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Il Quadriregio

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CAPITOLO XVI

Del reame di Venere, e come le ninfe del medesimo reame dispiacquero all'autore, perché usavano atti disonesti d'amore; onde Venere il menò a ninfe piú oneste, ma piú piene d'inganno.

 
        Chi di Venus ben vuol saper il regno
        com'è disposto, sguardi pure agli atti;
        ché ogni balla si conosce al segno.
 
 
        Come gli uomini sonno dentro fatti,
    5 nell'opera di fuor si manifesta:
        quella è che mostra i saggi ed anco i matti.
 
 
        Poiché passata avemmo una foresta,
        io vidi il regno suo piú oltra un poco
        e gente vidi quivi in gioia e festa.
 
 
   10 Ed in quel regno quasi in ogni loco
        eran distinte ninfe a sorte a sorte
        in balli e canti ed in solazzi e gioco.
 
 
        Quando si funno di Ciprigna accorte:
        – Ecco la nostra dea – dissono alquante, —
   15 che torna a suo reame ed a sua corte. —
 
 
        Ben mille ninfe allor venneno avante,
        di rose coronate e fior vermigli,
        vestite a bianco dal collo alle piante.
 
 
        E de' loro occhi e dell'alzar de' cigli
   2 °Cupido fatto avea le sue saette
        e l'ésca, con la qual gli amanti pigli;
 
 
        ché quelle vaghe e belle giovinette
        con que' sembianti moveano lo sguardo,
        che fa la 'manza che assentir promette.
 
 
   25 Non era lí mestier pregar che 'l dardo
        traesse dio Cupido a far ferita
        o ch'egli al suo venir non fosse tardo;
 
 
        ch'ognuna mi parea che senza invita,
        solo al mirar e ad un picciol cenno,
   30 che nella vista sua mi dicesse: – Ita. —
 
 
        Poiché diversi balli quivi fenno
        'nanti a Ciprigna con canti esquisiti
        e misurati suon con arte e senno,
 
 
        io vidi dame e vidi ermafroditi,
   35 uomini e donne insieme, venir nudi,
        ove natura vuol che sien vestiti.
 
 
        Al viso con le man mi feci scudi
        per non vedergli; ond'ella: – Perché gli occhi
        – mi disse – colle man cosí ti chiudi? —
 
 
   40 Risposi a lei che gli atti turpi e sciocchi
        e ciò che vuol natura che sia occolto,
        enorme par che 'n pubblico s'adocchi.
 
 
        Ed ella a me: – Un luoco dista molto,
        ove tengo mie ninfe tanto oneste,
   45 che, solo udendo amor, le arroscia il volto;
 
 
        talché, quando Diana fa sue feste
        o va alla caccia tra luochi selvaggi,
        spesso vuole che alcuna io gli ne preste.
 
 
        Li sta la ninfa, la qual voglio ch'aggi,
   50 la qual, perché non gissi, io ti mostrai
        a lato a me tra gli splendenti raggi. —
 
 
        Partissi allora, ed io la seguitai
        insino a quelle, e di tant'eccellenza
        Natura ninfe non formò giammai.
 
 
   55 Né Fiandra, né Roma, ovver Fiorenza,
        né leggiadria giammai che di Francia esca,
        mostrâro ninfe di tant'apparenza.
 
 
        D'una di quelle Amor mi fece l'ésca
        ad ingannarmi, e fui preso sí come
   60 uccello o all'amo pesce che si pesca.
 
 
        Venere Ionia la chiamò per nome.
        Allor dall'altre venne la donzella
        con la grillanda su le bionde chiome.
 
 
        E, come va per via sposa novella
   65 a passi rari e porta gli occhi bassi
        con faccia vergognosa e non favella,
 
 
        cosí la falsa moveva li passi
        per ingannarmi e, quando mi fu appresso,
        mi riguardò; ond'io gran sospir trassi.
 
 
   70 Venere disse a lei: – Io ho promesso
        a questo giovinetto che ti guide:
        a lui ti diedi ed or ti dono ad esso. —
 
 
        Sí come putta che piangendo ride
        per ingannar, cosí bagnò la faccia,
   75 dicendo: – O sacra dea, a cui mi fide?
 
 
        In prima, o Iove, occidermi ti piaccia;
        in prima, o Citarea, voglio morire,
        che alcun uomo mi tenga tra le braccia. —
 
 
        E per podermi ancor meglio tradire,
   80 'sciuccava gli occhi a sé con li suoi panni,
        nel cor mostrando doglia e gran martire.
 
 
        Chi creso arebbe che cotanti inganni
        e tanta falsitá adoperasse
        ninfa, che non parea di quindici anni?
 
 
   85 Io pregava Cupido che tirasse
        contro di lei omai il suo fiero arco
        e che al mio voler la soggiogasse.
 
 
        Ed io il vidi col balestro carco
        nell'aer suso in uno splendor chiaro,
   90 e ferirla mostrò con gran rammarco.
 
 
        Non fe' all'Amor la ninfa piú riparo,
        ma il capo biondo sul mio petto pose
        e che io l'abbracciassi mostrò caro.
 
 
        Allor Venus di rosse e bianche rose
   95 a lei ed anco a me risperse il petto;
        e poi sparí come ombra e si nascose.
 
 
        Quand'ella vide me seco soletto,
        cosí mirava intorno con sospiri
        come persona, quand'ella ha sospetto.
 
 
  100 – Perché, o ninfa mia, intorno miri?
        – diss'io a lei. – Deh! alza gli occhi belli,
        che hai nel viso, quasi duo zaffiri.
 
 
        Perché stai timorosa e non favelli? —
        Allor alzò la faccia a me e parlommi,
  105 'sciuccando gli occhi a sé co' suoi capelli.
 
 
        – Pel sommo Iove e per li dèi piú sommi
        per l'aere e 'l cielo, il qual nostr'amor vede,
        pel duro dardo il qual gittato fommi,
 
 
        ti prego, amante, che mi dia la fede
  110 che non m'inganni e che vogli esser mio,
        da ch'io son tua e Venus mi ti diede.
 
 
        Or ti dirò perché ho sospetto io:
        qui stan centauri e fauni incestuosi,
        turpi in ogni atto scostumato e rio.
 
 
  115 E stanno tra le selve qui nascosi,
        e qui la 'Nvidia maledetta anco usa
        con sue tre lingue e denti venenosi.
 
 
        Ed io temo lor biasmo e loro accusa;
        però pavento, e sai che colpa occolta
  120 innante ai numi e al mondo ha mezza scusa.
 
 
        Però, acciò che teco non sia còlta,
        prego che la partenza non sia dura
        a te, né anco a me per questa volta. —
 
 
        Un monte mi mostrò e: – Su l'altura
  125 – mi disse sta un boschetto; io lí verraggio
        a te, quando la notte sará oscura. —
 
 
        E, perché 'l suo consiglio parve saggio,
        io me partii; ma prima li die' il giuro
        d'amarla sempremai con buon coraggio.
 
 
  130 Ed ella del venir mi fe' sicuro.
        Cosí n'andai; e, quando al loco fui
        colla speranza del venir futuro,
 
 
        dissi pregando: – O Febo, i corsier tui
        movi veloci verso l'occidente,
  135 perché piú ratto questo dí s'abbui.
 
 
        E tu, Atlante, il ciel piú prestamente
        movi coll'alte braccia e grandi e forti,
        perché la notte giunga all'oriente.
 
 
        O cerchio obliquo, che i pianeti porti,
  140 fa' sí che entri il sole in Capricorno,
        che sia la notte lunga e il dí raccorti,
 
 
        acciò che tosto passi questo giorno
        e venga Ionia, che venire aspetta,
        quando sia notte, meco a far soggiorno.
 
 
  145 Io benedico il foco e la saetta,
        o dio Cupido, col qual m'hai ferito;
        e la tua madre ancor sia benedetta,
 
 
        che, quando con Minerva insú er' ito,
        per me avvocò ed ella mi ritorse;
  150 ed ella ha fatto ch'ancor t'ho seguíto.
 
 
        E qui al suo reame ella mi scorse
        ed hammi data Ionia, e che a me vegna
        n'aggio speranza senza nessun forse,
 
 
e spero in te e 'n lei che mi sovvegna. —
 

CAPITOLO XVII

Dove si tratta dell'inganno, che fu fatto all'autore dalla ninfa Ionia.

 
        E giá il chiaro sol sí calato era,
        che nell'altro emisperio a quello opposto
        faceva aurora e quivi prima sera.
 
 
        E, per meglio vedere, io m'era posto
    5 alto in un sasso e lí cogli occhi attenti
        stava sperando che venisse tosto.
 
 
        Intanto fûn del sole i raggi spenti;
        e giá 'l cielo mostrava ogni sua stella,
        e non sentéa se no' 'l soffiar de' venti.
 
 
   10 – Quando verrai, o Ionia ninfa bella?
        – dicea fra me; – perché tanta dimora?
        Qual sará la cagion che sí tarda ella? —
 
 
        Qual va cercando l'angosciosa tora,
        a cui il figlio o la figliola è tolta,
   15 che soffia e cerca e mugghia ad ora ad ora,
 
 
        e poi si folce e coll'orecchie ascolta;
        tal facea io, ed alquanto la spene
        dalla sua gran fermezza s'era vòlta.
 
 
        Queste son le saette e dure pene,
   20 che balestra agli amanti il folle Amore;
        ché se speranza o tarda o in fallo viene,
 
 
        quanto sperava, tanto ha poi dolore;
        ché sempre volontá s'affligge tanto,
        quanto a quel che gli è tolto avea fervore.
 
 
   25 Io cercai per quel bosco in ogni canto
        insino al primo sonno e chiamai forte,
        aggirando quel loco tutto quanto,
 
 
        come fe' Enea alla suprema sorte
        cercando della misera Creusa,
   30 rimasa in Troia dentro delle porte.
 
 
        Eco tapina, che vive rinchiusa
        tra le spelonche, mi dava risposta
        al fin della parol, come far usa.
 
 
        Per ritrovarla scesi poi la costa,
   35 e driada trovai su nel sentiero,
        che a guardar le ninfe ivi era posta.
 
 
        – Deh dimmi, driada, prego, e dimmi il vero,
        se delle ninfe ve ne manca alcuna,
        o se 'l numero loro è tutto intero.
 
 
   40 – Quando la notte ieri si fe' bruna
        – rispose quella, – Ionia n'andò via,
        e non era levata ancor la luna. —
 
 
        E disse a me che cenno fatto avía
        la dea Ciprigna, acciò ch'andasse a lei
   45 cosí soletta senza compagnia.
 
 
        – Ma io, o giovin, volentier saprei
        perché tu ne domandi ed a quest'otta
        come vai quinci, e dimmi che far déi. —
 
 
        Risposi: – Iersera, quando il dí s'annotta,
   50 io vidi lei; ond'io maravigliai
        che sí soletta andar s'era condotta;
 
 
        ch'i' so che in questo loco stanno assai
        centauri e fauni, e so che qui ed altrove
        sono alle ninfe infesti sempremai.
 
 
   55 Io temo, o driada, che alcun non la trove
        e, sol da questo mosso, quaggiú vegno:
        questo a venir di notte qui mi move.
 
 
        – Se Citarea, la dea di questo regno
        – rispose quella – volle ch'ella gisse
   60 ed acciò ch'ella andasse gli fe' segno,
 
 
        nullo saría centauro che ardisse,
        né che potesse impedirgli l'andata,
        la qual i fati e la dea gli prescrisse.
 
 
        Ma, se questo non è e fie trovata,
   65 null'altra cosa, credo, la ripara
        che non sia presa e che non sia sforzata. —
 
 
        Ahi, quanto esta risposta mi fu amara,
        credendo fermamente fosse presa!
        E questa opinion mi parea chiara;
 
 
   70 ond'io risalsi insú tutta la scesa,
        che avíe fatta, e giunsi su nel piano,
        ove aspettato avíe con spene accesa.
 
 
        Io dicea meco: – O ninfa, alla cui mano
        or se' venuta? O vaga giovinetta,
   75 qual fauno t'ha scontrata o qual silvano?
 
 
        Questa è, Cupido, tua crudel saetta,
        e grave pena è la tua fiamma dura,
        se tardi o togli quel che spene aspetta.
 
 
        E l'altra è gelosia e la paura,
   80 che, perché la bellezza troppo s'ama,
        però in nulla parte è mai secura. —
 
 
        Cosí andai chiamando quella dama,
        come colui che una persona sola
        vuol che lo 'ntenda e timoroso chiama,
 
 
   85 che dice ratto e parla nella gola;
        e tal i' la chiamai ben mille volte,
        qual Eco rende 'l suon della parola.
 
 
        Tant'eran giá del ciel le rote vòlte,
        che Aurora giá mostrava sua quadriga,
   90 e giá Titon gli avea le trecce sciolte,
 
 
        quando pel pianto e per la gran fatiga
        convenne che giú in terra io mi colcasse,
        e piú per lei cercar non mi diei briga.
 
 
        In questo parve a me che in me entrasse
   95 il sonno, che ristora e che riposa
        a' mortali le membra stanche e lasse.
 
 
        Mentr'io dorméa, apparve a me, amorosa
        e piena di splendor, la bella Ilbina,
        in apparenza piú che umana cosa.
 
 
  100 – Lévate su, – mi disse, – ch'è mattina:
        Cupido tante volte t'ha tradito,
        egli e la madre sua, che è qui reina.
 
 
        Sappi che a Ionia il petto egli ha ferito
        d'un dardo oscuro ed impiombato e smorto,
  105 che 'l venir suo a te ha impedito.
 
 
        L'amor, che avea a te, in lei è morto;
        e ad un fauno vile, rozzo e negro
        l'han data per amante e per conforto:
 
 
        colui del suo bel viso ora sta allegro.
  110 E perché queste cose, c'ho racconte,
        le sappi appieno e tutto il fatto intègro,
 
 
        quand'ella a te venía quassú nel monte,
        perché piacesse a te piú la sua vista,
        di rose s'adornò il capo e il fronte.
 
 
  115 Cupido allor d'una saetta trista
        ed impiombata dentro al cor gli diede,
        colla qual fa ch'all'amor si resista:
 
 
        questa ogni amor gli tolse ed ogni fede
        a te promessa. E poi con l'altro astile,
  120 il quale è d'òr, da cui amor procede,
 
 
        sí come l'ésca el foco del focile,
        cosí accese lei; e poi mostrògli
        un fauno bovin, cornuto e vile.
 
 
        Però ti prego che seguir non vogli
  125 questo Cupido e che non vogli ire
        piú tra le selve e tra li duri scogli.
 
 
        Se al regno di Minerva vuo' venire,
        lassú l'animo tuo sará contento,
        lassú trova la voglia ogni desire. —
 
 
  130 Poscia sparí; e 'l sonno mio fu spento,
        e giú di terra mi levai sú erto,
        ché 'l letto mio fu 'l duro pavimento.
 
 
        E per voler di questo esser ben certo,
        sí come il bracco va cercando a caccia,
  135 cosí cercando andava io quel diserto;
 
 
        e trovai Ionia stare intra le braccia
        del fauno duro ed abbracciargli il seno.
        Ond'io con grande voce e gran minaccia
 
 
        corsi ver' lor, di furia e d'ira pieno;
  140 ond'elli, spaventati, fuggîr presti.
        Ma, perché Ionia potea correr meno,
 
 
        rimase addietro; ond'io: – Ché non t'arresti?
        perché fuggi cosí, o mala putta?
        Son queste tue parole ed atti onesti?
 
 
  145 Tu m'hai fatto aspettar la notte tutta
        ed hai lasciato me sol per restarte
        con un mostro cornuto e fèra brutta. —
 
 
        E, perché del fuggir le ninfe han l'arte
        e son veloci, sen fuggí sí ratto,
  150 che non la giunsi mai in nulla parte.
 
 
        Allor meco pensai ch'io era matto
        seguitar piú Cupido, ch'è fallace
        nelle promesse ed infedel nel fatto.
 
 
        Con voce irata ed animo audace
  155 queste parole contra Amor profersi,
        volendo seco guerra e mai piú pace,
 
 
sí come si contiene in questi versi.
 

CAPITOLO XVIII

Dove si tratta del reggimento della casa de' Trinci e della cittá di Foligno.

 
 
        – O vano e rio e traditor Cupido,
        nelle promesse iniquo ed infedele,
        morto sia io, se piú di te mi fido!
 
 
        Che tu non se' piatoso, ma crudele,
    5 e come falso il tosco amaro ascondi
        nella dolcezza d'un poco di mèle.
 
 
        Perché, o falso e rio, non ti confondi
        aver tradito me, che li miei passi
        seguíto han dietro a' tuoi sempre secondi?
 
 
   10 e tra li scogli e tra li duri sassi
        condotto m'hai, con tue promesse ladre,
        tra lochi montuosi e lochi bassi?
 
 
        Non è venusta dea tua falsa madre;
        anche è pellice obbrobriosa e sozza,
   15 nemica a tutte l'opere liggiadre.
 
 
        Io prego che la lingua gli sia mozza
        a chi ti chiama e chiamerá mai dio;
        ché chiunque il dice, mente per la strozza. —
 
 
        Quando queste invettive dicea io,
   20 una dea venne innante a mia presenza,
        saggia ed onesta, coll'aspetto pio.
 
 
        «Io son nel ciel la quarta intelligenza —
        avea nel manto e nella fronte scritto: —
        Minerva manda me, dea di scienza».
 
 
   25 E bench'io avessi el cuor cotanto afflitto,
        quand'io la vidi presso me venire,
        m'inginocchiai, ché prima stava io ritto.
 
 
        Benignamente a me cominciò a dire:
        – Dimmi, per qual cagion tu ti lamenti?
   3 °Chi t'ha condotto in sí fatto martíre? —
 
 
        Ed io a lei: – Li falsi tradimenti
        del rio Cupido lamentar mi fanno:
        egli m'ha indutto in cotanti tormenti.
 
 
        E se saper tu vuoi il mio affanno,
   35 ed egli ed una ninfa m'han tradito,
        usando meco falsitá ed inganno.
 
 
        S'io fossi con Minerva insú salito
        nel regno suo, ella mi promettea
        il ben, il qual contenta ogni appetito.
 
 
   40 Ed io lassai l'andar con quella dea
        per l'amor di Cupido, e tornai vòlto
        nella ruina d'esta selva rea. —
 
 
        Rispose quella con benigno volto:
        – Minerva a te mi manda ed anco Ilbina,
   45 ch'io ti tragga del cammino stolto.
 
 
        Degno è chi dietro al folle Amor cammina
        e chi nel suo voler fonda sua voglia,
        che cada in precipizio ed in ruina.
 
 
        Tu stesso se' cagion della tua doglia,
   50 da che sapei che donna ha per usanza
        ch'ella si volta e move come foglia.
 
 
        Ahi, quanto è stolto chi pone speranza
        in cosa vana! ché, quando si fida,
        quand'ella manca, ancor egli ha mancanza.
 
 
   55 Non sai che 'l folle Amor sempre si guida
        dietro a Concupiscenzia, e di lei è figlio
        quei che coll'arco l'amador disfida?
 
 
        E questo, se non ha el mio consiglio,
        convien che erri e come cieco vada
   60 smarrito per le selve in gran periglio.
 
 
        Ma, se tu vuoi tornar in tua contrada,
        séguita me, ed io sarò tua scorta;
        e riporrotti nella dritta strada. —
 
 
        Da quella selva tanto errante e storta
   65 mi pose nella via, la qual conduce
        dov'è della virtú la prima porta.
 
 
        Ivi parlommi e disse la mia luce:
        – Per questa via ritroverai Topino,
        che ad onta il trapassò il grande duce.
 
 
   70 E dietro al tuo signor movi il cammino
        (per U e go, e per quel nominollo,
        ch'a Pier fu nel papato piú vicino).
 
 
        A lui e a' suoi passati il grande Apollo
        diede per segno due mezzi destrieri
   75 con redini vermiglie intorno al collo,
 
 
        in campo bianco, a teste vòlte, e neri;
        ed a' suoi descendenti il fiero Marte
        per gran virtú promesso ha fargli interi.
 
 
        Come si trova nell'antiche carte,
   80 di Tros di Troia un suo nepote scese,
        detto anche Tros e venne in quella parte
 
 
        ad abitare in quel nobil paese,
        ove il Topino e la Timia corre:
        tanto l'amor di quel bel loco il prese.
 
 
   85 E Troia dal suo nome fece porre,
        chiamato or Trieve, ché antico idioma
        si rinovella e mutando trascorre,
 
 
        tanto che Persia Perugia si noma,
        e Spello in prima fu chiamato Specchio:
   90 cosí un vocabol su nell'altro toma.
 
 
        E questo Tros poi in quel tempo vecchio,
        Flamminea pose al nome della stella,
        che a battaglie influir non ha parecchio.
 
 
        Flamminea chiamò la cittá bella,
   95 ché «flammeo» è chiamato Marte fèro:
        cosí l'astrologia ancor l'appella;
 
 
        ché Marte avea promesso far intero
        il segno de' cavalli in campo bianco:
        però cosí nomarla ebbe pensiero.
 
 
  100 La cittá il nome e 'l loco mutò anco;
        e fo Flamminea Foligno nomata,
        perché l'antichitá sempre vien manco.
 
 
        Ed in quel loco anch'è la strada lata,
        la via Flamminea ed or detta Fiammegna:
  105 cosí da' patriotti ora è chiamata.
 
 
        Da questo Tros vien la progenie degna
        de' troian Trinci, ed indi è casa Trincia,
        che anco ivi dimora ed ivi regna.
 
 
        E costui anco tutta la provincia
  110 Asia cosí chiamò dall'Asia grande,
        com'uom che nuovo regno a far comincia.
 
 
        E, se certezza di questo domande,
        quivi è 'l monte Soprasia cosí detto,
        che sopra a quella patria piú si spande.
 
 
  115 Da questo scese il prence, a cui subbietto
        amor t'ha fatto e l'influenzia mia,
        quando prima spirò nel tuo intelletto.
 
 
        Come andò Paulo alla man d'Anania,
        al magnanimo torna, che detto aggio,
  120 ove mai porte serra cortesia. —
 
 
        Andai al mio signor cortese e saggio;
        e come alcun domanda ond'altri vène,
        cosí mi domandò del mio viaggio.
 
 
        Risposi a lui: – Seguíto ho vana spene
  125 del rio Cupido, ed egli mi condosse
        tra selve e boschi con acerbe pene.
 
 
        Ivi saría smarrito, se non fosse
        che una donna venne a me davanti,
        ed ella a te tornar anco mi mosse. —
 
 
  130 E poscia che gl'inganni tutti quanti
        gli dissi di Cupido, e come foi
        con lui tra' boschi per diversi canti,
 
 
        di dea Minerva gli ragionai poi
        e come m'invitò e fui richiesto
  135 ch'andassi seco alli reami suoi,
 
 
        e che Cupido, quando vide questo,
        egli e la madre sua mi fecer segno,
        tal ch'io tornai al bosco sí molesto.
 
 
        Rispose a questo quel signor benegno:
  140 – Come l'animo tuo tanto sofferse
        non seguitar Minerva all'alto regno,
 
 
        da che ella t'invitò e ti proferse
        il carro suo eccellente e di splendore,
        e d'essere tua guida anco s'offerse?
 
 
  145 Non sai che ogni senno e buon valore
        vien dal suo regno e che da lei procede
        ciò che per probitá s'acquista onore?
 
 
        Prego, se mai a me avesti fede,
        che questo regno tu vadi cercando;
  150 ché poi io vi verrò, s'ella il concede. —
 
 
        Che risponder dovea a tal domando
        se non: – Farò, signor, ciò che m'hai imposto,
        ché ogni priego tuo a me è comando? —
 
 
        E, perch'egli ad andarvi era disposto,
  155 questo, a cercar di quel regno felice,
        mi diede piú fervor ad andar tosto,
 
 
nel tempo che 'l seguente libro dice.