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Racconti e novelle

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XLVIII

– Signore, dice il droghiere balbettando. Tutto il quartiere di Porta Nuova può testimoniare che un poderoso sviluppo della mia costituzione… Insomma! parlando con poco rispetto di loro signori… altre volte io fui esonerato dal servizio per un difetto… che propriamente non sarebbe difetto… vale a dire per la mia pancia… eccessivamente ben nutrita… Questa prominenza un po' marcata… e visibile ad occhio nudo…

Gli occhi dei giudici si volgono alle regioni addominali di Giacomo Pizzalunga, ma la pancia del droghiere non brilla che per la sua assenza…

– Ci è noto, risponde il giudice con qualche serietà, com'ella in altri tempi si facesse rimarcare per questa agglomerazione sottocutanea di umori e di adipe ch'ella un po' volgarmente classifica col nome di pancia – Ma al presente io non mi accorgo che il di lei individuo presenti delle prominenze tanto salienti…

Pizzalunga portò le mani al ventre, e parve sconcertato…

– Pur troppo! sospirò il droghiere – la pancia è sparita, in seguito ad altre protuberanze… voleva dire… in seguito ad un forte mal di testa…

– Ha ella il certificato del medico del battaglione?..

– Signori… lor san meglio di me che certi mali di testa… si sentono… ma non offrono all'esterno tali sintomi…

– Milite Pizzalunga; finchè ella non presenti i certificati richiesti dalla legge, noi non possiamo esonerarla dal servizio… Frattanto lo condanniamo ad una multa…

– Ebbene! Sì!.. Cento multe! mille multe! prorompe il droghiere battendo la mano sul tavolo – ma l'Angiolina non rimarrà più sola di notte!..

Questa ingenua sortita destò l'ilarità dei giudici – e per quel giorno la condanna fu limitata a un franco di multa.

XLIX

Quattro mesi dopo, l'Angiolina e Serafino si trovarono di bel nuovo a colloquio nel giardino Balzaretti presso la grotta dei sorci.

– Ebbene, non è egli condannato?

– Sì, a ventiquattro ore di prigionia.

– Ventiquattro ore!.. A meraviglia!..

– Ma egli ha presentato un ricorso al Comando Superiore… e può darsi che gli commutino la pena…

– Gran Dio! Sarebbe fatale!..

L

Il giorno seguente al Comando Superiore della Guardia nazionale perveniva il seguente ricorso:

«Io Giacomo Pizzalunga del quondam Pasquale, di professione droghiere, non ho nulla da opporre alla sentenza che mi condanna, per le mie ripetute mancanze, a ventiquattro ore di prigionia… Solo domando, in via di grazia, che questo Tribunale emani un secondo decreto che obblighi mia moglie a condividere, come di dovere, la mia sorte. In caso diverso io sono pronto a ribellarmi anche alla forza pubblica!»

Il povero Pizzalunga non fu esaudito… e colla perfida Angiolina il droghiere prendeva dopo alcune settimane il cammino dell'esilio.

Se il marito sapesse

I

Era venuta a Trescorre nella stagione delle acque – venuta, come tante altre, per obbedire alla moda, per emanciparsi dalla soggezione maritale. – Ella avrebbe preferito i bagni di Genova o della Spezia, sendo le donne istintivamente portate all'acqua salsa – forse in memoria di Venere nata dalle spume oceaniche, fors'anco per quegli istinti di seduzione e di perfidia che esse – certe donne – hanno comuni colle Sirene.

La signora Amelia (si chiamava Amelia, come la prima donna del Ballo in maschera) era una di quelle signore, che giuocano la parte di vittima, esagerando la tirannide del marito, per farsi compiangere, per farsi adorare, e sopratutto per iscusarsi dei loro peccati.

Una bella signora, che aveva passati i suoi venticinque anni, e muoveva verso i trenta per un delizioso pendio tutto sparso di fiori primaverili.

Per certe donne la primavera comincia, infatti, dopo i venticinque anni. Prima di quell'età, la loro bellezza è un germe senza forma, un bottone enigmatico, di cui nessuno può prevedere lo sviluppo.

Questo sviluppo – (ed ecco il segreto di mille sventure domestiche) questo sviluppo dipende in gran parte dal marito – da quel laborioso coltivatore, a cui il bottone-fanciulla, tolto appena dalla serra-collegio, si affida per caso, per un'attrazione insensata, per magnetismo di effluvii giovanili, e più spesso per una di quelle leggi di convenienza, che sono il miasma corruttore della moderna società.

Povero marito! – Quante volte la sua coltivazione laboriosa e feconda riesce tutta a vantaggio del prossimo!

La donna che, dopo essersi maritata a dieciotto anni, presenta a venticinque e a trent'anni un tipo ideale di perfezione, difficilmente si appaga di un logoro marito, di un marito che ha già fatto il suo corso!

Ingrata! – Ella dimentica tutto – dimentica che Dio e il marito concorsero del pari a crearla. Iddio mette al mondo delle femmine – ma i mariti hanno la missione di creare le donne…

Tronchiamo queste considerazioni antisociali – noi potremmo riuscire ad una conclusione immoralissima, che molti già ammettono tacitamente, essere il matrimonio un peccato contro natura.

II

Un po' di storia retrospettiva.

Edmondo Della-Rosa, il marito di Amelia, non si allarmava gran fatto della floridezza crescente di sua moglie. Al contrario, si compiaceva delle nuove attrattive ch'ella andava acquistando, senza preoccuparsi dei pericoli. Egli l'amava di cuore, come l'aveva amata per cinque mesi dalla strada alla finestra prima delle nozze, come non aveva cessato mai di amarla in sei anni di vita condivisa, ch'egli chiamava un po' enfaticamente sei anni di luna di miele.

Ma la signora, collo svilupparsi della bellezza, diveniva ogni giorno più esigente. Ogni mattina, pettinandosi allo specchio, ella imparava ad apprezzarsi davvantaggio. Le sue bianche mani diafane si intrecciavano con voluttuosa compiacenza alle lunghe abbondanti chiome. Ella vagheggiava in estasi deliziosa i bianchi contorni delle sue spalle di velluto. Tutte le scabrezze erano sparite. La muscolatura leggermente tracciata sotto un trapunto di bambagia palpitante, non serbava reminiscenze di una età più gracile ed incompleta. Il giglio e la rosa si fondevano con insensibili gradazioni. Quello specchio era un terribile nemico di Edmondo. L'amore inalterabile e monotono di quello sposo di dieci anni, era omaggio troppo insignificante per lei… per quella Danae convertita in Giunone.

– Quell'uomo non vede nulla! – esclamava ogni mattina la sposa di Edmondo, ammirandosi allo specchio. – Quell'uomo è divenuto glaciale… è istupidito!.. Scommetterei che, in luogo di compiacersi, egli si irrita de' miei… progressi!.. Non l'ho veduto imbestialire anche l'altra sera, per aver letto nei giornali che alla festa di corte… io era una delle stelle?.. Tant'è, signor marito!.. Io non posso farmi brutta per vostro uso e consumo! Non posso eclissarmi per darvi piacere!.. Ah! badate piuttosto, badate, Edmondo, di non provocarmi!.. Certi mariti non sono contenti fino a quando…

E così, ogni mattina. Abbandonata la sua mobile testolina al pettine del brillante parrucchiere, Amelia si cullava in una fantasia poco sentimentale e non abbastanza legittima.

III

Allorquando – nell'estate del 1860 – Amelia annunziò la pretesa di recarsi alle acque– ed era la prima volta che una tale pretesa si introduceva nel bilancio dei coniugi Della-Rosa – Edmondo pose in campo delle difficoltà di prosa economica, che fecero rabbrividire la bella.

Amelia, anche senza gli articoli dell'Uomo di Pietra e del Figaro, era convinta di essere una stella dell'olimpo milanese; e una stella che, nel mese di giugno o di luglio, non si tuffi regolarmente nell'Oceano, non ha più diritto di brillare in gennaio nei palchetti della Scala o nelle sale della Prefettura.

Gli ignobili calcoli dell'economia privata messi in campo da Edmondo, diedero luogo ad una scena – ad una di quelle scene che si chiamano domestiche, e spesso rappresentano la cosa più selvaggia di questo mondo. Il marito dovette transigere. Promettendo le acque salse per un avvenire indeterminato, egli concesse alla moglie un mese di acque dolci o di acque fetide a libera scelta fra S. Pellegrino, S. Omobono, Barco o Trescorre.

Amelia, per discostarsi il meno che ella potesse dal figurino della moda, prescelse Trescorre. – Ma prima di lasciare Milano, ella protestò rovinosamente contro la spilorceria del marito, saccheggiando senza misericordia i magazzeni di Panseri e Garbagnati.

Quella protesta di stoffe e di cifre rappresentava un totale di quattromila e seicento franchi da pagarsi… più tardi.

IV

Io non conosceva la signora Amelia prima che la mia buona fortuna me la facesse incontrare alle acque di Trescorre – ma il di lei nome più volte mi era suonato all'orecchio. Qual'è il milanese che non sappia a memoria i nomi delle sue stelle? Qual'è di noi, che a sua volta non abbia subìto il disinganno di queste etichette della bellezza, applicate dalla moda ad una elegante fantasmagoria di merletti e di colori, che vuol essere una donna avvenente?

Ma questa volta l'etichetta non era menzogna – non era solamente una vetrina mobile di Garbagnati e Panseri – era una donna reale, una forma elegantissima di donna.

Quando io vidi la signora Amelia discendere dalla carrozza col suo abito vaporoso, aereo, trasparente come una nuvola di perle; quando ella attraversò il cortile dello Stabilimento, lanciando faville voluttuose dai suoi begli occhi azzurrognoli; quando la sua voce limpida e vibrata risuonò al mio orecchio, io non potei reprimere una esclamazione di meraviglia.

L'esclamazione più comune, più banale: come è bella! – Amelia era inebbriata di felicità. Lasciò cadere su me e sugli altri, che del pari l'avevano ammirata, uno di quei lampi di sorriso dove si fondono deliziosamente la vanità e l'ironia. – Un sorriso che voleva dire: gran novità! lo sapevamo da un pezzo, che siamo… quel che siamo!

 

Ma vi era in quell'orgoglio qualche cosa di amabile, di lusinghiero per tutti.

Alla sera, nello Stabilimento, non si parlava che di lei. Una stella a Trescorre! – una stella senza marito…! Figuratevi l'agitazione degli eleganti…!

Dopo mezz'ora dal suo arrivo, tutti i lions si erano cambiata la cravatta.

V

Buona parte di quei lions– perchè dovrò tacerlo? – non rappresentavano il fiore della giovinezza, nè il fiore della eleganza, nè il fiore dello spirito. Erano quasi tutti provinciali nel senso più traslato della parola. Parecchi erano anche affetti di erpete, malattia poco favorevole alle attrattive personali, e avversa più che altre al romanticismo. – Un Narciso milanese – lo chiamo Narciso piuttosto che Tulipano, per usargli cortesia – era, nella comitiva dei bagnanti, il solo giovanotto che avesse le apparenze di un perfetto gentiluomo. Vestiva col buon gusto di Prandoni – mutava rigorosamente di toeletta tre volte al giorno – cavalcava come un palafreniere – sapeva a memoria una diecina di calembours– e suonava con qualche garbo… una polka. Sulle sue guancie pallide e brune non spuntavano quelle efflorescenze che esigono la cura delle acque sulfuree, od almeno ne accusano gli effetti. Un bel giovanotto – il vero tipo di quei lions, che non hanno altra ambizione fuor quella di sentirsi classificare lions, anzichè bestie di un'altra specie qualunque dal titolo meno sonoro ma più competente.

Secondo ogni apparenza, il nostro Narciso era venuto a Trescorre per fare delle conquiste; fors'anche egli aveva già designata la sua vittima. – Che serve?.. Non facciamo misteri! – Egli sapeva che la signora Amelia Della-Rosa doveva recarsi alle acque – e l'aveva preceduta di alcuni giorni per studiare il terreno delle sue evoluzioni, per prepararsi agli assalti. – Che le sue prime prove fossero cominciate a Milano? Che egli avesse già tentato?.. Avrei mille ragioni per supporlo.

I miei lettori, dal seguito del racconto, vedranno che la mia supposizione non era infondata.

VI

Narciso, il mio vero lion, al pari di tutti gli altri che avevano la pretesa ad un tal titolo, dopo aver proiettato sulla signora Amelia una occhiata assassina, corse nelle sue stanze a cambiarsi la cravatta. Anzi, egli si cambiò tutto, dalla cravatta agli stivaletti – e credo anche – ma questa è un'ipotesi assurda – che egli introducesse qualche leggiero cambiamento nel colorito della sua pelle.

Confesso la mia debolezza – quella sera io non ebbi il coraggio di discendere nella sala comune senza prima farmi radere la barba e ritoccare i capelli dal Figaro dello stabilimento.

La bellezza della signora Amelia mi aveva stranamente impressionato. Era stata una commozione subitanea e violenta; un fascino, di cui, per verità, non spettava a lei tutta la gloria – perocchè, a quell'epoca, io avessi appena raggiunti i miei ventidue anni – quell'età solforosa, che non ha bisogno di esca e di faville per infiammarsi ed erompere.

Che poteva io sperare? – Una stella! – Questa idea che ella si chiamasse una stella del mondo elegante, mi sgomentava, mi lasciava impietrito. – Ma in nome di Dio, cosa sono queste stelle? In che differiscono dalle altre signore, dalle altre… donne?.. – Donne! – è il loro nome più vero – e quanto alla loro fibra, mi pare che non possa altrimenti essere tessuta da quella di tutte le figlie di Eva. – Anche una stella è soggetta alle passioni e deve avere i suoi capricci!..

E la mia logica andava tanto oltre, che io finii col persuadere a me stesso essere altrettanto facile conquistare una stella, quanto – mi si perdoni la irriverenza – una ortolana di piazza San Stefano.

Tutto dipende dalle attrazioni o dalle ripulsioni – dalle correnti magnetiche – dal caso – dal luogo e dalle circostanze.

La mia prima esclamazione: com'è bella!– quell'atto estemporaneo di sorpresa e di ammirazione mi aveva già guadagnato la riconoscenza e la stima della signora Amelia – mi aveva aperta la via, non dico del suo cuore, ma della sua vanità. – Due mesi dopo, per aver osato rivolgere il medesimo complimento ad una giovane cuciniera che tornava dal verzaro, io mi ebbi, per tutto compenso, un fusto di sedano tra il naso e la bocca!

VII

Eravamo tutti nella sala comune… ad aspettare – ed è superfluo aggiungere che aspettavamo la signora.

L'amico Narciso si era impiombato dinanzi al pianoforte, e aveva ripetuto la sua polka una diecina di volte. I suoi occhi dardeggiavano la porta di ingresso – la contrazione della sua fronte rivelava un insolito laborìo di cervello, uno sforzo violento dello spirito. Egli chiamava a raccolta i suoi quindici calembours; – fors'anche – per una circostanza tanto solenne, stava creandone dei nuovi.

La bella milanese non si fece molto attendere. Forse – le stelle mi perdonino! – ella era più impaziente di brillare che nol fossimo noi di bearci nei suoi raggi.

Il mio Narciso balzò dallo sgabello – spiccò un salto da levriero, e stese la mano alla signora col fare spigliato di un amico di casa.

– Voi… alle acque! disse Amelia sbadatamente – e i suoi grandi occhi vellutati passarono in rassegna tutta la comitiva.

– Ah! non è più il caso di dire alle acque, dacchè il sole della vostra bellezza…

– Così presto!.. Rimettetevi al pianoforte, signor Narciso – ai vostri nuovi calembours preferisco ancora la vostra vecchia polka!

Era una impertinenza proferita col miglior garbo – e il mio lion rispose con un sorrisetto di beatitudine che rivelava tutta la sua fatuità.

La signora Amelia, come la più parte dei bagnanti, era venuta a Trescorre con una lettera commendatizia pel medico dello stabilimento – una lettera, che accusava tutti quei sintomi di perfetta salute i quali, sommati insieme, costituiscono la grave malattia del regime alla moda, il pretesto per recarsi alle acque.

Ditemi che l'arte medica non serve a nulla! – Il dottore dello stabilimento, appena entrato nella sala, si incaricò spontaneamente delle presentazioni, mormorando all'orecchio della signora tutti quei particolari della cronaca locale per cui ella potesse rendersi conto della situazione, e prendere risolutamente la sua parte. – Di tal modo si stringono le relazioni, si annodano le amicizie e gli amori – si creano e si sviluppano quei giocondi pettegolezzi, quei deliziosi scandoletti, che fanno tanto bene alla salute dei bagnanti, e mettono in credito le… acque!

Il dottore era uno de' miei mille e trecento amici, ed io dovetti a questa circostanza che egli mi dipingesse alla signora con tinte piuttosto favorevoli.

Fatto è che dopo averla intrattenuta pochi minuti sul conto mio, quel buon dottore mi si fece incontro per annunziarmi che la signora gli aveva espresso il desiderio che io le fossi presentato.

Mi lasciai condurre – ci ricambiammo le solite frasi, il formulario di tutte le presentazioni – ma il fremito della mia voce, il fuoco che traluceva dalla mia timidezza, dicevano più assai delle parole.

Frattanto il mio bel Narciso aveva ripetuto quattro volte la sua vecchia polka, meditando un nuovo calembour.

Il caldo era opprimente. – Si deliberò di uscire tutti insieme per una breve passeggiata all'aperto.

Come avviene in tali circostanze, la galanteria degli uomini prese fermento. – Un signore dal naso bernoccoluto, dalle guancie di mortadella, si gettò avidamente sopra una zitellona smilza, che era già uscita due volte nell'anticamera a ballare con lui – un prete rubicondo e tarchiato si impadronì di una sua nipotina tutta modestia e tutta polpa – una vecchia contessa bergamasca sopraccarica di collane e di merletti afferrò il braccio di un interminabile seminarista che tre volte, nel far il giro della sala, avea dato del capo nel lampadario – il medico si pose in mezzo a due bicocche in sottana che esigevano, per tenersi in bilico, un punto di appoggio – e tutti quanti avevano già scelta o subita la loro compagna di passeggio – mentre io…

Vedete un po' se io ragionava da cretino: «Offrirle il mio braccio… questa sera… così presto!.. Ma con quale diritto?.. E se ella mi facesse l'affronto di rifiutare? in tal caso tutto sarebbe finito… non oserei più tentare… che dico?.. sarei costretto a fuggire da Trescorre… a non più rivederla!..»

Io non mi accorgeva che la mia perplessità, oltre ad esser ridicola, mi esponeva a commettere una villania. – La signora si era levata in piedi, e si incamminava per uscire dalla sala…

Crederesti, lettore? – Io fui sul punto di volgermi a Narciso per supplicarlo a fare le mie veci, a togliermi da quell'imbarazzo…

Ma il signor Narciso non aveva bisogno dei miei eccitamenti – nella sua qualità di lion, egli aveva già calcolato che il braccio di Amelia gli apparteneva per diritto – che nessun altro avrebbe osato usurparglielo. Egli aveva indugiato a levarsi dal pianoforte per un sentimento di fierezza, o meglio di fatuità, che era propria del suo carattere – l'unico lion si sentiva indispensabile all'unica stella.

E poi, c'era un'altra ragione a quell'indugio – il calembours. – Non appena questa enorme concezione del suo spirito creatore gli parve degna della luce, Narciso si lanciò verso la signora… Ma quella, volgendosi a me subitamente, e ponendo la sua bella mano sul mio avambraccio – signore, mi disse; vi prego!.. salvatemi voi da quell'importuno!

Non c'erano più scuse – conveniva rassegnarsi a farle la corte – non fosse altro per quella serata.

IX

La luna, il canto degli usignoletti… No – m'inganno – il cielo era buio – coperto di nuvole opache. – C è proprio bisogno del chiaro di luna per far all'amore? – Al contrario – io credo si possa anche intendersela molto bene con una giovane e bella signora senza la musica degli uccelli. – Preferisco i ranocchi ed i grilli – fanno più rumore. – Quando si passeggia in numerosa brigata, come appunto ci avvenne in quella sera, la sinfonia monotona e chiassosa che si eleva dai pantani e dalle siepi giova assai meglio a coprire il bisbiglio di due innamorati che non il gorgheggio intermittente degli usignoli.

E qual'era il nostro bisbiglio? – Un ritornello molto comune – voi lo sapete a memoria – e potreste ricantarmelo.

Io non amo riprodurre le frasi banali, i dialoghi insensati, che rappresentano la prefazione di tutti gli amori, di tutte le avventure galanti.

La signora Amelia era una donna vanitosa, uno spirito limitato, un carattere di queste… che io chiamerei piuttosto femmine che donne.

Parlano di amore… di passione… – e ne parlano qualche volta seriamente, come se amassero davvero, come se davvero soffrissero. – E forse credono di amare, credono di soffrire…! Creature linfatiche e arrendevoli, che facilmente si conquistano, ma presto anche si perdono!

Io non tardai a comprendere quella donna – la sua volubilità, la sua debolezza, i suoi impeti nervosi ch'ella scambiava per aspirazioni sentimentali.

La signora Amelia non era il mio tipo ideale – ma era giovane, era bella, era elegante – e all'età di ventidue anni si oblia facilmente l'idealismo dinanzi a cotali realtà.

Perchè i lettori non rimangano completamente digiuni di quella nostra conversazione, dirò che la signora Amelia, come la Teresa dell'Ortis, nel ricordare il marito lontano, si fermò sospirosa esclamando: son pure infelice!

Dio! – sono tutte infelici queste mogli!

Ad ogni modo la signora Amelia mi aveva fatto la sua professione di infelicità – ed io era in obbligo di consolarla.

Lettori: non vi allarmate! – io era un consolatore novizzo. – Quella sera tornai dalla passeggiata inebbriato di speranze e desideri!