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La favorita del Mahdi

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CAPITOLO V. La Fuga

Respinti i primi assalitori, Omar e Fathma comprendendo il gran pericolo che correvano se si lasciavano prendere, si gettarono contro la porta della stanza rimasta semi-aperta. Chiuderla, sbarrarla e ammonticchiarvi dietro tutte le mobilie della stanza, fu per loro due l’affare di cinque minuti.

Avevano appena finito che udirono i beduini salire le scale e arrestarsi sul pianerottolo facendo un fracasso orribile. Un colpo violento fu dato alla porta che tenne duro.

Aprite, razza di cani idrofobi! gridò Fit Debbeud. Ibrahim, è così che tu tradisci il padrone? Se riesco a pigliarti ti tenaglio le carni in modo da non lasciartene un pezzo attorno le ossa. Apri, per Allàh, apri, animale schifoso.

Omar e Fathma invece di aprire si addossarono tutti e due contro la barricata. Il primo passò una pistola alla seconda.

Sta attenta, padrona, le disse rapidamente. Nel primo foro che si apre introduci l’arma e spara.

Apri, animalaccio ripigliò Fit Debbeud con voce arrangolata. Sei morto forse con quella donna da trivio? Ah! se fosse qui Notis!

S’udì un secondo colpo ancor più terribile del primo; l’uscio scricchiolò sinistramente.

Gettatemi giù la porta, comandò lo sceicco. Voglio ben vedere dove si sono nascosti questi due birbanti. Vivi o morti noi li avremo in mano.

Omar, mormorò Fathma.

Non tremare padrona, rispose il negro. Prepara la tua pistola e lascia a me la cura di fugare questo branco di beduini.

Ma se gettano giù la porta?… Dove fuggiremo noi?

Prima di entrare dovranno chiedere il permesso alle mie pistole e al mio jatagan. Sta attenta, Fathma!

I beduini si misero a battere furiosamente coi calci dei moschetti e colle lancie, ma la porta grossa come era, non si scosse nemmeno. Omar e Fathma già si rallegravano di questo primo successo e stavano per accorrere alle finestre onde chiudere le imposte, quando s›udì Fit Debbeud vociare:

Andate a prendere una scure! La faremo in mille pezzi!

Siamo perduti, mormorò involontariamente Omar che provò una stretta al cuore. Fra cinque minuti i birbanti entreranno nella stanza.

E allora?… chiese Fathma con ispavento. Cadrò ancora nelle loro mani? Omar!

Armiamoci di coraggio, padrona, e difendiamoci strenuamente. Chissà, forse potremo tener testa fino all’arrivo di Daùd e dei suoi battellieri,

Credi che verrà?

Sì, Fathma, egli verrà a liberarci. Orsù, eccoli che ricominciamo l’assalto. Sta attenta a scaricare la tua pistola e cerca, se è possibile, di farmi andare a gambe levate qualcuno di questi beduini. Forse riusciremo a fugarli.

La porta scricchiolò sotto il primo colpo di scure e s’aprì una lunga fessura. Altri quattro colpi la ingrandirono e un fucile fu introdotto.

Indietro, Fathma! urlò Omar, spingendola bruscamente da un lato.

Arrendetevi! intimò una voce furiosa.

Il negro invece di rispondere afferrò il fucile per la canna, lo rialzò, puntò una delle sue pistole e fece fuoco. Un urlò accompagnò la detonazione, poi seguì il rumor sordo di un corpo che cadeva a terra.

Ah! cani! vociò Fit Debbeud. Mi assassinano la gente!

Omar scaricò l’altra pistola; s’udì un secondo urlo e un secondo corpo che cadeva, poi un allontanarsi precipitato di passi e alcune fucilate, le cui palle si incastonarono nella porta. I beduini scappavano giù per le scale gettando urla di rabbia.

Evviva! esclamò Omar, turando la fessura con alcuni guanciali. Sta attenta Fathma!

In quell’istante s’udirono i rami del gran tamarindo che ombreggiava l’abitazione, scuotersi furiosamente.

La finestra, Fathma, la finestra! gridò Omar.

L’almea lo comprese. Si precipitò verso la finestra e vi giunse nel momento istesso che un beduino si aggrappava al davanzale cercando di issarsi su. Egli allungò una mano, l’afferrò per un lembo del suo habbaras, con una violenta strappata le fece perdere l’equilibrio e s’avventò nella stanza come una tigre cercando di strapparsi dalla cintura l’jatagan, ma era troppo tardi.

Fathma s’era gettata a testa bassa su di lui col pugnale d’Omar in mano. Lo afferrò per la gola e gli sprofondò l’arma fino all’impugnatura nel cuore, gettandolo esanime al suolo.

Era tempo. I beduini, aiutandosi gli uni cogli altri, stavano per giungere alla finestra saltando come scimmie fra i rami dell’enorme tamarindo.

Omar abbandonò per un momento la porta ed accorse in aiuto di Fathma che, strappato l’jatagan al morto, cercava di respingere gli assalitori. Con due colpi di scimitarra gettò abbasso due beduini col cranio spaccato, poi, malgrado le fucilate che gli sparavano contro quelli che trovavansi sulla riva del fiume, chiuse e sprangò le imposte.

Presto, Fathma, diss’egli. Va a chiudere l’altra finestra.

L’almea ubbidì, poi ritornarono tutti e due presso alla porta, dinanzi alla quale si erano radunali Fit Debbeud e mezza dozzina dei suoi, cercando di schiantarla a colpi di scure. Bastò un colpo di pistola per tornarli a fugare.

Là, così va bene, padrona, disse Omar, ricaricando le pistole. Se a quei birboni non salta in capo di giuocarci qualche tradimento, non riusciranno a spuntarla. È già una buona mezz’ora che Daùd è fuggito, quindi fra non molto sarà qui.

E credi tu, Omar, che riesciranno a sbaragliare gli assedianti?

Lo spero, padrona. Daùd ha quindici barcaiuoli, quindici sennaresi di buona razza che non hanno paura di nulla. Essi prenderanno i beduini alle spalle e li costringeranno a battere la ritirata se non vorranno essere presi fra due fuochi.

E se i beduini si barricano in casa?

Se quel Fit Debbeud è tanto furbo, corriamo un gran pericolo. Ma ad ogni modo noi fuggiremo, te l’assicuro, e prima che si svegli Notis. È ubbriaco d’oppio e dormirà un pezzo.

E se lo trovano?…

Il wadgi ha promesso a Ibrahim di tenerlo nascosto e quell’uomo è incapace di tradirci. Eppoi, quand’anche si svegliasse e venisse qui a dirigere l’assedio lo dirigerebbe per pochi minuti. Il mio primo colpo di pistola è destinato a lui.

Zitto! esclamò Fathma.

Olà! gridò Fit Debbeud al di fuori. Guardate il fiume! Guardate il fiume per mille barbe del Profeta!

Il fiume! mormorò Omar. È Daùd che arriva.

Il negro e l’almea s’accostarono ad una delle finestre e pian piano l’apersero guardando sulle rive del Bahr-el-Abiad.

La notte era oscura per le nubi che si accavallavano in cielo, ma si vedeva a qualche distanza. Essi scorsero due lunghi canotti navigar lentamente sul fiume, cercando di dirigersi verso la riva.

È Daùd coi suoi uomini, disse Omar all’orecchio di Fathma. Se potesse approdare senz’essere scorto.

È impossibile, mormorò l’almea. Non vedi i beduini imboscati fra le canne?

Omar si curvò sul davanzale della finestra e guardò fra i canneti. Vide muoversi delle ombre, alzare e abbassare delle lunghe aste che riconobbe essere dei fucili, poi sparire fra il fitto fogliame. Non potè trattenere una bestemmia.

Ah! cane di Debbeud! esclamò. Impedirà a loro di sbarcare.

Noi che dobbiamo fare?

Nulla per ora, stiamo a vedere come vanno le cose. Armiamoci le pistole e teniamoci pronti a tutto, anche a tentare una sortita.

I due canotti erano giunti allora a un duecento metri dalla riva e continuavano ad avanzare senza produrre il menomo rumore. Appena si vedeva l’acqua spumeggiare sotto i remi che si tuffavano con estrema prudenza.

Ehi! gridò in quel momento Fit Debbeud. Arranca a largo!…

I due canotti si arrestarono come indecisi, poi ripigliarono le mosse con maggior rapidità. In mezzo ai canneti s’udì uno scricchiolio come d’armi che vengono montate e uno scambiarsi di parole. Le cime delle canne qua e là si mossero, poi un lampo rossastro ruppe l’oscurità seguito da una fragorosa detonazione.

Arranca! arranca! urlò una voce partita da uno dei canotti.

Fuoco sui canotti! vociò Fit Debbeud.

Sei o sette fucilate tuonarono fra le canne. Al chiaror della polvere accesa furono visti i beduini tuffati fino alle anche nell’acqua e i due canotti pieni di negri armati di fucili, ritti in piedi sui banchi. In mezzo a quelli della prima barca Omar vide Daùd colla scimitarra nella dritta e un revolver nella sinistra,

Daùd!… Daùd! gridò egli con voce tonante,

Chi mi chiama? domandò il sennarese.

Io, Omar!… Attento ai beduini che sono fra le canne!

Per Allàh!… Grazie Omar, tieni saldo che arrivo. Olà, ragazzi, fuoco fra i canneti, tirate!

I due canotti s’infiammarono empiendosi di fumo e una tremenda scarica tempestò il luogo ove tenevasi nascosto il nemico. S’udirono grida, bestemmie, lamenti, poi si videro delle ombre salire in furia la riva e appiattarsi dietro ai tamarindi e alle palme.

Omar impugnò le sue pistole.

Fathma, disse rapidamente. Pigliamoli alle spalle. Li vedi?

Li vedo tutti, rispose l’almea tendendo la dritta armata di pistola e mirando il beduino più vicino, Fuoco. Omar!

Quattro colpi di pistola tennero dietro al comando; due degli imboscati batterono l’aria colle mani e caddero pesantemente a terra. I beduini, fuggirono a rompicollo verso l’abitazione e vi entrarono nel momento istesso che i canotti approdavano.

Avanti, Daùd, avanti! urlò Omar.

I barcaiuoli posto piede a terra si slanciarono di corsa sulla riva coi fucili in mano, ma vennero arrestati da un fuoco infernale che usciva dalle finestre del primo piano. I beduini, barricatisi e nascostisi dietro le imposte, sparavano a colpo sicuro coi moschetti e colle pistole, urlando come anime dannate.

 

Due barcaiuoli caddero senza aver avuto nemmeno il tempo di scaricare i loro fucili, ma gli altri si dispersero dietro ai tronchi degli alberi e dietro i rialzi del terreno tirando contro le finestre, crivellando le imposte e le pareti.

Daùd alla testa di tre coraggiosi, sfidando il fuoco degli assediati che andava acquistando una terribile precisione, si spinse fino sotto alla finestra di Omar riparandosi dietro al gran tamarindo. I suoi uomini si gettarono a terra scaricando le loro pistole sulle finestre più vicine,

Getta una fune! gridò il sennarese.

Lo schiavo di Abd-el-Kerim gettò quella che aveva portato con sè, ma fu troncata da una palla di moschetto.

Tuoni di Dio! esclamò Daùd. Tutto è contro di noi adunque? Puoi scendere afferrandoti ai rami del tamarindo?

E Fathma? gridò Omar.

Sei barricato?

Sì e posso resistere coll’aiuto di Allàh e del Profeta.

Sii pronto a tutto. Ora mi vedrai all’opera.

Egli ritornò di corsa verso la riva coi tre uomini che l’avevano accompagnato. I barcaiuoli ad un suo fischio si radunarono dietro a una macchia di bauinie, poi uscirono di corsa avventandosi furiosamente contro la porta.

Avanti! avanti! aveva comandato Daùd.

La porta assalita colle scuri, coi calci degli archibusi, coi remi, fu scassinata non ostante le scariche tremende e incessanti degli assediati.

I barcaiuoli impugnati gl’jatagan irruppero nella abitazione andando a cozzare contro una barricata dietro alla quale si erano riuniti in fretta ed in furia i beduini con Fit Debbeud. Malgrado lo slancio irresistibile furono ributtati e costretti ad uscire dalla stanza per non cadere sotto il fuoco degli assaliti.

Altre due volte Daùd diede il comando dell’attacco e ben altre due volte furono respinti, ma al quarto la barricata fu sfondata. Beduini e barcaiuoli, incontratisi fra i rottami si azzuffarono ferocemente adoperando i coltelli, le pistole, i fucili e persino i denti, assordandosi con urla tremende.

I beduini più numerosi non cedevano però d’un passo e già la peggio volgeva pei barcaiuoli, quando sul pianerottolo della casa apparvero Omar e Fathma colle pistole in pugno. Fit Debbeud e tre dei suoi caddero sotto le loro palle. La morte dello sceicco decise la pugna.

Spaventati, presi dinanzi e alle spalle, i beduini perdettero la testa e si diedero alla fuga per le stanze e precipitandosi dalle finestre si salvarono nelle foreste del Bahr-el-Abiad.

Dieci minuti dopo Fathma, Omar, Daùd e i suoi barcaiuoli abbandonavano la villa e s’imbarcavano sui canotti, salendo la corrente del Nilo Bianco.

CAPITOLO VI. La Dahabiad di Notis

Era la mezzanotte , quando i superstiti della spedizione e i liberati mettevano piede sul ponte della darnas ancorata nella piccola baia. Daùd dopo di aver fatto trasportare i feriti sotto il capannone di poppa e adagiare sugli angareb, e d’aver invano pregato Fathma perchè si riposasse, comandò di ultimare il più presto possibile i preparativi di partenza.

Pel momento non vi era pericolo, essendo certi che Notis, ubbriaco d’oppio, dormiva ancora e che i beduini si erano smarriti nelle foreste del Bahr-el-Abiad, ma poteva darsi che al mattino venisse preparata in Quetêna la caccia. Prima che questa si organizzasse, premeva di essere assai lontani per potersi liberamente difendere qualora assaliti.

I barcaiuoli al comando del loro reis si misero febbrilmente al lavoro. I canotti in un lampo furono issati sul ponte, le grandi vele latine furono sciolte e orizzontate e l’àncora fu strappata dal fondo. La darnas abbandonò la baia, guadagnò il largo e salì rapidamente e in silenzio la corrente del Nilo, sotto un vento fresco del nord-est.

Dàud si mise in persona alla ribolla del timone per dirigere la nave attraverso i numerosi banchi di sabbia e ai bassifondi di cui è ingombro in quasi tutto il suo corso il Bahr-el-Abiad. Omar e Fathma, fatte portare in coperta tutte le armi trovate nella stiva, trascinare a poppa e caricare il piccolo cannone e mandati alcuni uomini sulle cime degli alberi si affrettarono a raggiungerlo.

Vedi nulla di sospetto? gli chiese Omar, guardando attentamente le boscose rive del fiume e il villaggio di Quetêna che cominciava a sfumare fra le tenebre,

Assolutamente nulla, rispose Dàud. Mi pare che nessun pericolo ci minacci, almeno per ora.

Credi che verremo inseguiti, domandò Fathma, ma senza manifestare emozione alcuna,

Il sennarese parve indeciso.

Non ho paura di Notis, gli disse Fathma sorridendo. Puoi parlare liberamente.

Temo che ci si dia la caccia, sorellina cara, rispose il reis,

Ma abbiamo ucciso più che mezzi beduini, e anche lo sceicco.

Che monta? Quando si possiede del danaro nel Sudan si trovano sempre dei soldati. Ti sembra che Notis ti amasse molto?

Alla pazzia.

Allora ci inseguirà, ne son sicurissimo. Il maledetto si recherà dal mudir (governatore) di Quetêna, gli farà brillare dinanzi agli occhi un bel gruzzolo di talleri e gli porterà via i dieci o dodici soldati egiziani che formano la guarnigione del villaggio. Delle darnas o delle dahabiad ve ne saranno sempre per imbarcarli.

Corriamo un serio pericolo, adunque?

Non quanto tu credi, Fathma. La mia darnas è una delle più veloci che solchino il Bahr-el-Abiad, e prima di domani avremo passato anche il villaggio di Mahawir.

E se ci raggiungono? chiese Omar.

Finchè avremo polvere e palle a bordo ci batteremo, poi sbarcheremo sull’una o sull’altra riva e ci salveremo nelle boscaglie. Però, sono persuaso che gli Egiziani non azzarderanno darci l’abbordaggio se noi ci difendiamo gagliardamente. Quegli uomini del nord non hanno fama di essere coraggiosi quanto noi sennaresi, disse con un certo orgoglio il reis.

Credi tu, Daùd, che troveremo ancora Dhafar pascià accampato a Gez-Hagiba?

Non lo credo, Omar. Quando noi lasciammo l’isola, mi dissero che fra qualche giorno sarebbe partito per Om-Qenênak.

E allora, dove ritroveremo Abd-el-Kerim? chiese Fathma con viva emozione. Gran Dio! Se noi non lo ritrovassimo più?

Non metterti in capo simili idee, Fathma, rispose il reis. A Gez-Hagiba io ho alcuni amici pescatori ed essi mi sapranno dire quale via avrà preso Dhafar pascià. Se si sarà diretto al sud, noi saliremo il Bahr-el-Abiad fino a Duêm o meglio ancora fino a Hellet-ed-Danàqla e là noi troveremo i cammelli necessari per dirigerci a El-Obeid. Se vuoi, io ti fornirò di una scorta di uomini fidati che ti faranno raggiungere Hicks pascià. Fra dieci o dodici giorni, ti assicuro che vedrai l’arabo ed Elenka.

L’almea, nell’udire il nome della greca, fremette il volto le si infiammò e strinse convulsamente le pugna.

Ah! esclamò ella con impeto selvaggio. Potessi alla fine trovarmi di fronte a quella iena.

Che le faresti?

L’annienterei, la farei a brani, in modo da non lasciarle un pezzo di carne attorno alle ossa,

La odii immensamente adunque?

Come un’araba può odiare la sua rivale; come un’araba che fu sferzata dalla sua rivale; come una araba che fu resa infelice dalla sua rivale. Puoi indovinare ora fino a qual punto io odio Elenka.

Olà! gridò in quel mentre un barcaiuolo. Guarda a prua!

Daùd alzò gli occhi e vide una gran barca che scendeva silenziosamente la corrente, tenendovi vicina alla riva destra. Gli parve di conoscerla.

Se non m’inganno, diss’egli ai suoi compagni, quella darnas appartiene al reis Abu Scioqah mio amico. Sarebbe una bella occasione per avere qualche notizia sugli avvenimenti che accadono nell’alto Nilo,

Che venga da Gez-Hagiba? chiese Omar.

Potrebbe darsi.

Interrogalo, disse Fathma. Potremo avere notizie di Dhafar pascià.

Olà, Abu Scioqah! gridò Daùd facendo portavoce delle mani.

A prua della darnas apparve un’ombra biancastra.

Chi chiama? domandò raucamente.

Daùd. Da dove venite?

Ah! sei tu, amico! esclamò quell’uomo con un tono di voce meno brusco. Dove ti rechi? Se oltrepassi Woad-Scelai e l’isola di Gez apri bene gli occhi.

Perchè? Vi sono degli egiziani?

Altro che egiziani! La riva sinistra è occupata da una banda di maledetti Abù-Rof. Ti bombarderanno per tre o quattro miglia.

Hai veduto Dhafar pascià e la sua armata a Gez-Hagiba?

Sono partiti da una settimana pei monti d’Arax-Kol, Buona fortuna, Daùd, e guardati dagli Abù Rof.

Grazie, Abu Scioqah, sarò prudente.

La darnas di Abu scomparve poco dopo nelle tenebre.

Daùd per ogni precauzione, spinse la sua sotto la riva destra.

Avete capito, amici miei? chiese egli, dopo qualche istante di silenzio.

Ho udito, rispose Omar, ma noi passeremo anche sotto il naso degli Abù-Rof. Per raggiungere Dhafar pascià bisogna che noi approdiamo a Hellet-ed-Danàqla. È là che noi sapremo qualche cosa di giusto.

È quello che penso pur io. Orsù, silenzio adesso e teniamo gli occhi bene aperti e gli orecchi ben tesi. Non dimentichiamo che abbiamo Notis a Quetêna. Tu, Fathma, puoi andare a dormire che ne hai bisogno.

Ho sempre paura che accada qualche disgrazia.

Non succederà nulla, sorellina, eppoi, se veniamo inseguiti, ti chiameremo. Va a coricarti nel casotto.

L’almea ubbidì e si sdrajò su di un angareb sotto la tettoia; Daùd e Omar si arrampicarono invece sugli alberi cogli occhi volti verso il nord per vedere se le barche di Quetêna li inseguivano.

La darnas, grazie al vento che si manteneva assai fresco, continuò a salire la corrente del Nilo cosparsa d’una moltitudine d’isole, isolotti e bassifondi formanti una rete inestricabile di canali e canaletti, fugando i coccodrilli e gli ippopotami che guazzavano rumorosamente fra le acque.

Le rive del fiume erano sempre deserte. Da una parte e dall’altra non si scorgevano che gigantesche e fitte foreste che venivano a curvarsi nelle acque, qualche pezzo di terreno coltivato a durah in mezzo al quale andavano e venivano allegramente bande d’ippopotami affaccendati a saccheggiarlo, e assai di rado qualche capanna, e quasi sempre crollata o sfondata.

Alle due di notte sulla riva destra apparve il villaggio di Mahawir, attruppamento di capanne coniche e sede di una popolazione di barcaiuoli e pescatori la maggior parte dei quali si alleano agli arabi Abù-Ròf per esercitare la tratta degli schiavi a rubare ragazzi in questa o quella borgata. Daùd avrebbe voluto arrestarsi e confondere la sua darnas in mezzo a molte altre ancorate dinanzi al molo, ma la paura di venire scoperto e forse preso fra due fuochi lo decise a continuare il cammino.

Alle quattro, nel momento che l’alba cominciava a spuntare all’orizzonte, giunsero all’estremità settentrionale di Gez-Hagiba, isola assai allungata che divide il Bahr-el-Abiad in due grandi canali navigabili.

Possiamo arrestarci, disse Daùd a Omar. Abbiamo percorso già un bel tratto di via e sono persuaso che nessuno ci annoierà pel rimanente della notte. Domani, se sarà possibile, chiederò informazioni più precise sulla via presa da Dhafar pascià.

Non temi adunque che il greco c’insegua?

No, per ora. Del resto abbiamo su di lui un vantaggio di oltre quarantacinque miglia.

In quel momento si udì in lontananza una scarica di fucili seguita da un grand’urlìo. Omar prese le mani di Daùd stringendogliele fortemente.

Hai udito? gli chiese con vivacità.

Sì, rispose il reis.

Chi credi che siano?

Non lo so.

Che sia il greco?

Non lo credo. Siamo distanti non troppe miglia da Mahawir e potrebbe darsi che questa scarica sia stata sparata nel villaggio.

Ma queste grida?…

Hai ragione, mi parvero vicine. Forse saranno state emesse da qualche banda di Abù-Ròf. Adesso che ci penso, potrebbe trattarsi dell’attacco di qualche carovana che costeggia il fiume. Tu sai già che siamo in un paese di ladroni.

 

Omar crollò la testa. Una seconda scarica di fucili s’udì accompagnata da grida selvagge. Fathma uscì dalla tettoia correndo verso i due negri.

Che succede? chiese ella con voce visibilmente alterata. Siamo inseguiti?…

Non ispaventarti, sorellina, disse Daùd colla maggior calma del mondo. Tirano delle fucilate e nulla di più.

Non ho mai avuto paura, Daùd, disse con fierezza l’almea. Se corriamo un pericolo puoi parlare liberamente; non farò altro che prendere il fucile e battermi a fianco dei tuoi uomini,

Lo so che le arabe sono intrepide.

E dunque?

Per ora non sappiamo nulla.

Non ti pare prudente riprendere la navigazione?

Se ci inseguono ci raggiungeranno lo stesso. È meglio rimanere qui anzichè correre: il rischio di venire assaliti nelle vicinanze di Woad-Scelai. Gli abitanti del villaggio potrebbero moschettarci.

Ohe! gridò un sennarese dall’alto dell’albero di maestra.

Guarda una dahabiad che corre su noi!

Per la barba di mio padre! esclamò Daùd, saltando verso poppa. Che sia proprio il greco?

Si slanciò sul cassero, seguito da Fathma, da Omar e da mezzo equipaggio. A seicento passi da poppa essi scorsero una dahabiad grandissima che saliva il fiume a vele e a remi. Sul ponte vi erano parecchi uomini vestiti di bianco e armati di fucili colla baionetta inastata.

Daùd impallidì leggermente e la sua destra corse all’impugnatura dell’jatagan.

Per Allàh! mormorò egli con ispavento. Chi sono essi?....

Il greco! esclamò Fathma.

Lo vedi? chiese Omar.

Sì, eccolo là a prua… È lui, Omar, è lui.

Tuoni di Dio! Come si è svegliato?…

Chi va là? gridò una voce partita dalla dahabiad.

Che nessuno risponda, comandò Daùd. Prendete i fucili e stendetevi sul cassero. Tre uomini al cannone!

I barcaiuoli in men che si dica s’impadronirono dei fucili e si sparpagliarono pel ponte e pel cassero nascondendosi dietro a tuttociò che poteva offrire un riparo contro le palle del nemico. Tre di loro, i più abili e i più coraggiosi si gettarono sul cannoncino che fu puntato sulla dahabiad; la miccia venne accesa.

Calma e coraggio, disse Daùd. Tu, Omar, rimarrai al mio fianco pronto a comandare l’abbordaggio se il nemico arriva fino a noi, e tu, Fathma, ritirati sotto la tettoia. Per prenderti bisogna che passino sui nostri corpi.

L’almea si rizzò fieramente con gli occhi accesi.

Io qui rimango, diss’ella. Voi vi battete per me e io mi batterò per voi.

Ma la pugna sarà forse tremenda. Vi saranno dei cadaveri e del sangue.

E credi tu che la Favorita del Mahdi abbia paura del sangue? Ho assistito senza tremare al massacro degli 8000 egiziani di Yussif a Kadir e meno tremerò oggi che abbiamo a massacrare un pugno d’uomini.

Strappò un fucile dalle mani di un barcaiuolo e andò ad appostarsi dietro a una cassa, gridando:

Tutti a posto di combattimento. Attenti al comando!

Brava, Fathma! gridò Daùd entusiasmato. Noi ci batteremo al tuo fianco.

Chi va là! chiese la voce di poco prima.

Fathma! rispose l’almea senza esitare. Chi mi vuole si faccia avanti!

S’udì un urlo di gioia feroce alzarsi sulla dahabiad. Daùd e Omar si inginocchiarono ai fianchi dell’almea armando rapidamente i moschetti.

Attenzione! gridò il reis.

La dahabiad di Notis era giunta allora a cinquecento passi di distanza e continuava ad avanzare a vela e a remi con gran furia. Una ventina di soldati egiziani invasero il ponte affollandosi sulla murata di prua e puntando i loro remington.

Vedete quell’uomo che è ritto a prua? chiese Fathma alzando il moschetto verso di lui.

Sì, dissero Omar e Daùd. È Notis.

Ebbene, il primo colpo è destinato a lui. Che il Profeta mi punisca se io non l’abbatto.

Fuoco! gridò in quell’istante una voce.

Si videro i soldati egiziani abbassare un dopo l’altro i remington in direzione della darnas. Un gran lampo ruppe le tenebre seguito da numerose detonazioni e dal crepitìo di legno che fendevasi sotto la tempesta di palle. Un barcaiuolo che trovavasi a cavalcioni della murata di poppa occupato a caricar il suo moschetto, precipitò nel fiume.

Fermi tutti! urlò Daùd, vedendo che alcuni uomini correvano alle murate per cercar di pescare il compagno. È uomo morto. A te, Fathma!

L’almea balzò in piedi come una tigre, colla carabina in mano, slanciandosi a poppa.

S’udì una bestemmia alzarsi sulla dahabiad egiziana e fu visto un uomo aggrapparsi a una corda e sollevarsi sulla prua.

Ira di Dio, è lei! esclamò quell’uomo.

Sono io, Notis! gli gridò Fathma con inesprimibile accento d’odio. Guardati che ti ammazzo!

Ella puntò verso di lui la carabina. Il greco cercò di scendere, ma s’avvide che non era più in tempo.

Uccidetela! Uccidetela! urlò egli con voce spaventata.

Alcuni egiziani tirarono su Fathma, ma senza colpirla.

Ella premette il grilletto e Notis capitombolò sul ponte del suo legno, bestemmiando Dio e gli uomini e dibattendosi disperatamente in un lago di sangue.

Sono vendicata! gridò Fathma. Fuoco sulla dahabiad. Daùd! Fuoco!

La darnas s’empì di fumo. I sennaresi s’alzavano dietro ai ripari scaricando le loro carabine. Gli egiziani che si erano radunati attorno al caduto, andarono sotto sopra, salvandosi dietro alle casse e ai barili, sparando a casaccio le loro pistole. Il cannone cominciò a tuonare schiantando l’albero di maestra che cadde con un gran fracasso sul ponte coprendolo per intero coll’immensa sua vela.

Bravi, così, fuoco sull’altro albero! urlò Daùd. Ammazzatemi quelle canaglie spaventate, fracassatemi il timone, che vadano a sfasciarsi su qualche isolotto. Fuoco, perdio, fuoco nutrito! Evviva Fathma!

L’albero di trinchetto precipitò come l’albero maestro, rompendosi in due pezzi. Una confusione indescrivibile non tardò a succedere sul ponte della dahabiad che incominciava a indietreggiare, minacciando di arenarsi sulle isole sabbiose. Si comandava, si gridava, si bestemmiava, si sparava e gli uomini cadevano a due a tre alla volta. Parecchi feriti urlavano di già sul ponte, contorcendosi fra i rivi di sangue, sepolti fra i rottami dell’attrezzatura e sotto le vele.

I sennaresi, visto che i nemici non erano più in grado di rispondere, erano saltati fuori dai nascondigli e bersagliavano con una precisione terribile tutti quelli che commettevano l’imprudenza di mostrarsi. Tre o quattro di loro si erano messi al cannone e avventavano tremende scariche di mitraglia che spazzavano da un capo all’altro la barca nemica aprendo larghe fessure nei madieri e schiantando le murate.

Per dieci minuti gli egiziani si lasciarono moschettare perdendo parecchi di loro, ma a poco a poco la calma si ristabilì a bordo della dahabiad. Improvvisata a prua una barricata coi rottami degli alberi e colle casse e le botti, cominciarono ad avanzare a forza di remi rispondendo gagliardamente al fuoco dei sennaresi, mostrando l’idea di venire ad un abbordaggio e quindi ad un combattimento a corpo a corpo.

Ah! razza di cani! esclamò Daùd, afferrando una scure. Avete del sangue nelle vene! Olà, attenti ad ammazzare il primo che dà l’abbordaggio. Se arrivano sul ponte noi siamo perduti.

Tutti a poppa! gridò Fathma che caricava e scaricava la sua carabina tenendosi ritta in mezzo al cassero. Attenti all’urto! Al cannone, al cannone!

Fra i due legni s’impegnò una terribile pugna. I sennaresi, che avevano tutto da temere dall’abbordaggio degli egiziani, superiori assai di numero, si precipitarono come un sol uomo a poppa aprendo un foco infernale coi fucili e colle pistole. Il cannone manovrato da Omar ricominciò a tuonare a mitraglia, sconquassando la barricata degli egiziani.

Con tutto ciò la dahabiad procedeva sempre a balzelloni, urtando spesso contro le isole sabbiose. Spinta innanzi con tutta velocità, andò finalmente a cozzare furiosamente colla prua contro la poppa della darnas

S’udì uno scriscio formidabile che fu subito coperto dalle detonazioni delle armi da fuoco e dalle grida dei combattenti. Gli egiziani incoraggiati dalla voce del loro reis, cercarono di salire sul ponte della darnas, ma si trovarono dinanzi i sennaresi con a capo Omar, Daùd e Fathma. I primi che salirono caddero sotto le loro scuri e i loro jatagan; gli altri dopo di aver tentato di resistere a colpi di baionetta, si ripiegarono in massa a poppa, dove più di un terzo caddero sotto una scarica di mitraglia sparata a bruciapelo.

Il ponte si coprì di cadaveri e di feriti. La dahabiad abbandonata a sè stessa, senza alberi, senza remi, col timone fracassato e la prua tutta sconquassata e sdruscita, si sbandò sul tribordo crepitando e si allontanò rasentando gl’isolotti e solcando i bassi fondi ingombri di piante acquatiche.

Per qualche tratto fu visto arrestarsi or qua e or là vibrando di bordo, poi sparve da una svolta del fiume. S’udirono ancora in lontananza grida, comandi, bestemmie, gemiti, detonazioni, poi il silenzio tornò, rotto appena appena dal gorgoglìo della corrente che si rompeva sulle sabbie dei banchi.