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...Sorella di Messalina

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IV

—Detesto i baci,—disse lei allorchè, al terzo incontro, Alberto credette giunta l'ora di chiedergliene uno.

La signora detestava molte cose che le donne in generale sogliono amare.

—Detesto i baci, detesto i fiori, detesto i bambini,—dichiarò.

Alberto fu non poco stupito da queste asserzioni che gli parvero anormali ed inestetiche; indi osò chiederle, se in fatto di bambini, non conoscesse che quelli degli altri.

—Conosco anche i miei,—rise la signora.

—Ah?—fece Alberto.

—Sì, due.—diss'ella, laconica, stringendosi nelle spalle.—Grandi e lontani. Quando sarò così vecchia da non potermi più nè tingere nè incipriare, andrò a stare con loro. Mi adorano.

—E... vostro marito?...—chiese tentativamente Alberto.

Di nuovo ella si strinse nelle spalle.

—È in Africa;—disse.

—Non torna?

—Sì, sì. Tornerà. Mi adora.

Secondo lei, tutti la adoravano. E poteva anche essere vero. Ma lei continuava a detestare molta gente e molte cose.

—Detesto le donne,—disse un giorno, allorchè, giungendo inattesa nello studio, lo aveva trovato invaso da una deputazione di signore del Comitato di Coltura femminile. E all'Esposizione della Promotrice, avendole Alberto presentato due dei suoi amici (di cui uno le fece la corte e l'altro no) ella si mostrò assai risentita.

—Non mi presentate mai i vostri amici—esclamò.—Detesto gli uomini.

Egli allora, per distrarla e placarla, e anche perchè cominciava ad interessarsi a quel viso strano che cambiava di linea, di espressione e di colore ogni momento, la pregò di posare per un ritratto.

—No! no! Detesto i ritratti!—disse lei.—E detesto i ritrattisti! Detesto tutto.

Egli non insistette.

Ma l'imagine di lei, il ricordo delle sue frasi e dei suoi atteggiamenti, il bisogno di vederla ogni giorno, crebbe e lo ossessionò.

V

Quando si conoscevano da circa due mesi, ed egli non pensava più che a lei e come lei; e non parlava più che con lei o di lei, adottando gli atteggiamenti spirituali, le pose e le espressioni un poco eccentriche a lei abituali; quando tutti i suoi quadri—la danzatrice Araba, l'Ebe giovinetta, la Madonna di Laghet, la baronessa Ferrari, e anche l'ex-sindaco di Chieri—mostravano senza eccezione una vaga ma indiscutibile somiglianza a lei, egli d'un tratto le cadde in ginocchio dinanzi.

—Ti amo, Raimonda!...

—No, Giorgio! non amarmi!—sospirò essa.

—Non posso non amarti. Amarti... è la vita.

Ella si chinò verso di lui e gli pose le lunghe mani sulle spalle.

—Amarmi... è la morte,—sussurrò.

Alberto, per quanto innamorato, ebbe voglia di sorridere a questa dichiarazione che gli parve un po' spinta verso il melodrammatico.

Ella gli lesse in volto il pensiero, e sospirò:

—Tu credi;—disse con lenta intensità,—tu credi che io esageri o scherzi. Mi trovi stravagante ed esaltata. Ebbene, ti sbagli. Io voglio che tu sappia in che genere di avventura tu ti arrischi con me. Non dirmi poi che non t'ho preavvisato.

Tacque un istante, poi riprese:

—Tu crederai pure che io non sono passata traverso la vita senza amori. Crederai pure che gli uomini mi hanno amata... molto amata...

—Sì,—disse Alberto.

—Ebbene, non vi è nel mondo un sol uomo che possa dire di essere stato mio amante. Non uno!

Alberto si sentì vagamente impressionato. Gli parve ch'ella dicesse il vero. Difatti, nei primi tempi, egli aveva pur parlato di lei, un po' coll'uno, un po' coll'altro; e tutti le avevano attribuito molte passioni e un passato turbolento e tempestoso. Ma chi erano i suoi amanti? o chi erano stati? Nessuno lo sapeva.

E ancora, come s'ella gli leggesse in fronte il pensiero, china verso di lui, mormorò:

—Félix de Courcy... morto. Gilberto Nelson... morto. Goffredo Sarti... morto. Theo Smith... morto. Adriano Scotti...—S'interruppe d'improvviso e si coprì il volto.

Alberto aveva ascoltato attonito il lugubre elenco. Pur avendo voglia di sorriderne, sentiva un piccolo brivido serpeggiargli per le vene.

—Tutti nel pozzo?—chiese finalmente, con una risatina nervosa.

Ella non rispose. Era pallida: due linee dure le solcavano le guancie. Ad Alberto parve brutta: brutta e assurda e temibile a un tempo.

Egli si alzò di scatto.

—Fuggo!—disse.—Voi siete una terribile donna!

E si chinò, quasi ironico, a baciarle la mano.

Solo, nella strada, nel pallido e prosaico tramonto cittadino, il giovane sorrise ancora ripensando la grottesca e macabra posa di costei.

—Basta!—disse, aggiustandosi al collo il bavero del soprabito.—Quella donna è un'esaltata e un'isterica. Non ci andrò più.

VI

Mantenne per tre giorni il saggio proponimento. Poi le scrisse chiedendo di rivederla. Ella non rispose.

Allora la sera seguente, andò da lei.

La trovò, elegantissima, circondata da molta gente: uomini noti ed ignoti; donne della società e dell'arte. Si rivelava una perfetta padrona di casa, calma, corretta e cortese.

E Alberto stupito si domandò:—Era questa la donna dell'annuncio? Era questa la Messalina dall'elenco di amanti morti?

—E come—si chiedeva il giovane, con una tazza di thè in una mano e un sandwich nell'altra,—come erano morti?...

De Courcy doveva essersi suicidato. Gilberto Nelson?... Egli ne ricordava la fine improvvisa in una casa di salute; se ne era assai parlato qualche anno addietro... Degli altri Alberto non aveva mai udito il nome.

Quando gli altri invitati si congedarono, egli restò.

Appena furono soli ella cambiò atteggiamento. Al giovane parve che i suoi lineamenti si trasformassero. Non era più la signora di pochi istanti prima, calma, dignitosa e corretta; gli occhi verdi ridivennero triangolari; le labbra ch'ella mordeva convulsamente eran scarlatte; stringeva con violenza alle narici il fazzoletto intriso d'etere.

Alberto turbato le s'inginocchiò dinanzi, e piegò il volto sul braccio di lei, fresco alla sua guancia accaldata.

—Raimonda!—mormorò convulso—amami! amami!

—Ma ti amo! ti amo! Non hai compreso che ti amo?—singhiozzò lei.

E colle due mani gli alzò il viso e gli affondò nelle pupille lo sguardo violento, assetato di voluttà.

Al giovane ella apparve d'un tratto intristita, avvizzita, pietosa. Ed egli pensò che la donna è meno bella quanto più è ardente, meno inebriante quanto più è appassionata, meno commovente quanto più è commossa.

Con subitaneo finissimo intuito ella parve leggergli in fronte quel pensiero. Si riprese, subitamente calmata, sorrise, lo cinse col braccio e gli battè lievemente le dita sulla schiena, come se suonasse il pianoforte.

—Ma tu, dopo ciò che ti ho detto, tu hai forse paura di me!

—No! no! non ho paura—esclamò il giovane, ripreso a sua volta dalla passione.—Hai detto che amarti era la morte! Ebbene, io non ho vissuto prima di amarti!

—Nè vivrai dopo di avermi amata,—disse, accarezzandogli con mano leggerissima i capelli.

Di nuovo egli si sentì urtato da questa asserzione sensazionale che gli parve assai spostata.

Che strana manìa era questa, di voler drappeggiare un grazioso idillio, una piacevole avventura, nel manto tenebroso della grande tragedia?...

Tuttavia, riflettè Alberto, se questa donna voleva ad ogni costo un amore truce e macabro, una passione alla Grand Guignol, bisognava accontentarla. Egli intonerebbe in minore la sua passione e avvolgerebbe di veli neri le rosse fiamme del suo desiderio.

Già. Le donne sono delle strane creature. Bisogna prenderle come sono.

Ed egli la prese com'era.

VII

Com'era?

Era feroce e dolce, era magnifica e mostruosa. In lei l'amore era qualcosa di convulso e di atroce.

E il giovane, da principio stordito e quasi respinto da tanta feroce frenesia passionale, disse a sè stesso:

—Di questa donna mi stancherò presto.

Ma non se ne stancò.

Poichè ella si rivelò un'amante portentosa. Un'amante di profondo e prodigioso intuito; di una sensitività acre e morbosa, di una sensibilità fantasiosa e ispirata. Era così varia e sorprendente che al giovane pareva di conoscere in lei tutta la muliebrità del mondo. Ella era mille donne! Era tutte le donne. Era la donna!

Ora appariva all'amante candida come una bimba; ora corrotta come una meretrice. Oggi ostentava una lubrica depravazione, domani una sognante idealità. Oggi era commovente di ingenua dolcezza, domani spaventosa di delirante lussuria.

Egli la lasciava a tarda notte sopita in un letargo mortale, quasi inabissata nell'inerte stupore di un ipnotico; e, dopo qualche ora, la ritrovava, lieta e candida, gaia e fanciullesca.

Nei soleggiati meriggi uscivano insieme ed ella era con lui saggia e positiva, consigliatrice affettuosa, amica dolce e quasi materna.

Nei ritrovi mondani si rivelava la dama spirituale e corretta, di una dignità calma e irreprensibile...

E la sera, ecco! gli si abbatteva tra le braccia, empia e violatrice, iena, furia, vampiro!

Alberto ne fu avvinto e travolto. Egli che fino allora, con altre donne, era sempre stato un amante blando, temperato e sufficiente, con lei divenne un vulcanico amatore, un amante sovrumano e trascendentale. Turbini e tempeste gli scotevano i nervi. Ed egli sentiva di essere un uomo speciale, prescelto, eletto! Sentiva di essere un dio.

 

Andava intorno per la città con aria spavalda e sprezzante; disdegnava le donne, insultava gli uomini, si pettinava come un apache, si profumava il fazzoletto coll'etere. Dipingeva con balda iattanza, sbattendo sulla tela delle spennellate sprezzanti e disdegnose.

E trattando così, con altezzosa villania, gli uomini, le donne e l'arte, si fece molto notare ed apprezzare.

Ed essa lo amò. Lo amò con frenesia ed estasi, con rapimento e strazio.

Ben presto venne l'epoca, come in tutti gli amori, in cui ella non volle più vedere nessuno all'infuori di lui; nè amici, nè amiche, nè conoscenze, nè estranei. Lo rinchiuse nella sua passione come in una fortezza, esigendo da lui il passato, il presente e l'avvenire, chiedendogli la rinuncia ai suoi ideali, alle sue aspirazioni, alla sua individualità.

Conobbero insieme l'acre tedio e la snervante dolcezza della perenne solitudine a due.

E la donna, talvolta, ne fu quasi soddisfatta.

Trop suffit—quelquefois!—à la femme!

Ma nei convulsi allacciamenti saliva sempre dal cuore di lei—macabro ritornello—il desiderio della morte.

La morte!... Quella parola come un funebre rintocco accompagnava in lei la voluttà.

E a poco a poco il giovane sentì quel delittuoso e voluttuoso sospiro sferzargli i nervi come un possente, oscuro afrodisiaco.

.     .     .      .     .     .     

Infine la fosca furia e lussuria di lei vinse e travolse anche l'uomo. Gli scavò nell'anima degli abissi insospettati. Lo avvolse e sconvolse, lo soggiogò e bruciò.

In breve egli non comprese più come si potesse «amare in letizia», compiere con baci e sorrisi il feroce e tragico rito d'amore.

E calò nelle sue braccia come in un abisso.

PARTE SECONDA

VIII

Un giorno di febbraio Alberto ricevette dal paesello sul Veronese dove viveva la sua famiglia—il padre medico condotto, la madre mite e semplice massaia, e Betty, la sorellina, soave fiore diciottenne—un telegramma. Betty era ammalata.

Egli si precipitò da Raimonda: la baciò, l'abbracciò, ascoltò distratto le sue parole di rammarico, e partì per San Vincenzo col cuore angosciato.

La sorellina guarì quasi subito: ed egli dopo pochi giorni fece ritorno in città.

Passò nello studio in corso Cairoli a prendere la sua esigua e poco interessante corrispondenza, indi si recò subito da Raimonda.

Non c'era. Era partita.

—Partita!

La cameriera, magra e maliziosa, non sapeva dove fosse andata. La cuoca, grassa ed intontita, non sapeva quando sarebbe tornata.

Alberto rientrò nel suo studio di cupo umore.

Passarono tre giorni, tre giorni di tormento e d'ansia per il giovane; indi Raimonda ritornò.

Era pallida e sciupata. Spiegò ad Alberto ch'era stata da una parente inferma, a Recoaro, e che non aveva mai dormito.

—Ho passato delle notti infernali,—disse sbadigliando, e togliendosi la pelliccia di cincillà, magnifico indumento che Alberto non le conosceva;—... delle notti infernali!

Si mise a letto subito e dormì fino al meriggio dell'indomani.

Quando rivide Alberto volle sapere tutti i particolari della malattia di Betty; ciò che non lasciò a lui il tempo di informarsi sui particolari dell'infermità della parente di Recoaro.

IX

Dopo questa breve separazione si amarono come prima.

O più di prima? O diversamente di prima?

Alberto se lo chiedeva talvolta. Gli pareva ch'ella lo abbracciasse con maggior tenerezza e con minore frenesia.

Pareva divenuta più dolce, più buona, e più paziente; certo, era meno viziosa, meno torva e appassionata.

Alberto se ne felicitava come di una vittoria propria, dovuta al suo semplice e sano modo di concepire la vita e l'amore. L'elemento spasmodico, febbrile, morboso scemava nella loro relazione...

Era bene, era giusto che fosse così,—rifletteva Alberto tranquillizzato, ma non senza una lieve punta di rimpianto.

Egli allora ricominciò a pettinarsi meglio; riprese a dipingere con maggior cura, e si profumò il fazzoletto semplicemente coll'acqua di Colonia.

X

S'avvicinavano le feste di Pasqua. E alla vigilia della Domenica delle Palme giunse ad Alberto la notizia che tutta la sua famiglia si sarebbe recata a trovarlo e a passare con lui, in città, la Settimana Santa.

Alberto, turbato ma pur rallegrato da questa novella, si recò dall'amante colla lettera in tasca.

Trovò Raimonda tutta sorrisi nel suo salotto pieno di fiori; un orario ferroviario e una carta della Riviera erano aperti sul tavolo dinanzi a lei.

—Ho un progetto delizioso,—disse ella alzando verso Alberto il volto fine, irradiato da quel sorriso a un tempo malizioso e infantile, che da un pezzo il giovane non le aveva veduto più.—Andiamo a passare dieci giorni a Bordighera. Sfuggiremo a questa lugubre atmosfera quaresimale e alla più lugubre allegrezza festiva che seguirà. E là, in faccia alle azzurre acque danzanti del mare, sui tappeti d'erba nuova già costellati di primule e pervinche, io mi rinnamorerò di te, o mio giovane amante cittadino! che non ho mai veduto se non su uno sfondo di strade e di piazze, di portici e monumenti. Sei contento?

—Oh, peccato!—esclamò Alberto.—Perchè non me l'hai detto prima?

Il volto di lei si fece subitamente duro e ostile.

—Che cosa c'è?—chiese con la voce un poco aspra che Alberto di recente aveva imparato a conoscere e temere.

Egli trasse con riluttanza la lettera di tasca.

—Vedi... è la mia gente che mi scrive...

E le porse il foglietto.

Ma Raimonda aveva voltato il capo ed egli non le vedeva che la sottile e rigida linea della guancia e del mento.

—Leggi, dunque!—insistè—leggi ciò che mi scrive la mia famiglia.—E per ammansarla si chinò a baciarle i capelli ondulati e profumati, ritoccati all'henné.

Ella ritrasse di scatto il capo come una viperetta che voglia mordere.

—La tua famiglia! la tua famiglia!... non seccarmi l'anima con la tua famiglia.

Alberto tremò. Sentì una vampata d'ira salirgli dal cuore alla fronte.

—Non mi pare di averti seccata molto colla mia famiglia,—disse.—Ma mi guarderò bene, d'ora innanzi, dal parlartene.

—E te ne sarò grata,—fece lei sarcastica e pungente. S'alzò e uscì dalla stanza.

Alberto rimase solo nel salotto profumato, di fronte all'orario ferroviario aperto e alla carta della Riviera stesa sulla tavola. I fiori olezzavano nei vasi, il grande oriolo Empire, colla sua stolida faccia circondata di smalto rosso, ritmava il tempo con battito forte. Alberto mosse qualche passo per seguire la sua amante, poi si fermò. Il battito di quell'orologio nel silenzio gli martellava il cervello come un monito, come un avvertimento.

Quanti minuti, quante ore, quanti giorni, quanti mesi della sua vita—della sua vita breve, unica, preziosa!—aveva egli già dato a questa donna? A questa donna nè buona, nè giovane, nè bella, che lo aveva ammaliato, infatuato, stregato? A questa donna che non lo amava più, e che lui, forse, non aveva mai amato?

—Ah! Ne ho abbastanza, ne ho abbastanza!—disse all'orologio e a sè stesso.

E uscì, sbattendo la porta.