Read the book: «Oscurita’ Perversa»
OSCURITA’ PERVERSA
(UN MISTERO DI RILEY PAIGE —LIBRO 3)
B L A K E P I E R C E
TRADUZIONE ITALIANA
A CURA
DI
IMMACOLATA SCIPLINI
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAIGE, che include i gialli intrisi di suspense IL KILLER DELLA ROSA (libro #1), IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (libro #2) e OSCURITA’ PERVERSA (#3). Blake Pierce è anche l’autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE.
Avido lettore ed è da sempre ammiratore dei romanzi gialli e thriller, Blake apprezza i vostri commenti, pertanto siete invitati a visitare www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto.
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LIBRI DI BLAKE PIERCE
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
INDICE
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRÉ
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRÉ
CAPITOLO TRENTAQUATTRO
CAPITOLO TRENTACINQUE
CAPITOLO TRENTASEI
CAPITOLO TRENTASETTE
CAPITOLO TRENTOTTO
CAPITOLO TRENTANOVE
CAPITOLO QUARANTA
CAPITOLO QUARANTUNO
Prologo
Janine pensava di aver visto qualcosa di scuro nell’acqua, vicino alla battigia. Era grande e nero, e sembrava muoversi appena nel lento sciabordio dell’acqua.
Prese un tiro di marijuana dalla pipa e la passò al suo ragazzo. Poteva trattarsi davvero di un grosso pesce? O era un altro genere di creatura?
Janine si riscosse: non doveva lasciar galoppare a briglia sciolta la sua immaginazione, disse a se stessa. Il creare un motivo di paura poteva soltanto peggiorare le cose. Il Lago Nimbo era un enorme bacino artificiale, popolato per la pesca, proprio come moltissimi altri laghi dell’Arizona. Non si era mai sentito parlare di mostri come Nessie in quelle zone.
Improvvisamente sentì Colby dire: “Accidenti, il lago è in fiamme!”
Janine si voltò a guardare il ragazzo. Il suo viso lentigginoso e i capelli rossi brillavano nel sole del tardo pomeriggio. Il giovane aveva appena aspirato dalla pipa e stava osservando, attonito, qualcosa verso l’acqua.
Janine ridacchiò. “Sei soltanto stato illuminato” disse. “Completamente.”
“Sì, proprio come il lago” fu la risposta.
Janine si voltò e guardò verso il Lago Nimbo. Anche se il fumo non le aveva ancora fatto effetto, quello che vide la lasciò senza parole. Il sole del tardo pomeriggio aveva tinto il canyon in rosso e oro. L’acqua rifletteva i colori come un grande specchio piatto.
Le venne in mente che la parola nimbo stava per “aura” in spagnolo. Il nome era assolutamente appropriato.
Janine riprese la pipa e inspirò profondamente, sentendo il bruciore scendere piacevolmente fino in gola. Sarebbe stata bene e si sarebbe sballata da lì in poi. Sarebbe stato divertente.
Ma, che cos’era quella forma scura nell’acqua?
Soltanto un gioco della luce, Janine si disse.
Qualunque cosa fosse, avrebbe fatto meglio ad ignorarla, a far sì che non la facesse rabbrividire o spaventare. Tutto il resto era perfetto. Era il loro posto preferito, il suo e quello di Colby: meraviglioso, nascosto in una delle insenature del lago, distante dai campeggi, da tutto e tutti.
Di solito ci andavano durante i fine settimana, ma oggi avevano marinato la scuola e si erano rifugiati lì. Quella giornata di fine estate era troppo bella per essere ignorata. Era decisamente più fresco e piacevole laggiù, rispetto a Phoenix. La vecchia automobile di Colby era parcheggiata lungo la strada polverosa, alle loro spalle.
Mentre guardava in direzione del lago, iniziò a sentire l’effetto dello sballo: la sensazione di una grande ed imminente euforia. Il lago sembrava fin troppo bello da guardare, perciò volse gli occhi su Colby. Si strinse a lui e lo baciò. Il ragazzo ricambiò. Il suo sapore era favoloso. Tutto di lui era e sembrava favoloso.
Janine staccò le labbra da quelle del ragazzo e lo guardò negli occhi, dicendo tutto d’un un fiato: “Nimbo significa aura, lo sapevi?”
“Wow!” lui esclamò. “Wow.”
Sembrava che fosse la cosa più straordinaria mai sentita in tutta la sua vita. Il ragazzo era e sembrava così divertito a dire questo, come se si trattasse di una questione religiosa o di qualcosa di simile. Janine scoppiò a ridere, e Colby la imitò. Nell’arco di un paio di secondi, furono completamente intrecciati l’uno tra le braccia dell’altra, palpandosi e toccandosi.
Janine riuscì a districarsi dalle braccia di Colby.
“Che succede?” chiese il ragazzo.
“Niente” Janine rispose e, in un attimo, si levò la canotta.
Gli occhi di Colby si spalancarono. “Che cosa stai facendo?”.
“Che cosa pensi che stia facendo?” ribatté lei, iniziando a trafficare con la T-shirt del giovane, per togliergliela.
“Aspetta un attimo” Colby aggiunse. “Proprio qui?”
“Perché no? Meglio qui che sul sedile posteriore della tua auto. Non c’è nessuno a guardarci.”
“Ma forse una barca …”
Janine scoppiò a ridere. “Se anche ci fosse una barca? Che cos’importa?”
Colby a quel punto iniziò a cooperare, aiutandola a levargli la T-shirt. Erano entrambi impacciati per l’eccitazione, che si aggiungeva al brivido del proibito. Janine non riusciva ad immaginare perché non l’avessero mai fatto lì prima d’ora. Non che fosse la prima volta che fumavano erba lì.
Ma la ragazza continuava a pensare a quella forma nell’acqua. C’era qualcosa, e fino a quando non avesse scoperto che cosa fosse, l’idea avrebbe continuato ad assillarla e rovinato ogni cosa.
Col respiro affannoso, si alzò in piedi.
“Vieni” disse. “Andiamo a controllare una cosa.”
“Che cosa?” Colby domandò.
“Non lo so. Tu vieni.”
Prese la mano di Colby e insieme s’avventurarono giù per la riva, diretti alla battigia. L’umore di Janine ora stava cominciando a guastarsi. Odiava quello che succedeva. Doveva accertarsi che quel che stava cercando era innocuo: allora sarebbe tornata a sentirsi bene.
Ma stava cominciando ad augurarsi che lo sballo non fosse giunto in modo tanto rapido e forte.
Ad ogni passo, l’oggetto appariva sempre più chiaro ai loro occhi. Era fatto di plastica nera, e c’erano delle bolle che salivano fino alla superficie dell’acqua. E c’era anche qualcosa di piccolo e bianco, accanto ad esso.
A poco meno di un metro di distanza dall’acqua, Janine vide che c’era un grosso sacco di plastica nero. Era aperto all’estremità e dallo stesso sembrava emergere una mano, pallida in modo non certamente naturale.
Forse è un manichino, pensò la ragazza.
Si abbassò verso l’acqua per dare un’occhiata da vicino. Le unghie erano dipinte di un rosso vistoso, in aperto contrasto con il pallore. Un terribile pensiero attraversò il corpo di Janine come una scossa elettrica.
La mano era vera. Apparteneva ad una donna. Il sacco conteneva un cadavere.
Janine cominciò a urlare. Sentì Colby fare lo stesso.
Sapeva che non sarebbero stati in grado di smettere di farlo per molto tempo.
Capitolo Uno
Riley sapeva che le immagini, che stava per mostrare, avrebbero scioccato gli studenti dell’Accademia dell’FBI. Alcuni probabilmente non sarebbero stati in grado di affrontarle. La donna scrutò i giovani volti entusiasti che la guardavano dai loro banchi a semicerchio disposti in fila.
Vediamo come reagiscono, lei pensò. Quest’esperienza potrebbe essere importante per loro.
Naturalmente, Riley sapeva che, tra tutti i crimini possibili, l’omicidio seriale era raro. Eppure, quei giovani dovevano imparare tutto quello che occorreva imparare. Aspiravano a diventare degli agenti FBI. destinati a lavorare sul campo, e presto si sarebbero resi conto che la maggior parte dei poliziotti locali non aveva alcuna esperienza con i serial killer. L’Agente Speciale Riley Paige era un’autorità in tale settore.
Premette il telecomando. Le prime immagini che apparvero in successione sull’enorme schermo piatto non erano violente. Si trattava di cinque ritratti femminili a carbone, che andavano da una ragazza ad una donna di mezza età. Tutte erano belle e sorridenti; i ritratti erano stati realizzati con abilità e amabile maestria.
Cliccando sul telecomando, Riley disse: “Questi cinque ritratti sono stati realizzati otto anni fa da un artista di nome Derrick Caldwell. Ogni estate guadagnava molto con i ritratti di turisti al Dunes Beach Boardwalk, qui in Virginia. Queste donne erano tra le sue ultime clienti.”
Dopo l’ultimo dei cinque ritratti, Riley premette di nuovo sul telecomando. La fotografia successiva era un’immagine orribile di un congelatore aperto, con all’interno parti femminili smembrate. Sentì gli studenti sussultare.
“Questo è quanto è rimasto di quelle donne” Riley commentò. “Mentre le disegnava, Derrick Caldwell si è convinto, usiamo le sue stesse parole, che ‘erano troppo belle per vivere.’ Perciò le ha perseguitate ad una ad una, le ha uccise e le ha tenute nel suo congelatore.”
Riley cliccò di nuovo, e le immagini successive erano ancora più scioccanti. Si trattava di fotografie scattate dal team del coroner dopo il riassemblaggio dei corpi.
Riley disse: “Alla fine, Caldwell ha ‘mischiato’ le parti dei corpi, così che le donne fossero disumanizzate al di là del riconoscimento.”
Riley si voltò verso la classe. Uno studente si stava precipitando verso l’uscita, stringendosi lo stomaco. Alcuni erano sul punto di vomitare. Altri invece, erano in lacrime. Soltanto un piccolo gruppo sembrava essere impassibile.
Paradossalmente, Riley era sicura che proprio gli studenti impassibili non sarebbero stati in grado di superare la fase di addestramento dell’accademia. Ai loro occhi, quelle erano delle semplici fotografie, per nulla reali. Non sarebbero stati in grado di gestire il vero orrore in prima persona. Non avrebbero saputo gestire le conseguenze personali, provocate dallo shock né superare lo stress post-traumatico. Visioni di una torcia accesa ancora riempivano la sua mente a volte ma il suo PTSD stava scemando: stava guarendo. Ma certamente uno deve provare le cose prima di poter guarire.
“E ora” Riley disse, “farò un paio di affermazioni, e voi mi direte se sono vere o false. Ecco la prima. ‘Molti serial killer uccidono per motivi sessuali.’ Vero o falso?”
Delle mani si sollevarono tra gli studenti. Riley indicò uno studente dallo sguardo piuttosto entusiasta, seduto nella prima fila.
“Vero?” lo studente chiese.
“Esatto, vero” Riley rispose. “Sebbene ci possano essere altre ragioni che inducono a uccidere, una componente sessuale è piuttosto frequente. Può esprimersi in varie forme, talvolta piuttosto bizzarre. Derrick Caldwell è un classico esempio. Il coroner ha determinato che ha commesso atti di necrofilia sulle vittime, prima di smembrarle.”
Riley vide che molti studenti stavano prendendo appunti sui loro computer portatili. E proseguì: “Ora, ecco un’altra affermazione. ‘I serial killer infliggono una violenza crescente alle loro vittime, mentre continuano ad ucciderle.’”
Di nuovo si sollevarono delle mani. Stavolta, Riley indicò uno studente seduto alcune file indietro.
“Vero?” lo studente disse.
“Falso” corresse Riley. “Sebbene io stessa abbia visto alcune eccezioni, molti casi non mostrano alcun cambiamento nel tempo. Il livello di violenza di Derrick Caldwell è rimasto costante, durante l’atto dell’omicidio. Ma l’uomo si è rivelato imprudente, non era certo un genio del male. E’ diventato avido. Ha catturato le sue vittime in un periodo di un mese e mezzo. Suscitando un’attenzione di questo genere, ha reso la sua cattura inevitabile.”
La donna dette un’occhiata all’orologio e si rese conto che la sua ora era giunta al termine.
“E’ tutto per oggi” disse. “Ma ci sono molte supposizioni errate sui serial killer e molti miti sono ancora in circolazione. L’Unità di Analisi Comportamentale ha raccolto ed analizzato i dati, e io ho lavorato a casi seriali in tutto il paese. Abbiamo ancora molte informazioni da fornire.”
Gli studenti iniziarono a sciamare via, e Riley cominciò a raccogliere tutto il suo materiale per tornare a casa. Tre o quattro studenti si radunarono intorno alla sua cattedra per porle delle domande.
Uno le chiese: “Agente Paige, non è stata coinvolta nel caso di Derrick Caldwell?”
“Sì” rispose. “Ne parleremo un’altra volta.”
Era una storia che avrebbe preferito non raccontare, ma non lo disse.
Una giovane domandò: “L’esecuzione di Caldwell è già avvenuta?”
“Non ancora” ribatté secca Riley. Provando a non essere sgarbata, passò davanti agli studenti, diretta all’uscita.
Non si sentiva di parlare dell’imminente esecuzione di Caldwell. La verità era che aspettava che questa fosse programmata di lì a poco. Essendo la principale responsabile della sua cattura, aveva diritto ad assistere alla sua esecuzione. Non aveva ancora deciso se presenziare oppure no.
Riley si sentiva bene mentre usciva dall’edificio, in un piacevole pomeriggio di settembre. Dopotutto, era ancora in congedo.
Aveva sofferto di PTSD sin da quando un maniaco assassino l’aveva tenuta prigioniera. Era fuggita ed era riuscita infine a catturare il suo tormentatore. Ma neppure allora era andata in ferie. Aveva continuato a lavorare per risolvere un altro caso, una terribile vicenda nel nord dello Stato di New York: infine era terminata con il suicidio del killer, che si era squarciato la gola proprio di fronte a lei.
Quel momento ancora la ossessionava. Quando il suo supervisore, Brent Meredith, le aveva proposto un altro caso, lo aveva rifiutato. Seguendo la proposta di Meredith, aveva invece accettato di insegnare all’Accademia dell’FBI di Quantico.
Entrata nell’auto, Riley cominciò a guidare verso casa, pensando a quanto saggia quella scelta fosse stata. Finalmente, la sua vita aveva un senso di pace, di calma.
E ancora, mentre guidava, una sensazione spaventosa e familiare cominciò ad impossessarsi di lei, facendo sì che il suo cuore cominciasse a battere forte nel bel mezzo di una splendida giornata di sole. Si trattava di una forte intuizione, comprese, che qualcosa di tremendo stesse per verificarsi.
E, per quanto provasse a vedersi in quella calma per sempre, sapeva, ne era certa, che tale sensazione non sarebbe durata.
Capitolo Due
Riley ebbe un brutto presentimento, quando sentì una vibrazione proveniente dalla sua borsa. Si fermò davanti alla porta principale della sua nuova casa di città ed estrasse il cellulare.
Immediatamente trasalì.
Era un messaggio di Brent Meredith.
Chiamami.
Riley si preoccupò. Forse il suo capo voleva semplicemente sapere come stava. L’aveva fatto molte volte in quegli ultimi giorni. D’altro canto, poteva volere che lei tornasse in pista. E allora che cosa avrebbe fatto?
Naturalmente, dirò di no, Riley pensò tra sé e sé.
Avrebbe potuto essere difficile, in ogni caso. Le piaceva il suo capo, e sapeva che poteva essere molto persuasivo. Era una decisione che non aveva voglia di prendere, perciò mise via il cellulare.
Quando aprì la porta ed entrò nel luminoso e pulito spazio della nuova casa, la momentanea ansia di Riley svanì. Tutto appariva così bello sin da quando aveva traslocato.
Si sentì una gradevole voce.
“¿Quién es?”
“Soy yo” Riley rispose. “Sono a casa, Gabriela.”
La robusta donna guatemalteca di mezza età uscì fuori dalla cucina, asciugandosi le mani con uno strofinaccio. Era bello vedere il volto sorridente di Gabriela. Era la governante di famiglia da anni ormai, da molto tempo prima che Riley divorziasse da Ryan. Riley era grata che Gabriela avesse acconsentito a trasferirsi con lei e sua figlia.
“Com’è andata la giornata?” Gabriela chiese.
“Benissimo” fu la risposta.
“¡Qué bueno!”
Gabriela sparì di nuovo nella cucina. L’odore della magnifica cena avvolse tutta la casa. Sentì Gabriela cominciare a cantare in spagnolo.
Riley restò in soggiorno, beandosi di quanto la circondava. Con sua figlia, si erano trasferite lì soltanto di recente. La piccola casa in stile ranch in cui avevano vissuto quando il suo matrimonio era finito, si era rivelata troppo isolata per garantirle sicurezza. Inoltre, Riley aveva sentito l’urgenza di cambiare, sia per lei sia per April. Ora che il divorzio era diventato definitivo, e Ryan era stato generoso con gli alimenti per la figlia, era giunto il momento di iniziare una nuova vita.
C’erano ancora pochi ritocchi di cui occuparsi. Alcuni mobili erano piuttosto vecchi e fuori posto in un ambiente così elegante. Avrebbe dovuto trovarne dei nuovi per sostituirli. Una delle pareti appariva piuttosto spoglia, e Riley era a corto di quadri da appendere.
Aveva programmato di andare a fare spese con April nel prossimo fine settimana. Quell’idea faceva sentire Riley normale, una donna con una bella famiglia e non un’agente sulle tracce di un assassino psicopatico.
Ora si chiese dove fosse April.
Si fermò ad ascoltare. Non si sentiva alcuna musica provenire dalla camera della ragazza al piano di sopra. Poi, sentì la figlia gridare.
La voce proveniva dal cortile. Riley trasalì, attraversò in fretta la camera da pranzo e uscì fuori sull’enorme cortile. Quando vide il viso e il torso di April apparire oltre la recinzione in mezzo al giardino, le ci volle un momento per capire che cosa stava accadendo. Poi, si rilassò e rise di se stessa. Il suo panico automatico era stato una sorta di reazione eccessiva. Ma era passato troppo poco tempo, da quando Riley aveva salvato April dalle grinfie di un pazzo, che l’aveva presa di mira per vendicarsi della madre.
April sparì dalla vista e, poi, riapparve di nuovo gridando gioiosamente. Stava saltando sul trampolino dei vicini. Aveva fatto amicizia con la ragazza che viveva lì, un’adolescente che aveva circa la stessa età di April e frequentava persino il suo stesso liceo.
“Fai attenzione!” Riley gridò ad April.
“Tranquilla, mamma!” April rispose affannosamente.
Riley scoppiò di nuovo a ridere. Era un suono insolito, emerso da sensazioni che aveva quasi dimenticato. Voleva abituarsi di nuovo a ridere.
Desiderava anche abituarsi alla gioiosa espressione sul volto della figlia. Sembrava soltanto ieri, quando April era stata terribilmente ribelle e imbronciata, persino per essere un’adolescente. Riley non poteva biasimare la figlia ed aveva rinunciato a tanto per ricostruire il rapporto madre-figlia. Stava facendo di tutto pur di cambiare la situazione.
Il rimanere lontana dal lavoro sul campo le aveva garantito questa possibilità ed era la cosa per lei più importante: non era più costretta a passare lunghe giornate, spesso in località distanti, in modo del tutto imprevedibile. Ora il suo programma era compatibile con quello di April, e la donna temeva che, prima o poi, tutto questo sarebbe in qualche modo cambiato.
Meglio che me la goda finché posso, pensò.
Riley rientrò in casa giusto in tempo per sentire il campanello suonare.
Gridò: “Ci penso io, Gabriela.”
Aprì la porta e fu sorpresa di trovarsi faccia a faccia con un uomo sorridente, che non aveva mai visto prima.
“Salve” quello disse, un po’ timidamente. “Sono Blaine Hildreth, della porta accanto. Sua figlia è proprio lì ora con mia figlia, Crystal.” Diede a Riley una scatola e poi aggiunse: “Benvenuta nel quartiere. Le ho portato un piccolo dono per l’inaugurazione della casa.”
“Oh” Riley esclamò. Fu stupita da quella inconsueta cordialità. Le ci volle un momento per dire: “Prego, entri pure.”
Accettò goffamente la scatola, e lo invitò a sedersi su una sedia in soggiorno. Riley si accomodò sul divano, tenendo la scatola in grembo. Blaine Hildreth la stava osservando con un’aria d’attesa.
“E’ un gesto molto gentile da parte sua” disse, aprendo il pacchetto. Conteneva un set di colorate tazze da caffè: due erano decorate con farfalle ed altre due, invece, con dei fiori.
“Sono adorabili” Riley disse. “Gradirebbe del caffè?”
“Molto volentieri” Blaine le rispose.
Riley chiamò Gabriela, che arrivò dalla cucina.
“Gabriela, ci porteresti del caffè in queste tazze?” lei disse, porgendole due tazze. “Blaine, come vuole il caffè?”
“Nero andrà bene.”
Gabriela portò le tazze in cucina.
“Io sono Riley Paige” si presentò a Blaine. “Grazie di essere passato. E grazie per il regalo.”
“E’ stato un piacere” Blaine replicò.
Gabriela ritornò con le due tazze colme di delizioso caffè fumante, poi tornò al lavoro in cucina. In qualche modo, e con suo imbarazzo, Riley si trovò ad osservare il suo vicino. Ora che era single, non riusciva a farne a meno. Sperò che lui non se ne accorgesse.
Oh, beh, pensò. Forse lui sta facendo lo stesso con me.
Per prima cosa, la donna osservò che non indossava una fede nuziale. Vedovo o divorziato, immaginò.
Poi, stimò che avesse circa la sua età, forse leggermente più giovane, meno di quarant’anni.
Infine, era bello, o almeno ragionevolmente. Era stempiato, il che non andava a suo sfavore. E sembrava essere magro e in forma.
“Allora, che lavoro fai?” Riley chiese.
Blaine alzò le spalle. “Possiedo un ristorante. Conosci Blaine’s Grill in centro?”
Riley fu piacevolmente colpita. Blaine’s Grill era uno dei ristoranti più carini in cui pranzare lì a Fredericksburg. Aveva sentito che era grandioso per la cena, ma non aveva avuto la possibilità di provarlo.
“Ci sono stata” gli disse.
“Ecco, è mio” Blaine disse. “E tu?”
Riley fece un respiro profondo. Non era mai semplice raccontare ad un perfetto estraneo che cosa faceva per vivere. Gli uomini, in particolare, ne risultavano intimiditi qualche volta.
“Lavoro per l’FBI” rispose. “Sono un’agente sul campo.”
Gli occhi di Blaine si spalancarono.
“Davvero?” domandò.
“Ecco, sono in congedo al momento. Sto insegnando all’accademia.”
Blaine si allungò verso di lei con crescente interesse.
“Wow. Sono certo che tu abbia delle grandi storie da raccontare. Mi piacerebbe molto sentirne una.”
Riley scoppiò a ridere un po’ nervosamente. Si chiese se sarebbe mai stata in grado di raccontare a qualcuno, al di fuori del Bureau, alcune delle cose che aveva visto. Sarebbe stato ancora più difficile parlare di alcune delle cose che aveva fatto.
“Non penso proprio” replicò in tono leggermente brusco. Vide Blaine irrigidirsi e si rese conto di aver assunto un tono piuttosto sgarbato.
Blaine chinò il capo e disse: “Mi dispiace. Non intendevo certamente metterti in una situazione scomoda.”
Chiacchierarono per alcuni istanti ancora, ma Riley sapeva che il suo nuovo vicino si stava dimostrando più riservato. Dopo che Blaine l’ebbe salutata educatamente, Riley chiuse la porta dietro di lui e sospirò. Si rese conto che non si era resa avvicinabile. La donna che stava cominciando una nuova vita era ancora la stessa vecchia Riley.
Ma si disse che, al momento, importava poco. L’avere una relazione era l’ultima cosa che le serviva al momento. Alla sua vita occorreva essere seriamente riordinata e stava appena cominciando a fare progressi in tale direzione.
Dopo tutto, però, era stato piacevole trascorrere qualche minuto a chiacchierare con un uomo di bell’aspetto; era un sollievo poter avere finalmente dei vicini, e anche gradevoli.
*
Quando Riley e April si sedettero a tavola per la cena, la ragazza non smise di usare il suo cellulare.
“Smettila di messaggiare, per favore” Riley la riprese. “E’ ora di cena.”
“Tra un minuto mamma” April rispose, continuando a messaggiare.
Riley era solo lievemente irritata dall’atteggiamento di April, tipico adolescenziale. La verità era che, alla fine, aveva un vantaggio. April stava andando benissimo a scuola quest’anno e aveva fatto varie amicizie. Per quello che Riley aveva potuto capire, si trattava di un gruppo di amici di gran lunga migliori di quelli che prima la figlia frequentava. Riley immaginava che April ora si stesse scambiando sms con un ragazzo che le interessava. Finora, comunque, April non l’aveva menzionato.
April smise di messaggiare, quando Gabriela uscì dalla cucina con un vassoio di chiles rellenos. Non appena appoggiò i fumanti ed appetitosi peperoni ripieni sul tavolo della cucina, April si mise a ridacchiare maliziosamente.
“Picante a sufficienza, Gabriela?” chiese.
“Sí” Gabriela rispose, ridacchiando anche lei.
Era uno scherzo ricorrente tra loro tre. Ryan non amava le pietanze troppo piccanti. A dire il vero, non riusciva affatto a mangiarle. Per April e Riley, invece, più il cibo era piccante più saporito era. Gabriela non si tratteneva più, o almeno, non quanto era abituata a fare. Riley dubitava persino se lei o April riuscissero a gestire le ricette guatemalteche originali di Gabriela.
Quando Gabriela terminò di servire il cibo per loro tre, si rivolse a Riley: “Il signore è guapo, no?”
Riley si sentì arrossire. “Bello? Non l’ho notato, Gabriela.”
Gabriela scoppiò in una sonora risata. Si sedette a mangiare con loro e cominciò a canticchiare un motivetto. Riley immaginò che si trattasse di una canzone d’amore guatemalteca. April stette a guardare sua madre.
“Quale signore, mamma?” chiese.
“Oh, il nostro vicino è venuto qui poco fa—”
April interruppe eccitata. “Oh mio Dio! Era il padre di Crystal? Vero, non è così? Non è splendido?”
“E penso che sia single.” Gabriela intervenne.
“OK, basta così!” Riley esclamò con una risata. “Datemi un po’ di spazio per vivere. Non mi serve che voi due mi sistemiate con il tizio della porta accanto.”
Si immersero tutte nei peperoni ripieni, e la cena era quasi finita quando Riley sentì vibrare il cellulare nella sua tasca.
Dannazione, pensò. Non avrei dovuto portarlo con me a tavola.
La vibrazione continuò. Non poteva non rispondere. Da quando era tornata a casa, Brent Meredith le aveva inviato altri due sms, e lei aveva continuato a dirsi che lo avrebbe chiamato più tardi.
Ora, non poteva più tirarsi indietro. Si scusò e si alzò da tavola, per rispondere al telefono.
“Riley, mi dispiace disturbarti in questo modo” il capo disse. “Ma mi serve davvero il tuo aiuto.”
Riley fu stupita nel sentire Meredith chiamarla per nome, era un evento raro. Sebbene si sentisse molto vicina a lui, in genere la chiamava Agente Paige. Normalmente, era un uomo molto professionale, talvolta al punto di sembrare brusco.
“Di che cosa si tratta, signore?” chiese.
Meredith rimase in silenzio per un momento. Riley si domandò il motivo per cui fosse così reticente. Il suo buonumore sparì. Era certa che stesse precisamente per ricevere la notizia che aveva temuto di sentire.
“Riley, intendo chiederti un favore personale” l’uomo disse, sembrando molto meno autoritario del normale. “Mi hanno chiesto di occuparmi di un omicidio a Phoenix.”
Riley ne rimase sorpresa. “Un singolo omicidio?” la donna chiese. “Perché hanno richiesto l’intervento dell’FBI?”
“C’è un mio vecchio amico all’ufficio di competenza di Phoenix” Meredith disse. “Garrett Holbrook. Abbiamo frequentato l’accademia insieme. La vittima è sua sorella Nancy.”
“Mi dispiace tanto” Riley disse. “Ma la polizia locale …”
La voce di Meredith celava una rara nota di supplica.
“Garrett ha davvero bisogno del nostro aiuto. Lei era una prostituta. Era appena scomparsa e, poi, il suo corpo è stato rinvenuto in un lago. Vuole che trattiamo il caso come se si trattasse dell’opera di un serial killer.”