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La plebe, parte IV

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CAPITOLO XXVIII

Virginia aveva detto il vero. Spettacolo da schiantar l'anima era vedere la povera Maria, dopo la sera fatale dell'arresto di Gian-Luigi, quella che esser doveva per lei la sera lietissima de' suoi sponsali. Chi avrebbe ancora riconosciuta in essa la vispa, allegra, spensierata fanciulla che abbiamo presentata al lettore nel secondo capitolo della seconda parte? I pochi giorni che erano trascorsi dal momento in cui ella aveva gittato quel suo grido di spasimo all'udire nominare il suo diletto, ladro ed assassino, avevano tratta via dalle sembianze, dalla persona, dal cuore della infelice ogni traccia di giovinezza, distruttane ogni letizia, uccisa ogni speranza. La era diventata pallida come una vittima della clorosi, magra come una malata d'etisia nell'ultimo stadio; gli occhi infossati nelle livide occhiaie avevano le palpebre rosse per le cocenti lagrime, per le veglie delle notti non più visitate dal sonno, e come tormentose! i muscoli delle guancie cascavano inerti dando alla fisionomia un'espressione di abbandono disperato che si poteva dire morte dell'anima; cascavano gli angoli della bocca da cui era sparito il color abituale di carminio, cascavano tutte le membra, come dinoccolate, come prive della forza interiore che le reggesse; avevano, la faccia sgomenta, e le pupille velate ed atone, e la mossa, quell'apparenza di stupidità penosa a vedersi che dà un solo, incessante, tormentoso pensiero onde sia punta la mente. La non parlava quasi mai, non si lamentava, in presenza degli altri si guardava bene dal piangere, non sospirava neppure: alle richieste che le si facessero, alle parole con cui si tentava scuoterla da quel mortale letargo rispondeva con pochi tronchi accenti, pronunciati a voce bassa, con paziente mitezza, il più spesso con soli monosillabi, o con cenni del capo. Alla capitata disgrazia non faceva mai neppure la menoma allusione; e siccome ogni altro guardavasi bene eziandio di toccar quel tasto, l'argomento di cui si parlasse meno, di cui non si parlasse mai in quella famiglia, era quello appunto che era sempre fisso nella mente di tutti.

Maria veniva chetamente a sedersi presso al letto di suo fratello ancora giacente, e stava lì senza guardarlo, l'occhio piantato sopra un rosone del tappeto: prendeva un suo lavoro tra mano e per un poco faceva andare in fretta la destra a trarre i punti, ma ad un tratto, come se ci avesse trovato un intoppo, l'ago si fermava nella stoffa, la cruna appoggiata all'anello da cucire diventato immobile, il filo aggrovigliato fra le pieghe del panno.

– Maria! le diceva allora dolcemente Francesco.

Ella si riscuoteva in sussulto.

– Che?

E il fratello fingeva aver bisogno d'un piccolo servizio, desiderava alcuna cosa, tanto per levarla un istante da quella meditazione che le consumava l'anima. Talvolta Francesco le prendeva una mano glie la serrava con muto affetto; ella non corrispondeva a quella stretta, vi si prestava per un poco, poi pianamente se ne liberava ed allontanavasi. Tutta la famiglia la circondava d'una compassione vigilante, sempre in sull'avviso, piena di silenziosa tenerezza e di cure: cercavano di rimuoverne dall'intorno le spine che potevano pungere ancora quel cuore trafitto, gli urti che potevano ferire quell'anima indolorita: ma aimè! la piaga era interna ed irrimediabile, e tutti si sentivano feriti in lei, in quella parte di loro che avevan sì cara. Ella, quelle cure, quelle amorevolezze tollerava, il più delle volte pareva non accorgersene, raro ne ringraziava con un sorriso che era dolorosissimo a mirarsi, più raro ancora alcuna mostra le sfuggiva d'impazienza e d'irritazione.

Ad ogni volta che rientrasse nella sua camera scoppiava in singhiozzi ed in lagrime: talora, sentendo presso a traboccar la piena dello spasimo che le si gonfiava nel petto, fuggiva alla sua stanza, si buttava traverso il letto e soffocava i suoi gemiti nelle coltri che mordeva e bagnava di pianto.

Appena saputa la dolorosa catastrofe, Virginia di Castelletto aveva mandato alla sua antica compagna Maria l'espressione del suo cordoglio, il conforto della sua simpatia, in un biglietto quale la squisitezza del suo sentire e la sua forbitezza di maniere erano capaci di concepire e di scrivere; poscia aveva tutti i giorni mandato per le notizie, e finalmente, quel dì in cui Maurilio le doveva aprire in parte l'anima sua ed il pensiero, era venuta ella medesima a vedere di persona la sconsolata fanciulla.

Maria ad udire annunciata la nobil donzella, fece un atto di contrarietà. Ella s'era avvezza a stare fronte a fronte col suo dolore, a sentirsene rodere l'intimo essere, e glie ne piaceva così, e dispettava ciò che venisse, non dico ad interrompere, ma a disturbare quel suo supplizio. La madre di lei invece, che accoglieva come una ventura tutto quello che in alcun modo facesse sperare di poter distrarre la sua figliuola, fu sollecita a levarsi, e disse:

– Passa in sala, Maria; io vado ad incontrare la signora contessina, e te la conduco.

E sparì dietro la portiera dell'uscio, verso l'anticamera.

Maria, che sedeva al suo solito luogo presso il letto di Francesco, depose lentamente, con aria svogliata e quasi uggiosa, il suo lavoro; ma in quella il suo mesto sguardo incontrò il volto di suo fratello che all'udir quel nome s'era lievemente colorito.

– La saluterò per te, diss'ella facendo quel suo desolato sorriso: e s'avviò lentamente verso la sala.

– Ah! Dio la rimeriti della sua carità! aveva esclamato la signora Teresa correndo incontro a Virginia e pigliandole una mano che volle baciare. Possa la sua vista, possano le sue parole recare un po' di bene alla mia povera figliuola, che ne ha tanto, tanto bisogno.

Virginia con molto garbo, stringendo le mani della donna, impedì che le venisse baciata la destra; e in risposta disse con quella sua voce che si sarebbe detta il suono d'un'arpa d'oro:

– A prezzo di qualunque mio dolore vorrei darle conforto. Povera Maria! Come sostiene essa la sua sventura?

La madre, alla quale il sol parlare di Maria aveva chiamato agli occhi le lagrime, ora scoppiò in singhiozzi ed in pianto.

– Oimè! Oimè! esclamò ella: Maria se ne muore.

Virginia strinse forte le mani della signora Teresa che ancora teneva fra le sue.

– Coraggio! disse con un accento di pietà e di affetto che era una soave carezza. Non bisogna disperare. È venuto per la sua famiglia un tempo di prove; ma tornerà di poi certamente quello della felicità.

Teresa si rasciugò in fretta in fretta gli occhi, e soggiunse:

– La venga avanti, contessina, la favorisca qui, la prego.

E la trasse nella stanza di ricevimento.

Maria era già colà, venutavi dalla camera di Francesco. Stava in piedi presso al camino, sorreggendosi con una mano alla spalliera d'un seggiolone, nella mossa d'una prefica o d'una statua del Dolore sopra una tomba. Virginia fu quasi spaventata dall'abbandono desolato di quel contegno, dalla pallidezza mortale di quell'aspetto, dalla disperazione rassegnata dello sguardo semispento, del doloroso sorriso. Si avanzò rattamente verso di lei, ed esclamò con voce impressa d'immenso affetto:

– Maria!

Non era che una parola; ma in essa l'intonazione, l'accento, la vibrazione del suono ponevano un'infinità di cose: pietà, amore, offerta di sè, benevolenza generosa spinta fino all'entusiasmo.

Maria sentì coll'anima delicata tutte queste cose contenute in un sol motto, e ne fu tocca un istante; sollevò da terra i suoi occhi velati e li affisò fugacemente in volto alla donzella, che le si avvicinava, si staccò dalla poltrona a cui s'appoggiava e fece un passo verso Virginia, tendendole, con atto che pareva pieno di lassitudine, la mano.

– Questa è un'opera di carità ch'Ella fa, madamigella, venendo qui: disse Maria con voce debole, fiacca, quasi direi senza vita, onde molto si accrebbero la commozione e la pena di Virginia.

– Ho obbedito all'impulso del mio cuore: disse questa prendendo la mano di Maria, e mettendo nella voce tutta la dolcezza dell'anima sua. Sono venuta a rivendicare un diritto che pretendo di avere: il diritto dell'amicizia, e spero che Ella… che tu non me lo vorrai negare.

Il modo con cui s'era interrotta ed aveva ripreso, con cui aveva pronunziata quella dolce parola tu, era pieno di grazia infinita, di tenerezza ineffabile, attalchè a Maria se ne inumidirono gli occhi.

Virginia si volse e fece un legger cenno alla signora Teresa, la quale, commossa, stringeva le mani e levava lo sguardo al cielo, nella speranza che la venuta di quell'angelo in forma di donna recasse pur finalmente alcun conforto alla sua Maria. La buona madre comprese di botto la mesta preghiera della donzella, e s'affrettò a partirsi chetamente.

Per quella mano ch'essa teneva tuttavia, la contessina trasse a sè la sorella di Francesco, e se ne fece appoggiare al seno il capo doloroso.

– Povera Maria! diss'ella, baciandole con calde labbra la gelida fronte. Vuoi tu considerarmi come una tua sorella?

La disgraziata fanciulla, vinta da quell'affettuosa violenza di tenerezza, gettò le braccia al collo della contessina, e prorompendo in lagrime, pianse per un poco, senza poter dire pure una parola. Virginia la strinse amorosamente fra le sue braccia, le fece quei dolci atti, le susurrò quelle dolci parole, le prodigò quelle dolci carezze che usa una madre ad acquetare i pianti del suo bambino; poi, quando si calmò quello sfogo che fu in sostanza benefico all'animo oppresso della sventurata, ella ricercò sulle labbra di Maria un bacio che fu da tuttedue le parti pieno d'espansione e d'affetto; e così in quell'amplesso fu consecrata, come dire, la loro nuova fraternità.

– Ah madamigella!.. cominciò quindi Maria, rasciugandosi gli occhi: ma Virginia, lesta ad interromperla:

– Chiamami Virginia, com'io te chiamo Maria. Mi hai accettata per sorella: trattami come tale, e concedimi i privilegi di sorella… E il primo sarà quello di sgridarti. Il tuo aspetto mi dice che tu hai mancato di forza d'animo, che tu non hai neppure tentato opporre la menoma resistenza al dolore.

 

Maria scosse lievemente il capo.

– No, disse: gli ho aperto tutto il mio cuore; ne sentii con fiera voluttà l'invasione. – Ah! vorrei che esso fosse ancora maggiore e mi distruggesse più presto.

– Questa è una colpa! esclamò Virginia con una specie di severità, in cui però non era sminuito l'accento dell'amorevolezza. Sei tu sola nel mondo? Non hai legami di famiglia che ti avvincono? Non hai doveri che ti obbligano?

La sventurata levò le spalle coll'ingenuo egoismo del dolore.

– Non sento più nulla che la mia sciagura; disse francamente; poi, come volendo addurre una scusa, soggiunse: Francesco è oramai guarito e presto non avrà più bisogno di me… E poi egli ha in cuore altro affetto che deve occuparlo, che deve farlo felice più che non possa il mio…

Virginia arrossì leggermente e chinò gli occhi.

– Mio padre è uomo forte e robusto, che sa lottare contro il dolore, come contro il destino, e vincerli…

– E tua madre? domandò con forza la contessina, stringendo le mani di Maria.

– Mia madre ama più suo figlio di me…

– Ah Maria, tu se' ingiusta…

Questo grido di Virginia richiamò in sè la sviata mente della disperata giovane.

– È vero, è vero: esclamò con voce di profondo pentimento e di sdegno contro se medesima. Hai ragione… Sono diventata trista… Ma soffro tanto, sai!.. Non so più quello che mi dica, nè quello che mi faccia, nè che mi pensi…

Tacque un istante, e poi curvandosi all'orecchio della sua compagna, le soggiunse piano, come il motto che doveva farle capire tutta la sua condotta:

– L'amavo tanto!.. L'amo ancora tanto!

E chinò il capo sulla spalla di Virginia, per nascondere il rossore onde subitamente si soffuse il suo volto.

– Tu non devi più amarlo: disse con forza la contessina. Tu non devi a quell'iniquo sacrificare il tuo avvenire, la tua vita, la tua famiglia. Tu quel cotale, com'egli è, non l'hai amato mai. Hai amato un uomo d'onestà e valore; quell'uomo è scomparso; a colui che è rimasto non devi che odio e disprezzo.

Maria levò il capo, guardò bene in viso la nobile amica, e le disse lentamente:

– Tu avresti potuto strapparti dal cuore l'amore e gettarlo via come si fa d'un abito?.. Tu non l'ameresti più?

– No, disse Virginia con forza, l'uomo che si rivelasse indegno della mia stima, non avrebbe più il mio amore. Colui che avesse empiamente ingannata la mia fiducia, che avesse mentito l'onore come la passione, io lo abborrirei disprezzandolo.

Gli occhi della donzella, così dicendo, brillavano d'una fiera luce; la bella di lei fisionomia aveva una imponente espressione di forza e di superiorità.

– Gran Dio! esclamò Maria, allontanandosi alquanto da Virginia per contemplarla meglio, e giungendo le mani in atto di meraviglia: nel tuo volto c'è in questo momento una strana rassomiglianza col suo, quando mi beava colle sue calde parole… Oh vedi s'io l'amo!

– Povera! Povera Maria!

– Ma io non lo credo colpevole: proruppe con impeto la sorella di Francesco. Non lo può essere, non deve. Crederesti tu se ti venissero a contare un'infamia dell'uomo che ami?.. Io non darei fede neppure all'evidenza. Il nostro amore è un'istinto divino, superiore ad ogni umano argomento; e se un uomo ci inspira amore, è prova evidente che egli è superiore altrui.

Virginia ammirò la sublime fede di quell'amore.

– Ma ora, diss'ella, abbracciandola di nuovo: che vuoi tu fare? Vuoi tu abbandonarti fiaccamente all'azione del tuo dolore? lasciartene travolgere senza opporre la resistenza d'una volontà vincitrice?

Maria ebbe allora negli occhi un maggior lampo di vita.

– Vorrei rivederlo ancora, una volta sola, e morire!

– Cattiva! disse Virginia dandole un bacio sulla fronte.

– Ho pensato al suicidio, sai: continuava la fanciulla con una semplicità d'espressione che era veramente desolante; ma non ci ho avuto coraggio. Nel mondo di là potrei ancora pensare a lui? Non ne sono sicura: ed il tormento di pensarci – di pensarci sempre – mi è caro. Ma c'è una fatta di suicidio per noi donne che mi sorride: un suicidio che togliendoci al mondo ci lascia tutte alla esclusività d'un solo pensiero… Ti ricordi, nel monastero del Sacro Cuore, di suor Clara, sì pallida, sì mesta, sì taciturna? Quando passava col suo passo lento e il suo sguardo di morta, noi sospendevamo i nostri giuochi e non osavamo parlare. Quella era un'anima estinta, e il monastero era la sua tomba. In questi dì quell'immagine, quell'ombra, quello spettro è venuto a farmi cenno ed invitarmi. Là è la soluzione del mio destino.

– Che? Tu vorresti?

– Quella è la morte che sogno e che mi preparo.

Virginia combattè con calore, con vivaci ragioni e con insistente zelo quel proponimento; Maria sembrava ascoltarla con sulle labbra quel suo penoso sorriso, ma in realtà il suo pensiero era altrove. Ad un punto interruppe l'amica e disse con accento di nuova risoluzione:

– Ho esitato finora ad aprirmene alla mia famiglia, ho tremato innanzi all'idea di manifestare tal mia volontà a mia madre. Ora la tua presenza mi darà coraggio. Vieni e sii tu testimone all'annunzio della mia irrevocabile determinazione.

La prese per mano e la trasse vivamente con sè. Virginia, che non ebbe neppur campo a contrastare, si trovò nella stanza di Francesco.

Là era in quel momento tutta la famiglia raccolta. Il sor Giacomo era venuto allor allora, e teneva ancora fra le sue la mano di Francesco, cui aveva interrogato della sua salute. Quell'uomo tanto forte e robusto si vedeva che sotto i colpi così fieri e così repentinamente replicati della sventura aveva vacillato, ma non era caduto disfatto. Le chiome in que' pochi giorni gli si erano incanutite, dimagrata la faccia, fatte più profonde e più numerose le rughe della fronte; smarrita affatto quella vivacità alacre ed allegra che era l'espressione dell'operosità instancabile della sua natura; ma l'occhio pur nella sua mestizia serbava una luce, le labbra serrate avevano una rigidità di linee che ben rivelavano un'anima pronta a lottar tuttavia colla sorte e cogli uomini. Il suo cordoglio, la passione, la pietà per la figliuola e il dolore per la ferita del figlio, pareva ch'egli cercasse distrarre mercè una febbrile attività con cui s'era dato a riparare i danni dell'incendio e del saccheggio, ristaurare la fabbrica e ravviare il corso interrotto dei lavori. In casa, presso la famiglia, veniva di frequente, ma ci stava assai poco; appena se ci compariva, gettava sopra Maria uno sguardo pieno di tenerezza, interrogava il figliuolo, faceva come atto d'incoraggiamento una mesta carezza alla moglie, e via di nuovo. Pareva che rimaner lontano dai suoi non potesse, timoroso ad ogni momento che una nuova sciagura precipitasse su di loro, e starne in compagnia troppo gli fosse doloroso. Delle vicende passate nè anche egli non faceva mai cenno veruno. Era una tacita intesa di tutti quegl'infelici di non parlarne mai. Solo una volta che l'occasione inevitabilmente ne venne, il sor Giacomo, la cui natura era impetuosamente franca, lasciò scorgere tutto l'odio che implacabilmente aveva concepito per quello scellerato ingannatore della loro fiducia, per quel traditore assassino della sua figliuola; ma questa udendo le invettive e le imprecazioni del padre contro l'uomo ch'ella amava pur sempre, s'era levata in piedi pallida ed angosciata, aveva fatto barcollando i pochi passi che la disgiungevano da suo padre, un'ineffabile espressione di preghiera nel volto doloroso, nella mossa delle mani tese, e venutale presso gli aveva dolcemente posta la destra sulle labbra, senza dire una parola, ma con un gemito che significava ed era tale da intenerire più d'ogni discorso. Giacomo da quel momento s'era imposto di vegliare più attentamente su se stesso e di non lasciarsi più sfuggire un detto mai su quell'argomento.

Vedendo entrare, tratta per mano da Maria, la contessina Virginia, Giacomo si volse meravigliato e s'inchinò rispettoso, Francesco arrossì ed ebbe un guizzo di gioia negli occhi, Teresa si levò in piedi, ed accortasi di una certa animazione nella fisionomia e nella mossa di Maria, cosa che non era avvenuta più dopo l'orribile sventura, sperò che Dio l'avesse allora esaudita e la presenza e le parole della nobile donzella avessero potuto recar conforto, dar consolazione ed ispirar coraggio all'afflitta figliuola.

Ma la sua illusione, pur troppo, non potè essere di lunga durata. La fanciulla s'avanzò con passo risoluto fin presso ai genitori ed al letto del fratello, e là, prima che niun altro avesse tempo ad aprir labbro, parlò di questa guisa:

– Padre, madre mia; sono venuta a manifestarvi, in presenze di questa recente ma nobile e generosa amica, la quale fu la sola che nella mia sventura non mi abbia abbandonata, ma ne prese anzi occasione a mostrarmi tutta la bellezza dell'anima sua e la squisitezza del suo affetto: sono venuta a manifestarvi la irrevocabile determinazione che Dio mi ha ispirata, che ho presa, che credo mio dovere seguire nelle dolorose circostanze in cui mi trovo. Se finora non ve ne ho parlato benchè fin dal primo giorno fosse balenata alla mia mente e l'avessi in massima accettata, si è perchè ho voluto prima discuterla meco stessa e farmi tutte le obbiezioni che vi si possono affacciare per vedere se la si poteva efficacemente combattere, e cimentarla coll'amore che ho per voi, col concetto che mi rimane de' miei doveri di figlia a vostro riguardo. Essa ha resistito a tutto; la voce che mi chiama si è fatta anzi sempre più forte; l'impulso che mi spinge diventa più potente ogni giorno. Parlando con Virginia, testè, una forza superiore mi trasse a svelare il mio segreto proponimento; sentii subito allora come, poichè quel mio disegno era uscito una volta dalla chiostra della mia coscienza, diventava mio debito di farne partecipi tosto, voi, padre e madre miei.

Il sor Giacomo la interruppe con un'impazienza che il suo carattere non gli consentiva più di frenare, ma a cui l'affetto levava ogni asprezza.

– Qual è dunque questo tuo proponimento?.. Parla, e pensa che i tuoi genitori, che la tua famiglia ebbe in questi giorni già troppi dolori, perchè tu venga volontariamente ora a recargliene altri.

– Perdonami, padre mio; perdonami anche tu, mamma; ma questo dolore io sono proprio costretta a recarvelo. Non posso più appartenere al mondo, e non voglio; non posso e non voglio esser più di nessuno fuor che di Dio: entrerò in un monastero e mi farò monaca.

La madre non rispose che con un gemito, e lasciandosi cadere seduta si nascose nelle mani la faccia; Giacomo fece un atto di sdegnosa sorpresa e ruppe in parole cui la presenza soltanto della contessina valse a temperare.

– Crudele figliuola! È questo l'amore che hai per noi? questa la corrispondenza e la gratitudine al nostro affetto? Perchè vuoi punirci, noi innocenti, che soffriamo al pari di te? Noi, che se mai ci abbiamo una colpa, è quella di aver troppo facilmente accondisceso ai tuoi desiderii? La voce che chiama, l'impulso segreto, l'ispirazione del cielo le sono storie; tu vuoi ritirarti nella solitudine, fuori d'ogni affetto umano, fuor d'ogni legame di dovere domestico per istare faccia a faccia unicamente e sempre col tuo dolore, affondarti in esso e fartene consumare. È questo un egoismo bello e buono, che Dio non può volere, che Dio riprova di certo…

S'interruppe bruscamente per additare con una eloquenza inesprimibile di gesto la povera Teresa, che, abbandonata sulla seggiola, il volto nascosto, piangeva e singhiozzava; e soggiunse con voce nella cui burbera asprezza si sentiva pure far capolino la emozione delle lagrime:

– Guai, vedi, Maria, guai alla figliuola che fa piangere così sua madre!

Maria fu d'un balzo presso la madre, le prese le mani e glie le trasse giù dal viso, le asciugò coi suoi baci le lagrime che le gocciavano giù dalle guancie.

– Mamma mia, mia cara mamma, disse, il babbo ha ragione: è vero, io sono crudele; è vero, io sono egoista; ma tu mi vuoi tanto bene col tuo amore materno, che mi comprenderai e perdonerai, che capirai com'io non posso vivere altrimenti. Oh! non ti sarebbe maggior dolore vedermi qui estinguermi a poco a poco sotto i tuoi occhi, e perdermi irrimediabilmente?.. E ti giuro che avverrà così. In ciò la volontà non può nulla; per quanto desiderio avessi di rimanere con voi, di vivere per voi, la morte sarebbe più potente di me, e verrebbe a togliermi di mezzo alle vostre braccia.

Teresa respinse dolcemente le carezze della figliuola.

 

– Ah! esclamò ella piangendo, non ho più figlia.

– Non dir così, mamma. Tua figlia pregherà per te, per tutti voi; chi sa ch'ella, partendo, non tragga seco di questa casa la fatalità di sventura che vi piombò sopra!.. No, tu non perderai tua figlia; nel suo cuore tu sarai sempre, com'ella sarà nel tuo. Anche a te sarà di conforto venire nella pace di quelle mura, dov'essa pregherà fuor d'ogni agitazione del mondo, a sentire l'influsso della divina misericordia. E il Cielo anzi ti compenserà del sacrificio che avrai fatto pel mio bene: ti sarà concessa in luogo mio un'altra figliuola che ti amerà, se non alla pari, forse meglio di me.

S'interruppe, esitò un istante, poi con mossa piena di grazia, di franchezza, d'ingenua fiducia, andò presso Virginia e la prese per mano.

– Tu, le disse, hai affermato poc'anzi volermi essere sorella. Siilo in nome di Dio, siilo in nome della pietà! L'esser sorella a me, non è egli essere figliuola a mia madre?

Virginia arrossì leggermente, e il suo sguardo per moto involontario affatto corse a Francesco, il quale arrossì alquanto egli pure; ma di là gli occhi di Virginia si levarono ratto e si volsero alla sora Teresa con un'espressione di somma pietà.

– Vorrei valere a questo còmpito, diss'ella dolcemente; ed accetterei con gioia il mandato.

Teresa prese colla sinistra una mano della contessina; colla destra stringeva quella della sua figliuola; e recatasi quelle due mani al volto le baciò commossa, seguitando a piangere chetamente.