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Il figlio del Corsaro Rosso

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CAPITOLO VII. LA CACCIA UMANA

Sulla loro destra della comitiva si estendeva la grande foresta.

Buttafuoco, che doveva conoscere quei luoghi molto piú del guascone, il quale, malgrado la bussola che teneva in mezzo al cervello, non era riuscito a scoprire la fattoria dove avrebbero dovuto trovare dei cavalli, si era messo alla testa del minuscolo drappello, aprendo qua e là dei passaggi con i due coltellacci che non aveva deposti alla capanna.

Il bracco poi lo aiutava meravigliosamente, guidandolo con perfetta sicurezza attraverso i meandri tenebrosi della foresta.

Di tratto in tratto il padrone e la sua bestia si fermavano per ascoltare, poi riprendevano la marcia, manifestando ambedue una certa inquietudine che non sfuggiva al conte.

Il sole era tramontato da qualche ora e camminavano sempre attraverso quell’interminabile foresta, quando il bucaniere si fermò dinanzi ad un gigantesco tamarindo dicendo:

– È inutile nascondervelo, signor conte; noi siamo inseguiti.

– Da chi? – chiese il corsaro.

– Da una o da piú cinquantine di certo.

– Come lo sapete?

– Vivendo sempre in mezzo alle foreste, i nostri orecchi acquistano un’acutezza incredibile ed afferrano subito i piú lontani rumori. Vi ripeto che noi siamo seguiti e forse i nostri nemici non sono molto lontani.

– Eppure io non ho udito nulla. Neppur tu, è vero, Mendoza?

– Io non odo che le rane ed i rospi cantare, – rispose il filibustiere.

– Ed io le foglie e la frutta cadere, – aggiunse il guascone.

– Io invece continuo a udire dei lontani latrati, – disse il bucaniere. – Qualcuno vi ha veduto attraversare le foreste?

– Abbiamo messo in fuga una cinquantina e le abbiamo ucciso il cane che la precedeva – rispose il conte.

– Ora comprendo! – disse Buttafuoco. – Quella cinquantina deve averne incontrata qualche altra fornita di cani, ed ora molti uomini ci seguono e non cesseranno di marciare finché non ci avranno raggiunti… Brutto affare!

– Cerchiamo di raggiungere al piú presto la tenuta della marchesa di Montelimar – disse il conte.

– È ancora troppo lontana – rispose il bucaniere. – Anche correndo rapidissimi, non potremmo giungervi prima del sorgere del sole.

– Che siano vicini gli spagnuoli?

– Essi, forse no; ma i cani sí; e quelle bestiacce sono piú pericolose degli uomini. Io li conosco troppo bene! Non per nulla li chiamano cani strangolatori. Guardatevene, signor conte.

– Che cosa decidete? Aspettare qui il loro assalto o continuare la marcia?

Invece di rispondere, Buttafuoco osservò attentamente la foresta foltissima, dove un infinito numero di liane s’intrecciavano in mille modi attorno agli alberi, formando dei bellissimi festoni.

– Cerchiamo di far perdere le nostre tracce ai doz – disse poi. – Forse ci riusciremo con una marcia aerea. Si tratta solo di far presto, e di guadagnare piú strada che potremo.

Si gettò in spalla l’archibugio, s’aggrappò ad un ammasso di liane, che pendevano intorno al tamarindo, e si issò a forza di braccia, dicendo:

– Cercate d’imitarmi.

– Diamo la scalata alle griselle del bosco! – disse Mendoza. Preferisco una manovra marinaresca a questa interminabile marcia… Signor Barrejo, fingete di trovarvi a bordo di un treponti.

Il conte, il quale aveva perfettamente compreso quello che il bucaniere stava per tentare, si era subito inerpicato attraverso un altro festone di sipos, mostrandosi abilissimo ginnasta.

Buttafuoco raggiunse i grossi rami del tamarindo e, servendosi sempre di quelle resistentissime corde vegetali, passò su di un enorme cotoniere, poi su una palma, quindi su di un cavolo palmista, continuando intrepidamente la sua marcia aerea.

Passare da una pianta all’altra non era difficile, poiché gli alberi crescevano cosí vicini gli uni agli altri da intrecciare i loro rami. Anche senza le liane, quella manovra, per uomini agili, sarebbe stata possibile. Il bracco, destinato purtroppo a cedere sotto i denti dei ferocissimi e robustissimi cani cubani, seguiva da terra il padrone, latrando lamentosamente.

– Quello stupido ci tradirà! – disse Mendoza al bucaniere, approfittando d’una breve sosta.

– È vero – rispose Buttafuoco armando l’archibugio. – Mi rincresce, ma la sua morte è necessaria.

Aveva appena terminato di parlare che già il povero bracco stramazzava al suolo, fulminato dall’infallibile palla del cacciatore.

– È strano! – disse il bucaniere passandosi una mano sulla fronte. – Mi pare di aver commesso un delitto. Bah! la necessità non ha legge nella foresta!

Ricaricò l’archibugio e si mise in ascolto. Dei lontani latrati avevano risposto a quel colpo di fucile.

– Gli spagnuoli hanno raccolto una truppa di doz – disse poi.

– Fortunatamente potranno assediarci, ma non raggiungerci.

– E la cinquantina che li segue? – chiese il conte.

Buttafuoco alzò le spalle.

– Le alabarde perderanno subito contro gli archibugi – disse. Io non mi occupo affatto di quei manici di scope. Riprendiamo la nostra marcia, signore. I doz cubani hanno scoperto le nostre tracce e le seguono ostinatamente; noi non dobbiamo fermarci qui, cosí vicini al mio bracco.

Ripresero la loro ginnastica indiavolata, scivolando fra i rami e le liane, ora innalzandosi ed ora abbassandosi fino quasi a terra, guardandosi bensí dal toccarla per non lasciarvi la menoma traccia.

Avevano percorso altri cinquecento metri e stavano per rifugiarsi tra le fronde di un simaruba, quando udirono, a non molta distanza, dei furiosi abbaiamenti.

I doz cubani erano giunti e, non avendo piú trovato le tracce dei fuggiaschi, sfogavano il loro malumore con terribili e minacciosi latrati.

– Devono aver trovato il cadavere del mio bracco, – disse il bucaniere, il quale si era messo a cavalcioni d’un grosso ramo, accanto al conte.

– Che ci scoprano? – chiese questi.

– Non ve lo saprei dire, signore, – rispose Buttafuoco. – Quei maledetti cani hanno un olfatto meraviglioso.

– Siamo su un albero ben alto.

– Lo vedo bene, – rispose il bucaniere, sorridendo. – Eppure non sono affatto tranquillo. I mastini che adoperano, ve l’ho già detto, sono terribili.

– Non fiatiamo.

– E sarà meglio per noi.

I doz cubani continuavano a latrare furiosamente, a non meno di cinquanta passi. Come Buttafuoco aveva detto, dovevano aver scoperto il cadavere del bracco e si aggiravano intorno alla foresta cercando le orme dei fuggiaschi.

Ad un tratto si fece udire un latrato sonoro, piú acuto degli altri, seguito da un fruscio di foglie.

– Vengono! – disse il bucaniere. – Che nessuno parli.

Mendoza ed il guascone si erano rannicchiati sul loro ramo, tenendo gli archibugi in mano.

Buttafuoco ed il conte li avevano subito imitati, cercando di rendersi invisibili. Attraverso la cupa e tenebrosa foresta si udí un frastuono di latrati acuti che si perdettero subito in lontananza.

– Sono passati! – disse il bucaniere al conte. – Ora attenti alla cinquantina. Non deve essere molto lontana; ne sono sicuro.

– Che si avanzi? – chiese sottovoce il signor di Ventimiglia.

– Segue sempre i cani. Ascoltate attentamente: udite?

– Sí, un leggiero fruscio.

– Sono gli spagnuoli che marciano attraverso il bosco.

– Che ci scoprano?

– Per Bacco! Non hanno già gli occhi d’un giaguaro, – rispose Buttafuoco. – E poi il fogliame ci copre interamente.

– E se fossero archibugieri?

– Non ve ne sono fra le cinquantine, – rispose Buttafuoco. Nessuno sparerà contro di noi un colpo di fucile, ve l’assicuro io. Zitti tutti! Può essere l’avanguardia della cinquantina che perlustra.

Il fruscio aumentava, mentre i latrati dei cani diventavano sempre piú fiochi. Probabilmente i terribili mastini avevano trovata una vecchia traccia e la seguivano colla loro abituale ostinazione.

Un momento dopo, cinque uomini armati di alabarde s’aprivano il passo attraverso i folti cespugli, fermandosi quasi sotto l’enorme albero.

– Carrai! – esclamò uno. – Dove sono scappati quei maledetti perros?

– Saranno vicini ai fuggiaschi, Alonzo – rispose un altro.

– Possono strangolarli sul colpo! Erano tre, non è vero?

– Almeno io non ne ho veduti altri, quando hanno ucciso il nostro Cid.

– Che gambe avevano quegli uomini per percorrere una tale distanza? Scommetterei che erano bucanieri.

– T’inganni, Diaz. Sono gli uomini usciti da San Domingo e che hanno ucciso quel povero Barrejo.

– Caramba! Noi lo vendicheremo.

– Taci! I cani ritornano.

Ed infatti i latrati che poco prima erano diventati fiochi si facevano udire ora piú distinti.

La terribile muta, accortasi di correre su una vecchia traccia, ritornava a corsa sfrenata, latrando rabbiosamente.

Passò un minuto, poi venticinque o trenta cani, enormi, col pelame ispido, le teste grosse e le mascelle assai sporgenti, somiglianti molto ai cani americani che vengono chiamati dai piantatori della Virginia e della Luisiana blood hound, balzarono addosso ai cinque soldati con tale impeto che per poco non li gettarono a terra.

– Una corsa inutile, è vero, miei piccini? – disse colui che chiamavano Diaz. – Non vi scoraggiate. Quei bricconi non avevano le ali e quindi sapremo ritrovarli.

– Tu sei un vero imbecille che non conosci i cani cubani.

– Sarò anche un cretino, ma intanto sono ritornati con gli orecchi bassi e senza le prede.

Uno scoppio di risa salutò quella risposta.

– Voi siete dei triplici cretini! – gridò Diaz furioso. – Da dove venite?

Dai presidios forse? – O dalla via dell’Alcalà di Madrid?

– Caramba! – urlò Alonzo. – Siamo dinanzi al nemico e urlate piú forte dei nostri mastini! È cosí che voi preparate le imboscate? Vi denuncerò tutti al governatore di San Domingo e vi farò disarmare. Il sergente sono io!

 

– Portategli dell’aguardiente e non si ricorderà piú di avere dei galloni – disse un altro soldato con voce ironica.

– Se parli ancora ti uccido, miserabile!

Seguí un profondo silenzio, poi la voce del sergente si fece ancora udire:

– Via, piccini! Quei birbanti non devono essere molto lontani.

I cani a quell’ordine si slanciarono in tutte le direzioni, cacciandosi in mezzo alle macchie.

S’avanzavano e retrocedevano fiutando rumorosamente l’aria, poi tornavano ostinatamente verso il drappello, abbaiando sordamente.

– Ci sentono – disse Buttafuoco, accostando le labbra ad un orecchio del signor di Ventimiglia.

– Che ci scoprano? – chiese il conte.

– Sarà un po’ difficile. Tuttavia teniamoci pronti ad annientare con una scarica l’avanguardia delle cinquantine – rispose il bucaniere. – Il mio archibugio è pronto.

– Ed anche il mio.

Non fate però fuoco se prima non vi do il comando.

Le ricerche dei cani durarono un buon quarto d’ora, poi essi ripresero la corsa, seguendo la traccia di prima. Non avendone trovate altre piú recenti, si ostinavano su quella vecchia lasciata forse da qualche negro fuggiasco.

L’avanguardia della cinquantina, dopo una breve discussione, prese il partito di seguirli, e scomparve ben presto attraverso la foresta.

– Finalmente possiamo respirare liberamente! – esclamò il guascone. – Mi pareva di sentirmi i denti di quei cagnacci nelle gambe.

– Avrebbero trovato ben poco da rosicchiare, signor soldato – disse Mendoza ironicamente. – E per questo forse se ne sono andati a cercare dei polpacci piú rotondi.

Malgrado la gravità della situazione tutti si erano messi a ridere, perfino Buttafuoco.

– Che cosa facciamo dunque? – chiese il conte. – Scendiamo?

– Sarebbe una grave imprudenza – rispose il bucaniere. – I cani possono ritornare, scoprire le nostre orme e darci la caccia. Avete fretta di giungere a San Josè?

– Nessuna: la mia fregata non lascerà i paraggi del capo Tiburon, se io non mi farò vedere, ed il mio luogotenente è troppo furbo per lasciarsi sorprendere e battere dai galeoni spagnuoli.

– Allora vi consiglio di passare la notte qui.

– Cosí diventeremo dei volatili! – disse Mendoza. – Purché non giungano i cacciatori!

– Vi ho detto che le cinquantine non hanno armi da fuoco – disse il bucaniere. – Dei cacciatori con le alabarde ne parleremo! Accettate, signor conte?

– Giacché non si può far di meglio e la prudenza lo esige, passiamo la notte quassú – rispose il signor di Ventimiglia. – Ed il vostro arruolato non verrà scoperto? La capanna non è molto lontana.

– Non si lascerà sorprendere, ve lo assicuro io. Ha dei buoni cani che l’avvertiranno in tempo dell’avvicinarsi delle cinquantine. Sono perfettamente tranquillo per lui. Ah, me lo ero immaginato! Che brutta faccenda se avessimo lasciato questo asilo… Le vedete, signor conte?

– Chi?

– Le cinquantine: sbucano ora dal bosco e avanzano a catena. Gli spagnuoli vi considerano persone pericolosissime, perché vi fanno l’onore di mandarvi dietro due colonne.

– Potevano risparmiarsi quest’onore – brontolò Mendoza. – Io non lo desideravo affatto.

Il conte si era alzato sul ramo che gli stava sotto e guardava attentamente nella direzione che il bucaniere gli indicava.

L’albero che serviva loro d’asilo si trovava a poche decine di metri dal margine del bosco, sicché essendo la notte abbastanza chiara, i filibustieri potevano scorgere benissimo le persone che fossero avanzate nella vicina pianura terminante verso gli stagni e le paludi.

Il conte, che era molto alto, potè vedere le due cinquantine camminare cautamente fra le alte erbe, con le alabarde in resta e con una mezza dozzina di altri cagnacci dinanzi.

– Che ci circondino? – chiese al bucaniere.

Il bucaniere non rispose. Seguiva con gli sguardi la manovra un po’ complicata che eseguivano in quel momento le due colonne. A un tratto gli sfuggí un’imprecazione.

– Circondano e battono le macchie – disse facendo un gesto di collera.

– Sgombriamo di qui prima che giungano, o saremo persi.

Stavano per lasciarsi scivolare giú dai rami, quando dei latrati furiosi si fecero udire a breve distanza, poi la torma dei doz, che poco prima si era allontanata, si scagliò intorno alla pianta, spiccando salti indiavolati.

– Ah, maledetti! – gridò Buttafuoco. – Sono riusciti a scoprirci. Signori, preparatevi a vender cara la vita e soprattutto mirate attentamente, prima di consumare una carica di polvere.

L’avanguardia accorreva, aizzando con altissime grida la feroce muta, credendo forse che quelli che cercava si fossero nascosti in mezzo ai cespugli, invece che fra i rami del gigantesco albero.

– Ay hiyiito! – urlavano. – Ay perritos!

– Che uno solo di voi si occupi dei cinque che guidano i cani! – disse il bucaniere. – Gli altri facciano fuoco con me sulle cinquantine.

– Me ne incarico io! – disse il guascone. – Fra mezzo minuto i cinque soldati saranno a terra.

– Bum! – mormorò Mendoza. – Quante guasconate!

Le due cinquantine, udendo i latrati dei cani, si erano prontamente raccolte, credendo forse di dover subire un improvviso attacco, poi erano tornate ad allargarsi, accostandosi con precauzione alla macchia, con l’evidente intenzione di accerchiarla.

Uno colpo di fuoco fu il principio delle ostilità. Il guascone aveva scaricato il suo archibugio contro i cinque uomini dell’avanguardia, i quali avevano commesso l’imprudenza di mostrarsi e la palla non era andata perduta.

I superstiti erano subito fuggiti, non potendo impegnare una lotta con le loro alabarde e con le spade, buone solamente in un combattimento a corpo a corpo.

– Benone! – disse il bucaniere, vedendo un soldato a terra. L’avanguardia è per ora fuori combattimento e si guarderà dal tentare qualche cosa.

Occupiamoci ora delle cinquantine e non lasciamo loro il tempo di accerchiarci.

– E i cani? – chiese Mendoza.

– Lasciateli urlare: piú tardi penseremo a disfarcene.

Si mise a cavalcioni del ramo, appoggiando le spalle contro il tronco della pianta e sparò un colpo.

Un grido lo avvertí che la sua palla, come sempre, era giunta a destinazione. Il corsaro e Mendoza a loro volta fecero fuoco.

Le cinquantine arrestarono subito il loro movimento aggirante e si gettarono in mezzo alle altissime erbe, cercando di rendersi invisibili.

– Che cosa vorranno ora tentare? – si chiese il signor di Ventimiglia con inquietudine.

– Cercheranno di raggiungerci strisciando – rispose il bucaniere, il quale invece appariva perfettamente tranquillo. – Bah, finché avremo polvere e palle, saremo sempre noi i padroni della situazione. Gran bella idea hanno avuto i governatori di sostituire con le alabarde gli archibugi! Hanno fatto meravigliosamente il nostro gioco. Siete pronti?

– Sí – rispose il conte.

– Mirate fra le erbe, specialmente là dove si agitano. Se noi spareremo bene, i nemici se ne andranno e non oseranno assalirci.

I tre uomini ricominciarono a sparare, mentre il guascone, non sapendo che cosa fare, se la prendeva coi cani, facendo piovere addosso a loro una tempesta di rami secchi, ma non osando consumare le munizioni diventate troppo preziose in quel momento.

E come lavorava il bravo soldato! Sicuro di non correre il pericolo di prendersi un colpo d’archibugio dalle due cinquantine, fracassava legna e la scaraventava addosso alle bestie, facendole urlare di dolore.

Buttafuoco, il conte e Mendoza intanto continuavano a sparare a lunghi intervalli, facendo di tratto in tratto retrocedere le cinquantine.

Di quando in quando un grido echeggiava fra le erbe, annunciando che qualche uomo era stato colpito. Era soprattutto il bucaniere che faceva dei colpi meravigliosi.

Prima di far fuoco cambiava piú di dieci volte posizione, abbassava e rialzava il pesante archibugio e, quando sparava, la detonazione era seguita quasi sempre da un urlo o da una bestemmia.

Se non uccideva, di certo feriva o storpiava.

– Che uomini! – mormorava Mendoza, il quale pareva che fosse altamente stupito di quei tiri. – Si vantavano i filibustieri, ma questi bucanieri sono inarrivabili! Ora comprendo perché sono riusciti ad espugnare Vera-Cruz e anche Panama, sotto la guida di quel diavolo di Morgan!

Gli spagnuoli peraltro, degni discendenti di quei formidabili conquistatori che con un pugno d’uomini avevano rovesciato i due piú potenti imperi dell’America, quello dei Messicani e quello dei Peruviani, quantunque sprovvisti di ogni arma da fuoco, si mantenevano coraggiosamente sul posto, esponendosi audacemente al tiro del bucaniere e dei suoi compagni, convinti di poter facilmente aver ragione di quel piccolo gruppo di avversari.

Strisciavano fra le erbe, ansiosi di venire ad un corpo a corpo e di giungere sotto l’albero.

Quella tenacia parve sconcertare Buttafuoco.

– Devono avere qualche progetto – disse il bucaniere al conte.

– Quale? – chiese il signor di Ventimiglia.

– Io non riesco a indovinarlo; ma non sono affatto tranquillo.

– Che contino sui cani?

Buttafuoco scosse la testa.

– Forse piú tardi – disse poi. – Li vedete?

– Io no.

– E voi, Mendoza?

– Non vedo altro che delle erbe che continuano a muoversi rispose il marinaio.

– Ed io, che ho gli occhi d’un vero guascone, scorgo qualche altra cosa – disse don Barrejo, il quale era salito molto in alto, con la speranza di fare un buon colpo contro l’avanguardia.

– Dite.

– Fanno dei fasci.

– Di legna?

– Sí.

– Se riescono a giungere qui, ci bruceranno o per lo meno ci arrostiranno un po’. Manovra vecchia che non sempre è riuscita completamente. Signori, avete tutti le spade?

– E che tagliano come rasoi – disse Mendoza. – Io non vorrei provarle sul mio collo, ve lo giuro.

– Che cosa volete fare delle nostre spade, Buttafuoco? – chiese il signor di Ventimiglia. – Tagliare le alabarde? Avrebbero un cattivo giuoco.

– No; ma usarle contro quei dannati cani – rispose il bucaniere.

– Se è per questo, non v’inquietate.

– Me ne incarico io – disse il guascone.

– Sempre spaccone! – brontolò Mendoza. – Questi uomini sono davvero incorreggibili.

– Continuate il fuoco – disse il bucaniere. – Anche voi, soldato. L’avanguardia non pare che abbia voglia di punzecchiarci le gambe con le sue alabarde.

– Già, non arriverebbero fino alle mie – rispose il guascone. – Ci vorrebbe una scala. Ora butto giú un uomo ogni mezzo minuto!

I quattro uomini ricominciarono a sparare fra le erbe, con crescente rabbia. Il bucaniere, il quale misurava bene i suoi colpi, faceva dei tiri meravigliosi, tuttavia gli spagnuoli non cessavano di guadagnare terreno, malgrado le enormi perdite che subivano.

Degli uomini certo cadevano di quando in quando morti o feriti, pure essi s’avvicinavano con un’ostinazione ammirabile alla macchia scivolando fra le alte erbe.

Che cosa volevano tentare? Se avessero avuto qualche archibugio si sarebbero certamente sbarazzati, con poche scariche, di quel piccolo gruppo di nemici.

Probabilmente volevano tentare un disperato assalto all’arma bianca.

Buttafuoco s’infuriava, bestemmiando e sparando senza tregua.

– Che non riesca questa volta a farli scappare? – brontolava.

Che uomini abbiamo dunque noi dinanzi? Sono fusi con acciaio temprato nelle acque del Guadalquivir?

Invano le palle fischiavano o miagolavano sopra le erbe ed invano i quattro assediati sparavano con rabbia crescente.

Le due cinquantine, risolute a por fine a quel combattimento che costava loro molte perdite, non cessavano di avanzarsi e di circondare la macchia.

– Ebbene, Buttafuoco? – chiese il signor di Ventimiglia ad un certo momento. – Come va questa faccenda?

– Che cosa volete che vi dica, signor conte? – rispose il bucaniere. – Io sono meravigliato. In vita mia non ho mai veduto degli uomini cosí coraggiosi. Queste due cinquantine sono stupefacenti! Al loro posto io sarei già scappato!

– Purché non facciano invece stupire noi, – disse Mendoza.

– È quello che attendo, – rispose il bucaniere, – anzi che temo. Questa ostinazione mi dà molto a pensare.

– Che cosa temete, Buttafuoco? – chiese il signor di Ventimiglia.

– Non lo so e non sono affatto tranquillo.

– Per tutti i pescicani del mar di Biscaglia! _ esclamò il guascone. – Qui l’affare sembra che cominci ad imbrogliarsi!

– Voi che siete un guascone dovreste sbrogliarlo subito, – disse Mendoza.

 

– Ci sono i cani sotto di noi.

– Pei guasconi valgono meno dei lupi.

– Tacete e fate fuoco invece, – disse il bucaniere. – Non è colle chiacchiere che si guadagnano le battaglie.

– Toh! La chiama una battaglia! – brontolò Mendoza. – Io la chiamerei una misera scaramuccia!

Quattro colpi d’archibugio rimbombarono uno dietro l’altro, facendo scappare una mezza dozzina di spagnuoli; gli altri però non lasciarono le erbe e continuarono a spingersi audacemente attraverso la foresta, sul cui margine erano ormai giunti.

– Morte dell’inferno, – disse Buttafuoco, gettando via il cappello. – Ora non li fermeremo piú.

– Gli spagnuoli?

– Se si gettano fra i cespugli, nessun occhio potrà scovarli e nessuna palla potrà raggiungerli. Che cosa vorranno fare? Arrostirci?

Si era voltato verso il guascone, il quale era disceso su uno dei rami piú bassi.

– Signor soldato, – gli disse – volete prendervi la briga ora di distruggere la muta che urla sotto i nostri piedi? Dovete aver ancora una sessantina di colpi da sparare.

– Io spero di averne anche di piú – rispose il guascone, il quale conservava un sangue freddo ammirabile.

– Giacché l’avanguardia vi lascia inoperoso, massacratemi quei dannati mastini.

– Preferirei uccidere degli uomini, – rispose Barrejo.

– Ma quelli sono meno pericolosi! Vi affido un incarico piú difficile.

– Un posto d’onore, – brontolò Mendoza, ridendo.

– Sia pure – disse il guascone. – Se quei cani valgono gli uomini, m’incarico io di fare di loro una gigantesca frittata.

Armò l’archibugio che aveva già caricato e con un colpo ben aggiustato abbatté il cane piú grosso, spaccandogli la testa.

– E uno! – disse. – Quello non mangerà piú i miei polpacci.

Mentre il guascone si arrabattava contro i mastini che latravano a piena gola intorno all’albero, impazienti di piantare i loro formidabili denti nelle carni dei fuggiaschi, Buttafuoco, il conte e Mendoza non cessavano di sparare qualche colpo a casaccio contro le cinquantine ormai scomparse nel bosco. Gli eroici soldati della vecchia Spagna, per nulla atterriti da quelle incessanti archibugiate che mettevano a dura prova il loro coraggio, non cessavano di avanzare, risoluti a raggiungere l’enorme albero del cotone e a venire ad un corpo a corpo, sicuri, dato il loro numero, di aver facilmente ragione dei loro nemici.

Avevano però da fare con uomini ben risoluti a vendere cara la pelle.

Mentre il guascone continuava a fucilare i cani, Buttafuoco aveva impegnato una rapida conversazione col conte, interrotta di frequente dalle archibugiate di Mendoza.

– È necessario sloggiare e salvarci fra le paludi – aveva detto il bucaniere.

– Potremo spezzare il cerchio di ferro che sta per serrarsi intorno a noi? – aveva chiesto il signor di Ventimiglia.

– Con una scarica improvvisa di archibugi ci apriremo una breccia sufficiente per passare.

– E dopo?

– Ci rifugeremo in mezzo ai pantani.

– Mi hanno detto che queste paludi hanno dei banchi di sabbie mobili.

– Li conosco.

– E i cani?

– Il vostro compagno sta fucilandoli con rara maestria. Ancora qualche minuto e non vi sarà piú un mastino sotto di noi… Ah, ecco quello che temevo!

Un bagliore sinistro era balenato a breve distanza dall’albero, poi un fastello di legna veniva scaraventato contro il tronco del bombax, facendo scappare i cinque o sei cani sfuggiti ai colpi del guascone.

Un fumo denso, soffocante, che provocò agli assediati una tosse violentissima e che fece lagrimare istantaneamente i loro occhi, si alzò subito.

– Del pimento! – gridò Buttafuoco. – A terra, amici, o non potremo piú resistere! Lasciate gli archibugi e preparatevi a lavorare con le spade. Giú!

Un secondo fascio di legna, pure acceso, era stato scagliato. Anche quello era formato di rami di pepe rosso di Cajenna che sprigionavano un fumo infernale.

– Sono carichi gli archibugi? – chiese Buttafuoco, il quale stava per spiccare il salto.

– Sí!

– Giú! e mano alle spade!

I quattro uomini si lasciarono cadere.

Un mastino si precipitò sul bucaniere, tentando di saltargli alla gola e di strangolarlo, ma il cacciatore, che si aspettava quell’assalto, balzò indietro con agilità prodigiosa afferrando il fucile per la canna e gli fracassò il cranio con un terribile colpo di calcio.

Anche altri due, che si erano scagliati contro il conte e contro il guascone, non ebbero miglior fortuna. Due fulminei colpi di spada li fecero cadere l’uno sull’altro, con le gole squarciate.

– Fuoco sulle cinquantine! – tuonò allora il bucaniere.

Gli spagnuoli accorrevano con le alabarde in resta, urlando a piena gola:

– Arrendetevi! Siete presi!

Quattro colpi d’archibugio furono la risposta; poi il bucaniere ed i suoi compagni, approfittando della confusione manifestatasi fra gli assalitori per quell’improvvisa scarica, si slanciarono a corsa disperata verso il margine della foresta per guadagnare le paludi.

Il guascone, che aveva le gambe piú lunghe degli altri e che era tutto nervi e muscoli, aveva la velocità d’un proiettile: chi si trovava forse un po’ male era Mendoza; tuttavia non rimaneva indietro di molto.

Gli spagnuoli si erano slanciati a loro volta, urlando ferocemente e aizzando i due ultimi cani che erano loro rimasti.

Pareva però che le povere bestie, impressionate probabilmente dalla strage fatta dei loro compagni, non avessero molto desiderio di far la conoscenza con gli archibugi e con le spade di quei formidabili avversari, poiché non osavano spingersi troppo innanzi.

In meno di cinque minuti i fuggiaschi attraversarono la piccola pianura e raggiunsero il margine delle paludi.

– Fermatevi! – gridò Buttafuoco. – Vi possono essere dei banchi di sabbie mobili. Fate fronte agli spagnuoli per qualche minuto finché io non trovo il passaggio.

Gli assalitori, vedendo i quattro uomini fermarsi e caricare precipitosamente gli archibugi, si arrestarono anch’essi, non osando esporsi al tiro di quei terribili tiratori.

Buttafuoco, avendo scorto una lingua di terra coperta in parte di canne e di erbe palustri, si era slanciato risolutamente innanzi per cercare un passaggio che li conducesse in qualche luogo sicuro.

Il conte e i suoi due compagni si erano intanto posti al riparo dietro il tronco d’un albero caduto per decrepitezza o abbattuto da qualche fulmine, ed avevano ricominciato a sparare, abbattendo i due ufficiali che guidavano le cinquantine.

Gli alabardieri, spaventati dalla precisione terribile di quei tiri, si gettarono nuovamente fra le erbe, non sapendo in quale modo dare l’attacco.

In quel momento non ringraziavano di certo i governatori che li avevano privati delle armi da fuoco.

Mentre il conte e i suoi compagni mantenevano un fuoco abbastanza vivo, Buttafuoco continuava a perlustrare la palude che pareva di una estensione immensa.

La sua paura era d’incontrare quelle terribili sabbie mobili che quando afferrano una preda, sia uomo o animale, non la restituiscono piú. Aveva spezzato una canna e si avanzava nell’acqua tastando il fondo. Ad un tratto il conte lo vide ritornare correndo, col volto giulivo.

– Dunque? – chiese il signor di Ventimiglia, sparando un’altra archibugiata là dove vedeva scintillare gli elmetti degli alabardieri.

– Ho trovato il passaggio – rispose il bucaniere. – Non sarà forse largo, tuttavia per noi basterà.

– E i caimani?

– Non preoccupatevi di quelle stupide bestiacce. Non ci daranno molti fastidi. Caricate gli archibugi e seguitemi tutti! Attenti sempre ai cani!

Il conte ed i suoi compagni ricaricarono frettolosamente le loro armi, poi si slanciarono dietro al bucaniere, il quale correva lungo la piccola lingua di terra che aveva scoperta.

I due cani, vedendoli scappare, avevano ripreso animo, mentre anche gli spagnuoli, comprendendo che i loro nemici stavano per sfuggire al tanto sospirato accerchiamento, si erano alzati agitando furiosamente le alabarde.

In meno di mezzo minuto i fuggiaschi raggiunsero l’estremità della lingua di terra.

– Fuori le spade e risparmiate la polvere! – gridò Buttafuoco.

I due cani stavano per raggiungerli, aizzati dalle grida dei loro padroni. Il conte, che conservava un ammirevole sangue freddo, cacciò la sua spada fra le fauci spalancate del primo doz, immergendola fino a mezzo corpo, mentre Mendoza ed il guascone attaccavano coraggiosamente il secondo. Due guaiti avvertirono Buttafuoco che anche i due pericolosi avversari avevano avuto il loro conto.

– In acqua, signori, – disse – e badate di seguirmi attentamente, perché ai vostri fianchi si trovano le sabbie mobili e chi vi cade dentro non ne esce piú. Se gli spagnuoli ci seguono, sparate uno per volta qualche colpo di archibugio. Ai caimani ci penso io.