Free

La famiglia Bonifazio; racconto

Text
iOSAndroidWindows Phone
Where should the link to the app be sent?
Do not close this window until you have entered the code on your mobile device
RetryLink sent

At the request of the copyright holder, this book is not available to be downloaded as a file.

However, you can read it in our mobile apps (even offline) and online on the LitRes website

Mark as finished
Font:Smaller АаLarger Aa

– Ebbene parla… io sono pronta a tutto, non c'è sacrifizio che possa parermi troppo grave, se posso vederti contento… dimmi che cosa devo fare…

– Vieni a Roma con me…

– A Roma?.. per che fare?.. con chi?..

– A Roma noi due soli!.. fuggiamo da questo paese… è l'unico rimedio a tutto un passato di errori funesti, seguìti da disinganni fatali. Io non amo Metilde, tu non ami Andrea, io non amo, non ho mai amato che te sola. Il nostro reciproco affetto col suo silenzio eloquente è l'amore vero, tutto il resto non è che inganno e illusione!..

– Silvio! Silvio… tu deliri, hai gli occhi che gettano fiamme, il tuo viso è stravolto, hai i capelli irti sulla fronte, dimmi che ti senti male, va nella tua camera…

– Io ti amo ardentemente, ti ho sempre amata, non posso più vivere senza di te, tu devi esser mia per sempre… vieni e saremo felici!..

– Ma tu bestemmi e mi offendi!.. tu spergiuri, e mi proponi il disonore, la vergogna, il tradimento!.. e vuoi che siamo felici!.. tu sei malato, povero Silvio, qualche dolore inaspettato ti ha sconvolto il cervello…

– Maria, rispondimi francamente, voglio sapere se mi sono ingannato, se devo vivere o morire, rispondimi francamente: mi ami o non mi ami?..

– Io non devo amare che mio marito…

– Ma tu non puoi amarlo!..

– Ho promesso davanti a Dio, di vivere con lui e per lui… tutto il resto è impossibile!.. ritirati… va… tu mi proponi una infamia… non sei degno del nome che porti!..

– Maria, non rinnegare la voce della natura, la vita, l'amore, tutto quello che è buono e che è vero, per dei pregiudizii funesti, per un vano rispetto alle ingiustizie ed alle insanie sociali!.. Maria… Maria vieni con me, io ti prometto il paradiso in cambio d'ogni sacrifizio…

– Tu vaneggi, e non mi offri che l'inferno, il tradimento, la vergogna, il disonore, i rimorsi… ritirati… va… te lo impongo in nome di tuo padre che ci vede… esci da questa stanza… – E così dicendo con voce imperiosa, gli accennava la porta col braccio alzato e l'indice disteso.

Silvio si precipitò in ginocchioni davanti la donna amata, spinto dall'amore sfrenato o dal rimorso, alzò le mani giunte verso di lei… e in quel momento si spalancò la porta della camera, e Andrea e Metilde comparvero sulla soglia. Ci fu un minuto di sosta, e poi Andrea si slanciò verso Silvio colla mano armata dal coltello, e gli misurò un colpo che venne sventato dal braccio di Maria, la quale rimase ferita ad una mano, ma potè disarmarlo. Alla vista del sangue che spruzzò sul volto di Silvio, Metilde spaventata si mise a gridare, chiedendo aiuto, e fuggì precipitosamente giù dalle scale. Silvio si era alzato in piedi, dicendo ad Andrea:

– Usciamo di qui, sono pronto a darvi qualunque soddisfazione, ma rispettate vostra moglie, l'avete ferita brutalmente, senza rendervi conto d'una scena che dovrebbe avervi sorpreso. Vi siete fitto in mente che io abbia sedotto vostra moglie, ma se questo fosse vero non mi avreste trovato ai suoi piedi. Io la supplicavo di fuggire lontano da voi, che non la meritate; essa vi difende e vi resta fedele malgrado i vostri torti. Ringraziate Iddio di tanto benefizio, del quale siete indegno. Ora sono ai vostri comandi, che cosa esigete da me?..

– Prima di tutto esigo che abbandoniate all'istante questa casa, per mai più rimettervi il piede.

Silvio guardava Maria, interrogandola collo sguardo. Essa finiva di bendarsi la mano, e dopo d'aver calmato alquanto il marito, soggiunse:

– Andrea ha diritto d'imporvi quest'obbligo e voi dovete obbedirlo.

Silvio abbassò il capo, alzò le braccia in aria ed uscì senza proferire una parola. Era una protesta o un segno di rassegnazione? nessuno poteva saperlo. Andrea lo seguì, Maria inquieta li accompagnava da lontano.

– Adesso tocca noi di finirla, gli mormorava Andrea dietro le spalle, in modo da non essere udito dalla moglie, per ritrovare la quiete bisogna che uno di noi due scomparisca dal mondo.

– È vero, gli rispose Silvio, io sono pronto a seguirvi dovunque.

– Adesso, subito, è impossibile, rispondeva Andrea, mia moglie ci sorveglia, allontanatevi, ma prima di lasciare il paese, giuratemi che ci rivedremo.

– Vi dò la mia parola, che sarò pronto.

Maria afferrò il marito per l'abito, e lo trascinò altrove. Silvio entrò nella sua stanza, per fare il baule, che riempì alla rinfusa con quanto gli cadeva in mano senza sapere ciò che facesse, lo chiuse, si mise la chiave in tasca, e uscì per cercare sua moglie. Fece il giro del parco, diede un'occhiata dovunque, poi si recò sotto il portico dell'adiacenza per domandare se qualcuno l'avesse veduta e trovò Pasquale che pareva molto sorpreso d'incontrarlo e gli disse:

– Ah, padrone mio, credevo di non vederlo più vivo!..

– Perchè?..

– Ecco la ragione: questa mattina la signora Metilde uscì per tempo, mi pareva molto agitata, ho creduto prudente di seguirla a qualche distanza. Essa vagava pei campi, camminava in fretta, guardava il cielo, e faceva dei gesti strani. Io le teneva dietro da vicino nascosto da una siepe, quando s'incontrò col signor Andrea che andava alla caccia, gli si fermò davanti, e le disse: – Dove andate a quest'ora?.. – Non lo so, essa gli rispose seccamente. – E avete lasciato solo vostro marito? quale imprudenza! e soggiungeva: Se egli sapesse che sono uscito di casa, andrebbe a trovare mia moglie. – Silvio è uscito prima di voi, e vi avrà veduto ad uscire, essa gli disse: – Ah?.. si sarà nascosto apposta per ispiarmi… scommetto che sarà in compagnia di mia moglie… sarà entrato nella sua camera… – Ah?.. se fosse vero! esclamò la signora Metilde; ho un pensiero fisso al quale resisto ancora perchè mi manca il coraggio; ma se avessi quest'ultima prova, saprei compiere il mio destino!.. – Allora il signor Andrea la prese per mano, e le disse: – Andiamo a vedere! – Essa lo seguiva come una bambina, io mi acquattai dietro la siepe per non essere scoperto, e non ebbi tempo di avvertirvi prima che essi entrassero in casa. Quando seppi che vi avevano proprio trovato in camera, vi piansi per morto! ma le fantesche mi dissero che la sola padrona è ferita. Me ne consolo con voi che l'avete scappata bella!..

– E mia moglie l'hai più veduta?..

– Dopo quella scena non l'ho più vista. Ah poverina! non la abbandoni troppo al suo dolore. Mi scusi sa, ma farebbe pietà ai sassi. Se l'avesse veduta questa mattina!.. le tenga gli occhi adosso… è in tale stato d'esaltazione che sarebbe capace di commettere qualche imprudenza!..

Pareva che queste ultime parole lo colpissero fortemente. Affrettò il passo, uscì dal cancello, si mise in traccia di sua moglie, ripetendo lo stesso ritornello della sera antecedente: dove diavolo sarà andata a cacciarsi?..

Poi gli ritornavano alla memoria alcune espressioni della infelice: «mi è mancato il coraggio, sarò più forte domani mattina» ed aveva ripetuto ad Andrea: «mi manca il coraggio, ma se avessi quest'ultima prova saprei compiere il mio destino» e si rammentava che gli aveva detto fra le altre cose: «presto sarete libero, il Sile non è tanto lontano!..» ed altre parole di pessimo augurio.

Girovagò stupidamente, senza sapere dove andasse, era digiuno da ventiquattr'ore, esaltato da passioni diverse, l'amore deluso, l'odio per Andrea, il disgusto colla moglie, la ferita di Maria, le minacce della moglie, e la sicurezza d'un duello sanguinoso; vedeva buio nell'avvenire, e provava delle allucinazioni paurose.

Camminava a caso, senza discernimento, colla mente confusa, dimenticando talvolta perfino lo scopo principale del suo andare. Poi si scuoteva d'un tratto, come se uscisse da un sogno affannoso, e domandava ai passanti se avessero veduto per caso una signora bionda vestita in lutto. Ma nessuno l'aveva veduta, e lui andava avanti.

Si trovò dirimpetto alle vecchie mura di Treviso, fra la porta di San Tommaso e la Barriera Garibaldi, e ad una lavandaia che lo guardava curiosamente fece la solita domanda:

– Di grazia, avreste veduta una giovane signora bionda, vestita così e così?

– Sì signore, è passata poco fa…

– Snella, vestita in lutto?

– Snella, vestita in lutto!

– È lei!.. Da che parte si è diretta?

– Camminava sulle sponde del Sile, colla testa bassa, arrestandosi sovente a guardare il fiume ed osservando d'intorno, quasi volesse assicurarsi che nessuno la seguiva…

– È proprio lei!.. pensò Silvio e, vi ringrazio, soggiunse, mi avete detto che andava da quella parte?

– Sì signore… a sinistra… seguiva il corso della corrente…

Silvio studiò il passo. Cominciò a sentire una seria inquietudine, e rammentava con sempre maggiore apprensione quelle tremende parole: «domani avrò più coraggio… il Sile non è lontano… sarete libero…» e pensava. Eppure se fosse vero? se tornassi libero?.. libero!.. e costeggiava il Sile, guardando attentamente i movimenti dell'acqua.

Il cielo era tetro, si alzavano dei nuvoloni scuri dalla parte del mare, un'aria umida scuoteva i rami dei pioppi e ne staccava le ultime foglie ingiallite. Cominciava a cadere una pioggerella minuta, l'acqua del fiume pareva inchiostro, e metteva ribrezzo. Il corso tortuoso del Sile è pieno di curve e di accidenti, e fa certi mulinelli traditori che travolgono nelle loro spire tutti gli oggetti galleggianti. Silvio vide da lontano dei viluppi neri che giravano intorno d'un gorgo, sotto ai roveti delle sponde. Corse spaventato da quella parte. Erano mucchi di foglie secche, di spazzature, di stracci e di stecchi. Respirò più liberamente, e tirò avanti. La pioggia veniva giù sempre più forte, non aveva nè mantello nè ombrello; la strada era molle e fangosa, egli proseguiva imperterrito, tutto fradicio e inzaccherato di pantano fino al ginocchio, col presentimento che finirebbe per trovare la sua donna annegata. E pensava: – farò smentire il suo suicidio, si crederà ad un accidente; le farò fare degli splendidi funerali, e poi sarò libero… libero!.. non resterà più che un solo ostacolo alla mia felicità, quel rozzo villano… – e meditava con truci pensieri di far sparire l'ostacolo… aveva la mente piena di sicari, e di delitti… e finiva coll'aver paura di sè stesso, per l'orrore dei suoi pensieri. E tornando a idee più miti, diceva fra sè: io devo anzi studiarmi di non ferirlo in duello, per non rendere impossibile ogni relazione con Maria, e cercherò di lasciarmi ferire per eccitare l'interesse di lei, e risvegliare la sua passione!..

 

Poi crescendo sempre la pioggia, e avvicinandosi la sera, pensò che i cadaveri degli annegati non vengono a galla che molte ore dopo la morte, e che quindi fino al giorno seguente, le sue ricerche sarebbero riuscite vane.

Salì sopra un'altura della riva, dove il fiume faceva un gomito, slanciò un'ultima occhiata da vicino e da lontano, a diritta ed a sinistra, e non vide altro che la tranquilla corrente la quale scendeva verso il mare senza il minimo ingombro, poi diede uno scroscio di risa nervose, eccitate da una nuova idea che gli attraversava il cervello:

– Sarebbe bella, egli pensò, che mentre io cerco mia moglie, come un'imbecille, sotto la pioggia, sulle rive del Sile, essa fosse ritornata alla villa!..

Retrocesse sui suoi passi, percorse nuovamente la strada per lungo tratto, poi prese delle scorciatoie attraverso i campi e i fossati, sprofondandosi nei sentieri, sdrucciolando nelle pozzanghere, camminando a dondoloni, fino che a notte inoltrata, giunse stanco e sfinito davanti il cancello della villa. Ma quando si arrestò per suonare il campanello gli venne in mente che in quella stessa mattina, egli aveva promesso che non avrebbe riposto il piede nella casa paterna. Rimase sbalordito sulla soglia, si sentiva mancare le forze, aveva assoluto bisogno di qualche soccorso. Ah! se Maria l'avesse veduto non lo avrebbe certamente abbandonato sulla strada, in quel triste stato, in una notte piovosa. Ma la sua dignità gl'imponeva di morire piuttosto di domandare ad un villanzone rifatto di concedergli, come una carità, l'alloggio nella casa paterna. Si appoggiò alquanto ai pilastri per riprender fiato e farsi coraggio.

Dopo qualche esitazione risolse di chiedere l'ospitalità in casa del maestro Zecchini, il quale avrebbe potuto recarsi alla villa per chiedere notizie di Metilde.

Andò dunque a picchiare a quella casa, poco discosta dalla casa paterna. Nessuno rispondeva. Prese un sasso sulla strada e si mise a picchiare più forte, ma si facevano ancora aspettare. Finalmente udì che si apriva un balcone, al primo piano, vide comparire un lumicino, e la vecchia fantesca, che gli domandò in aria diffidente e sospettosa:

– Chi è a quest'ora, e con questo tempo da ladri?.. di chi domandate?

– Domando del maestro Zecchini, e non sono un ladro.

– Il maestro è a cena, e a quest'ora non riceve nessuno, andate con Dio in santa pace.

– A cena?! disse Silvio, tanto meglio!.. apritemi dunque Anastasia, non mi avete ancora conosciuto? – sono Silvio Bonifazio.

– Maria Vergine santissima! esclamò la vecchia, il signor Bonifazio con questo tempo! a quest'ora!.. corro subito ad aprire – e scomparve.

Silvio sentì gli zoccoli dell'Anastasia che scendevano per la scala di legno, ma attese invano per lungo tempo che essa venisse ad aprire.

La povera vecchia era corsa in tinello ad avvertire il maestro di quella visita, ma egli non voleva crederle; convinto che Silvio fosse partito colla moglie, temeva un tranello, qualche malfattore che volesse ingannarlo per farsi aprire la porta, e assassinarlo, non si è mai sicuri in questi tempi!.. e stava discutendo sul partito da prendere, mentre Silvio aspettava sotto la pioggia.

Dopo lungo tempo si riaprì la stessa finestra del piano superiore, e questa volta era la testa calva del maestro che si presentava ad interrogare il visitatore sospetto. Dopo un breve dialogo venne tolto ogni dubbio e il maestro si decise a discendere, e ad aprire la porta.

Ma quando vide entrare quella figura tutta sciupata le vesti, e ricoperta di fango, egli mandò un grido di terrore, credette d'essere caduto nell'inganno, e non voleva persuadersi che fosse Silvio Bonifazio.

– Ma sono io medesimo, in carne ed ossa, ripeteva Silvio, sono io che vengo a mangiarvi la cena, e a domandarvi un letto per questa notte…

– Tanto meglio! tanto meglio! diceva sospirando il maestro, che stentava a rimettersi dallo spavento.

Lo introdusse in cucina, lo fece sedere sotto la cappa del camino, coi piedi sul focolare; accesero delle fascine, che rischiararono tutto l'ambiente, e fecero fumare l'ospite inaspettato, che pareva prendesse fuoco.

Intanto che l'Anastasia, con una spazzola, gli levava il fango dalle scarpe, il maestro gli stropicciava i vestiti con un cencio; egli li ringraziava, e rispondeva alle domande ansiose del vecchio amico:

– Ho corso dietro tutto il giorno a quella matta di mia moglie, che ha scelto questa bella giornata per andare al passeggio sulle rive del Sile… e che forse sarà ritornata alla villa prima di me.

– Io rientro appena dalla villa, gli rispose il maestro, e nessuno ha mai saputo niente di voi in tutto il giorno… Andrea ubbriaco è andato a letto per tempo, io ho tenuto compagnia alla povera donna, che mi raccontò la scena di questa mattina. Essa era inquieta per voi due, non sapendo dove siate andati senza i vostri bauli. Vi ha fatti cercare tutto il giorno, ma invano. La tua imprudenza ha messo il colmo alle sue disgrazie, e tu puoi dire d'averla resa infelice due volte! – Ma infine dove è tua moglie?..

– Dio solo lo sa!.. non so se sia viva o morta… ma posso giurarvi che io sono più morto che vivo!.. Da più di trenta ore non mangio, mi agito, cammino come uno scemo, senza sapere dove vado…

Il maestro lo fece entrare in tinello, Anastasia apparecchiò la tavola, e dopo pochi istanti servì delle uova strapazzate con dentro delle salsiccie, un'insalata di cicoria e ruchetta, del cacio pecorino vecchio, un vinetto bianco frizzante, del pane fresco, e delle frutta.

Mangiarono in silenzio, Silvio sgranocchiava a due palmenti, e non faceva complimenti col maestro che continuava a riempirgli il piatto e il bicchiere.

– Mi dispiace che non ho altro da offrirti, gli disse il maestro.

– Basta così, ne abbiamo più del bisogno, e tutto eccellente, diceva Silvio; e poco dopo soggiunse – se una tremenda apprensione non mi intorbidasse la mente, potrei dire che questo è stato il più lauto banchetto della mia vita!.. non ho mai mangiato con tanto appetito.

– Intanto la Anastasia è salita ad apparecchiarti un buon letto, riprese il maestro. Prendiamo un'altra fiammata, poi andremo a dormire, per questa sera non possiamo far altro. La notte porta consiglio; domani faremo il resto.

Appena coricato, Silvio fu preso da un sonno intenso e profondo, ma dopo poche ore di riposo si destò improvvisamente, scosso da subitaneo terrore. Aveva sognato di vedere la moglie morta, galleggiante sul Sile.

Fra il sonno e la veglia non si ricordava più dove fosse, e le tenebre della notte accrescevano la tremenda impressione. Era bagnato di sudore, e andava palpando il letto per raccapezzarsi. Alfine si rammentò tutte le divagazioni del giorno antecedente, il suo arrivo in casa del maestro, e il suo imminente duello con Andrea. I pensieri che lo assalivano erano così incalzanti e affannosi che non gli fu possibile di dormire.

Gli pareva che il sangue gli bollisse nelle vene, gettava le coperte che lo soffocavano, si rivoltava nel letto che gli riusciva spinoso.

Soltanto all'alba riprese un po' di sonno, oppresso dalla stanchezza.

Il maestro inquieto sulla sorte di Metilde si alzò molto per tempo e corse alla villa per sapere se c'era qualche notizia. Nessuno aveva udito parlare di nulla. Il maestro confidò a Pasquale l'arrivo di Silvio, e lo pregò che alla prima notizia gli mandasse un pronto avviso, e che intanto gli portasse il baule, affinchè il suo ospite potesse cambiarsi.

Così Silvio si rimise in assetto, e appena fu in ordine, voleva ripartire, alla ricerca della moglie smarrita, ma il maestro gli fece osservare che era inutile fare delle ricerche senza nessun dato positivo, senza sapere da qual parte rivolgere i passi. Per semplice precauzione aveva mandato un uomo fido ad orecchiare lungo il fiume, ed in città; e aspettavano ansiosamente la distribuzione dei giornali locali per vedere se la cronaca cittadina avesse raccolto qualche sinistro accidente.

Solo verso le dieci si vide da lontano Pasquale che correva in direzione della casa del maestro e si pensò subito che ci doveva essere qualche notizia. E infatti egli portava una lettera all'indirizzo di Silvio, giunta in quel momento alla villa col messo postale.

Silvio lacerò rapidamente la busta con mano nervosa, e con indicibile apprensione. Era il suocero che gli scriveva, annunziandogli che Metilde era giunta felicemente in Venezia; ed era ritornata in famiglia, dopo tante amarezze, col fermo proponimento di non vedere mai più suo marito. S'era accorta da molto tempo della tresca infame di lui, ma le mancava il coraggio di abbandonarlo. Le maledizioni, e gl'insulti aggiunti alla sua pessima condotta, e specialmente l'ultima scena scandalosa la spinsero a mandare ad esecuzione il suo divisamento. I genitori la approvavano pienamente, e in quello stesso giorno il suocero avrebbe presentato al Tribunale la domanda di separazione, facendo valere il diritto della sposa agli alimenti, secondo la clausola del contratto di nozze.

– Altro che annegata!.. e quella maledetta lavandaia di Treviso che m'aveva fatto credere di averla veduta!..

– Non conosci ancora certe donne! gli disse il maestro, non sai che si divertono a mandare i mariti a spasso, e a tenerli lontani dalle mogli, pensando di giovare al proprio sesso, è una vera camorra. La lavandaia si è burlata di te, che dovevi essere abbastanza ridicolo colla tua ingenuità!..

– Riconosco d'essere stato un asino!..

– Siamo sempre d'accordo, gli rispose il maestro, non parliamone più. Adesso devi pensare agli affari, a guadagnare gli alimenti per la moglie, come li esige il suocero avvocato.

– Per mia moglie, osservò Silvio, gli alimenti saranno magri!.. e a me non resterà più un soldo per vivere!

– Nè una donna da amare!.. soggiunse il maestro.

– Non importa… domani posso esser morto! osservò Silvio. Vado subito a Treviso a trovarmi i testimoni, e si deciderà la mia sorte, e quella d'Andrea.

Prima di uscire svelò il segreto al maestro Zecchini, il quale alzando le spalle gli rispose:

– Sei matto, non ti mancherebbe altro!.. e poi che testimoni d'Egitto! credi tu che quel mascalzone d'Andrea sappia nulla di duelli e di testimoni; egli la intenderà alla sua maniera, come i villani, ti condurrà sul terreno per finirla a pugni e a coltellate; e ti ammazzerà come un cane dietro un albero!

– Oh! questo poi no!..

– Lasciami fare, vado io a terminare ogni questione…

– No, no, no, le cose non si devono fare a questo modo, egli crederebbe che abbia paura di lui… io intendo di mandargli i miei testimoni che gl'insegneranno le cose a dovere. Conosco un ufficiale dell'esercito, e penso d'indirizzarmi a lui…

– Il testimonio lo voglio far io!.. disse il maestro con fermezza, e mi pare di averne il diritto. Figurarsi se posso permettere che due matti facciano un altro scandalo, e accrescano gli strazii di quella povera Maria con un delitto!.. Vado subito alla villa, aspettami qui, che fra non molto sarò di ritorno.

Silvio sperava che il maestro s'ingannasse, aveva proprio voglia di trascinare l'avversario sul terreno; si sentiva ben disposto tanto ad ucciderlo che a morire, e attendeva con impazienza il suo destino.

Ma il maestro aveva ragione. Andrea ignorava tutte le leggi cavalleresche, credeva di fare un duello in famiglia, senza tante cerimonie; e forse era anche vero quello che aveva detto Zecchini: avrebbe voluto giuocare di coltello, e ammazzare l'avversario a tradimento.

Il maestro Zecchini non tardò a persuadere Andrea Pigna che aveva torto, e che per rispetto verso la moglie doveva rinunziare ad una vile vendetta. Maria vedendo il marito fremente pregò il maestro che persuadesse anche Silvio di lasciare il paese… e per sempre.

Non era possibile fare altrimenti, per la pace di tutti, e per l'onore di Maria.

Silvio rilasciò al maestro Zecchini una procura illimitata per compiere totalmente le divisioni di famiglia, liquidare tutti i conti, e presentarne i risultati all'avvocato Ruggeri, e fissare la parte alla quale aveva diritto sua moglie.

E venne stabilito il giorno seguente per la partenza di Silvio per Roma.

 

– Ma hai pensato seriamente a quello che fai? gli chiese il maestro, guarda bene di non commettere delle nuove corbellerie, ne hai già fatte anche troppe!.. devi pensare sul serio a guadagnarti il pane!..

– Perdio! rispose Silvio, vuoi che a Roma io muoia di fame?..

– Il giornalismo non è per tutti… che cosa farai se non riesci?.. sarai uno spostato!..

– Farò il cuoco! – disse il giovane in aria burlesca – e sarò debitore a mia moglie di questo ripiego. Essa non ha mai voluto saperne di occuparsi del nostro pranzo; ci ho dovuto pensare io, così ho imparato l'arte, e la metto da parte, come dice il proverbio.

– Piccola differenza!.. farai il giornalista… od il cuoco?..

– Idealismo e positivismo, politica e cucina paiono cose tanto disparate, eppure si avvicendano continuamente; il pensare mette in appetito, il mangiare modifica le idee; chi mangia bene fa una politica da egoista, chi mangia male una politica rivoltosa e rivoltante. Discutere gli affari di Stato e la minuta del pranzo sono due fatti positivi dai quali dipende sovente la pubblica moralità. Mangiare e sognare, illudersi sempre! ecco in che cosa consiste la commedia della vita!..

Il maestro non capiva niente a queste elocubrazioni, e rideva per amor proprio soddisfatto.

Venuta la sera, Silvio fece una passeggiata solitaria intorno la villa paterna; diede l'ultimo addio a quella casa, a quegli alberi, a quelle memorie, a quella pace.

Al mattino seguente il maestro Zecchini prese a nolo una vettura e accompagnò alla stazione l'amico che partiva.

Passando per l'ultima volta davanti al cancello della villa, Silvio mandò un profondo sospiro, e asciugandosi una lagrima disse al maestro:

– Potevo essere completamente felice in quella dimora deliziosa, e vivere giorni sereni e tranquilli con quella donna semplice e sublime… ed ho tutto perduto!..

Il maestro ruppe in una sghignazzata satanica, che faceva il più strano contrasto coi sentimenti melanconici espressi da Silvio, il quale rimase tristamente sorpreso, e gli domandò perchè ridesse a quel modo.

– Ti domando scusa, mille volte scusa, si affrettò a rispondergli il maestro; non ho mai saputo frenare il mio maledetto carattere, nè la mia maniera di pensare. Che vuoi!.. ascoltando i tuoi lamenti mi è venuto in mente un antico proverbio che dice: «l'asino non conosce la coda, che dopo di averla perduta.»

Silvio si sentì umiliato da quella verità, ma era una verità; ed abbassò il capo, e non trovò una sola parola da rispondere.

Continuarono la strada in silenzio. Giunti alla stazione si abbracciarono commossi, e Silvio partì per Roma.

FINE