Free

La plebe, parte IV

Text
iOSAndroidWindows Phone
Where should the link to the app be sent?
Do not close this window until you have entered the code on your mobile device
RetryLink sent

At the request of the copyright holder, this book is not available to be downloaded as a file.

However, you can read it in our mobile apps (even offline) and online on the LitRes website

Mark as finished
Font:Smaller АаLarger Aa

Maurilio, ricevuto con molta gentilezza, con quella cara espansività di grazia muliebre a cui nulla può paragonarsi, rammentò in quel punto come vi fosse stato un tempo in cui il signor Defasi, così generosamente affettuoso per lui, non avrebbe fors'anco negato di dargli nella sua una famiglia, di regalargli con quella mite giovanetta la felicità della vita. Pensò quanto diverso, quanto lieto sarebbe stato il suo destino; quanto migliore fors'anco sarebbe diventato egli stesso… Ma ora era troppo tardi! Soffocò un sospiro e ridomandò al signor Defasi quel colloquio che già gli aveva accennato.

Invaso, per così dire, da quell'atmosfera d'onestà in cui si respirava il sentimento del dovere, nella quale viveva quell'ammirabile famiglia, il nostro giovane s'era sempre più risoluto a svelar ogni cosa al suo antico principale e seguirne i consigli, nè aveva il menomo dubbio su quello che il galantuomo gli avrebbe consigliato.

Narrò dunque da capo a fondo quello che riguardava la scoperta della sua creduta famiglia e le lettere del supposto suo genitore, narrò ciò che sapeva di Gian-Luigi e quel di più che aveva potuto argomentare dai fatti di lui dal momento che, dopo lungo intervallo, l'aveva rivisto quella sera nella taverna di Pelone, e conchiuse che questo tale stava per isposare la ragazza d'un'onoratissima famiglia, sorella d'un amico suo.

Nel signor Defasi non ci fu la menoma esitazione ad esprimere colle parole che dettava il buon senso que' consigli che gl'ispirava la rettitudine dell'animo. Erano quali Maurilio aveva pensati e quali era ormai risoluto di porre in atto senza fallo. Uscì di là colla determinazione di svelare al marchese la circostanza delle lettere di Gian-Luigi, di correre da Francesco Benda a fargli conoscere qual fosse l'uomo che stava per isposare sua sorella.

Siccome quest'ultima bisogna premeva di più, fu la prima che imprese, e con sollecito passo s'avviò verso lo stabilimento del fabbricante di ferro.

Quei locali, che solevano essere così rumorosi sempre per la quotidiana attività del lavoro, erano ora silenziosi come un cimitero. Le traccie dell'incendio nel fabbricato in fondo al cortile davano a quella solitudine l'aspetto della desolazione. Maurilio venne sino al portone di cui lo sportello aperto lasciava scorgere la vista dell'interno e non ebbe il coraggio di entrare. La timidità della sua natura l'aveva tutto ripreso ed era il più impacciato del mondo. Come si sarebb'egli presentato in quella casa? domandavasi: quali parole usate? con che faccia abbordato il difficile argomento? Fece due o tre giri innanzi alla porta: ma conveniva pur decidersi alla fine: dopo le parole del signor Defasi, meglio ancora di prima e' vedeva in quell'atto un dovere cui gli bisognava compiere assolutamente. Si fece forza ed entrò. La voce burbera di Bastiano, che aveva ancora la testa fasciata ed in corpo un umore terribile, lo venne arrestare ai primi passi colla domanda fatta in tono feroce:

– Che la vuole? di chi cerca?

Maurilio diede in una scossa quasi di paura.

– Cerco, rispose con esitazione e quasi balbettando… vorrei… se ci fosse il dottor Quercia…

Bastiano diede un'occhiata sospettosa a quel personaggio così impacciato nelle parole. Se avesse avuto panni da povero, l'avrebbe creduto un cercator d'elemosina e l'avrebbe rinviato senza tanti discorsi. Vistolo riccamente vestito, il portinaio si contentò di bruscamente rispondere:

– Il dottore in questo momento non c'è.

Maurilio rimase lì stecchito, senza muoversi, senza saper più che dire, senza consiglio.

– Ha capito? gli disse dopo un poco Bastiano alzando la sua grossa voce, come se avesse da parlare ad un sordo: il dottore non c'è, nè so quando sia per venire, nè qui è luogo da stare ad aspettarlo.

– Allora vorrei parlare con Francesco: disse finalmente Maurilio che sentiva l'obbligo di non uscir più senza tutto aver tentato per compire il suo ufficio.

– Francesco! esclamò più ruvidamente ancora il portinaio offeso di tanta famigliarità pel suo padroncino in uno sconosciuto. Il sor avvocatino la vuol dire?

– Sì… appunto… l'avvocato Benda.

– E' gli è a letto… La lo dovrebbe sapere, chè se n'è parlato abbastanza per tutta Torino da empirne le orecchie di tutti… E non riceve nessuno.

– Lo so che gli è a letto, ma ho pure inteso che sta meglio di molto, ed è gran mestieri ch'io gli parli per cose che importano gravemente. Sono molto suo amico io e sono certo che appena udito il mio nome mi vorrebbe ricevere.

– Sì? domandò il bravo Bastiano di subito un po' rabbonito, ma guardando con cera attenta e scrutativa quel cotale, per vedere se gli era un impostore. Se la è così me lo dica a me il suo nome, ed io lo faccio passare al sor avvocatino che deciderà quello che vuol fare.

– Sarà meglio anzi ch'io scriva due righe per chiedergliene udienza: disse Maurilio, ed avuto dal portinaio l'occorrente vergò poche parole che furono tosto fatte ricapitare nelle mani di Francesco.

Questi nel leggere il biglietto di Maurilio provò un senso che per poco non era di ripugnanza e disgusto. Per quel trovatello, se Francesco aveva partecipato ai generosi sentimenti di compassione che avevano verso di lui i comuni amici, non aveva però mai sentita nissuna vivacità di simpatia nè vera tenerezza d'affetto: ultimamente, quando, arrestato, fu introdotto in presenza del Commissario, Benda, se vi ricorda, aveva udito da quest'ultimo, come quel giovane fosse stato accusato d'un orribile delitto e sostenuto molto tempo in carcere. Egli non aveva punto creduto che di quel delitto Maurilio fosse veramente colpevole, l'umana giustizia stessa aveva dovuto riconoscerlo innocente, se lo aveva rilasciato libero; ma pure l'apprendere allora una simile circostanza sempre ignorata, non era concorsa a sminuire quel certo allontanamento fra il suo e l'animo del trovatello, allontanamento, il quale, senza ch'essi lo volessero, e fors'anco se ne accorgessero, da qualche tempo si faceva maggiore per effetto del loro istinto di rivali in amore. Tuttavia ricevendo ora la preghiera di un colloquio per cose importanti, e temendo potessero queste cose avere attinenza colla loro fallita congiura politica e colla sorte dei comuni amici, non credette poter fare altrimenti che ordinare lo s'introducesse.

Maurilio entrò più timido ed impacciato che mai. Appena dentro a quella stanza, in presenza di quel giovane pallido e nel suo pallore più leggiadro, lo assalse il pensiero ch'egli amava Virginia e n'era riamato, e questo pensiero accrebbe il suo turbamento; gettò uno sguardo sul giacente, e negli occhi di lui vide una diffidenza ed un sospetto che lo offesero senza dargliene coraggio. Annaspò le parole per ispiegare la ragione della sua venuta e cominciare il suo discorso e non seppe trovar cosa che valesse.

Il suo contegno era dunque tale da ispirar poca fiducia anche in chi non fosse mal prevenuto a suo riguardo. Il sor Giacomo, che si trovava presso suo figlio, credendo alla sua presenza doversi attribuire la difficoltà di parlare in Maurilio, volle partirsi; ma il giovane lo pregò anzi rimanesse perchè le cose che aveva da dire era opportunissimo le udisse egli pure. Allora chiamò in aiuto tutto il suo coraggio e saltò a pie' pari in mezzo dell'argomento. Narrò dell'infanzia sua e di Gian-Luigi: chi fossero ambedue, d'onde venissero, come allevati; disse dei veri rapporti del suo compagno col medico che l'aveva fatto allevare, dell'ingratitudine di lui verso la donna che lo aveva nutrito, della misteriosa sorgente di quei denari che ora il sedicente dottore spendeva e spandeva, delle attinenze ch'egli stesso, Maurilio, aveva scoperto avere Gian-Luigi colla feccia della plebe, quando era entrato per caso nella taverna di Pelone, ripetè le proposte che l'antico suo camerata era venuto a fargliene, svelò a Francesco che quello era il misterioso personaggio il quale, come aveva rivelato Mario Tiburzio, nella progettata insurrezione doveva recare il soccorso della sommossa plebea, il quale poteva perciò dirsi il promotore ed il risponsabile di quella medesima riotta di cui essi, i Benda, erano rimasti vittime.

Padre e figlio si guardavano meravigliati, incerti, più increduli che altro; nè sapevano ancora qual risposta dare, qual risoluzione prendere, quando nella camera vicina venne udito il passo affrettato e deciso d'un uomo, poi la porta s'aprì vivamente e comparve sulla soglia Luigi Quercia medesimo, con una fiamma terribile di sdegno e di minaccia nell'occhio nero, con un fremito di furore che ben dominava egli tuttavia, ma che stava per prorompere.

CAPITOLO XX

Gian-Luigi aveva, si può dire, ammaliato tutta la famiglia Benda; mercè i falsi documenti aveva provato al padre di Maria tutto quello che aveva voluto, mercè l'appassionato amore che aveva desto nell'animo della fanciulla era riuscito ad aver questa efficace aiutrice al suo disegno: sposarla e partire, aveva i congiunti indotti a consentirvi. Quella mattina in cui Maurilio s'era risoluto a quel dilicato e difficil passo, Quercia recavasi ad ora più presta del solito dalla sua sposa, quando nel passare innanzi alla loggia del portiere venne da questo avvertito che un cotale con sembianza di questo e quel modo, chiesto prima di lui, aveva poscia ottenuto d'essere accolto dall'avvocatino, a cui affermava aver cose importantissime da dire, mercè un biglietto scrittogli nello stesso camerino del portinaio.

Quercia, che sospettoso era e sempre in sulle guardie già per natura, e che tanto più era divenuto cauteloso e diffidente in quegli ultimi giorni in cui stava giocando col suo destino l'ultima posta, temette di subito in quel visitatore un nemico, un accusatore, un rivelatore di verità che troppo a lui interessava rimanessero ignote. Dalle risposte che Bastiano diede alle sue numerose, pressanti, rapide interrogazioni, venne egli a concepire il sospetto che quello fosse Maurilio, e l'intromettersi di costui egli non dubitava il meno del mondo non volesse essere in suo favore. Salì affrettatamente, entrò improvviso nella camera di Francesco dove aveva inteso essere quel cotale. Veduto Maurilio e l'espressione della faccia di lui, veduto con un sol colpo d'occhio il contegno dei Benda, badato al silenzio pieno d'impaccio che successe alla sua venuta, Quercia capì che tutti i suoi sospetti avevano ragione, che in Maurilio eragli ora sortogli innanzi un ostacolo cui bisognava levare e tosto, a prezzo anche di schiacciarlo. Il furore che aveva cominciato a sobbollire nella sua fiera anima impetuosa al primo dubbio di quel pericolo, si levò potente ed efferato, ma la sua volontà più forte d'ogni cosa riesciva a dominarlo tuttavia e, per dir così, regolarlo. Incrociò le braccia al petto e camminò lentamente verso Maurilio guardandolo fiso con occhio feroce, di cui la significazione ben era chiara al giovane commosso.

 

– Sconsigliato, diceva, osi tu venirti a porre inciampo sul mio cammino? Sai pure che vo' giungere alla meta che mi assegno, e chi mi si oppone infrango.

Maurilio chinò innanzi a quelli di Gian-Luigi i suoi occhi, e dal rispettivo contegno di que' due parve nel primo fosse il colpevole, nel secondo l'autorevole accusatore.

– Che cosa è che succede qui? domandò poscia Gian-Luigi levando lo sguardo dal suo compagno d'infanzia e facendolo scorrere sicuro, investigatore, un po' stupito e quasi offeso sopra i Benda padre e figlio. Se bado al vostro contegno, o signori, se argomento dalla presenza e dall'imbarazzo di costui devo credere che son giunto a tempo per udir cose che mi riguardano.

Il tono con cui egli pronunziò la parola costui accennando con un moto disdegnoso del capo a Maurilio era così pieno di superbo disprezzo, che Maurilio si sentì come una sferzata traverso la faccia; arrossì egli, impallidì, levò lo sguardo col proposito di cimentarlo contro lo sguardo di Gian-Luigi, ma non potè reggere allo scontro e riabbassò le pupille sentendosi nell'anima un'angoscia, nel petto un affanno che era pena, che era sgomento e che gli faceva temere fosse per assalirlo uno svenimento.

Quercia continuava con più fierezza:

– E poichè gli è questo cotale che vien qui a parlare di me, ben posso già indovinare fin da prima di che fatta discorsi egli ha osato tenere ed a che scopo egli mira. Or bene, parla in mia presenza, miserabile, se l'ardisci, e ripeti, continua e compi le calunnie che ti sei determinato a vomitare a mio carico.

Maurilio sussultò sotto il fiero oltraggio. La soverchia offesa per effetto di reazione gli diede un po' di coraggio: levò risoluto la testa, un lieve rossore salì alle sue guancie macilente che s'erano fatte color della cenere, ardì volgere e tener fisso lo sguardo sul volto leggiadro ed ora spaventosamente feroce di Gian-Luigi, sulla cui fronte era incavata quella ruga caratteristica, fatale contrassegno del suo furore. Il medichino, egli, guardava il suo avversario con quel modo con cui il domatore di belve guarda la tigre che accenna rivoltarglisi, con quel modo con cui aveva fissato Stracciaferro, prima di domarlo colla forza delle membra, quando l'assassino aveva voluto resistergli. E forse Maurilio ora dallo sdegno del vivo affronto ricevuto avrebbe attinto abbastanza coraggio per reggere a quell'urto, se in quel momento, per sua sventura, una nuova impressione non gli fosse stata prodotta dalla vista delle sembianze di Gian-Luigi. Benchè animata allora da quel profondo sentimento d'odio e di furore, la beltà scultoria delle fattezze di lui non ne veniva punto alterata, e quella beltà nella memoria di Maurilio trovava riscontro in altri stupendi lineamenti di viso umano visti, contemplati, vagheggiati con attenzione, con espansività d'affetto da poco tempo, la sera precedente soltanto: i lineamenti dipinti nel ritratto della contessa Aurora di Castelletto, ch'egli aveva ammirato, innanzi a cui era rimasto con profonda emozione stampandosene i tratti nell'anima perchè credeva stamparvisi i tratti del volto della propria madre. Era innegabile, evidente a chiunque vi ponesse attenzione, la rassomiglianza fra le sembianze di Gian-Luigi e quelle del ritratto. Egli rassomigliava assai più alla defunta contessa di quello che le rassomigliasse Virginia; e nella rassomiglianza alla madre era un punto di contatto fra le sembianze della contessina e quelle del sedicente dottore, punto di contatto che sfuggiva a chi non paragonasse i loro volti a quel terzo termine di confronto. Maurilio non dubitò menomamente più che gli stesse dinanzi il vero figliuolo della sorella del marchese di Baldissero e di Maurilio Valpetrosa, e ciò lo rese turbatissimo, più che non fosse ancora stato fino allora in quella scena difficile e penosa.

Con qual fronte resistere egli a colui, venirsi a fare accusatore e procurare l'infamia e il danno di colui al quale egli, innocentemente è vero, era venuto a togliere il grado, il nome, la fortuna? In presenza di questo strano avvenimento qual era ancora il suo dovere? Le idee gli si abbuiavano a questo riguardo, e la commozione, la meraviglia, il dispiacere non gli consentivano prontezza nessuna d'avviso. E lo turbava quel rapporto di lontana somiglianza che gli appariva fra i tratti di Gian-Luigi e quelli di Virginia; in mezzo a quei tanti sentimenti che gli tumultuavano nell'anima, egli si sorprendeva a raccogliere tutta la sua attenzione nell'investigare in che consistesse la parità e la differenza fra quei due volti a così diverso titolo cotanto impressi nella sua mente, a cercare sotto i tratti di lui quelli adorati della fanciulla.

Ogni parola venne meno alle labbra tremanti di Maurilio, ogni voce mancò alla sua gola serrata.

Giacomo Benda credette allora ufficio suo ricapitolare in breve quanto il giovane era venuto sino allora esponendo. Quercia, che dominava sempre più il suo furore, benchè questo punto non scemasse, ascoltava con un sogghigno di fiero disprezzo, qual può avere innanzi alla più vile calunnia l'innocenza superba e superiore ad ogni arrivo d'oltraggio.

– Mirabile ed accorto tessuto d'infamie! esclamò egli poi con vece fremente, che, quantunque contenuta, vibrava come il suono chiaro e squillante d'una tromba. La calunnia vi è tanto meglio architettata che si prende a base una parte della verità. Che io sia stato allevato al villaggio e con costui, ve lo dissi io stesso; che la donna la quale mi fu nutrice viva colà modestamente della vita che sempre fece e le piacque fare, è pur vero, perchè le sorti in cui ella è nata e in cui visse pur sempre non le piacque mutar mai per quante istanze glie ne facessi; ma costui medesimo, che ora mi accusa, videmi, non son passati che pochi giorni, recarmi io stesso colà a riabbracciar quella donna, a recarle un migliaio di lire, a fare per lei tutti quegli atti che verso una madre ad un figlio amoroso s'addicono: e sfido l'impudenza di questo sciagurato a darmi una smentita.

Fece una pausa; Maurilio avrebbe voluto parlare, ma la lingua gli aderiva al palato, le labbra gli parevano irrigidite, non un soffio di voce glie ne venne alla gola.

Gian-Luigi riprendeva:

– Sì, io ho partecipato ai folli sogni della redenzione della patria di quell'animo intemerato che è Mario Tiburzio; come voi pure, Francesco, vi avete partecipato; sì, io offrii a quella santa causa il concorso della plebe, perchè mi feci l'illusione che per mezzo di parecchi fra essa che mi sono devoti per affetto di gratitudine, avrei potuto guidarla a mio talento, ma coll'empie passioni demagogiche del proletario io non ebbi nulla mai che fare; fui visto, è vero, da codestui in una miserabile stamberga di bettola, vestito da popolano, e fu ventura che arrivassi a tempo a salvare chi ora si fa mio calunniatore, dall'ira di operai ch'egli aveva, non so come, provocata; ma s'io m'immischio colla povera gente e talvolta vestito de' loro abiti per non dar loro nè soggezione, nè antipatia, nè sospetto, penetro nei luoghi dei loro ritrovi, come nelle miserabili loro abitazioni, si è perchè ricco e disoccupato com'io sono, volli a me stesso imporre un còmpito: quello di soccorrere i miei fratelli nella miseria, in quella miseria che sarebbe pure stata mio destino se l'intravvento di quel mio protettore, se il rimorso de' miei nemici non avesse poscia in parte riparato al male che fu fatto al povero fanciullo. Io vado recando agli infelici che soffrono di fame, di malattia, di disperazione, non poco dell'oro della mia borsa, il contributo della mia scienza, il conforto d'un'amica parola. Ecco il modo onde acquistai attinenza e sperai aver acquistato influsso in quel mondo tenebroso ed agitato che sobbolle come una minaccia sotto i piedi delle classi agiate – di noi. Quando a costui favellai de' miei intendimenti a tal proposito, non dissi altro che questo. Ancora una parola e finisco, sdegnoso e vergognato d'avermi avuto a difendere da tali accuse e da tale accusatore. Questi fu sempre mio nemico, perchè l'invidia lo rose pur sempre dei successi dovuti in parte ad una fortuna – lo confesso – che forse è compenso datomi dalla Provvidenza, ma in parte eziandio alla mia attività ed intelligenza. Quelle passioni di cui egli accagiona me, fremono nel suo animo inasprito, feroce insieme e codardo. Ora mi ha visto presso a metter la mano sulla più cara felicità che uom possa desiderare. Ha voluto venir cacciare frammezzo l'arte sua di malevolo. Ma di quanto io dissi sul conto mio, di quanto vi affermai di essere, io diedi prove di documenti; or dica egli se pur di una delle sue accuse può dare una sembianza di prova.

Tacque come aspettando risposta: Maurilio, diventato sempre più pallido, non parlò.

– Credereste voi dunque più che alla mia parola, più che alle mie prove, alle semplici ciancie d'un tale individuo?

In quella l'uscio si aprì, ed entrò sollecita Maria che aveva notata la venuta dello sposo ed accostandosi alla camera di suo fratello aveva udito il suono alto e l'accento accalorato della voce di lui.

– Luigi, esclamò ella, che c'è?

Quercia le andò incontro e la prese per mano.

– Maria, disse con quella famigliarità cui già legittimava l'intimità dei rapporti in cui erano: ecco un uomo che viene ad accusarmi di sleale, di mentitore, di baro, e di nemico della vostra famiglia; guardateci ambedue, e dite chi si ha da credere fra lui e me che mi affermo innocente.

Nissuno sarebbe stato perplesso nella risposta, così era sicuro, animato, trionfante l'aspetto di Gian-Luigi, tanto era smarrito, confuso, disfatto quello di Maurilio; ed una donna può ella mai esitare nel riconoscere l'innocenza dell'uomo che ama?

Maria si gettò al collo di Quercia.

– O mio Luigi, esclamò con passione, tu sei l'angelo mio.

Maurilio, nella dolorosa confusione in cui era la sua mente, capì pure che tutto era detto, che la sua causa era perduta, che gli rimaneva solamente di partirsene scornato, colla vergognosa nota d'un calunniatore impotente. Come fece egli per torsi di là? Non avrebbe saputo dirlo. Il vero è che si trovò fuor della casa, sul viale, intronato, quasi barcollante, sentendosi ancora alle orecchie come suono di sferzate, il suono delle parole di Gian-Luigi.

Quella sera medesima avevano luogo, come se nulla fosse intravvenuto, gli sponsali di Luigi Quercia e di Maria Benda.

Era stato desiderio espresso di Quercia che nessuna festosa solennità, nessun fasto accompagnasse la firma del contratto degli sponsali: desiderio a cui s'affrettarono di aderire i parenti della sposa e la sposa medesima, siccome quello che stava pure nell'animo loro, e veniva consigliato dalle circostanze medesime in cui si trovavano, le conseguenze cioè del tumulto degli operai e l'infermità di Francesco. Nella camera di quest'ultimo la sera avevano luogo gli sponsali e, fuori de' più prossimi congiunti di cui non poteva evitarsi la presenza, una mezza dozzina di persone, non vi assisteva alcun invitato.

Lo sposo, Luigi Quercia, qualificatosi per dottore in medicina e in chirurgia, aveva recato seco e presentato all'atto delle promesse la somma di cento mila lire in biglietti di banco francesi che dichiarava voler costituire in aumento dotale alla sua dilettissima sposa e lasciava al suo futuro suocero perchè, celebrato il matrimonio, investisse in altrettante cedole del debito pubblico piemontese (allora in grandissimo pregio) nominativamente intestate alla sposa medesima: questa, Maria Benda, portava in dote al marito ottanta mila lire in oro ch'egli ritirava all'atto medesimo. Le due somme, i biglietti di banco a fasci di dieci da lire 50 ciascuno, e i napoleoni d'oro a torricelle di venticinque ognuna, stavano sopra la tavola a cui sedeva il notaio che rogava il contratto, fra due massicci candelabri d'argento.

 

Vario era il contegno dei diversi personaggi che partecipavano a quella scena; Maria, essa, posseduta da un'intima letizia che non si scompagnava dall'agitazione, passava da un caro pallor delle guancie ad un rossore più caro ancora, i suoi occhi si tenevano più volentieri chinati a terra, ma talvolta però si levavano verso il suo sposo e lampeggiavano d'una viva luce soave; egli, lo sposo, aveva l'orgoglio temperato e l'allegria di buon gusto d'un trionfatore modesto; in ogni sua mossa, come in ogni parola appariva l'uomo di squisito sentire, di carattere delicato e di perfetta educazione; solamente chi avesse conosciuto a fondo la variabilità d'espressioni di quella fisionomia così soggetta alla volontà, avrebbe potuto notare una lieve mostra come d'inquietudine, nella vivacità di certi sguardi, quasi un'impazienza che quelle formalità durassero cotanto, un desiderio che tutto fosse finito al più presto. La madre di Maria, come tutte le madri in simili circostanze, era dominata da una commozione cui mal poteva frenare, e spesso le si riempivano di lagrime gli occhi che teneva rivolti con immenso affetto sulla figliuola. Il sor Giacomo aveva nell'animo qualche cosa ancor egli che non lo lasciava del tutto contento. Aveva liberamente e lietamente acconsentito a quel maritaggio con tanta ardenza desiderato dalla figliuola, che doveva procurarne la felicità, e cui credeva sotto ogni rispetto convenevole; sedotto ancor egli dalle brillanti qualità dello sposo, persuaso per prova di fatto della generosità dell'animo di lui, gratissimo verso di esso per quanto aveva fatto in pro della famiglia, aveva pur sentito nascergli in cuore per quel giovane una simpatia che già era quasi un affetto, e tuttavia a questo momento, fosse inesplicabile istinto, fosse inavvertito effetto delle accuse udite da Maurilio, non credute ma che, ciò nulla meno, come quasi sempre d'ogni accusa suole accadere, avessero lasciata traccia, il vero era che egli sentiva una specie d'agitazione, una mala voglia che non si sapeva spiegare. Francesco, debole ancora, propenso per indole e per la propria condizione a desiderare ed allietarsi nel veder soddisfatto un reciproco amore, non provava che una affettuosa tenerezza per la gioia della sorella.

Il notaio leggeva lentamente, con quel tono di voce e quell'accento speciale di questi pubblici ufficiali che tutti conoscono, le clausole del contratto. Gli sposi il domattina dovevano celebrare il matrimonio alla parrocchia e partire immediatamente alla volta della Francia.

La lettura era finita: si procedette alle firme. Vi appose prima la sua, non senza un legger tremito, Maria; poscia lo sposo. Nel passare la penna alla suocera, Quercia drizzò l'orecchio e, senza che alcun altro nulla udisse ed a questo suo atto badasse, stette intentissimo ad ascoltare. Il finissimo suo senso dell'udito era stato percosso da un lontano susurrio, da un penetrar di gente sotto il portone, da uno scambio di parole. Egli, a buona ragione sospettoso di tutto, si ritrasse indietro con moto naturalissimo e s'accostò lentamente alla finestra. Maria, che non aveva occhi, che non aveva anima, che non aveva vita che per lui, gli venne presso; egli, vivamente preoccupato com'era, tutte le sue facoltà concentrate, per dir così, nell'intentività dell'udito, ebbe pure l'arte e la forza di sorriderle e di prenderla per mano.

– Cara, le disse traendola verso la finestra come volendo isolarsi con lei dal resto delle persone presenti: cara, tu sei mia finalmente, e il primo sacro vincolo ci ha avvinti di quella dolce catena che deve tenerci uniti per tutta la vita.

Ella non sapeva che dire, non poteva parlare, tremava in tutte le fibre d'un tremito soave; lo guardava e sorrideva.

Gian-Luigi aprì le imposte di legno della finestra e guardò fuori traverso le invetrate. Quella finestra s'apriva dalla parte del cortile in una delle due ale che si stendevano verso la fabbrica incendiata. Il tempo s'era rimesso al bello e batteva la luna. Sulla neve del cortile Quercia vide stendersi l'ombra di parecchi uomini.

– Che siano dessi? pensò; mi sembrano in pochi, tre o quattro tutt'al più: ne avrei facilmente ragione.

Misurò l'altezza del ripiano a cui si trovava.

– In caso di bisogno, soggiunse, sono capace di far salti anche maggiori di questo.

Tastò nelle saccoccie dove teneva due pistole corte e ne accarezzò il calcio colla destra che si era sguantata per firmare, e frattanto sorrideva sempre alla fanciulla innamorata.

Ma le sue orecchie non l'avevano ingannato; un rumore di passi e di voci venne diffatti accostandosi vieppiù fino a che giunse nella camera che precedeva, dove parve risolversi in un contrasto. L'ultima delle persone presenti aveva appunto allora finito di sottoscrivere; chè tutti, secondo l'uso, avevano voluto apporre a quell'atto la loro firma; Giacomo Benda, stupito come gli altri di questo incidente, si tolse di mezzo alle congratulazioni ed ai complimenti dei congiunti, ed andò verso la porta dicendo:

– Vo a vedere che cos'è questo rumore.

Gian-Luigi parlava sempre con Maria nella strombatura della finestra, e frattanto aveva pian piano alzato il palettino di sotto e fatto girare il gancio di sopra che tenevano chiuse le invetrate; Maria non s'accorgeva di nulla di quanto avveniva intorno a lei, non vedeva nulla fuori delle pupille nere del suo sposo che seguitavano ad affisarla con una fiamma che le sembrava di vivo amore.

Mentre il sor Giacomo stava per metter mano alla gruccia della serratura dell'uscio, questo si aprì spinto dal di fuori, ed apparve Bastiano tutto conturbato.

– Che cos'è? gli chiese quasi severamente il padrone.

Il gigantesco portinaio chinò la sua alta persona verso l'orecchio di sor Giacomo e gli disse con un certo piglio d'ansietà, di disgusto e di timore:

– V'è un cotale che vuole ad ogni costo entrare…

– Gli è matto: interruppe parlando forte il signor Benda. Entrare! Qui, a quest'ora? Perchè? E che pretende?

Tutti gl'invitati, la cui curiosità era solleticata ed in cui era nata un'inesplicabile aspettazione, si avvicinarono al padron di casa e fecero gruppo dietro di lui.

Bastiano, parlando sempre più sommesso rispose:

– Non è un matto; gli è un agente di polizia, con una mano d'arcieri.

Queste parole furono pronunciate pianissimo, ma pure, tanto era il silenzio che s'era fatto, che furono udite da un capo all'altro della stanza; da tutti, fuorchè da Maria. Il sor Giacomo aggrottò le sopracciglia; Francesco sul suo letto si tirò su a vedere con moto più vivace che non avrebbe ancora dovuto; la signora Teresa levò le mani verso il cielo spaventata: gl'invitati allibirono, e più d'uno, temendo d'essere compromesso, si pentì d'esser venuto.

– Ancora la Polizia! esclamò indignato il padron di casa. Che cosa mi si vuole, per Dio?

– Falli entrare, padre mio, gridò Francesco dal suo letto, falli entrare e vedremo tosto con che pretesto si viene a turbare nei momenti più solenni la pace d'una famiglia, a violarne il domicilio.

Queste parole parvero molto audaci alla maggioranza dei presenti che furono sempre più pentiti di trovarsi in quel luogo.

– Ebbene, vengano: disse bruscamente il signor Benda.

Bastiano non ebbe che ad aprire un battente. Sulla soglia si presentò la faccia scialba d'un uomo, cui Gian-Luigi, dalla finestra ove si trovava, riconobbe subito con dispetto per quella di Barnaba.

– Sciagurato d'un Graffigna: diss'egli fra sè: gli è proprio diventato buono da nulla. Ora sì che son perduto. Chi sa?..