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Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 2

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Fabre d'Olivet (M.), nato nel 1768, si è fatta una riputazione in Parigi per le sue dotte opere in letteratura ed in musica, non avendo avuto altro maestro per l'una e per l'altra, che la natura e se medesimo. Naturâ ducimur ad modos, diceva Quintiliano. Sin dal 1789, egli aveva composto un grandissimo numero di opere drammatiche, e di alcune la poesia e la musica, che ebbero grande incontro: dedicò ancora a M. Pleyel un'opera di quartetti per due flauti, viola e basso. Finalmente, nelle profonde ricerche ch'egli faceva in occasione di avere intrapresa un'opera archeologica, trovò negli avanzi della letteratura greca, o piuttosto credette buonamente di trovare il sistema musicale di quel popolo celebre. Pensò quindi arricchirne il sistema moderno, e ne formò un terzo modo, pubblicandolo nel 1804 sotto nome di modo ellenico, che altro non è in sostanza se non il terzo modo inventato da Blainville, tanto preconizzato da Rousseau, e prezzato poi al suo giusto valore dagli intendenti (V. l'articolo di Blainville nel I tom.). Questa impostura letteraria ebbe la stessa fortuna di quella che la precedette, un effimero applauso fu tutta la sua ricompensa. Nel 1804, M. Fabre fece eseguire al Tempio dai primi artisti del teatro di Parigi un suo Oratorio a grande orchestra, composto quasi interamente su questo modo, che dicesi essere stato inteso con piacere da più di due mila persone: i giornali, coll'usato entusiasmo de' francesi, ne parlarono un momento con vantaggio, e poi si tacquero.

Fabricio (Giov. Alb.), dottore in teologia e professor d'eloquenza in Amburgo, nato a Lipsia da Wernero Fabricio celebre professore di musica nell'anziscorso secolo, è autore di più opere di pratica col titolo di Deliciæ Harmonicæ, in 4º, Lipsia 1657. Giov. Alberto consacrò tutta la sua vita all'utilità del pubblico, e acquistossi un'immortal rinomanza per le sue dotte e profonde opere di erudizione. Nelle sue immense Biblioteche Greca e Latina trovansi delle accurate notizie intorno agli scrittori di musica di queste nazioni, come ancora nella sua Bibliographia antiquaria, Hamburgi 1713, e 1760, 2 edit. vol. 2, in 4º, opere molto utili per la storia letteraria della musica, di cui abbiamo fatto grand'uso. I più belli Genj dell'Europa, di tutte le comunioni, han reso giustizia ai talenti ed alla singolar modestia di questo scrittore, che terminò la sua vita nel 1736 (V. Formey dans son eloge, a Berlin 1757).

Farinelli (Carlo Broschi detto), uno de' più gran cantanti che vi siano stati al mondo, nacque a Napoli nel 1705, da un virtuoso di musica. Una caduta nella sua infanzia l'obbligò alla mutilazione: ebbe delle lezioni da Porpora, che lo accompagnò in molti viaggi. All'età di 17 anni si portò in Roma, ove sul teatro cantò in maniera a sorprendere quel dotto pubblico, che la prima volta lo accompagnò sino alla sua casa in mezzo alle acclamazioni ed agli applausi per testimonio del Burney (Travels, t. 1). Di là si rese a Bologna, per sentirvi Bernacchi, allora il primo cantante dell'Italia e da lui volle prender lezione. Nel 1728, passò in Venezia e quindi in Vienna. Carlo VI, l'onorò delle sue beneficenze, e con la sua perizia nella musica un dì, dopo d'averlo inteso, dissegli che con l'estensione e bellezza di sua voce non faceva che sorprendere; ma che dipendeva da lui di muovere e d'interessare, con dar meno all'arte, ed usar di un canto più naturale. Farinelli profittò del consiglio, ed incantò in appresso i suoi uditori quanto li sorprese. Nel 1734, Porpora, che dirigeva un teatro in Londra, fece venir Farinelli per opporlo a Hendel, che era quivi alla testa di un altro teatro. Il cantante, con la bellezza della sua voce e la magia del suo canto, fè ben presto restar vuoto lo spettacolo di Hendel. Il compositore ostinossi con orgoglio a sostenere una rovinosa impresa, e fece degli inutili sforzi per richiamare il pubblico. Ma tutte le risorse del suo genio bilanciar non poterono l'arte incantatrice di Farinelli. Carpani (Lettr. 9) racconta la seguente avventura. Senesino e Farinelli erano ambidue in Inghilterra, ma impegnato ciascuno a due differenti teatri; cantavano ne' medesimi giorni e non avevano occasione di sentirsi a vicenda. Trovaronsi non dimeno un giorno uniti insieme: Senesino doveva rappresentare un tiranno furioso, Farinelli un eroe sventurato e prigioniero; ma cantando la prima aria raddolcì talmente costui l'indurito cuore di quel feroce tiranno, che Senesino dimenticando il suo carattere, corse a Farinelli e con tutto il cuore abbracciollo. I fondi, ch'egli aveva in quel banco, valutaronsi a cinque mila lire sterline. Il principe di Galles al suo partire di là, gli diè in dono una scatola ornata di diamanti e 100 ghinee. Nel 1737 venne in Francia, cantò in Parigi dinanzi al re, che gli regalò il suo ritratto guernito di diamanti e 500 luigi. Avvengachè non avessero allora i Francesi gusto per la musica italiana, piacque loro tuttavolta questo gran cantante. Dopo una brieve dimora in Francia, portossi egli in Spagna, ove fu benissimo accolto alla corte e trattenuto con la pensione di 40 mila lire. Per il corso di 10 anni, cantò tutte le sere innanzi Filippo V e la regina Elisabetta. Questo principe essendo caduto in una profonda malinconia, che facevagli trascurare tutti gli affari, e giungere il faceva a segno di non volere per noja che se gli facesse la barba, e di non più intervenire al consiglio; la regina tentò per guarirlo il potere della musica. Essa fece disporre secretamente un concerto presso alla camera del re, e Farinelli immantinente cantò una delle sue arie. Filippo parve mosso da prima, ed eccitato al fine chiamò a se quel virtuoso, il colmò di carezze, e gli chiese qual ricompensa voleva, giurando di tutto accordargli. Farinelli pregò il re a farsi la barba e di andare al consiglio. Da quel momento la malattia del re divenne più docile a' rimedj, e il cantante ebbe tutto l'onore della sua guarigione. Questa fu l'origine del favore di Farinelli: divenne primo ministro, ma non obbliò giammai di non essere stato prima che un virtuoso, nè mai i signori della corte ottener poterono da lui, che sedesse alla loro tavola. Un giorno nell'andar ch'ei faceva all'appartamento del monarca ove aveva dritto di entrar quando volesse, udì che l'ufficiale di guardia diceva ad un altro che aspettava l'alzarsi del re: Gli onori piovono sopra un miserabile istrione, ed io, che servo da trent'anni, sono quì senza ricompensa. Farinelli lagnossi col re di trascurar quei che lo servivano, e fecegli tosto segnare un diploma, che al sortire consegnò all'uffiziale, dicendogli: Poco fa vi ho inteso dire, che avete servito dopo 30 anni; ma avete falsamente detto senza ricompensa. Egli generalmente non usò del suo favore, che per far del bene, e quindi la protezione di cui l'onorarono successivamente tre monarchi della Spagna, Filippo V, Ferdinando VI e Carlo III. Quando quest'ultimo gli assicurò la continuazione delle pensioni di cui aveva sino allora goduto, Tanto più volentieri il faccio; egli soggiunse, quanto Farinelli non ha mai abusato della benevolenza e della munificenza de' miei predecessori. Dopo di aver goduto per 20 anni di tutti gli onori nella Spagna, Farinelli fu obbligato nel 1761, a far ritorno in Italia. Scelse Bologna per sua dimora, e ad una lega di questa città fecesi fabbricare una casa di campagna, ove il dottor Burney andò a vederlo in compagnia del P. Martini nel 1770. Questo virtuoso possedeva un gran numero di cembali fatti in diversi paesi, a' quali aveva dato i nomi de' principali pittori italiani. Egli fu che impegnò il P. Martini a scrivere la Storia della musica, che questo dotto religioso non giunse a terminare. Il Martini per questa grande impresa non avendo una sufficiente biblioteca, Farinelli lo sovvenne colle sue ricchezze, e 'l pose in istato di formare la più considerevole biblioteca musicale che si fosse vista in Europa. Questo celebre artista passò così nel ritiro il resto de' suoi giorni, occupato di letteratura e di musica e morì li dì 15 settembre 1782, in età di 80 anni. Martinelli, nelle sue lettere familiari e critiche così si esprime intorno al Farinelli: “Questo cantante aveva più di sette o otto tuoni egualmente sonori, e chiari del tutto e piacevoli, che le voci ordinarie, possedendo d'altronde tutta la scienza musicale in un grado eminente, e tale quale poteva sperarsi dal più degno scolare del dotto Porpora.”

Farinelli, uno de' più recenti e bravi compositori per teatro, stabilito attualmente in Venezia. Nel Magazzino di musica di Giovanni Ricordi in Milano trovansi di costui impresse le seguenti opere: I Riti d'Efeso, dramma serio. La Locandiera; l'Amor sincero; l'Indolente; la finta Sposa; l'arrivo inaspettato; Bandiera d'ogni vento; il Colpevole salvato dalla colpa, opere buffe, ed alcune farse come: il finto sordo, la Pamela maritata; Teresa e Claudio; l'amico dell'uomo; sei cento mille franchi; un effetto naturale; l'Annetta; Odoardo e Carlotta.

Fayolle (Franc. Gius. M.), nato in Parigi nel 1774, fece i suoi studj nel collegio di Juilly. Per il corso di tre anni consacrossi interamente allo studio della mattematica sublime sotto Prony, Lagrange e Monge, e divenne capo di brigata alla scuola Politecnica dall'epoca di sua formazione. Sin dal 1799, aveva egli formata l'idea della compilazione del Dizionario Storico di musica, e raccolti numerosi materiali; sulla fine del 1809, ne parlò a M. Choron che avevane fatto lo stesso progetto, e convennero tra loro di far insieme quest'opera, ma una gravissima malattia sopraggiunta a M. Choron ne lasciò tutto il peso a M. Fayolle. Noi non staremo quì a ripetere ciò che abbastanza abbiam detto di questo Dizionario nel Discorso preliminare alla pag. LV. Egli dice di se stesso, che un gusto predominante lo ha tirato sempre alla musica, che studiò l'armonia sotto M. Perne, uno de' più bravi maestri: che possiede una preziosa biblioteca musicale, sì per la teoria, come per la pratica: che ha raccolto un gran numero di ritratti di musici, e ch'egli stesso molti ne ha fatti incidere su i disegni originali: che possiede inoltre degli eccellenti instromenti, fra' quali un piano-forte verticale, il primo costruito da M. Pfeiffer: ed una viola di Andrea Amati, che il celebre Pleyel ebbe la bontà di cedergli. Dal 1805 sino al 1809, egli ha pubblicato una collezione intitolata: Les quatre Saisons du Parnasse, che forma il numero di 16 vol. in 12º, e dove ha inseriti molti articoli sulla musica, e delle notizie intorno a più musici. Nel 1810, diè al pubblico: Notices sur Corelli, Tartini, Graviniés, Pugnani et Viotti, coi loro ritratti, che forma il primo volume della storia del violino, ch'egli promette di continuare.

 

Federici (Vincenzo), membro del R. conservatorio di Milano, e celebre in Italia per molte opere serie da lui poste in musica, che han meritato il più gran successo. Il suo stile ha molta grazia, ed espressione, ricco di nuove e brillanti modulazioni, e tutti i teatri d'Italia e d'oltramonti risuonano delle sue bellezze musicali. Nel 1802, scrisse per il teatro di Palermo la Zaira, Oratorio, la di cui eccellente musica è stata molto applaudita e replicata sempre con piacere in più parti dell'Italia. Nel 1790, egli scrisse l'Olimpiade, e nel 1803, Castore e Polluce in Milano, dramma ch'era stato posto prima in musica da' bravi maestri Sarti in Pietroburgo, e Bianchi in Firenze; Federici sorpassò ambidue. Egli ha scritto in oltre l'Idomeneo, e Oreste in Tauride, che trovansi impressi nel Magazzino del Sig. Ricordi in Milano.

Fedi (Giuseppe), celebre maestro della scuola romana per il canto, fioriva sul finire del secolo 17º. Egli era unito in istretta amicizia coll'illustre Amadori, comunicavansi a vicenda i loro sentimenti per la riforma dell'arte, ed esponevano le loro osservazioni al comune giudizio; da tale pratica ritraeva ciascuno degli abbondanti lumi per emendare i suoi proprj difetti, migliorare il piano di educazion musicale, e promuovere gli avanzamenti della musica. (V. t. 1, p. 27).

Fell (Giov.), dottore e professor di teologia, è morto vescovo di Oxford nell'anno 1686. Egli è autore di molte dotte opere, noi non parleremo che di quelle relative alla musica. All'edizione ch'egli diè nel 1672 delle opere di Arato, aggiunse Hymnum ad Musam et in Apollinem et in Nemesim con le antiche note di musica, e vi unì ancora Diatribe de musicâ antiquâ græcâ, con un esempio della musica antica sopra un frammento di Pindaro, ch'egli aveva scoperto nella biblioteca del S. Salvatore di Messina. Kircher l'ha inserita nella sua Musurgia, ma questa greca musica tradotta alla moderna nota non è che una vana lusinga, ed una erudita impostura (V. Fabric. Bibl. Gr. t. 2).

Feo (Francesco), napoletano compositore celebre a' suoi tempi per il teatro e per la chiesa, viveva in Napoli circa al 1740, e vi fondò una scuola di canto, che molto accrebbe la fama che si era acquistata come compositore, e dove formaronsi degli allievi che furono ammirati in Europa quai prodigi di melodia. Restano di lui più messe e salmi che il mostrano profondo nella teoria e pratica del contrappunto, e molti drammi come l'Arianna nel 1728, ed Arsace nel 1741. Il cel. Gluck se ne valse per il principio della sinfonia nella sua Ifigenia.

Ferecrate, cel. poeta-musico, autore di molte commedie, fiorì cinque secoli innanzi l'era cristiana. Nicomaco (Harmon l. 2), e Plutarco (Dial. de music.) fanno menzione della di lui commedia il Chirone, nella quale l'A. mostrando il suo zelo per la musica de' più antichi greci scagliossi contro i musici e suonatori del suo tempo, per aver essi accresciuti di troppe corde gli stromenti armonici. Introdusse perciò in iscena personificata la musica, legata con molte corde; e malacconcia dalle percosse, che richiesta dal coro, chi mai posta l'avesse in quel deplorabile stato, risponde che gli autori de' suoi mali erano Melanippide, Cinesia, Frinide e Timoteo, dei quali si sa aver eglino accresciuto il numero delle corde e de' suoni negl'instromenti a' suoi tempi. Io credo che Ferecrate avesse voluto piuttosto far la satira del carattere di alcuni, di cui abbonda ogni secolo, e che descrive Orazio, difficilis, querulus, laudator temporis acti se puero, censor castigatorque minorum. Dispettosi e di cattivo umore contro i viventi che promuovono i progressi dell'arti, divengono i panegiristi del rancidume dei trasandati secoli.

Ferlendis (Giuseppe), figlio di un violinista, nato in Bergamo nel 1755, mostrò dalla giovinezza, un genio straordinario per l'oboè. In età di 20 anni, chiamato alla corte di Salisburgo come primo oboè, ed invitato dallo stesso sovrano ad osservare un gabinetto d'instromenti da fiato, ebbe occasione d'incontrarvi uno stromento di bosso di un'estrema grandezza, della forma d'una trombetta, e che imitava al più presso la voce umana, benchè d'una maniera un pò oscura; egli consisteva in molti pezzi che attaccavansi l'un l'altro. Ferlendis il perfezionò molto, e rendendolo più facile a sonarsi, ne formò il suono assai più piacevole; diegli il nome di Corno-Inglese, perchè così veniva chiamato lo stromento che glie ne diede la prima idea. Egli dimorò due anni a Salisburgo, quindi passò in Venezia, al servigio della Repubblica. Nel 1793 fu chiamato in Londra, ma trovasi ora in Lisbona, applaudito da tutti i professori della buona musica, mentrecchè i suoi Quartetti, trio, duo, e concerti sono in gran pregio presso tutti coloro, che hanno del gusto per gl'instromenti da fiato, di cui i professori sono molto rari in ogni paese. Egli ha formati de' buoni allievi, tra' quali sommamente si distinguono due suoi figli, Angelo nato in Brescia nel 1781 ed ora a Pietroburgo, ove è pregiatissimo per l'oboè ed il corno-inglese, e pel suo brillante genio nella composizione. Alessandro è il minore nato in Venezia nel 1783 che si è fatto ammirare in Lisbona, in Madrid e nell'Italia. Dal 1805, egli dimora in Parigi, ove si ha meritati i più grandi elogj del pubblico per la sua bella esecuzione in quelli due stromenti sul teatro, e ne' concerti: ha composto inoltre uno Studio per l'oboè, ed altre produzioni date da costui alla luce dinotano il più distinto merito.

Ferlendis (la Signora), Romana, figlia del cavaliere Giuseppe Barberi, architetto che farà sempre l'onore della sua arte, e morto di recente, moglie di Alessandro Ferlendis di cui poco fa si è parlato. Dalle circostanze de' tempi gettata, per così dire, nella carriera teatrale, e costretta a profittar dei talenti, che una ben accurata educazione avevale dati per suo piacere, cominciò essa in Lisbona, ove pel suo stile di cantare melodioso e gratissimo, e per la sua bella voce di contralto formò le delizie del pubblico. Il maestro Moscheri e Crescintini scorgendo che trar si poteva ottimo partito dalle sue disposizioni le diedero delle lezioni, e vollero ben perfezionarla. Nel 1803, essa cantò sul teatro di Madrid, e i più gran signori del regno fecero sommi elogj al suo talento. Milano ebbe il piacere di possederla nel 1804, nè è possibile lo spiegar l'entusiasmo ch'ella eccitò nell'opera del Biettolino, comechè la musica ne fosse assai mediocre. Nel 1805, cantò in Parigi, e diè principio dalla Capricciosa pentita del celebre Fioravanti, riportando gli applausi della capitale: lo stesso buon successo ha avuto in Olanda, e da per tutto ella fa distinguersi per la scienza profonda e per il metodo giudizioso del suo canto.

Ferradini (Antonio), di Napoli, faticava con ugual successo per la chiesa e per il teatro. Egli visse in Praga pel corso di 30 anni, e vi compose uno Stabat mater, che fu eseguito per la prima volta nel 1780, e l'anno d'appresso nella chiesa di S. Croce di quella città. Quest'opera vien generalmente riguardata come un capo d'opera inimitabile. Egli non ebbe la sorte di sentirne l'esecuzione, essendo morto nel 1779, all'ospedale italiano nell'estrema miseria, forse perchè in quel paese, come nella più parte del mondo, virtus laudatur et alget.

Ferrari (Domenico) viveva in Cremona nel 1740. Dopo di avere studiato il violino sotto il gran Tartini, seppe formarsi uno stile suo proprio, e si distinse per l'impiego de' suoni armonici e dei passaggi all'ottava. Nel 1758, entrò nella cappella del duca di Wurtemberg, a Stuttgart. In Parigi sorprese la sua maniera, che fu riguardata come inimitabile, egli vi fu assassinato l'anno 1780, nel suo tragitto in Inghilterra. In Londra e in Parigi sono state impresse di lui sei opere di sonate pel violino di moltissimo pregio. Martinelli (Lettere famil.) rapporta, che Ferrari volendo un dì farsi sentire da Geminiani, di cui cercava il sentimento, costui, dopo di averlo inteso, contentossi di dirgli: Voi siete un grande instromentista, ma la vostra musica non isveglia in me verun sentimento.

Ferri (Baldassare) da Perugia, di cui Rousseau parla con tanta lode all'articolo voix e rapporta il singolar talento di salire e discendere due ottave per tutti i gradi cromatici, con un continuo trillo, e senza prender fiato, conservando una giustezza così perfetta, che non essendo da prima accompagnato dall'orchestra, a qualunque nota che gl'instromenti lo raggiungessero, trovavansi seco di accordo. Egli studiò in Napoli e a Roma, e morì assai giovine. “Non inferiore al suo merito era il favore del pubblico per esso lui. Alle volte nembi di rose piovevano sulla sua carrozza, quand'egli sortiva dopo aver recitato. A Firenze dov'era stato chiamato, uscì lungi per ben tre miglia della città numeroso stuolo di dame e di cavalieri a riceverlo, come potrebbe farsi nell'ingresso d'un Principe. Recitando in Londra una volta il personaggio di Zeffiro, gli fu presentato al sortire da una maschera incognita uno smeraldo di gran valore. Si conservano tuttora varie raccolte di poesie, produzioni dell'entusiasmo, che ovunque eccitava quel sorprendente cantore.” (V. Arteaga tom. 2, p. 38).

Ferro (Cavaliere di), della città di Trapani in Sicilia, nobile e letterato si occupa di buoni studj, e fa parte al pubblico de' suoi lumi. Egli diè alla luce: Dissertazioni delle Belle-Arti, Palermo 1808, 2 vol. in 4º picc., alla fine del 3º discorso parla con molta sensatezza della Musica, sugli effetti della medesima, della musica di teatro, di chiesa, e degli abusi introdotti per l'ignoranza de' maestri, ec.

Festa (la Signora) di Napoli, studiò gli elementi del canto sotto Aprile, e quindi ne apprese la buona scuola dal celebre Pacchiarotti. Essa ha cantato su i primi teatri d'Italia, e nel 1809, in qualità di prima donna sul teatro dell'Opera buffa in Parigi, ed ha ovunque ottenuto molto successo. M. Barni le ha dedicato un suo duetto.

Fetis (Franc. Gius.), nato a Mons nel 1784, ebbe per primo maestro suo padre, ch'era quivi organista. Nel 1801 entrò nel conservatorio di musica in Parigi, nella classe d'armonia di M. Rey. Egli ha fatto delle immense ricerche sulla storia e la bibliografia della musica, e promette di dare al pubblico un compiuto trattato Sur les effets de l'orchestre, che può esser utile ai giovani compositori.

Fèvre (il P. Franc. Ant.), Gesuita francese, pubblicò nel 1704, a Rouen un poema intitolato: Musica, Carmen in 12º, di cui elegante ne è lo stile, e piacevole la versificazione; ma non vi si rileva che picciolissimo numero di precetti generali, ed infinite finzioni mitologiche (V. Giorn. Lett. 1780). Egli morì in Parigi nel 1737.

Fèvre (Tannegui le), letterato assai celebre sulla fine del secolo 17º e padre della celebre Mad. Dacier, raccolse con altrettanta cura che fatica un infinito numero di passaggi degli antichi concernenti le loro Tibie sul disegno di illustrare quest'articolo di erudizione, ma sentendo ben presto di avere progettata un'impresa superiore alle forze della sua estesa letteratura, finì con iscriver dei versi contro alle tibie, e gettò al fuoco il suo travaglio (V. Mem. de l'Acad. de Berlin, t. 30).

Feyoo (D. Bened. Geronimo), Spagnuolo, generale dell'ordine di San Benedetto, morto nel 1765; mercè de' suoi scritti critici egli ha contribuito a rischiarare i suoi compatriotti su i loro difetti. Abbiamo di lui il Teatro critico in 14 vol. in 4º, dove molto si ragiona della Musica in generale, e di quella della chiesa: alcuni capitoli leggonsi con piacere, ma alcune riflessioni dell'A., ch'erano sembrate nuove e piccanti in Spagna si sono trovate vecchie e comuni in Italia e ne' paesi culti. Eximeno lo cita nella sua opera. In un paese di superstizione, come è la Spagna, se gli fece un delitto di aver lodati Bacone, Newton e Cartesio, ma i veri dotti suoi nazionali ne presero la difesa. Gerbert dice di aver egli scritta un'opera a parte, intitolata: Musica delle chiese (V. Histor. Ab. Gerb.).

 

Feytou (l'Abbate), nel 1788 annunziò egli un corso di musica ed espone un nuovo sistema di teoria, il quale è a suo credere quello della natura, e lo stesso che Pittagora aveva o inventato o raccolto ne' suoi viaggi in Asia e trasmesso a' Greci sotto emblemi e simboliche espressioni, che ne concentrarono la teoria esclusivamente nella sua scuola. M. Feytou pretende di avere sviluppato il sistema musicale de' Greci, e di averne applicate le conseguenze, così da presso quanto gli era possibile, al nostro moderno sistema. I compilatori della nuova Enciclopedia metodica nella parte della musica lo avevano associato a' loro travagli, ed egli somministrò loro molti articoli, che ivi riscontrar si possono, finchè alcuni motivi d'interesse obbligarono l'abb. Feytou a ritirarsi nella sua provincia. Tra gli altri difetti del di lui sistema vi ha quello di sostituire alla scala moderna, quella che risulta dalle divisioni del monocordo cominciando dalla sua ottava. Questa scala, dice con molto fondamento M. Raymond, che sarebbe dunque la prima base materiale di tutto il sistema musicale, e che dovrebbe essere allora il canto più familiare e più semplice, questa scala è dedotta da una serie di armonici, che in niun patto sono percettibili all'orecchio nella risonanza pura e semplice del suono fondamentale, e che non può discovrirsi se non per via d'artifizj stranieri alle cause ordinarie delle nostre sensazioni. Il che è lo stesso che cercar troppo da lontano e con troppo sforzo, gli elementi primitivi d'un'Arte, di cui la natura ha posto il linguaggio nella bocca d'ogni esser sensibile. Io credo che l'eccesso della scienza non è adatto che ad oscurare la teoria delle arti; il sentimento mi parrebbe miglior guida, e con più sicurezza mi fiderei delle sue decisioni. (Lettre a M. Villoteau).

Fillio di Delo, scrisse al riferir d'Ateneo (Lib. XIV) un libro intitolato De' sonatori di tibie, ed alcuni trattati sulla musica, nel secondo de' quali sostiene che lo strumento Magade sia diverso dal Plectide: ma niuno di questi è giunto sino a noi.

Filodemo, scrittore greco, viveva in Roma a' tempi di Cicerone, che ci ha dipinto il suo carattere nella sua arringa contro Pisone: egli vi dà a divedere la sua gran stima e il rispetto pei rari talenti e le amabili qualità di Filodemo, cui dinota sotto il titolo di filosofo della setta di Epicuro, di poeta grazioso e pregevole, e d'uomo fornito di urbanità e pulitezza. Tra i greci manoscritti trovati nell'Ercolano, se ne sono distinti quattro che contengono le produzioni di questo Poeta-filosofo. Tratta il primo della filosofia d'Epicuro; il 2º è un'opera di morale; il 3º un libro di rettorica, e 'l 4º è un Poema, ovvero una Satira sul torto che la musica ha fatto a' costumi. Mr. de Lalande ne' suoi viaggi lo chiama falsamente un poema sulla musica. Burney lo smentisce, e crede di non esser una satira contro quest'arte; eglino non l'avevan letto nè l'uno, nè l'altro. Quest'opera è stata finalmente pubblicata in Napoli nel 1793, sotto questo titolo: Herculanensium voluminum, quæ supersunt, tomus primus, in fol., e questo per disavventura è il solo volume che sia comparso sinora delle opere scoperte nelle rovine d'Ercolano. Nel Poema di Filodemo si trova una confutazione del sistema di Aristosseno.

Filolao, condiscepolo di Platone nella scuola di Archita, benchè di lui più anziano e maggiore di età, lasciata appena la sua classe, pubblicò un'opera di musica (la seconda vedutasi presso i Greci), che lo rese celebre nella sua nazione. Egli fu il primo calcolatore de' semituoni maggiori e minori, non essendosi fin allora i musici serviti d'altri che d'una specie o d'una sola misura proporzionale per farli. Filolao vedendo il plauso, con cui era stata ricevuta la serie armonica del suo maestro, si risolse a sistemarla. Ma succedette a Filolao quello, che frequentemente accade a certi autori, i quali secondano le novità, e sono applauditi nel momento, in cui pubblicano le loro opere, e poi sono posti in dimenticanza. Il dotto Requeno provò nello stromento la serie di Filolao, e l'ha ridotta ad espressione numerica secondo le notizie lasciateci da Boezio, come può vedersi nel tomo 1 de' Saggi p. 190, e nel 2 alla p. 226 e segu. Questo musico-filosofo fiorì quattro secoli prima dell'era cristiana.

Filone ebreo, nato in Alessandria verso l'anno 30 innanzi l'era volgare, di nobile e ricchissima famiglia, diessi di buon'ora allo studio di tutte le scienze quivi moltissimo coltivate, e come dice egli stesso (L. de Congres. quær. erudit. grat.) anche della musica. In più luoghi in fatti de' suoi libri egli ne tratta, ma alla maniera de' Platonici Alessandrini, di cui ne seguiva la scuola, cioè per via d'emblemi, di allegorie e di numeri. Io ho estratti dalle sue opere della superba edizione inglese di Mangey tutti i passaggi sulla musica, de' quali potrebbe formarsi un curioso trattato sullo stato di questa scienza e di quest'arte di quei tempi in Alessandria.

Filosseno, nella presa della sua patria da' Lacedemoni cadde in ischiavitù, ma il suo merito come poeta e musico, e 'l suo naturale allegro e pieno di facezie, secondo Pausania (Lib. 6.), gli seppe guadagnar destramente l'animo di alcune persone principali, che gli procurarono la libertà e lo fecero passare a Siracusa, ove pel suo spirito e per l'abilità mostrata ne' suoi canti giunse all'onore di esser confidente del re e suo commensale. Un dì, essendo a tavola col re e con altri signori del primo rango, osservò, che al monarca erasi presentata una grossa trotta, e ch'egli, come gli altri convitati, erano serviti di una più piccola. Filosseno chinando il capo verso il piatto, incominciò a parlare fra' denti alla testa del piccolo pesce, e lo avvicinava di tratto in tratto all'orecchio come per sentirne la risposta. A tali stravaganti atteggiamenti il re gliene richiese la ragione; Sire, rispose egli, siccome sto lavorando un canto sopra le Nereidi, chiedeva a questo piccol pesce qualche nuova di queste signore: – Vi ha dato egli qualche notizia? – Questa mia trotta mi ha detto, ch'è troppo giovane, e consulti perciò quella del re, che essendo stata più anni in mare saprà darmi di lor maggior contezza. Risero tutti e 'l re gliela cedette in premio di aver divertito così la brigata. Ma Dionisio il giovane che piccavasi di poesia, lo fe' rinchiudere in una spelonca, per non aver Filosseno voluto approvare una di lui tragedia: a dispetto della sua disgrazia non tralasciò egli di esercitarsi nella Poesia e nella Musica. Compose allora una commedia il Ciclope amante di Galatea e la mise in note, nella quale intese così di schernire il tiranno (Ælian. Val. L. 12.). Antifane lo chiama peritissimo nella musica (ap. Athen. l. 14); ma Plutarco lo biasima come ardito in quest'arte e bramoso di novità (De Music. Dial.). Non bisogna confondere questo Filosseno con altro dello stesso nome più antico musico e scolare di Melanippe, come ha fatto il P. Martini (Stor. t. 3. p. 397). M. Fayolle, come della più parte de' Greci Musici, così di costui, seguendo il suo uso, non fa menzione.

Finaroli (Fedele), nato in Napoli verso il 1734, studiò in uno di que' conservatorj la musica sotto Durante, e fu quindi sino alla morte il primo maestro di quello della Pietà, dove per il suo zelo e la semplicità del suo metodo formò un'infinità di eccellenti discepoli; tra' quali a fargli onore basterebbe il solo Zingarelli. Pubblicò in Napoli un'opera col titolo: Regole per li principianti da cembalo, che contiene le regole principali di accompagnamento, a cui fa egli seguire un'eccellente raccolta di partimenti, o lezioni numerate di basso, assai ben fatte che vanno, per gradi, e par che sia la miglior cosa che v'abbia per imparare l'accompagnamento. Mr. Choron ha adottata e ritoccata in Francia questa operetta, con farvi alcune addizioni nei principj, ch'erano un pò secchi, e con iscegliere i partimenti di più importanza, ne ha formati il suo libro Principes d'harmonie et d'accompagnement à l'usage des jeunes élèves. Finaroli morì in Napoli verso l'anno 1812.