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La plebe, parte IV

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CAPITOLO VIII

Torniamo indietro di due giorni, a quella sera ed a quel momento in cui Barnaba cadeva sulla neve della strada, trafitto alle reni dall'affilato pugnale di Graffigna. Abbiamo visto che nell'ombra della notte due persone accostantisi al luogo del commesso delitto, apparivano agli occhi spaventati di Marcaccio, il quale gettando l'allarme come se fosse loro addosso la forza pubblica, fuggiva e faceva fuggire il suo complice.

Que' due uomini erano invece, come già fu detto, Macobaro l'ebreo, e il marito di Paolina, che ultimi erano usciti dalla bettolaccia di Pelone. Il vecchio rigattiere che giunse primo sopra il caduto, lo schivò col suo passo barcollante per l'età, e mormorò fra i denti:

– Un ubriaco fradicio. Be', ch'e' dorma costì sulla neve; ciò gli vorrà far passare i vapori.

Barnaba era caduto, ma non aveva perso menomamente la cognizione. Aveva sentito la fredda lama penetrar nelle viscere; gli era stato impedito il pur mandare un grido dallo spasimo e dal sangue che si era precipitato alla gola, ma egli non s'era tuttavia smarrito dell'animo. Quando vide che i due uomini da cui era stato assalito fuggivano ratti, Barnaba aveva creduto davvero ancor egli che una pattuglia od alcune guardie di polizia di servizio sopraggiungessero, e fatto uno sforzo per levarsi, puntando la mano al suolo, riuscì a tirar su il capo e guardare verso il nuovo sopravvenuto; riconobbe Macobaro, e fu sul punto di lasciarsi ricadere senza cercarne aiuto ned altro, perchè troppo sospettava delle attinenze di quel vecchio con coloro che lo avevano trafitto: ma il rigattiere non aveva ancora fatto il giro intorno al corpo del caduto, per continuare il suo cammino, quando giungeva a quel punto anche Andrea, il quale se nei fumi del vino aveva ammortito alquanto il rimorso della mala opera commessa, non ci aveva però attutiti quell'istinto pietoso e quel sentimento d'umanità che erano nella sua natura.

– Un povero diavolo che ha male: diss'egli curvandosi sopra Barnaba che stava ancora col capo eretto a guardare.

La fisionomia dell'operaio ispirò fiducia nel ferito.

– Sì, diss'egli colla poca voce che aveva, ho male, ho molto male; mi fareste una fiorita carità ad aiutarmi a levar su, ed accompagnarmi a casa, che non è lontano; e ne avreste buon compenso, ve ne assicuro.

Alla parola di compenso la cupidigia fece drizzar le orecchie e fermare il passo a Macobaro.

– Oh, oh! diss'egli accostandosi, e' mi pare di conoscere questa voce.

Andrea passò un braccio sotto il corpo del caduto per sollevarlo, ma ritirò con ribrezzo la mano, sentendosela bagnata d'un tepido umore attaccaticcio.

– Santa Madonna! Questo è sangue!..

– Sì, sono ferito: ma non sarà nulla… Ch'io possa soltanto giunger presto a casa mia.

– Qui conviene correre a chiamare soccorso, ad avvisare la giustizia…

Barnaba trattenne pei panni Andrea che pareva voler prendere le mosse.

– No, no; diss'egli con istraordinaria energia. Non voglio nessuno; la giustizia non ha da saperne nulla… Me la farò da me, la giustizia… se scampo.

Jacob aveva riconosciuto pienamente il segreto agente della polizia, sulla cui condizione, da lungo tempo egli aveva più che sospetti.

– Egli è l'Eterno medesimo che me lo manda a stromento della mia vendetta: diss'egli fra sè. Quand'io salvi dalla morte costui, potrò per suo mezzo perdere quell'altro senza rovinar me.

Si chinò ancor egli con tutta premura verso il ferito.

– State di buon animo, gli susurrò, noi vi trarremo fuori d'ogni rischio. Solo ch'io possa esaminare la vostra ferita, e vedrete. Nella mia famiglia, da tempo immemoriale ci abbiamo conoscenza d'ogni fatta ferite e segreti infallibili per guarirle. Andiamo adunque a casa vostra e non dubitate di nulla.

Andrea prese fra le braccia il ferito, e recandoselo come se fosse un fantolino, s'affrettarono verso quella strada, entrarono in quella casa e salirono quelle scale cui Barnaba loro indicò, di guisa che pochi minuti dopo, il trafitto era disteso sopra il suo letto, e Macobaro visitatolo e fattagli una fasciatura a suo modo, lo rassicurava affermando che nessun organo essenziale era stato offeso dalla lama, la quale s'era miracolosamente insinuata fra le viscere, e che perciò non solamente sicura, ma sollecita sarebbe stata la guarigione.

Andrea aveva acceso il fuoco ed aiutato l'ebreo in tutto ciò che aveva potuto; e in codeste cure prodigate al ferito, era passata oramai la notte. Barnaba, ringraziati i due suoi soccorritori, aveva voluto rinviarli alle case loro ed alle loro bisogna, ma Andrea aveva risposto non aver egli più casa ove ricoverarsi, nè famiglia che avesse da inquietarsi de' fatti suoi, e quindi poter benissimo rimanere a custodia del malato, come grande n'era pure il bisogno. Macobaro ancor egli protestò che a casa sua non ci aveva da andare, nè voleva, e che anzi se non si fosse trattato d'una sì rincrescevole disgrazia, sarebbe stato lieto fosse nata occasione da dovere star lontano dalla sua dimora; e così avvenne che Ester, rimasta sola in casa, potesse di là fuggire, come vedemmo.

Ma prima che il vecchio ebreo, la mattina di poi, abbandonasse il letto dell'infermo per tornare a casa sua, fra quei due aveva luogo un breve colloquio a parole interrotte, il quale era però importantissimo, essendosi gettate, per così dire, le basi d'un'alleanza fra loro, della quale dovevano riuscire terribili gli effetti.

Fu Macobaro che incominciò:

– Scusi, diss'egli, se entro in discorso che forse la infastidisce o le spiace, ma vi sono costretto per la mia stessa tranquillità e per quella di quel bravo uomo.

Ed accennò con una mossa del capo ad Andrea, che sonnecchiava sopra una seggiola presso il fuoco.

Barnaba fece un moto degli occhi, che voleva dire:

– Parlate pure:

– Ella non volle che si andasse ad avvertire l'autorità…

Il ferito interruppe con un gesto negativo del capo, pieno di energia.

– Non vorrei poi che io e quel buon operaio rimanessimo compromessi.

– Siate tranquillo: rispose allora Barnaba fissando ben bene entro gli occhi il padre di Ester e pesando sulle parole, che pronunciava lentamente: non avete nulla da temere. Se io guarisco… e voi mi assicurate che guarirò…

Jacob ripetè quest'affermativa con accento pieno di convinzione.

– Non solamente non avrete disturbi, ma dall'avermi soccorso potrete avere vantaggio. Debile ed umile, com'io vi sembro, io potrei pure molto far obbliare, e molto perdonare per chi avesse bisogno dell'una e dell'altra cosa.

Macobaro chinò gli occhi, prese un'aria modesta e disse:

– Potrei invocare poi la sua protezione in questo senso… non per me, ma per alcuni alla cui sorte m'interessassi?

– Sicuramente.

– Ma ciò vuol dire, s'io non erro, che s'Ella ha sufficiente autorità da far mettere certe cose nel dimenticatoio, l'avrà pure per far volgere il rigore delle Autorità sopra questo o quel fatto, questo o quell'individuo?

Barnaba affondò i suoi occhi in quelli dell'ebreo che si levarono un momento su di lui. Ciò bastò perchè il poliziotto travedesse nell'anima del vecchio rigattiere.

– La ho: rispose con quell'accento significativo di prima. Anzi per far male ad alcuno – che se lo meriti – la ho tanto di più.

Qualunque fosse l'impressione che queste parole facessero su Macobaro, questi la dissimulò compiutamente in una perfetta immobilità della persona, tenendo chini a terra il volto e gli occhi; ma dopo un breve istante riprese a parlare.

– Se dunque Ella non vuole sia ora avvisata la giustizia del delitto compito su di Lei, non è perchè la rinunci alla vendetta…

Pronunciò egli questa parola con una vibrazione speciale, e nel pronunziarla le sue fosche pupille dal fondo delle occhiaie tornarono a volgersi sul volto di Barnaba.

– Alla vendetta! esclamò questi di cui gli sguardi balenarono alla pari. Rinunciarvi? Mai più! Gli è perchè voglio compirnela io… che ho i mezzi ed il potere di regalarmela da me questa vendetta, che non mi piace nessun altro venga ad intromettersi prima. I due sciagurati che mi ferirono furono stromenti soltanto: io voglio salire più su, voglio afferrare la mente che ha guidato quelle mani, e per giungervi farei non so che cosa.

– Ah sì! esclamava con forza il vecchio Arom, Ella ha ragione… Gli è colà che bisogna percuotere.

Barnaba tese vivamente una mano fuori delle coltri ed afferrò lo scarno braccio dell'ebreo.

– E voi mi ci aiuterete: disse con vece bassa ma vibrata. Avete voi pure una vendetta da compiere? I nostri odii si uniscano e quell'uomo è perduto.

– Basta! basta! disse, Macobaro levando il suo braccio dalla stretta della mano del ferito. Abbiamo già troppo discorso, e non bisogna che Ella si agiti il sangue. Stia calmo ed in riposo, la mente ed il corpo.

Si curvò su di lui e soggiunse piano piano che appena il giacente l'udì:

– Di ciò parleremo ancora di poi.

– Ah vendetta, vendetta! pensava Barnaba seguendo collo sguardo il vecchio oramai sull'orlo della fossa che col suo passo cadente s'allontanava dal letto; tu sei la passione maggiore dell'anima umana, tu sei la susta più potente della nostra volontà: chi sa servirsi di te e sfruttare le tue ispirazioni e la tua forza, ha in pugno l'orgogliosa umanità.

Verso le dieci del mattino, Meo, secondo che gli era stato ordinato da Barnaba, venne a casa di quest'ultimo, e vi fu trattenuto ad ogni modo, senza lasciarlo uscir più, premendo di molto al poliziotto che il servo di Pelone più non tornasse nella bettola, nè fosse visto da alcuno dei frequentatori di essa, non avendo Meo medesimo volontà nessuna di tornarci, e giungendo inoltre opportuno per aiutare Andrea nelle cure da darsi al ferito.

 

Barnaba, frattanto, condannato ad una forzata inerzia corporale, lavorava di molto colla testa: veniva rifacendo nella fantasia tutto il dramma avvenire che avrebbe avuto per conclusione una sua molteplice vendetta verso quell'uomo il quale finora avea saputo a lui così bene sottrarsi e nella coperta lotta vincerlo. Un istante solo aveva egli pensato di mandare pel signor Commissario e svelargli quando venisse ogni cosa, perchè s'affrettasse ad agire, nella paura che gli scellerati potessero trovar modo da scivolare anche una volta fuor delle loro mani; ma troppo era il suo desiderio di far egli tutto da sè, d'esser egli a condurre a fine l'impresa e mostrare a' suoi superiori quale errore avessero commesso condannandolo: ci teneva come un inventore alla sua scoperta, il quale non può soffrire che un altro la metta in atto e se ne faccia merito. Gli assassini credendolo spacciato, non avrebbero stimato opportuna altra precauzione per guarentire il loro segreto e la loro sicurezza; ed egli d'altronde ora colla cooperazione di Macobaro poteva dirsi penetrato nel campo nemico. Si trattava solamente di guarir presto, e poi egli avrebbe fatto meravigliare il signor Tofi e quanti altri mai coi risultamenti che otterrebbe.

Egli era appunto in cosiffatti pensieri, quando in seguito alle vicende che abbiamo visto, il signor Tofi medesimo entrava precipitoso nella stanza del ferito e con lieta sorpresa riconosceva in lui il suo più fido e più abile agente segreto.

Il signor Tofi era troppo accorto per far vedere che solamente al caso egli dovesse la scoperta del covo in cui stava ritratto, come Achille sotto la tenda, il suo subordinato; si avanzò verso il letto col suo passo militare accelerato, il mento levato sopra il suo cravattone duro, con aspetto più severo che soddisfatto, non ostante la compiacenza che provava internamente per l'avvenutagli buona ventura di trovar lì chi più desiderava.

– Ecchè, diss'egli col suo accento solito, mezzo di rampogna e mezzo di comando; la ci vuol proprio tutta a stanarvi fuori. E mentre si fa più forte il bisogno dei vostri servizi e si presenta più favorevole l'occasione per farvi onore, voi state qui a poltrire in letto sotto il pretesto di non so qual malattia? Forse che abbiamo il tempo di diventar malati, noi? Forse che possiamo tener broncio e rifiutarci al nostro dovere? Niente affatto. Ci conviene star sempre sulla breccia, il corpo e lo spirito pronti. Animo su, fuori da quelle coltri che una grande campagna incomincia, è già incominciata.

L'emozione della sorpresa vedendo entrare così inaspettato il signor Commissario, aveva cagionato a Barnaba a tutta prima un certo rimescolìo di sangue, per cui s'erano d'alquanto arrossate le sue guancie; ma poi, dato giù quell'accorrere degli umori al capo, era tornata in lui la pallidezza che lo dimostrava in preda ad una vera e non lieve sofferenza di malattia. Tofi ciò vide e con alquanto più interesse che non avesse fino allora manifestato, curvando un poco sopra il letto la sua alta e rigida persona, soggiunse:

– Ma in realtà voi mi siete più bianco d'un cencio lavato. State dunque male davvero?

Barnaba fece un segno affermativo.

– Sono andato fino alla porta della tomba, disse con un mesto sorriso, e poco mancò, proprio assai poco, che non avessi più il bene di vederla, signor Commissario…

Questi volle saper tutto che era avvenuto al suo agente; e Barnaba fattogli promettere che non avrebbe fatto nulla per iscoprire e cogliere i colpevoli, gli raccontò in brevi termini l'aggressione di cui era stato vittima.

Tofi stette un poco pensieroso, gli occhi fissi sul volto del giacente; poi disse:

– Ed a chi ed a qual motivo credete voi dover attribuire questa succhiellata?

Gli occhi di Barnaba si animarono un pochino.

– A chi? diss'egli. V'è una grande, orribile congrèga, di cui son presso a scoprire le fila, v'è una scellerata e potente persona de' cui delitti ho già quasi in mano le prove… Si aveva tutto il possibile interesse a farmi scomparire.

Questa volta il Commissario non fece più il sorriso d'incredulità che era solito a fare quando Barnaba accennava a que' suoi sospetti intorno ad un misterioso capo di un'orda di briganti.

– E perchè, domandò egli ancora, non volete ch'io cerchi de' vostri assassini?

– Per più ragioni: rispose Barnaba. La prima è la mia sicurezza medesima. Bisogna che si facciano l'idea ch'io sono sparito affatto, e che del loro delitto non esiste traccia nè sospetto nessuno: per ciò volli tenermi così nascosto e feci giurare ai pietosi che mi soccorsero il più assoluto silenzio. Se altrimenti avvenisse, quell'associazione, potente e così bene guidata com'è, avrebbe tosto mezzo di scoprirmi ed una seconda volta mandare a buon fine il loro poco amorevol disegno a mio riguardo. Poi è necessario ancora codesto perchè credendo tolto di mezzo per sempre chi li minacciava, si rassicurino e non facciano disperdere gl'indizi e le prove, di cui ho già tutti in mano gli elementi. Per ultimo (e qui i suoi occhi brillarono vieppiù), perchè voglio avere io il gusto ed il merito di fare le mie vendette.

Tofi fece un legger cenno d'acconsentimento.

– Sta bene, disse poi; ma frattanto l'audacia e il numero dei delitti crescono ogni giorno, e preme porvi riparo il più presto. La notte di là assassinarono l'usuraio Nariccia e la sua vecchia fante.

Barnaba si fece contare tutte le circostanze appurate di quel fatto.

– Ed Ella sospetta dei colpevoli? domandò poi.

– Sono certo: rispose vivamente Tofi. Gli assassini erano tre; due furono i famosi Stracciaferro e Graffigna.

E narrò il modo con cui di ciò erasi assicurato interrogando nella guisa che abbiamo visto il paralitico Nariccia.

– Vi è il terzo ancora da scoprire: soggiunse poi.

– Eh! so ben io chi fu questo terzo: disse Barnaba con accento pieno di convinzione.

Tofi si curvò su di lui.

– Sempre la vostra idea? interrogò abbassando la voce.

Il giacente fece un segno affermativo.

– Quel signorino elegante?

– Sì.

– Il dottor Quercia?

– Lui!.. Non altri che lui! esclamò con forza Barnaba.

Il Commissario affondò le sue mani nelle lunghe tasche del suo soprabito, posò il mento sul cravattone e fece due giri per la stanza, assorto in profonda riflessione. Poi tornò a piantarsi alla sponda del letto del suo subordinato.

– I vostri sospetti non li accuso più d'impossibili, diss'egli; ma l'affare è molto delicato e conviene trattare con prudenza molta.

Esitò un momentino e poi con brusco accento, come se l'avesse amara seco per dover pronunziare quelle parole:

– Che cosa penserete voi dover fare? domandò.

– Poco o nulla rispose Barnaba. Raccogliere tutti gli indizi possibili, ma quasi di soppiatto, sorvegliare attentamente, ma senza che appaia. Sarebbe buon partito mostrare d'aver preso uno svarione e mettersi apparentemente in una falsa strada; oppure far vedere che, disperati di venirne a capo di nulla, si rinuncia alla ricerca… Intanto io, grazie a Dio guarirò e se non si dà imprudentemente la sveglia, farò cogliere al covo tutta la masnada.

– Guarite dunque presto: conchiuse il Commissario. Verrò a tenervi informato d'ogni cosa che avvenga, e consulteremo assieme.

Barnaba fece un piccolo moto.

– Non temete, s'affrettò a dire il signor Tofi, userò ogni fatta precauzione, perchè non mi si veda.

– Va bene… la ringrazio: soggiunse il ferito: ma perdoni ad una mia domanda, di cui Ella comprenderà per me l'importanza. Come giunse Ella a scoprire la mia dimora?

Tofi stette un momento a pensare, poi non vedendo inconveniente nessuno nel dir la verità, raccontò tutto quello che era successo al povero Andrea. Barnaba confermò che questo disgraziato era stato tutta quella notte con lui e pregò vivamente perchè il Commissario s'adoperasse a farlo liberare. Il signor Tofi ciò promise e mantenne la parola. Quattro giorni dopo il suo arresto, Andrea era restituito alla libertà. L'infelice appena fuori della porta del carcere, corse come un indemoniato all'ospedale dove aveva lasciato sua moglie, che gli pareva mille anni non aver più vista… Aimè! Era troppo tardi!

Andrea andò quasi correndo fino al letto in cui aveva lasciato sua moglie.

– Paolina, Paolina, voleva gridare, finalmente sono qua di nuovo… e non ti lascierò più… e verrò tutti i giorni; ma l'emozione lo serrava talmente alla strozza che non altro potè uscirne fuori, che una specie di rantolo.

Il pover'uomo benedisse questa emozione che gli impediva il parlare, poichè vide la donna che giaceva in quel letto così immobile e tranquilla che ben pareva immersa in placido sonno. Volta sopra un fianco, ella si copriva colle lenzuola la faccia, sì che non se ne potevano scorgere i lineamenti. Andrea volendo rispettare quel sonno prezioso, si accostò pian piano e sedette sopra lo scanno che si trovava appiè del letto, fissando quella testa che mezzo si nascondeva sotto le coltri.

– Il dormire le fa del bene: diceva frattanto fra sè: poverina! che sorpresa l'aspetta ora che si svegli!.. La mi domanderà dove sono stato e che cosa ho fatto… Come ho da risponderle?.. La verità, no: troppo le sarebbe crudele; se v'è caso in cui debba essere perdonata una bugia, si è questo… Le dirò che sono stato a lavorare… sì, che ho trovato dove allogarmi ed assai bene… Ciò invece le gioverà… E poi la mi domanderà dei bimbi… E le dirò che stanno bene; e che glie li condurrò domani… Quel buon signore che li ha condotti all'ospizio e che venne a darmene delle nuove mi assicurò che son sani e vispi… Ho ancor io tanto bisogno di vederli!.. Ma la mia prima visita non poteva essere che per te, mia buona Paolina, mia cara Paolina… Ah come mi sono accorto che ti voglio bene, sai!.. Ad esser lontano ho sentito che tu mi sei necessaria alla vita; vedendoti a soffrire ho capito che ti volevo ancora il gran bene d'una volta, perchè darei mille delle mie vite per allungarti e far lieta la tua… E son io che ti ho fatto soffrire… Oh me scellerato!.. Ma d'ora innanzi…

Gli parve che l'inferma avesse fatto un moto, ed egli si levò di scatto per essere pronto a gettarsi su di lei e baciarla. La giacente aveva sì cambiato un poco la mossa, ma non s'era sveglia. Però la faccia rimaneva ora un pochino più scoperta, ed Andrea, mirando quella piccola lista di fronte che si presentava ai suoi sguardi, ricevette una strana impressione.

– La non mi par lei: disse facendo un passo indietro quasi con isgomento.

Guardò dintorno e riconobbe che quello era proprio il letto in cui aveva lasciata Paolina, mirò il numero, ch'egli sapeva discernere, e vide che non s'era sbagliato; ma pure più e meglio guardava quella testa, lo stare di quel corpo abbandonato e più gli sembrava che la donna giacente in quel letto non era la sua Paolina. Una vaga inquietudine lo prese. Che cosa non avrebbe dato per saper leggere ed appurare qual nome fosse scritto sul cartellino che pendeva a capoletto? Mentre si guardava ansioso dintorno come per cercare mezzo alcuno di sincerarsi, ecco accostarsi a quella volta la suora di carità ch'egli aveva veduta dare le sue cure a Paolina. Andrea le mosse all'incontro con un'esclamazione quasi di gioia:

– Ah! mi dica Lei come sta la mia Paolina… È ben sempre in questo letto, è ben essa quella che vedo? Sono qui da cinque minuti; ma la dorme sempre… Ciò le farà del bene, non è vero?.. E che cosa dicono i dottori?

La faccia della monaca si turbò talmente che Andrea ne rimase spaventato.

– O Dio! soggiunse, la trovano forse peggiorata? Era essa molto male alla visita di questa mattina?

La monaca scosse mestamente la testa.

– No: rispos'ella con voce ed accento pieni di compassione: questa mattina ella non era male.

Andrea mandò un sospiro di sollievo: in quel momento la donna che era nel letto si svegliò e volgendosi supina, scoprì affatto il suo volto. Il marito di Paolina si precipitò verso di lei; ma tosto si ritrasse indietro allato alla suora che per trattenerlo gli aveva posto sul braccio una mano.

– Ma quella non è mia moglie! esclamò egli.

– No: disse la suora volgendo in là lo sguardo, vostra moglie da ieri non è più qui.

Una folle speranza balenò all'anima del povero uomo.

– Uscita forse? domandò egli: Dio ci avrebbe già fatta la grazia di guarirla?

Vide dall'espressione della faccia di quella monaca quanto fosse fallace una simile speranza.

– Ah no, soggiunse, codesto non è possibile. L'hanno dunque traslocata in qualche altro ospizio?.. oppure solamente in qualche altra sala?.. Forse in una stanza particolare… Oimè! forse appunto perchè il suo male era aggravato?..

Un barlume di quella che era pur troppo la tremenda verità cominciava ad apparire alla sua mente; ma egli non voleva lasciarsene illuminare.

 

– Per carità, la mi dica dov'è mia moglie? scongiurò egli giungendo le mani.

La monaca che stimò la terribile rivelazione fosse meglio non farla in quel luogo, dove lo scoppio del dolore di quell'infelice avrebbe potuto nuocere alla ammalate che stavano tutt'intorno, prese Andrea per mano e gli disse:

– Venite meco e saprete ogni cosa.

L'uomo si lasciò guidare come un fanciullo.

– Andiamo a vederla? domandò. Mi conduce dov'è Paolina?

La monaca non rispose. Lo introdusse nelle camere della Direzione, e colà fattolo sedere, incominciò a dire:

– Voi siete padre di famiglia, non è vero?

Andrea guardava intorno come per iscoprire dove fosse la sua moglie.

– Sì signora, rispose: ho una nidiata di bambini in piccola età.

– Bisogna dunque aver forza e coraggio per loro. A voi tocca adesso l'amarli per due.

Andrea divenne pallido pallido; allargò tanto di occhi e fissò la monaca tutto sgomento: le sue mani agitate spiegazzavano il suo berrettaccio, e colle labbra che tremavano balbettò:

– Amarli per due?.. Non capisco.

Il vero era che egli cominciava a capire pur troppo.

– Sì, disse gravemente la monaca mettendogli una mano sulla spalla. Sulla terra siete ora voi solo ad amarli i vostri bimbi; la madre loro li ama e li protegge dal cielo.

Si sarebbe potuto credere ad uno scoppio di dolore nel povero Andrea; invece egli rimase mutolo, gli occhi e la bocca larghi, quasi attonito; avreste detto che non avesse capito. Stette in silenzio così alcuni minuti fissando con pupille smarrite la monaca, la quale gli teneva sempre, con atto pietoso, la mano sulla spalla.

– Paolina adunque? diss'egli poi con un soffio di voce, e le ciglia gli si misero a tremolare leggermente.

La suora di carità non rispose che con una mossa mestissima, additando il cielo.

– Morta!? esclamò l'infelice con voce serrata nella strozza. Ah! non è possibile… Morta senza ch'io più la vedessi?.. Morta senza che mi perdonasse… Ah no, no, non deve esser vero… Per carità mi dica che non è vero.

– Vi ripeterò invece che bisogna abbiate forza e coraggio, rassegnarvi alla volontà di Dio e mettervi in grado d'adempire giustamente a tutti i doveri che partendosi da questa terra ella vi ha lasciato.

Andrea si cacciò le due mani convulse nella chioma arruffata, cui parve volersi strappare; la monaca, paurosa ch'egli incrudelisse contro se stesso, volle prendergli una mano, ma il misero la respinse da sè bruscamente, senza profferire pure una parola: poi piantati i due gomiti sulle ginocchia, nascose fra le mani nere ed incallite la faccia e stette così alquanto tempo, immobile, senza dar segno nessuno di sentimento nè di vita. La suora di carità avvisò che il meglio era lasciarlo tranquillo nel suo dolore, e stette alcuni passi in là, guardandolo pietosamente.

Dopo un poco un singhiozzo eruppe dalla gola del pover'uomo, un singhiozzo penoso come un vero grido di strazio; le mani gli si contrassero sulla faccia che coprivano, come se colle unghie la volessero disfare, e una sequela di singulti che gli scuotevano tutta la persona, parevano rompergli il petto.

– Coraggio! disse la suora di carità accostandoglisi di nuovo.

Andrea trasse giù dal viso le mani e mostrò delle sembianze che il dolore aveva così sconvolte da non parere più quelle di prima.

– Mi dica quando e come ella sia morta… La mi avrà chiamato… mi avrà accusato di non venire… Povera donna!.. Morta senza una mano amica a chiuderle gli occhi!.. Mi dica tutto.

– No: essa non potè accusarvi, essa non soffrì, perchè Iddio pietoso non volle che dopo quel colpo fatale la infelice tornasse più in senno.

L'uomo drizzò vivamente la testa.

– Colpo fatale! esclamò con una vivace sorpresa che pareva quasi una violenza: che colpo?

– Quello di sapervi arrestato…

Andrea si drizzò di scatto, mandando più un urlo che un grido.

– La lo seppe!.. Chi fu lo sciagurato che gliel disse?

La monaca raccontò come la cosa fosse passata e quindi la colpa non era di nessuno.

Andrea si percosse coi due pugni chiusi la fronte.

– Infame, scellerato, gridò, sono dunque io, son io che l'ho uccisa… Ah perchè non sono morto io prima, nel tempo che ero un onest'uomo, e ch'ella mi amava!.. Ma la mi faccia ancora sta carità, sora madre, la mi dica quando è morta la poverina.

– Ieri sera alle otto.

– Ma allora non è ancora sotterrata, esclamò con una specie di soddisfazione e di speranza il miser uomo. Posso ancora vederla… voglio vederla…

Congiunse le mani in atto supplichevole, spiegazzando fra esse il suo berrettaccio.

– Ho bisogno di vederla, soggiunse, mi accordi questo favore, la prego… Vuole che io la lasci portare in terra per sempre, senza darle un ultimo addio?.. La mi conduca presso di lei, la faccia sta carità, la supplico in nome di quella povera morta. Debbo domandarle almanco perdono innanzi al suo cadavere.

La monaca fu commossa ed impacciata. Ella non sapeva se quel cadavere trovavasi ancora nel deposito dell'ospedale: in ogni caso ciò dipendeva dalla direzione, e temeva che un simile permesso non venisse mai accordato.

– Proviamo: insisteva con passione il pover'uomo: andiamo da chi comanda, io li pregherò tanto che mi vorranno usare questa grazia.

La suora di carità cedette, la grazia fu concessa ad Andrea, e questi, accompagnato da un uomo di servizio s'avviò tremando verso la camera di deposito dei morti dell'ospedale. Il custode ne aprì la bassa porticina, e l'operaio entrò in una stanza bassa, oscura, in cui sopra un lungo tavolato stava, coperta da un lurido panno, la forma stecchita di un cadavere.

Andrea si sentì mancare il cuore e le gambe; si appoggiò alla fredda parete umidiccia per non cadere. Ogni suo coraggio era ito. Avrebbe voluto fuggire, se ne avesse avute le forze; la testa gli tenzonava in modo strano, doloroso; quasi gli sfuggiva la coscienza di sè; la mente, come dire, gli si svaporava e parevagli non essere nella realtà delle cose, ma in un sogno d'incubo. Guardava quella striscia di poca luce livida che penetrava dal finestròlo, lambiva passando le pieghe di quello sporco sudario e andava a perdersi nel fondo grigiastro. L'immobile rigidità di quel cadavere attirava i suoi occhi e gli destava insieme una ripulsione di ribrezzo. Che? Era la sua Paolina che stava là, di quella guisa, insensibile, senza che più potesse vederlo, sentirlo, muoversi alla sua voce?

Il custode, cui quegl'indugi impazientavano, guardò con aria interrogativa Andrea, come per domandargliene:

– Ebbene? e che si fa ora?

Andrea fece un cenno col capo e colla mano, che l'uomo comprese di subito e cui si affrettò ad ubbidire: prese per un lembo il lenzuolo che copriva il cadavere e lo trasse via bruscamente. Andrea, come se in quel punto fosse rotto il fascino che lo teneva avvinto, si precipitò innanzi le braccia tese verso quelle forme d'essere umano che gli apparivano nella loro nudità; ma retrocesse di botto, come respinto da una mano al petto. Era il cadavere d'un uomo.

Si volse al custode domandandogli quasi con rabbia:

– Ma mia moglie?.. Cerco di mia moglie, io… dov'è?

Il custode si strinse nelle spalle.

– Questo, rispose, è l'unico cadavere che abbiamo per il momento; un povero diavolo morto questa mattina.

– Mia moglie morì ieri sera alle otto.

– Ah! ho capito. Fu trasportata questa mattina all'alba.

– Dove?.. già al cimitero?

– No: rispose il custode scotendo con una certa grave mestizia il capo.

Un'inquietudine, ch'egli stesso non avrebbe saputo spiegare, s'impadronì del povero Andrea.

– Dove l'hanno portata adunque?

– All'anfiteatro: rispose il custode abbassando la voce.

Andrea non capiva questa parola, ma ne sentì una tremenda paura. Aveva udito dir mille volte che i corpi dei poveri morti all'ospedale erano mandati in un certo luogo, dove si tagliuzzavano in presenza di una frotta di giovani. Un orribile sospetto del vero gli fece spuntare un sudor freddo alle radici dei capelli.

– Anfiteatro! ripetè egli. Che volete dire?