Free

Il Quadriregio

Text
iOSAndroidWindows Phone
Where should the link to the app be sent?
Do not close this window until you have entered the code on your mobile device
RetryLink sent

At the request of the copyright holder, this book is not available to be downloaded as a file.

However, you can read it in our mobile apps (even offline) and online on the LitRes website

Mark as finished
Font:Smaller АаLarger Aa

LIBRO SECONDO

DEL REGNO DI SATANASSO

CAPITOLO I

Come la dea Pallade appare all'autore e gli descrive la sedia e signoria di Satanasso.

 
        Febo la notte addovagliava al giorno
        ed era in compagnia col dolce segno,
        che prima fa di fiori il mondo adorno,
 
 
        quando a cercar mi misi il nobil regno
    5 di dea Palla Minerva, per comando
        d'un mio signor magnanimo e benegno.
 
 
        E come alcun che parla seco, quando
        va pel cammin soletto, faceva io,
        e questo dicea meco ragionando:
 
 
   10 – O alto re, monarca, o sommo Dio,
        non vedi tu che 'l mondo va sí male
        e quanto egli è perverso e fatto rio?
 
 
        Non vedi il vizio che la virtú assale?
        E da che questo da te si comporta,
   15 o tu nol vedi o dell'uom non ti cale.
 
 
        Giá l'avarizia ha ogni pietá morta
        ed ogni parentela ed ogni fede:
        il vizio alla virtú serra ogni porta.
 
 
        Non vedi che superbia sotto il piede
   20 tien la giustizia e con orgoglio e pompe
        s'è posta armata su nella sua sede?
 
 
        Non vedi tu che la lussuria rompe
        le leggi di natura e che 'l corrotto
        quel di novella etá poscia corrompe?
 
 
   25 Signor e Dio, se Abraam o Lotto
        in Sodoma e Gomorra tu non trovi,
        cioè nel mondo a tanto mal condotto,
 
 
        perché tu 'l foco e 'l zolfo giú non piovi?
        e se tu odi tante a te biasteme,
   30 perché a fulminar Vulcan non movi?
 
 
        perché tu non disfai il crudel seme,
        peggior che Licaon e che i giganti,
        se non che lor fortezze son piú sceme? —
 
 
        Minerva in questo venne a me davanti,
   35 e non la conoscea che fosse quella;
        ed una dea pareva alli sembianti.
 
 
        Come che saggia e vergine donzella,
        d'oliva e d'òr portava due corone,
        talché mai 'mperator l'ebbe sí bella.
 
 
   40 Scolpito avea l'orribile Gorgone
        nel bello scudo, ch'ella ha cristallino,
        il quale porta e contro i mostri oppone.
 
 
        Quando a lei fui e reverente e chino,
        ella mi disse: – Dove andar intende
   45 l'animo tuo per questo aspro cammino? —
 
 
        Risposi a lei: – Tra belli monti scende
        Topino in Umbria, ed in quel bel paese,
        sinché al Tevere l'acqua e il nome rende,
 
 
        regna un signor magnanimo e cortese:
   50 egli mi manda a cercar un reame,
        al qual Minerva m'invitò e richiese.
 
 
        Ma, perché allor Cupido di tre dame
        colle saette sue m'avea invaghito,
        con quali e' fa che fortemente s'ame,
 
 
   55 non accettai da quella dea l'invito,
        ma dietro al folle amor con molti affanni,
        sí come cieco, andato son smarrito.
 
 
        Or ch'io mi so' avveduto de' suo' inganni
        e che ogni cosa si può dir niente,
   60 la qual vien men per correre degli anni,
 
 
        che non andai con Palla il cor si pente;
        e 'l detto mio signore anco sen duole,
        ch'io non fu' al suo comando ubbidiente.
 
 
        Però mi ha detto in espresse parole
   65 ch'io cerchi infin che truovi ov'ella regna,
        ch'egli al suo regno poi venir vi vuole.
 
 
        Però ti prego, donzella benegna,
        o tu m'insegna il loco, ove la trovi,
        o di guidarmi infino a lei ti degna.
 
 
   70 E s'al mio basso prego non ti movi,
        mòvati quel signor, il qual mi manda,
        e li congiunti suoi antichi e nuovi. —
 
 
        Minerva, poiché 'ntese mia dimanda,
        sorrise alquanto e fece lieta cèra,
   75 mostrando faccia dilettosa e blanda.
 
 
        Rispose poi: – Virtú e fede vera
        del prince, che tu dici, e suoi passati,
        e che ne' figli e nepoti si spera,
 
 
        lui e suo' amici a me fatt'han sí grati,
   80 ch'io son venuta a te, e son colei
        che t'invitai a' mie' regni beati. —
 
 
        Allora la conobber gli occhi miei,
        ond'io m'inginocchiai e mia persona
        prostrai in terra innanti alli suoi pièi,
 
 
   85 dicendo: – O dea Minerva, a me perdona,
        s'io te lassai e seguitai Cupido
        per la via ria e abbandonai la buona.
 
 
        E quella fiamma, che fe' errar giá Dido,
        Ercole e Febo, innanzi a te mi scuse
   90 e 'l pentimento, pel qual piango e grido. —
 
 
        Allor porse la mano e sí la puse
        benignamente in su la mia man destra
        e poscia in questo modo mi rispuse:
 
 
        – Da che Cupido e la sua via alpestra
   95 non vuoi piú seguitar, io acconsento
        menarti meco ed esser tua maestra.
 
 
        Ma dimmi prima se tu se' contento
        combatter contra i mostri ed esser forte,
        che nel viaggio dánno impedimento. —
 
 
  100 Risposi: – O sacra dea, piú mi conforte
        che Adriana Teseo, quando il fe' saggio
        scampar del laberinto e della morte.
 
 
        Pensa se del venir gran voglia io aggio,
        quando cosí soletto mi son mosso
  105 a cercar te per questo aspro viaggio.
 
 
        Tu sai la mia virtú e quant'io posso;
        e, s'ella è poca, io spero aver ardire,
        se io mi guiderò dietro il tuo dosso.
 
 
        Ma prego, o sacra dea, mi vogli dire
  110 qual è 'l cammino e prego che mi mostri
        chi sta in quel viaggio ad impedire.
 
 
        – Il primo e principal di tutti i mostri
        – rispose – è Satanasso ed ha 'l governo
        del mortal mondo e delli regni vostri.
 
 
  115 Giá piú tempo è ch'egli uscí for d'inferno,
        e prese questo mondo a gran furore
        e ciò che muta tempo, o state o verno.
 
 
        Nel primo clima sta come signore
        colli giganti, ed un delle sue braccia
  120 piú che nullo di loro è assai maggiore
 
 
        Tu vederai il suo busto e la sua faccia,
        e gloriarsi e dir che 'l mondo vince,
        e giá la sua superbia al ciel menaccia.
 
 
        E con lo scettro in mano il mondan prince
  125 in mezzo il mondo siede triunfante,
        come signore e re delle province.
 
 
        E sua cittá ha fatta somigliante
        al vero inferno e li vizi egli tiene,
        la morte e le miserie tutte quante.
 
 
  130 E perché questo tu lo sappi bene,
        convien che tu discendi in quel profondo,
        onde ciò che si parte, alla 'nsú vene.
 
 
        Visto lo primo cerchio e poi il secondo,
        l'anime afflitte e gli altri cerchi ancora,
  135 ritornerem tu e io quassú nel mondo.
 
 
        Il regno di Satán cercherai allora
        e la sua gran cittá e l'alto seggio
        anche vedrai e chi con lui dimora.
 
 
        Or, perché 'l mondo va di male in peggio,
  140 se ben pensi chi 'l guida, da te stesso
        chiaro il vedrai sí com'io chiaro il veggio.
 
 
        Tu ragionavi, a me venendo adesso,
        ond'è che 'l mondo è sí di vizi pieno
        e perché tanto mal da Dio è permesso.
 
 
  145 Or sappi ben che Dio ha dato il freno
        a voi di voi; e se non fosse questo,
        libero arbitrio in voi sarebbe meno.
 
 
        E voglio ancor che ti sia manifesto
        che vostra carne, le piú volte, volta
  150 vostra ragion dal segno d'atto onesto.
 
 
        E perché al vizio è prona gente molta,
        Satáno vince; e questa è la sementa
        e la zizania sua mala ricolta.
 
 
        Vince anco le piú volte quando tenta,
  155 ché 'n mille modi torcer vostra nave
        puote dal porto ritto, ove si avventa;
 
 
        ché correre a vertú sempre par grave
        a vostra carne, la qual sempre incíta
        a quel che par al senso piú soave.
 
 
  160 Facciamo omai di qui nostra partita:
        il tempo è breve, ed è distante il loco,
        ov'è d'andar al ciel prima salita.
 
 
        – Minerva mia, te primamente invoco,
        e poi le muse, che dell'acqua chiara
  165 del fonte pegaseo mi diate un poco. —
 
 
        Cosí risposi e poi: – Or mi dichiara
        di questo che mi dá gran maraviglia:
        tu sai che domandando l'uomo impara.
 
 
        Quando fu che Satán e sua famiglia
  170 lasciò di sé e de' suoi l'inferno vòto
        e venne su, ove si more e figlia?
 
 
        Vorrei saper ancor, ché non mi è noto,
        s'egli è signor di tutti quegli effetti,
        che influisce il cielo ovver suo moto. —
 
 
175 Allora mi rispose in questi detti.
 

CAPITOLO II

Come l'autore narra a Minerva che e' si confida vincere Satanasso e suoi vizi.

 
 
        – Vergine saggia e bella il cielo adorna,
        di cui Virgilio poetando scrisse:
        «Nova progenie in terra dal ciel torna».
 
 
        Resse giá 'l mondo, e sí la gente visse
    5 sotto lei in pace, che l'etá dell'oro
        el secol giusto e beato si disse.
 
 
        La terra allora senza alcun lavoro
        dava li frutti e non facea mai spine;
        né anco al giogo si domava il toro.
 
 
   10 Non erano divisi per confine
        ancor li campi, e nullo per guadagno
        cercava le contrade pellegrine.
 
 
        Ognuno era fratello, ognun compagno;
        ed era tant'amor, tanta pietade,
   15 ch'a una fonte bevea il lupo e l'agno.
 
 
        Non eran lance, non erano spade;
        non era ancor la pecunia peggiore
        che 'l guerreggiante ferro piú fiade.
 
 
        La Invidia, vedendo tanto amore,
   20 di questo bene a sé generò pene,
        e d'esto gaudio a sé diede dolore:
 
 
        con quella doglia che a lei si convene,
        andò in inferno, ed alli vizi dice
        quanta pace avea il mondo e quanto bene.
 
 
   25 E l'Avarizia, d'ogni mal radice,
        seco ne trasse e menolla su in terra
        per conturbar quello stato felice.
 
 
        Vennon con lei la Crudeltá e la Guerra,
        l'Inganno e Froda e la Malizia tanta,
   30 che ha guasto 'l mondo e fa che cotanto erra.
 
 
        Presa ch'ebbe la terra tutta quanta,
        non gli bastò, e 'l mar ebbe assalito
        la rea radice d'ogni mala pianta.
 
 
        Quando Nettuno vide l'uomo ardito
   35 cercar il mare e non temer tempesta
        e di solcarlo e gir per ogni lito,
 
 
        trasse di fuor del mar la bianca testa
        e 'l suo tridente, ed ebbe gran pavento,
        dicendo: – Oimè! Che novitá è questa?
 
 
   4 °Come ha trovato l'uom tanto argomento,
        che passa il mar e non teme dell'onde,
        e va e vien a vela ad ogni vento? —
 
 
        Come cosa nociva si nasconde
        che non si trove, però che si teme
   45 che, se si trova, gran mal ne seconde;
 
 
        cosí Natura de' denari il seme
        pose e nascose nel regno di Pluto,
        perché la gente non turbasse insieme.
 
 
        Ma l'amor dell'aver tanto cresciuto
   50 sfondò la terra e 'l gran Pluto infernale
        robbò, gridante lui, chiamando aiuto.
 
 
        Questo fu poi cagion di maggior male,
        ché ruppe amor e legge ed ogni patto,
        e fe' il figliolo al padre disleale.
 
 
   55 Vedendo Astrea il mondo esser disfatto
        e 'l viver santo, e guasto il giusto regno
        dal mostro reo, che fu d'inferno tratto,
 
 
        lassò la terra prava a grande sdegno,
        sí come indegna della sua presenza,
   60 e tornò al ciel, ov'ella è fatta segno.
 
 
        Allor li vizi senza resistenza
        uscîro di comun da Mongibello
        col loro ardire e con la lor potenza.
 
 
        E come quei che han preso alcun castello,
   65 gridan: – Brigata, sú! il castello è nostro! —
        per veder se si leva alcun ribello;
 
 
        cosí, usciti dall'infernal chiostro,
        Satan e i suoi questo mondo pigliâro:
        allor d'inferno uscí il primo mostro.
 
 
   70 E sua superba sede collocâro
        in mezzo il mondo, dov'è il primo clima,
        onde l'un polo e l'altro vede chiaro.
 
 
        Lá sta la via che al regno mio sublima,
        su per la qual nessun può mai venire,
   75 se colui non combatte e vince in prima.
 
 
        Lí stanno i vizi sol per impedire
        che verso il cielo alcun insú non saglia
        con grandi orgogli ed onte e con ardire.
 
 
        Chi come Circe la mente gli abbaglia,
   80 chi canta dolce piú che la sirena,
        e chi menaccia e chi dá gran battaglia.
 
 
        Di mille se un passa e anco appena,
        viene in contrada di splendor sereno,
        di belli fiori e dolci canti piena.
 
 
   85 Ed in quel pian sí chiaro e tanto ameno
        stanno quei ch'ebbon fama di virtute,
        benché battesmo e fede avesson meno:
 
 
        ché non vuol l'alto Dio che sien perdute
        le prodezze in inferno, e senza fede
   90 vuol che null'abbia l'eternal salute.
 
 
        Chi, oltre andando, piú suso procede,
        trova nel gran giardin quattro donzelle:
        oh beato chi l'ode e chi le vede!
 
 
        Tre altre piú divine e vieppiú belle
   95 ne stan piú su, e con queste sto io,
        accompagnata da quelle sorelle.
 
 
        Ed in quel loco bel vagheggio Dio,
        e veggio il primo artista nel suo esemplo
        tra le bellezze del suo lavorio.
 
 
  100 Poi vo piú alto ed entro nel gran templo
        del sommo Iove, e con la mente mia
        a faccia a faccia il Creator contemplo.
 
 
        Anche domandi quanta signoria
        ha Satanasso; ed, a ciò dichiararte,
  105 convien con fondamento sappi in pria
 
 
        che Dio è primo prince in ogni parte
        sempre e di tutto, ed a' primi motori
        la sua virtú comunica e comparte.
 
 
        E questi dopo lui sonno signori
  110 di tutte quelle cose, che 'l ciel move,
        perché de' cieli son governatori.
 
 
        Adunque ciò che da influenzia piove,
        o che fa 'l tempo, cioè state o verno,
        ovver natura delle cose nòve,
 
 
  115 tutto procede dal moto superno;
        e la virtú vien da' motor primai,
        a cui de' cieli Dio dato ha 'l governo.
 
 
        Piú che gli altri motor Satán assai
        ha di potenza, e da lui esser mossa
  120 puote ogni spera ed influir suoi rai.
 
 
        E se ogni cosa natural è scossa
        dai ciel, che viene in terra, or puoi sapere
        quant'ella è grande e ampia la sua possa.
 
 
        E, poiché colpa gli fe' l'ali nere,
  125 Dio spesse volte l'operar gli toglie,
        sí come in Iobbe si poteo vedere.
 
 
        Vero è che a certe cose egli lo scioglie,
        ché vuol che sia signor sopra la gente
        che segue la sua legge e le sue voglie.
 
 
  130 E tu lo proverai s'egli è possente
        coi vizi suoi ed anco s'egli stanca
        la carne vostra, quando a lui consente.
 
 
        Ma non temere e l'animo rinfranca;
        reduci i grandi esempli alla memoria,
  135 ché fortezza incorona, se non manca.
 
 
        Nella battaglia s'acquista vittoria.
        Nessun mai per fuggir o per riposo
        venne in altezza, fama ovver in gloria.
 
 
        E, se il cammino è duro o faticoso,
  140 pensa del fine e pensa qual sia il frutto
        fra te medesmo saggio e virtuoso. —
 
 
        Allor allor alla briga condutto
        stato essere vorria: tanta speranza
        mi die' il suo dir e rinfrancòme tutto.
 
 
  145 E però dissi con grande baldanza:
        – Andiam, ché nullo mostro pel sentiero
        di potermi impedire avrá possanza.
 
 
        – Non ti fidar di te, né sie altèro
        – rispose, – ché colui è piú da lunge,
  150 che stima esser piú appresso nel pensiero.
 
 
        Nessun giammai a buon termine giunge,
        se del gir poco o del tornar addietro
        non fa a sé gli spron, con che si punge.
 
 
        Perché di sé presunse il gran san Pietro,
  155 cadde, da vento piccolo commosso,
        non come ferma pietra, ma di vetro. —
 
 
        Quando udii questo, di vergogna rosso
        sí diventai, che dissi per scusarme:
        – Minerva, senza te niente posso.
 
 
  160 Perché spero da te la possa e l'arme
        – diss'io, – credo cosí esser difeso,
        se dietro a te ti degni di guidarme. —
 
 
Allor si mosse, quando m'ebbe inteso.
 

CAPITOLO III

Come l'autore mediante la dea Minerva ritornò dell'inferno, dove era disceso.

 
        Denanti a me andava la mia guida,
        e poi io dietro per una via stretta,
        seguendo lei come mia scorta fida.
 
 
        Andando come alcun che non sospetta,
    5 subitamente un gran tuon mi percosse,
        sí come Iove il fa, quando saetta.
 
 
        E questo il sentimento mi rimosse,
        tanto ch'io caddi quand'egli mi colse,
        sí come un corpo che senz'alma fosse.
 
 
   10 Dal punto che li sensi il tuon mi tolse,
        insin che 'n me tornai, una gross'ora,
        al mio parer, di tempo il ciel rivolse;
 
 
        ché, quando io caddi, veniva l'aurora,
        e giá toccava l'orizzonte il sole;
   15 e poscia il vidi un mezzo segno fuora.
 
 
        Su mi levai senza far piú parole,
        cogli occhi intorno stupido mirando,
        sí come l'epilentico far suole.
 
 
        Dicea fra me: – Oh Dio! or come e quando
   20 son qui venuto? – e stava pauroso.
        Dov'è Minerva, ch'andai seguitando?
 
 
        Sotto qual parte del ciel io mi poso?
        Sto sotto il Cancro, o sto io sotto l'Orse
        con quelli che han sei mesi il sol nascoso? —
 
 
   25 Cosí, mirando intorno, alfin m'accorse
        che mi guardava e stava a destra banda
        la saggia donna, che la via mi scorse.
 
 
        A me parlando senza mia domanda,
        mostrò due vie, e disse: – D'este due
   30 prendi qual vuoi, ed a tuo piacer anda.
 
 
        Questa, ch'è arta e che mena alla 'nsúe,
        è nel principio molto aspera e forte,
        ma poi nel fine ha le dolcezze sue.
 
 
        Quest'altra, che tu ve', che ha sette porte
   35 e che è lata e mena giuso al basso,
        è dolce in prima e poi mena alla morte. —
 
 
        Oh semplicetto me, ignorante e lasso!
        Presi la via, che all'ingiú conduce,
        perché piú lieve mi parea al passo.
 
 
   40 E nell'entrata è ver che quivi è luce;
        ma, perch'è scura quanto piú giú mena,
        andai poi come un cieco senza duce.
 
 
        Cosí, privato di luce serena,
        io giunsi in poco tempo insino al centro,
   45 onde nullo esce senza forza e pena.
 
 
        Quando mi vidi condutto lí entro,
        dicea tra me: – Come son qui venuto
        in questo fondo, ove io cosí m'inventro?
 
 
        – Non cercar ora come se' caduto
   50 – disse Minerva dalla lungi alquanto, —
        ma pensa uscirne e che a ciò abbi aiuto;
 
 
        ché 'ngiú andando sei disceso tanto,
        che piú che 'n testo loco non si scende,
        e chi n'uscisse sal da ogni canto.
 
 
   55 – Io prego, o dea, il braccio a me distende
        – diss'io, – ché uscirne m'affatico invano,
        se tu con la tua destra non m'apprende. —
 
 
        Allor dea Palla stese a me la mano
        e di quel fondo, dove io m'era messo,
   60 mi trasse su, tirandomi pian piano.
 
 
        Quand'io fui ito un miglio su da cesso
        dal loco, che Satán lassato ha vòto,
        trovai Cocito e 'l laco suo da presso.
 
 
        E, perché questo laco è piú remoto
   65 da ogni caldo di sole e di foco,
        piú fredda cosa non ha 'l mondo toto.
 
 
        E tutto il freddo e ghiaccio, ch'è 'n quel loco,
        ove la tramontana fa 'l zenitte,
        rispetto a quello par niente o poco.
 
 
   70 De' traditori l'anime confitte
        vid'io nel ghiaccio, che Iuda e Caino
        seguiron giá con fatti e parol fitte.
 
 
        E, perché in poco tempo gran cammino
        avea a far, di lí la dea mi trasse
   75 inverso a un monte, a quel laco vicino.
 
 
        Per una grotta volle ch'io andasse
        dentro fra 'l monte, e sette miglia suso
        per la via oscura e con le gambe lasse.
 
 
        Quant'io vedrei con ciascun occhio chiuso,
   80 tanto vedea lí con l'occhio aperto,
        insin che uscimmo fuor per un pertuso.
 
 
        Quand'io fui giunto su nel monte ad erto,
        l'anime vidi di chi Dio biastema,
        in un gran piano di fumo coperto.
 
 
   85 Ancor, pensando, al cor me ne vien téma,
        ché io vedea a tutti arder la bocca,
        e tutti quanti avean la lingua scema.
 
 
        E come spesso la grandine fiocca,
        sí caggion sopra lor saette accese,
   90 e non invan, ch'ognuna ad alcun tocca.
 
 
        Satáno trasse fuor d'esto paese,
        sí come Palla disse, i gran giganti,
        quando co' vizi suoi il mondo prese.
 
 
        Vero è che lí ne stanno ancora alquanti
   95 distesi in terra e con caten legati,
        sí che non son nel mondo tutti quanti.
 
 
        Io vidi lor quando son fulminati,
        che biastimavan la virtú eterna,
        superbi, altèri e con li volti irati.
 
 
  100 Poi ne partimmo e per una caverna
        intrammo un monte, e tanto la dea salse,
        che fummo insú la terza valle inferna.
 
 
        Chiunque con fatti e con parole false
        inganna altrui con doli ovver con frode,
  105 quivi ha lo scotto con amare salse;
 
 
        ché strascinati son dietro alle code
        in forma di cavalli da' dimòni,
        e chiunque corre piú, quello è piú prode.
 
 
        E sopra quelli stan cogli speroni
  110 altri dimòni, e tra le pietre dure
        strascinan l'alme supine e bocconi.
 
 
        E quivi del mal peso e di misure
        si fa vendetta e d'ogn'infedel arte,
        de' giochi, d'arcarie e di man fure.
 
 
  115 La dea mi disse: – Andiamo in altra parte,
        ché 'n poco tempo al cerchio d'Acheronte
        di piaggia in piaggia a me convien menarte. —
 
 
        Allor intrammo per un alto monte,
        sempre montando, ed al sommo salito
  120 vidi gran valle, quando alzai la fronte.
 
 
        Il vizio contro natura è punito
        acerbamente in quella valle piana;
        lí sta in tormento ciascun sodomito.
 
 
        Questi omicidi della spezie umana
  125 l'amor, che figlia e fa congiunti insieme,
        spreggiano e gittan come cosa vana.
 
 
        Sopra esti destruttor dell'uman seme
        il foco e 'l zolfo puzzolente piove,
        e dentro al fuso rame ancor si geme.
 
 
  130 Salimmo poi nel quinto cerchio, dove
        li sette vizi avevan giá le case,
        anzi che gisson dell'inferno altrove.
 
 
        Ell'eran grandi e vacue rimase,
        sí come a Roma sono le ruine
  135 delle anticaglie con le mura pase:
 
 
        sordide tutte e piene di fuline,
        deserte dentro e con le mura rotte,
        piene di rovi, d'ortiche e di spine.
 
 
        La dea a me: – Lá dentro in quelle grotte
  140 stava Cerbero giá rabbioso cane
        con tre bocche latranti aperte e ghiotte. —
 
 
        Per una intrammo di quelle gran tane,
        sinché le male bolge ebbi salite:
        alfine uscimmo in contrade lontane,
 
 
  145 ove trovammo la cittá di Dite
        con le mura di foco intorno intorno,
        con le torri alte e con le case igníte.
 
 
        Ogni casa parea ardente forno.
        Vedea i demòni colle acerbe viste,
  150 che lí per manegoldi fan soggiorno.
 
 
        Io vidi tormentar l'anime triste;
        e secondo le colpe, che han commesse,
        cosí conven che lí doglia s'acquiste.
 
 
        Io vidi molte per mezzo esser fesse
  155 con dure seghe, ed alcune co' denti
        mordevan sé, lacerando se stesse.
 
 
        E questo è 'l duol che piú gli fa dolenti,
        il verme della stizza, e maggior gridi
        fa trarre a lor che tutti altri tormenti.
 
 
  160 Vidi i rattori e vidi gli omicidi
        tagliare a pezzi e le lor membra crude
        rifar, e poi tagliarle ancor gli vidi.
 
 
        Io farò come quel che 'l dir conchiude.
        Sappi, lettor, che 'l Iudice del tutto,
  165 che vede il core, il vizio e la virtude,
 
 
        non vuol mai che 'l ben far non abbia frutto
        d'onore e di letizia, e non vuol mai
        che 'l male alfin non partorisca lutto
 
 
con piena e con tormento di gran guai.