIII

Gli uomini intelligenti prevengono i tempi, e Giuda era una mente superiore. Piuttosto che lasciarsi destituire dall'imperiale regio governo, egli pensò bene di offerire spontaneamente le sue dimissioni, ritirandosi, com'egli diceva, dalla cosa pubblica. Questo nobile sacrifizio della pagnotta gli guadagnò qualche simpatia nella classe dei liberali – uomini di buona fede e di una ingenuità preadamitica fin da quei tempi!

IX

Libero di sè medesimo, riconciliato alla parte più colta e più rivoluzionaria della popolazione, Giuda cominciò a meditare seriamente sulla propria posizione e sul proprio avvenire.

Egli conosceva assai bene il suo tempo e l'indole immutabile del cuore umano – la semente dei padri Ignorantelli era caduta in buon terreno.

– Vediamo che s'ha a fare per riuscire prontamente! Quattro idee luminose balenarono nella mente dell'astuto pensatore: – Sposare una vecchia con una dote di cinquecentomila franchi – concorrere al posto di ragioniere, cassiere, od amministratore generale presso qualche famiglia cospicua – farsi iniziatore e presidente di una o più società filantropiche, riservandosi il diritto esclusivo di custodire e sorvegliare la cassa – tentare le sorti della politica, lanciandosi arditamente nel campo della opposizione.

X

Pensato, fatto. – Un bel mattino l'audace avventuriere si recò dal primo sarto di Gerusalemme, certo Prandonio detto lo Scortica, e, spacciandosi barone russo e segretario intimo dello czarre, ordinò quattro tuniche nuove di crine di cavallo, sei paja di calzoni collanti, quattro gilets all'ussera, e un magnifico turbante a coda di pavone. – Il buon Prandonio, cui non pareva vero di poter servire un barone russo segretario intimo dello czarre, in meno di una settimana preparò il sontuoso vestiario, e volle portarlo di persona all'albergo dei Blagueurs, dove Giuda aveva affittato un magnifico appartamento.

XI

Poichè Giuda ebbe provati e riprovati gli sfarzosi abbigliamenti, si mostrò molto soddisfatto del sartore colmandolo di elogi, e promettendogli la sua alta protezione. – «Fra un anno tu servirai lo czarre e tutta la corte di Russia, e presto sarai elevato alla dignità di ciambellano, fors'anche di bascià a tre code secondo la piega della questione d'Oriente. Frattanto dammi il conto, e ripassa fra… un secolo.»

Prandonio fece un inchino profondo, e, nell'estasi della sua gioia, ricusò di consegnare la nota richiesta. Una tale formalità, con un personaggio di rango sì elevato, gli pareva non solamente arrogante, ma anche superflua.

XII

Giuda si pose allo specchio, vestì gli abiti nuovi, e parve un altro uomo. Quella mattina stessa il calzolaio Mosconio depose nell'anticamera cinque paia di sandali di pelle di castoro fiammanti di bottoni e di fibbie d'argento cristofle, poi ritirossi in punta di piedi, per paura che il russo avesse ad umiliarlo col saldo del conto.

A mezzogiorno, Giuda usciva dall'albergo trasformato completamente, sbuffando fumo d'avana negli occhi dell'albergatore e dei guatteri, che rimasero sulla porta pietrificati.

XIII

Fece il giro della piazza, il capo rivolto al quinto piano delle case, una Guida di Gerusalemme nella mano e una immensa borsa di pelle a tracolla.

Vedendo che i borsaiuoli della città non riconoscevano in lui l'ex-ispettore di polizia, con cui molte volte avevano spartiti gli orologi ed i foulards, il nostro avventuriere prese coraggio – e, lanciandosi in una vettura da nolo, ordinò al cocchiere di dirigersi alla piazza Abimelecco, numero centoquarantatrè, alla porta della marchesa Sisara de Japhet.

XIV

La marchesa era donna di circa sessantacinque anni, ma l'opinione pubblica si ostinava ad attribuirgliene una dozzina di più, tanto nelle apparenze corporee ella arieggiava il decrepito. Portava una immensa parrucca di peli rossicci, aveva le dentiere rimesse, e un occhio di cristallo della fabbrica Vernet e Compagni. Ma Giuda non era uomo da badare a cotesti accessori volgari della materia. La marchesa era ricca, milionaria, a dir di taluni. Ella rappresentava per lui l'incarnazione di un ideale vagheggiato.

Nelle inserzioni a pagamento dei giornali della sera, Giuda avea letto che la vecchia marchesa aspirava di tutto cuore ad un giovane e robusto marito. Quell'avviso, molte volte riprodotto a caratteri distinti, non poteva dar luogo ad equivoci. La marchesa si qualificava: madamigella di illustre progenie, piuttosto attempata, ma sana di mente e di corpo e dotata di cospicuo patrimonio, disposta a sposare un giovane di ragguardevole famiglia e fornito di sufficienti fortune.

XV

Le attrattive di questo annunzio non erano abbastanza seducenti per destare una viva concorrenza fra i nobili celibatari di Gerusalemme.

Il nostro avventuriere ebbe la fortuna di essere il primo a presentarsi.

Immaginate la sorpresa, la commozione della illustre damigella, quando il maggiordomo venne ad annunziarle la visita del barone Iscariott de Judoff, segretario intimo dello czarre di tutte le Russie, ex-governatore di Malakoff, già ambasciatore presso la repubblica di San Marino, inviato straordinario e plenipotenziario per interim della Giudea e Provincie limitrofe, eccetera, eccetera!

Gli storici e i cronisti dell'epoca ignorano i particolari di quell'abboccamento. – Giuseppe Ebreo si accontenta di accennare il fatto con una certa affettazione di verecondia, la quale darebbe luogo a molte supposizioni piuttosto canagliesche. Fatto è che le nozze si conclusero per le spiccie. Ciascuno dei contraenti avea degli speciali interessi per affrettare la cerimonia.

XVI

Appena il nostro Giuda si riconobbe proprietario di un mezzo milione e di un logoro e vecchio carcame di marchesa, assunse immediatamente l'amministrazione del ricco patrimonio, emancipando la dolce metà da qualunque vincolo o livello coniugale. Egli mise innanzi certe sue teorie di tolleranza e di annegazione, che alla marchesa parvero di cattivo genere.

XVII

Les salons del principe Iscariott de Judoff si apersero a splendide feste. Il cavaliere e commendatore Ponzio Pilato, allora governatore di Gerusalemme, il vice intendente conte Caifasso, Don Anna il proposto della cattedrale, e molti cavalieri di antica e recente fattura, in una parola tutta l'aristocrazia della città e dei Corpi Santi affluiva negli appartamenti del nuovo titolato.

XVIII

Ricevimento magnifico, buffet completo, musica eccellente, libertà illimitata. – A che buono rimescolare le vecchie istorie? – Ponzio Pilato nel presentarsi al barone russo, avea chiesto più volte a sè medesimo: dove mai ho veduto altra volta quel ceffo da forca? – poi, dubitando delle proprie reminiscenze, accolse il partito di lasciar correre.

– Non ti pare ch'egli somigli perfettamente ad un questurino dell'undecimo circondario? – chiese una volta al conte marito la contessa Caifasso. Ma il vice-intendente, che a due mascelle spolpava un fagiano levato in quel punto dal buffet, lanciò alla moglie un'occhiata fulminea, e Don Anna fece notare alla contessa come e qualmente il loro ospite illustre avesse il profilo dei Romanoff.

XIX

Ma i bei giorni passarono veloci.

Il nostro barone, amministrando il patrimonio della sua dolce metà, fece le cose con tanto garbo, che al termine di sei mesi non gli restò più nulla da amministrare. La vecchia Sisara morì di crepacuore. Giuda che, fino a quel giorno aveva saputo dissimulare in faccia alla società l'orribile dissesto delle sue finanze, dovette alla fine smascherarsi. Gli anziani della parocchia domandarono un anticipo sulle spese delle esequie – e Giuda, per mancanza assoluta di quattrini, non potè accordare alla lacrimata consorte che un funerale di terza classe, a moccoli spenti e barella scoperta.

 

XX

L'aristocrazia di Gerusalemme, scandalizzata dall'avvenimento, ripudiò ipso facto il barone. Ponzio Pilato, il vice-intendente Caifasso, il proposto Anna, tutti quanti si sovvennero dell'antico questurino, e chiamandosi mistificati da un audacissimo furfante, spedirono quattro carabinieri per arrestarlo. Ma Giuda, che aveva degli amici alla Polizia, fu avvertito in tempo utile, e mentre i carabinieri perlustrarono le sale interminabili del palazzo, egli usciva dalla città, e si avviava passo passo verso Cafarnao, come un borghese onesto che vada a prender aria.

XXI

Dopo tre ore di cammino, giunse ad una casa isolata. – Picchiò – gli venne aperto. Intorno ad una lunga tavola sedevano cinque o sei pescatori, mangiando degli agoni fritti alla graticola. – Se possiamo servirla?.. disse il più anziano. – Con tutto il piacere! rispose Giuda, prendendo posto alla tavola. E in meno di due minuti divorò dieci dozzine di pesci, trangugiando le squame e le scaglie.

XXII

– Se non m'inganno, disse Giuda, respirando dal pasto – se non m'inganno questa è frutta del lago di Como!.. Non ho gustato mai agoni più squisiti!..

– Questi non sono pesci di lago nè d'acqua salsa, rispose gravemente il più anziano dei pescatori —Cantate Domino canticum novum! perocchè voi foste degno di mangiare gli agoni del miracolo!

– In verità… miei buoni compagnoni… io non giungo a comprendere… Permettete che io ne assaggi un'altra dozzina… tanto da capacitarmi…

– Prendete! prendete pure —et manducate ad satietatem quia mirabilia fecit Dominus! I cinque divennero cinquemila – e possono diventare cinquantamila – e forse domani saranno cinquemila milioni di milioni!

XXIII

– Cospetto! incomincio a capire! pensò Giuda, cavando di tasca un astuccio e offrendo degli zigari alla compagnia. – Quel linguaggio misterioso… quell'enfasi… quelle citazioni latine… Sta a vedere che io sono piombato in una loggia massonica della nuova setta! Ah!.. se fossi ancora poliziotto, che bella occasione per far danaro!.. che magnifico arresto! Giuda stette alquanto silenzioso meditando il partito da prendersi. – Poi, vedendo d'aver a fare con gente di buona fede, e riflettendo agli imbarazzi della propria posizione, risolvette di arrischiare tutto per tutto, e di tentare ogni mezzo per aggregarsi alla setta.

XXIV

Uno dei pescatori il quale nomavasi Pietro, ed era il più autorevole personaggio della brigata, parve indovinare il pensiero di Giuda, e senz'altri preamboli, lo interpellò della sua vocazione:

– Uomo di dura cervice: siete voi pronto a seguire il divin maestro? – colui che è venuto ad esaltare il povero, e ad umiliare il possidente?

– Io non domando di meglio!..

– Colui che quando vuole, moltiplica i pesci come le arene del mare, tanto che i cinque diventano cinquemila?..

– Caspita!.. affare eccellente!..

– Colui che cambia l'acqua in vino?..

– Colla crittogama che c'è in giro!.. Amici miei… contatemi pure fra i vostri!..

– Ebbene! Benedictus qui venit in nomine Domini! – concluse Pietro imponendo le mani sul capo del nuovo apostolo. Giuda lasciò fare, e picchiossi il petto come un fabbriciere alla messa, biascicando fra le gengive una giaculatoria che aveva imparata da bambino.

XXV

– Vediamo, ora, quale impiego si può darti nella comunità, riprese Pietro dopo breve silenzio. Sai tu leggere e scrivere?

– Vi dirò… la calligrafia l'ho piuttosto buona… So copiare… so scrivere sotto dettatura… Ma a dirvela in confidenza, io non oserei arrischiarmi in uno di quegli impieghi che si chiamano di concetto… Il mio forte è, come dissi, la calligrafia – nella aritmetica, non faccio per vantarmi, credo che pochi mi stiano al pari – ho finito il mio corso di ragioneria a Gerusalemme, insomma ho tutte le disposizioni e le doti necessarie per essere un buon impiegato d'ordine… come a dire un amministratore, un cassiere, un sorvegliante dei registri…

– Un cassiere!.. esclamò Pietro con visibile commozione. Che vi pare, apostoli colleghi?.. non sarebbe omai tempo che la società avesse un cassiere?..

Tutti assentirono per acclamazione.

XXVI

Giuda fece un risolino impercettibile a fior di gengive – poi con voce melata si arrischiò a domandare:

– Ma… miei buoni signori… cioè voleva dire… miei buoni colleghi… siete voi ben certi… innanzi tutto… di avere… o di poter avere… una cassa?

Gli apostoli si guardarono in faccia, e parevano imbarazzati a rispondere.

– Non importa! esclamò Giuda riprendendo il suo fare da principe russo: – Createmi cassiere… ed io… in mancanza d'altri… sì! penserò io a formare la cassa. – L'argomentazione è molto semplice – ed io, per adattarmi alla vostra capacità, qui, sui due piedi, voglio ridurvela a sillogismo. – Un uomo non può chiamarsi cassiere quando non abbia a sua disposizione una cassa – voi mi chiamate cassiere della vostra società —ergo io, conseguenza inevitabile, posseggo una cassa!

Gli apostoli, sbalorditi da questa logica altrettanto profonda che ardita, accordarono a Giuda l'impiego di cassiere, colla riserva di sottoporre la nomina all'exequatur del loro divin maestro.

Di tal modo il nostro Giuda scroccò l'apostolato, ed egli riuscì per qualche tempo a gabbare la buona fede dei santi colleghi, mostrandosi entusiasta delle nuove dottrine, e propagatore zelante delle idee più liberali e democratiche.

XXVII

Nei caffè, nelle bettole, nelle piazze, egli predicava come un maniaco contro il dispotismo di Ponzio Pilato, contro i vili infamissimi arbitrii della imperiale regia Polizia. Commiserava il povero popolo, annunziava un'êra di abbondanza e di ricchezza universale; e mentre il Divino Maestro insegnava l'umiltà e la rassegnazione, la carità e il disprezzo dei beni terreni, Giuda istigava il povero ad insorgere contro il ricco, eccitava allo sciopero gli operai, declamava contro i padroni di casa, in una parola secondava nel popolo tutti gli elementi dell'ira e della discordia. Egli non aveva tralasciato di aprire delle soscrizioni estorcendo dal povero popolo i sudati risparmi della settimana. Di tal modo sarebbe riuscito a formarsi un buon fondo di cassa, se il divino maestro, edotto dell'indegna simonia, con un giuoco miracoloso della sua volontà onnipossente, non avesse restituito il denaro alle milleducento saccocce defraudate. Giuda, nel constatare il nuovo prodigio, fece una brutta smorfia del naso, anzi, a dire di alcuni storici – rimase con un palmo di naso!

XXVIII

L'orribile vuoto della cassa suggerì all'Iscariota le più desolanti considerazioni. – Un codice, che, ammettendo l'uguaglianza sociale, impone che ciascuno si spogli volontariamente del fatto suo per donarlo ai bisognosi, non rispondeva alle naturali ed intime teorie del nostro demagogo. Egli avrebbe preferito un sistema più radicale e più spiccio: «Prendete ove c'è d'avanzo – fate vostro ciò che non serve agli altri – profittate d'ogni ben di Dio che vi capita sotto l'ugna».

Queste considerazioni alienarono dal divin maestro le simpatie del volubile apostolo. Onde avvenne, che non sapendo ritrarre verun profitto da una cassa eternamente vuota, dopo otto mesi di bolletta disperata, Giuda prese il partito poco onesto di denunziare tutta la setta, e vendere il divin maestro per la somma di trenta denari, equivalenti a due lire austriache e cinquanta centesimi.

XXIX

La storia dell'infame tradimento è abbastanza nota ne' suoi particolari più minuziosi, perchè altri si faccia a ripeterla. La notte del giovedì santo, Giuda cenò lautamente in compagnia de' suoi colleghi apostoli; poi, uscito dalla sala col puerile pretesto di fumare una pipa all'aria aperta, prese tutto solo la via di Gerusalemme, e andò diffilato all'undecimo circondario di polizia per fare la sua denunzia.

XXX

Il passo era piuttosto temerario. I nostri lettori ricorderanno senza dubbio come da parecchi mesi fosse spiccato dalle autorità di Gerusalemme un mandato di cattura contro il sedicente barone Iscariott, segretario intimo dello czarre delle Russie. Il processo dell'audace truffatore era stato dibattuto alla corte delle assisie, e, dietro il verdetto del giurì, il contumace condannato a dieci anni di reclusione per falso, truffa, usurpazione di titoli non propri, e libidine contro natura. – Il matrimonio con una vecchia settuagenaria a quei tempi era considerato delitto contro natura.

XXXI

Ma i governi dispotici sono troppo informati alla moralità, per non far uso in certe occasioni delicate di eccezionali indulgenze. Giuda, espertissimo dei misteri di polizia, conosceva la storia di molti altri bricconi, i quali erano riusciti a farsi perdonare i più atroci delitti coll'innocentissimo stratagemma di accusare un galantuomo e fornire delle buone calunnie per farlo appiccare. Erode, Pilato, Caifasso, il proposto Anna, il procuratore del Re, i giurati, i legulei, gli scribi, i fabbricieri, i possidenti, gli usurai, in una parola la grande maggioranza degli uomini d'ordine e della moderazione, l'avevano a morte contro il capo della setta cristiana, e già da più giorni correvano sulle traccie di lui per farlo fucilare o crocifiggere senza processo.

Armato di tali considerazioni, Giuda si presentò arditamente al commissario superiore dell'undecimo circondario, e, senza perdersi in preamboli, si esibì di consegnare nelle mani dei carabinieri e delle guardie di pubblica sicurezza il capo della terribile congiura repubblicana.

XXXII

Come si compiesse la nefanda perfidia, è noto a quanti hanno letto il catechismo. Giuda intascò il denaro dell'orribile contratto, tradì il divin maestro col perfido bacio, e poi, come se nulla fosse accaduto, si recò all'uffizio delle messaggerie internazionali, e prese un posto nel coupè della diligenza che partiva per l'Italia.

XXXIII

Il signor Rénan nella sua Vita di Gesù ha dimostrato quanto vi sia di erroneo nella opinione di coloro i quali pretendono che Giuda si appiccasse ad una pianta di fico. Gli uomini che hanno tempra da Iscariota non commettono simili corbellerie. Citatemi un solo esempio di birbante, il quale siasi appiccato pel rimorso de' propri misfatti!

Giuda possedeva del denaro. Oltre le due svanziche e cinquanta centesimi, guadagnate legalmente come prezzo del ragguardevole servizio reso allo Stato, i nobili e possidenti della città avevano aperto una soscrizione a di lui favore. – Nella notte dal giovedì al sabato di Passione, fu raccolta per l'obolo di Giuda la somma di tremila e cinquecento franchi – dei quali ottocento ventitre vennero incassati dall'apostolo, il resto andò perduto nei diversi uffizi dei giornali promotori e patrocinatori della colletta.

Ma Giuda non era uomo da badare a codeste inezie. Gli stava troppo a cuore di svignarsela presto da Gerusalemme e dai paesi limitrofi, dove un giorno o l'altro qualcuno de' suoi antichi conoscenti avrebbe potuto rimeritarlo del bel servizio reso a Gesù.