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Racconti e novelle

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II

Le ragazze di Nyon non rappresentano alla mia fantasia i tipi più omogenei… per una moglie… E quand'io mi decidessi a un tal passo – il passo più buffo e più serio della vita umana, che si chiama il matrimonio – forse vorrei rifletterci due volte prima di accordare la mia mano e l'altre estremità del mio individuo a fanciulle che troppo a lungo desiderarono. – Io vorrei una moglie alla buona, nè tanto dotta da addormentarmi colle sue dissertazioni, nè tanto sciocca da costringermi a farle da pedagogo. Non esigerei che mia moglie parlasse quattro lingue, ma vorrei conoscesse l'italiano a perfezione, e che, poco curando la calligrafia, nello scrivere non dimenticasse i punti e le virgole, nè trascurasse gli accenti e le consonanti doppie ove si richieggono. – Pretesa ben minima in apparenza, quantunque alcuni amici miei, esperti in tali materie, mi assicurino che una donna la quale parli bene la propria lingua e scriva colle regole della ortografia, sia fenomeno raro a trovarsi. Nè mi andrebbe a sangue veder la mia donna occupata tutto il giorno in disegni, ricami, intrecci di lane e simili frascherie; ma vorrei all'incontro che ella fosse esperta nel far calze e camicie, nel friggere una cotoletta, nell'improvvisare un buon intingolo. Da ultimo, vorrei bandito dalla mia casa il pianoforte; perchè una moglie che suona il pianoforte è la più pericolosa delle mogli, che sono pur tutte pericolose assai. – La musica tira in casa molta gente; vengono i dilettanti, si combinano i sestetti, poi i terzetti, e si finisce coi duetti, composizione terribile inventata a danno dei mariti. – Da quanto ho esposto, ciascun vede che le ragazze di Nyon non fanno per me, e che io mi reco in quel paese coll'unico scopo di verificare le strane asserzioni del mio Francesco, non essendomi discaro poter ammirare il bel volto di quelle dodici figliuole; perocchè ho ferma opinione che il contemplare anche da lontano una bellissima donna valga meglio che l'abbracciarne una brutta.

III

Il sole stava per nascondersi dietro le montagne, quando dall'alto della diligenza vidi fumare le tettoie di Nyon. Domandai al conduttore di por piede a terra, onde fare modestamente il mio ingresso.

L'aria spirava dolcissima – sereno il cielo, le collinette d'un bel verde azzurro; gli augelletti svolazzavano fra gli alberi cinguettando; ond'io fui tosto commosso da voluttuosa melanconia. E tutti sanno come la melanconia disponga soavemente all'amore.

Eccomi alle porte di Nyon – ho attraversato la contrada principale – le case sono belle e paiono appartenere a persone agiate; ma dove sono le dodici ragazze? Non un bel visetto che sporga dalle finestre, non una voce flautata che si parta dalle abitazioni. L'amico mi avrebbe ingannato? – Ma ecco che egli mi viene incontro e con poche parole mi leva ogni dubbio.

– Io era ben certo di vederti a Nyon!

– Ti giuro che l'intenzione di prender moglie…

– Fermo là coi giuramenti! tu ignori la gravezza del pericolo…

Nel mentre abbracciavo l'amico e mi intratteneva con lui, mi accorsi che, dalla casa vicina, due grandi occhioni, stupidi e gonfi d'acquavite, due occhi da servitore mi stavano squadrando dal capo al piede.

Quell'uomo, appena fummo entrati nella locanda, venne nel mezzo della piazza, e facendo i più strani gesti, si chiamò intorno gli abitatori del paese. – Che è? che non è? La folla circonda il banditore con rispettoso silenzio, finchè questi con grande solennità annunzia ai circostanti che:

Un giovane civilmente vestito è entrato in Nyon!!!

La novella percorre in breve ora tutte le case, e dalle cantine ai granai passa rapida come baleno. – Tutti parlano del giovine civilmente vestito– Chi è? Donde viene? Cur? quomodo? quando?

Ciascuno fa i suoi commenti; vengono in campo le induzioni più strane, il rumore cresce a dismisura.

Io ceno di buon appetito; do un colpo di spazzetta al mio soprabito, quindi a braccio dell'amico scendo a passeggiare sulla spianata che costeggia il lago. La luna splende bellissima in un cielo di zaffiro. Appena mossi alcuni passi, noi ci troviamo al cospetto di due bellissime fanciulle, vestite in bianco. Esse procedono l'una al braccio dell'altra; il papà e la mamma le seguono a poca distanza, siccome vuole la prudente costumatezza dei tempi nostri.

Ecco il giovine civilmente vestito! – Queste parole furono scambiate sommessamente fra quella piccola comitiva, e le ragazze abbassarono modestamente gli occhi, dopo avermi ben ben squadrato dalla testa ai piedi. – È inutile aggiungere che il papà e la mamma con moto simultaneo appuntarono contro di me il naso e gli occhiali. – Nello stesso modo io dovetti subire l'esame di altre dieci ragazze, e di non so quanti padri, zii e tutori; perocchè, lode alla sincerità del mio Francesco, le belle ragazze di Nyon erano dodici appunto. E debbo ancora aggiungere per debito di verità, che ciascheduna di esse porgeva un tipo di sì perfetta bellezza, che nè io, nè Francesco, nè Paride redivivo, avremmo saputo a cui dare il pomo di preferenza.

Stature alte e mezzane; capelli biondi, neri, castani; occhi neri, azzurri, bigi; fisonomie melanconiche e gioconde, modeste e procaci, ingenue e voluttuose. – Io credo che mai in un serraglio dell'Oriente si adunassero ad un tempo tante beltà femminine.

La toilette era però uniforme; il vestito bianco parve fosse adottato quella sera ad unanime voto; forse perchè il candore più si convenga ad oneste fanciulle, o forse ancora perchè nel fondo bruno della sera facesse meglio spiccare le forme bellissime di quei bellissimi corpicciuoli.

Io passeggiava come assorto in estasi divina; parevami essere nel giardino delle fate, e confesso di aver provato in quel punto un vago desiderio di prender moglie… Le avrei sposate tutte dodici, senza scrupolo di sorta.

Verso le 9 ore, l'aria che dapprima era fresca, divenne a poco a poco freschissima, quindi fredda; e come per segreta convenzione, le bellissime fanciulle si allontanarono silenziosamente, ed entrarono ciascuna nella propria casa. – Ed ecco, non appena trascorsi due minuti, rischiararsi d'improvviso le finestre, ed uscirne i più deliziosi suoni che io mai avessi udito. Di là una fantasia di Thalberg, di qua una melodia Belliniana, più avanti una grande sinfonia a quattro mani, insomma una vera inondazione di musica in tutti i toni e in tutte le misure.

– Che significano questi suoni? Che vogliono esprimere queste melodie ora languide, ora concitate, che dal villaggio di Nyon si inalzano al cielo?

– Te lo dirò io, rispose il grande filosofo che mi dava di braccio. – Le dodici ragazze di Nyon, in tutti i toni, in tutti metri, in tutte le misure, non esprimono che un solo pensiero: Abbiamo bisogno di marito!!!

IV

La notte del 24 maggio fu una terribile notte pegli abitanti di Nyon. – Mi coricai con triste presentimento. – Le varie emozioni del viaggio, le scosse e i trabalzi della vettura, e sopratutto la vista delle bellissime fanciulle mi avevano acceso un vulcano nella testa; i nervi ed i muscoli mi oscillavano, e una mano di piombo, pesandomi sul petto, pareva contrastarmi il respiro. Volgiti a destra, volgiti a sinistra, mettiti boccone o supino, tieni gli occhi chiusi o spalancati, quando il sonno non viene spontaneo a coronarti de' suoi papaveri, le invocazioni e le evoluzioni non giovano: ti convien vegliare a dispetto.

Fu una notte di spasimi – una notte di delirio… per me, e per tutti gli abitanti di Nyon.

Le sentinelle e le guardie di finanza, che vegliavano le contrade, affermarono aver uditi nell'aere certi gemiti affannosi, certi sospiri e singulti d'equivoca espressione. Parve ancora a taluni aver vedute delle figure bianche e trasparenti disegnarsi nell'ombra, affacciarsi alle finestre, correre su pei tetti leggiere, leggiere… – poi disparire come nebbia.

Alle undici del mattino io dormiva finalmente il sonno dal giusto, sovra un letto che assomigliava ad un mare in tempesta, avviluppato, o per meglio dire intricato dalle coltrici che aveano preso forma di corde da bastimento. Francesco entrò nella mia camera, spalancò le imposte ed uno sfacciato raggio di sole mi percosse le palpebre d'improvviso.

– Presto! fuori dal letto! gridò l'amico – Tutte le ragazze di Nyon sono in volta coi più begli abiti da festa!

Io balzo dal letto; mi vesto, do di braccio all'amico, e scendo con lui sulla piazza – La vista del sole mi ha rallegrato il cuore… e l'aria che spira dal lago ha ravvivati i miei sensi.

Eccoci di nuovo sulla spianata. Quanta gente! Aspettano l'ultimo richiamo delle campane per entrare nella chiesa.

La domenica ne' piccoli paesi è il più lieto giorno della settimana, ed anche il più propizio agli innamorati. Le crestaie e le lavandaie vanno in giro coi loro cartoni, coi loro panierini ed altri passaporti della professione, ed ho inteso dire da un grande filosofo che col

…Scendere e salir per l'altrui scale le buone fanciulle lasciano su tutti i gradini una piccola porzione del loro cuore. Ma io non bado alle crestaie… e molto meno alle lavandaie; in campagna ho bisogno di poesia… e di amore, e tuttociò che mi richiama al pensiero le mie fralezze cittadine, mi fa montare il rossore sul volto. Io cerco avidamente le dodici fanciulle dalla veste bianca e dal nastro azzurro. – Più si avvicina il momento desiderato, più aumentano le mie ansietà.

Ma le campane suonano l'ultimo richiamo, e la turba dei divoti entra confusamente nella chiesa, mentre io e Francesco restiamo nell'atrio ad attendere. – Esse debbono passare per di là, ed io potrò meglio contemplarne la bellezza. L'incerto lume della notte sovente inganna anche i più esperti osservatori; le nostri grandi dame di città, le quali appaiono sì belle al riflesso d'una lampada o d'un becco di gaz, perdono ogni attrattiva quando si mostrano alla schietta luce del giorno!

 

Io spero aver prodotto in quelle anime sensibili una dolce impressione. Non abituate alla vista di un giovine civilmente vestito, quelle fanciulle non potranno resistere alla seduzione del mio gilet di velluto e della mia cravatta di seta. Ma non ho io giurato di rimaner celibe? È vero; ma ho anch'io la mia piccola dose di vanità, e non ho a male se una donna mi riguardi con compiacenza. V'è tanta eloquenza negli sguardi d'una giovinetta che sente alle estremità dei nervi la prima prurigine dell'amore! Con un solo muover di ciglia essa dice ben più che non il Petrarca col suo grosso volume di sonetti.

Grazie al cielo ho finito di attendere – Le fanciulle di Nyon muovono verso la chiesa, e se ieri sera mi parvero belle, oggi discopro in esse novelli pregi, novelle perfezioni. Decisamente lo apparir belle soltanto di notte è privilegio delle lucciole e delle grandi dame.

Per Dio! che significano questi dispetti? Sono esse timide tanto che non osino levare lo sguardo? Perchè nel passarmi d'accanto le fanciulle di Nyon fanno quelle smorfie disdegnose; mentre i padri, i tutori, gli zii mi fulminano del loro austero cipiglio!

V

A questa domanda seguì immediatamente nell'interno della mia coscienza una risposta crudele… Ciò che altre volte mi era accaduto nel mio pellegrinaggio sentimentale, ciò che inesorabilmente mandò a vuoto tutte le mie intraprese più serie in fatto di amore; il grande, l'insormontabile ostacolo mi si parava dinanzi all'indomani del mio arrivo – prima ancora che io avessi concepita nonchè espressa una speranza legittima sul conto delle avvenenti figliuole…

Ed esse sfilavano dinanzi a me cogli occhi bassi, e torcevano il collo sdegnosamente, e si affrettavano ad intingere la bella manina nel vasello dell'acqua santa per cacciare la tentazione col segno di croce.

In verità, che a vedere quel gesto di religioso dispetto, mi parve anche intendere parecchie voci pronunciare il vade retro Satana degli esorcisti.

– Francesco! diss'io, stringendo convulsivamente il braccio dell'amico…

«Francesco!!!»

Quegli mi guardò in faccia, e l'impressione del mio aspetto non fu certo promettente per lui, poichè egli mi allontanò a forza dalla chiesa e mi condusse di nuovo sulla spianata.

– Francesco! ripresi meno bruscamente, poichè entrambi ci fummo assisi a poca distanza dal lago; io vorrei un po' sapere chi abbia già detto a quelle… e ai padri, ai tutori, agli zii di quelle… sì, di quelle pettegole… io vorrei un po' sapere chi abbia palesato il segreto della mia professione…

– La tua professione non poteva rimanere un segreto, rispose pacatamente l'amico; poichè ier sera non appena tu consegnasti il passaporto all'albergatore, il piccolo dell'osteria si affrettò a copiare esattamente il tuo nome e i tuoi connotati, onde appagare le numerose richieste… degli abitanti di Nyon, i quali da circa un'ora assediavano le porte dello stabilimento. Il tuo nome e i tuoi connotati, prima di mezzanotte, furono riprodotti in circa duecento esemplari, e ti giuro che il piccolo ci ha guadagnato delle buone monete pel suo incomodo.

– Dunque… oramai tutti sanno…?

– Tutti sanno che tu sei nato a Macerata, che tuo padre era segretario di un vescovo, che il vescovo per amor di tua madre, ti ha fatto educare in seminario, dove imparasti a cantare da soprano, e che infine, avendo tu cogli anni acquistata una bella voce da tenore, lasciasti la sacristia per tentare la sorte avventurosa del teatro, ove a quest'ora hai già guadagnata una fama ed una pancia molto rispettabile.

– Tutte queste cose si sanno a Nyon… sul conto mio? Ed anche qui… in un oscuro paesello della Svizzera… in un paese che vanta libere istituzioni, che si crede molto avanzato nelle idee democratiche… anche qui dovrò temere i pregiudizii delle nostre città imbastardite dal clericume! Anche qui… le ragazze faranno le smorfiose dinanzi ad un leale ed onesto cittadino, il quale non ha altro torto in faccia al mondo fuori quello di essersi consacrato ad un'arte… che egli credette e crede tuttavia la più nobile, la più lucrosa, poetica delle arti…! Sì, la più poetica… giuraddio!.. sono pronto a sostenerlo in barba a tutti gli imbecilli dell'universo.

– Amico! – disse Francesco colla usata sua flemma; tu corri troppo alle ipotesi..!. Tu ti lasci trascinare da un impeto di passione, che finora non trovo per verun conto giustificabile. Aspettiamo… vediamo… interroghiamo… giudichiamo… Finora non si è fatto alcun passo per conoscere i sentimenti di quelle caste e sensibili figliuole… Se veramente tu avessi in animo di sposarne una… si potrebbe, con buona grazia, colla debita circospezione, farsi innanzi… persuadere i parenti…

– Sposarne una!.. Ascoltami, Francesco… Tu sai che io non sono l'uomo delle mezze misure… quando mi sento offeso nell'amor proprio… Ah! Francesco! – E questa volta l'offesa fu tremenda! – perocchè è partita simultaneamente da dodici punti diversi…

– E da altrettante virgole… Perdono! le donne io le chiamo virgole e non punti; perocchè esse appartengono al genere femminino… ed anche per altre ragioni che il pudore mi vieta di ripetere…

Questa osservazione dell'amico interruppe il corso della mia collera, ed io dovetti sorridere. Dopo quel sorriso mi sentii l'anima raddolcita.

– Or bene!.. So io come s'ha a finire questa faccenda, dissi all'amico dopo breve silenzio… Credi tu, che se io invitassi gli abitanti di Nyon ad una accademia di declamazione e di canto nella gran sala dell'albergo maggiore, questi si rifiuterebbero di intervenire al trattenimento?..

– Ci avrei qualche dubbio… Tutto sta che il prezzo del biglietto sia piuttosto moderato…

– Quanto, per esempio?..

– Gratis!

– E sia pure gratis!.. a patto che il pubblico non manchi. Ciò che mi importa è di avere presenti allo spettacolo tutte le dodici vergini di Nyon, coi loro rispettivi padri, tutori e zii.

– Te ne rispondo sulla mia onoratezza…

– Ed io ti prometto, che se le dodici ragazze verranno al concerto, all'indomani avremo libera scelta tra esse…

– Ho io ben compreso?.. Hai tu detto: avremo?..

– Avremo! Io ti farò sposare una dote di cinquecentomila franchi, e la più bella delle belle… Vuoi tu?..

– Se io voglio?!!!

L'amico Francesco pareva ammaliato.

VI

Ci separammo – poichè la gente usciva in quel punto dalla chiesa, ed io non voleva espormi una seconda volta al ludibrio della mia falsa posizione.

Francesco andò a predisporre la sala pel trattenimento. Io noleggiai un battello e feci un giro sul lago – meditando la mia vendetta.

Francesco condusse le cose per bene. Quand'io tornai all'albergo sul far della sera, vidi l'amico ritto in sentinella sulla porta, e tutto rifatto dal capo al piede coll'abito di rigore.

– Le ragazze verranno tutte – mi disse all'orecchio; e la gran sala è disposta perfettamente come tu mi hai indicato.

– Ottimamente!..

Entrai nella mia camera e pranzai coll'amico. E, dopo il pasto, levai dai bauli i miei ridicoli abiti da concertista, e indossai alla mia volta quell'aristocratica uniforme che uguagliando il gentiluomo al parrucchiere ed al garzone di trattoria, ottiene i primi onori nella società moderna, e viene considerata come una bardatura indispensabile a chi frequenta le grandi sale.

Alle ore otto e mezzo della sera la sala dell'albergo era colma – tutte le ragazze di Nyon – tutte! – e lo ripeto ad onore dell'amico – sedevano nella sala, intorno al pulpito predominante.

Io entrai senza farmi annunziare.

Strisciai tra la folla degli abiti neri, colla schiena ricurva e gli occhi dimessi… Salii i quattro gradini dei pulpito; e fatto un leggiero inchino del capo, poichè tutti gli occhi furono a me volti, e il silenzio degli spettatori parve chiedermi la parola, spiegai sul tavolo una cartolina, nella quale erano riepilogati i miei pensieri, e con voce sonora proferii il seguente discorso:

VII

«Se innanzi a voi, gentilissime donzelle e nobili signore di Nyon, io mi presento a difendere l'onore e la fama di quella grande famiglia artistica a cui mi glorio d'appartenere: la carità dello scopo varrà a giustificare l'audacia dell'assunto, e voi di leggieri mi perdonerete se, togliendovi agli ozii delle pacifiche dimore, v'ho qui stassera chiamati a consiglio. Malagevole cosa è per me il combattere un pregiudizio oramai incallito nei vostri cervelli; nè io presumo tanto dalla eloquenza mia, da tenermi sicura la vittoria. Ad operare sì grande rivolta d'idee, non che le mie deboli parole, insufficienti tornerebbero le miracolose gesta degli antichi profeti: tanto l'uomo è ritroso a salire anche d'un solo gradino la scala del progresso e della civiltà. Ma s'egli è pur necessario che alcuno vi dia la prima spinta, a ciò mi adoprerò col seguente discorso, nel quale, dopo avervi dimostrato che l'arte del canto è le più antica e la più nobile delle arti, e in qual pregio fosse tenuta e tengasi tuttora dalle nazioni più incivilite; vi proverò con argomenti incontrastabili come un cantante, pelle sue doti fisiche e morali, non possa a meno di riuscire un valoroso e comodo marito. (Tumulto nelle ultime file). Vi conforti però il pensiero, che, quando anche io riuscissi a modificare le vostre opinioni e a conciliarmi d'un tratto l'universale simpatia, mi asterrò dallo importunarvi con proposte di matrimonio; io soffocherò nel petto quelle dodici fiamme d'amore, che pur troppo vi divamparono dal giorno in cui il tacco del mio stivale si è posato per la prima volta su questo vulcanico suolo. (Movimento nelle prime file). Scoraggiato da molte ripulse, io feci voto di eterno celibato. (Sensazione). Domani lascierò per sempre queste ridenti spiaggie del Lemano, e simile ai nostri primi padri esulanti dall'Eden, io porterò meco l'amarezza nel cuore e le lagrime sulle ciglia. Ma se la giustizia della causa darà qualche efficacia alle mie parole, forse in luogo dello sprezzo e dell'odio, mi seguiranno i voti e il compianto di qualche anima convertita. (Tosse e starnuti). Un giorno… qualche mio confratello… peregrinando a queste terre, troverà presso di voi quell'accoglienza cortese che a me… fu negata. Allora non più le grazie si involeranno sdegnose ai baci ed agli amplessi d'un figlio d'Apollo, ma gli moveranno incontro con festevole gara, per aprirgli cortesemente i nascosti tesori della bellezza. (Agitazioni e contorsioni nelle prime file). Oh, in quel giorno… vi sovvenga per me una parola di benedizione… La vostra pietà, benchè tarda, sarà balsamo alle crudeli ferite che oggi mi avete aperte nel cuore. (Breve pausa).

»Il canto è il linguaggio più naturale dell'uomo.

»Non mi sarebbe difficile il convincervi come i nostri primi padri si intendessero fra loro a forza di scale e di solfeggi, non altrimenti che le allodole ed i fringuelli. Ma quando, insieme cogli altri peccati, nacquero gli odii e le guerre fra gli uomini, la musica divenne impotente ad esprimere i nuovi bisogni e le nuove turpitudini: le note si urtarono disaccordi, e cessata ogni armonia dei cuori cessò di conseguenza anche la dolce armonia del linguaggio. Allora fu inventato l'alfabeto; allora convenne torcere le labbra e contrarre la bocca all'accozzo delle aspre consonanti, ed a forza di complicazioni e di bisticci gli uomini giunsero al punto di più non comprendersi fra loro. La molteplice varietà delle lingue dimostra evidentemente come esse nascessero dalla discordia e dal capriccio, piuttosto che da un naturale istinto dell'uomo, mentre alla musica è concesso tuttora il privilegio di essere compresa ugualmente da tutta la famiglia umana. L'Etiope, l'Ottentotto, il Mamalucco commovonsi al suono d'una melanconica canzone, non meno dell'elegante e colto Europeo. I più nobili e puri sentimenti dell'anima, le grandi gioie siccome i grandi dolori, meglio che con altro linguaggio si rivelano colle varie modulazioni delle note. – Col canto, le madri parlano ai loro bambini lattanti, col canto, il garzone innamorato sfoga le pene segrete sotto il balcone della sua ganza; e col canto voi pure, o nobili svizzeri, riusciste a stabilire una perfetta intelligenza fra voi e le vostre mandrie. (Applausi).

»Io non mi farò qui ad investigare chi abbia dettate le prime leggi musicali e ridotto a regola d'arte questo nobile istinto della creatura umana. Io so che presso tutti i popoli e in tutti i tempi, i cultori dell'armonia furono oggetto di venerazione e di culto. Gli Egizii eressero statue al celebre Eocri, il quale nelle feste di Osiride dominava colla sua voce baritonale un coro di ben settemila cantori. Io non vi parlerò di quel favoloso Orfeo, nè di quell'Anfione, che colla soavità del canto ridussero a civiltà gli uomini e le pietre. E tacerò di Talete che colla musica guariva i Cretesi dalla peste, e di Peone che col canto è fama risanasse gl'infermi e i morti risuscitasse. I Greci e gli Spartani avevano in tanta stima i cultori di quest'arte divina, che Temistocle, forse per ciò solo che non sapeva cantare, fu assai meno stimato di Epaminonda. – La popolazione romana provò tanto dolore alla morte del cantante Tigellio, che i cittadini vestirono a lutto e si cosparsero di cenere come all'annunzio di pubblica calamità; il divino Alighieri non isdegnò celebrare nel suo poema il tenore Casella, della cui amicizia si tenne, mentre che visse, onorato.

 

»Ma che vado io rammentandovi queste viete istorie dei tempi andati? Volgete piuttosto gli sguardi alle regioni più incivilite della moderna Europa, e mirate a quale sublime altezza noi privilegiati figliuoli dell'armonia fummo dal pubblico buon senso e dalla pubblica riconoscenza elevati. A noi per unanime voto tributato il titolo di virtuosi; in noi concentrate le speranze ed i voti dei popoli; noi scopo di ogni conversazione ne' privati circoli, nei caffè, nelle piazze e nei corsi; noi arricchiti ed ingrassati dal plauso universale. Duemila e cento ventitre giornali si contendono il vanto di registrare i nostri trionfi ed i nostri raffreddori, e noi diamo di rimando l'alimento e la vita a tanti giornalisti, che ben si può dire la letteratura moderna vegeti e cresca irrigata dai nostri gorgheggi e dai nostri marenghi. Che più? A noi si dedicano biografie, a noi si innalzano busti e monumenti, a noi si gettano corone, a noi si decretano gli onori del trionfo. (Oh! Oh!). Dubitereste? – Si vede o Svizzeri innocenti, che voi siete rimasti ben addietro nel cammino della civiltà. – Io era presente… vidi io stesso lo spettacolo commovente: una carrozza tirata dai più reputati gentiluomini della città, i quali non isdegnarono logorare il molle guanto e curvare la schiena alla generosa fatica del cavallo… E sapete voi chi sedesse trionfalmente in quel cocchio? Poveri Svizzeri, voi noi crederete – un tenore! (Fischi, urli ed altre manifestazioni)… Egli sedeva radiante di gloria, come Febo nel suo carro luminoso, e mentre i bipedi corsieri lo traevano nelle più popolate vie, e le dame dai balconi sventolavano i fazzoletti e gittavano fiori e ghirlande sul suo passaggio. A completare l'augusta cerimonia altro non mancò in quel giorno se non che il festeggiato cantante, afferrato uno scudiscio, lo esercitasse sulla groppa de' suoi fanatici ammiratori. (Applausi universali).

»Ma io sto per porgervi l'ultima e la più manifesta prova dell'alta considerazione in che noi siamo tenuti. Vi piaccia seguirmi col pensiero in uno dei principali caffè di Milano, voglio dire nel caffè Martini, sulla piazza del grande teatro della Scala.

»Tutto che vi ha nella Capitale Lombarda di gioventù nobile ed elegante, le individualità più notevoli.

 
Sia per titoli e blasoni
Sia per cedole e dobloni:
 

i lions più famigerati per imprese d'amore o per lusso, per splendidezza di vita, hanno quivi ritrovo.

«In quelle sale privilegiate non osi l'umile proletario introdurre il lezzo del suo vecchio paletot, nè l'equivoco colore de' suoi collaretti; e si astengono parimenti dal porre là dentro il piede gli stremati seguaci di Temi, gli avvocatuzzi senza clientela, gli impiegati alle strade di ferro, i ragionieri del Censo, i segretari delle case fallite, gli squattrinati studentelli di Brera, e simile genìa. Costoro vi si troverebbero a disagio, umiliati, annichiliti come irsuto cagnuzzo da vetturale che osasse accovacciarsi sui tappeti d'un aristocratico gabinetto fra due lindi cagnolini inglesi, puro sangue. – Noi soli, noi, augusti sacerdoti delle Muse; abbiamo il diritto di portare in quelle sale le nostre barbe di becco e le foggie cosmopolite della nostra toilette; noi sediamo su quelle scranne al volgo contese ed abbiamo l'onore di sorbire il caffè da quelle medesime tazze ove l'alta società milanese tuffa ogni giorno i profumati mustacchi. (Sensazione). E si noti, a maggior orgoglio dei cultori dell'arte, che mentre questa eletta società dal blasone dai censi occupa il lato sinistro della sala, a noi venne riservata esclusivamente la parte destra – ben inteso, che la destra e la sinistra voglionsi determinare dalla posizione del proprietario, il quale tiene anche due libri maestri per registrare i debiti degli avventori – due libri, che messi a confronto, farebbero ragione dell'onestà e della buona fede prevalente negli artisti.

»Ma io credo aver accumulate sufficienti prove, onde trarre al mio partito anche le anime le più ritrose. Se il colèra, le guerre, le pesti e il mal delle viti non pongono ostacolo al rapido incivilimento del mondo, io prevedo che fra venti anni si rinnoveranno gli aurei tempi di cui più sopra vi ho parlato, e la musica sarà di bel nuovo il solo linguaggio degli uomini. Nelle nostre città d'Italia un tale miracolo si va di giorno in giorno operando. I fanciulli appena spoppati imparano le messe di voce ed i gruppetti; trillano nella culla, solfeggiano sui ginocchi della madre; e più tardi, nelle scuole cantano alla distesa l'abbecedario e la grammatica; e avventurati si dicono i parenti quando il loro figlio all'età di cinque anni sappia cantare tutta di seguito una cavatina. Nè i fanciulli soltanto, ma gli adulti di tutte le condizioni, di tutte le classi, trovano più comodo oggimai esercitare la laringe, piuttosto che le braccia e il cervello. Io non vi parlo de' calzolai, de' falegnami e dei sartori, che, gittata la lesina, la sega e l'ago, si dedicarono e riuscirono eccellenti nell'arte del canto. Persone di rango distinto, e che già occuparono luminose cariche, riconosciuta l'importanza dell'arte nostra, sfidando ogni difficoltà, ogni pericolo, a quella si dedicarono a corpo perduto. Gli avvocati disertarono il foro, i medici ripudiarono Esculapio, i poeti spezzarono la lira, e purchè riuscissero a trarre dalla gola un suono che assomigliasse alla voce umana, cercarono pei teatri applausi e denari, e giunsero a tanto colla magia delle note e più colle sterline guadagnate, da essere finalmente tenuti in conto d'uomini dabbene. (Tumulto e segni d'impazienza).

»Ma nei vostri volti, o gentili uditori, io veggo i segni manifesti della compunzione e del ravvedimento. Epperò con animo alquanto rassicurato io passerò ora a dimostrarvi come un cantante, pelle sue doti fisiche e morali, debba necessariamente riuscire ottimo marito; scabro e difficile assunto, dovendo io parlare ad un'assemblea di innocenti fanciulle, a cui non vogliono essere svelate certe misteriose leggi della natura (attenzione nelle prime file), sulle quali baserà l'intero edifizio delle mie argomentazioni.

»Pertanto, piuttosto che offendere, o donzelle, il vostro delicato pudore, io vi consiglio ad uscire dalla sala per pochi minuti, e allora, procedendo io con maggior libertà di parole, il trionfo della mia causa riuscirà più pronto e più completo. (Bisbiglio – Ciascuno rimane al proprio posto – Le donne raddoppiano d'attenzione).

»Quando l'abate Parini, in odio dei canori elefanti, dettava quella sua bellissima ode la musica, una legge stolta ed iniqua imponeva ai cantanti tali sacrifizi, che io mi meraviglio si trovassero uomini tanto virtuosi da assoggettarvisi. Certo, se io fossi vissuto in quell'epoca, nè l'amore dell'arte, nè le illusioni della gloria, nè la sacra fame dell'oro mi avrebbero indotto a seguire una carriera per la quale era forza immolare le due appendici più caratteristiche della virilità. (Applausi). Nè, se durassero quelle barbare costumanze, io vi consiglierei, o gentili donzelle, a prendervi per marito un cantante; troppo disaggradevole sorpresa vi attenderebbe sul talamo nuziale.