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I divoratori

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XIX

Il Selvaggio rimase a Praga dieci giorni e condusse Anne-Marie sulla Moldau, e alla montagna bianca, e al Monte Petrino.

Ed ecco giunta la sua ultima giornata. Venne nella mattinata, e invitò Miss Brown, sola, ad accompagnarlo alla vallata della Sarka. Miss Brown – egli sempre così la chiamava – accettò, pallidetta e quieta.

Era una fulgida giornata estiva. La campagna era tutta accesa di papaveri rossi, come un cappello della festa da sguaiata provinciale.

Il cuore di Miss Brown era triste.

– Parto stasera, – disse il Selvaggio, – alle otto e quaranta.

– Lo so. Me l'avete già detto venti volte, – disse Miss Brown.

– Mi piace che ci pensiate, – disse lui; ed ella non rispose. – Vado nelle mie miniere nel Transvaal…

– Me lo avete già detto duecento volte, – disse Miss Brown con petulanza.

Egli proseguì calmo:

– … nel Transvaal, e dovrò starci un anno, forse due anni e badare a quella miniera di San Juan. Poi ritornerò. – Tossì. – Oppure, non ritornerò.

Nessuna risposta.

– Non avete mutato nulla ai vostri propositi, riguardo all'andare in Italia a scrivere il vostro libro?

– No, nulla, – disse Nancy, con due strisciette bianche ai lati delle narici.

– Lo pensavo.

Poi camminarono in silenzio. Il fiume scorreva, verdemarino e liscio e lucido come seta giapponese. Gli uccelli cantavano, e il vento correva sui papaveri.

– Nancy, – diss'egli.

Era la prima volta ch'egli la chiamava col suo nome. Ella si coprì la faccia e pianse.

Egli non tentò di consolarla. Dopo qualche tempo le disse:

– Siediti.

Ed ella sedette sull'erba e continuò a piangere.

– Mi ami dunque tanto? – chiese egli.

– Perdutamente, – disse lei, alzando a lui i miti occhi inondati di lagrime.

Egli le sedette accanto.

– E sai che io ti amo più della mia vita? – disse.

– Sì, lo so, – singhiozzò Nancy.

Vi fu un altro breve silenzio. Indi egli disse:

– In una delle tue lettere molto tempo fa, mi scrivesti: « Questo amore traverso la lontananza, questo amore che non ha chiesto l'aiuto di alcuno dei nostri sensi, questa è la celeste Rosa dell'Amore, la mistica Meraviglia, fiorita nelle nostre anime a diletto dei cieli ». Vogliamo coglierla, Nancy? coglierla e portarla per diletto nostro?

L'acqua correva chiacchierando al sole; e il vento volava sull'erba.

Egli le tolse una mano dal viso e la guardò.

– Rispondi, – disse colla voce bassa e veemente.

– Allora, – disse Nancy, – se la cogliessimo… non sarebbe più la mistica Rosa celeste… non è vero?

– Già, – disse lui.

– Allora sarebbe una povera Rosa come tutti ne hanno… una rosa di tutti i giorni, e di tutti i giardini…

– Già, – disse lui.

Ella ritirò la mano dalla sua stretta. E la mano di lui rimase vuota e aperta nel sole; una grande mano, forte ma solitaria.

– Oh, caro Sconosciuto! – disse Nancy, e si chinò in avanti, e baciò quella mano derelitta. – Non gettiamo via la mistica Rosa dei nostri sogni!

– Non vuoi? – diss'egli, e il suo viso abbronzato era così pallido che anche Nancy, guardandolo, si sentì impallidire.

E i suoi chiari occhi di sognatrice e di poeta si affondarono nei chiarissimi occhi dell'uomo solitario, dello Sconosciuto da tanto tempo così puramente amato. Ed ella pensò il suo amore come un argenteo scudo davanti al suo cuore, che la proteggesse.

– Oh, no! – diss'ella, congiungendo paurosamente le mani.

E tutta la tragica banalità d'una simile chiusa alla sua delicata storia d'amore, le oscurò di dolore gli occhi.

Egli se ne avvide.

– Che cosa pensi? – chiese con voce rauca.

– Penso che quando voi sarete lontano, ed io dovrò continuare sola la mia strada, terrò il vostro amore come uno scudo sul mio cuore perchè mi difenda contro tutte le tristezze e contro tutte le viltà. E se lo scudo non sarà sfregiato, mi pare che mi proteggerà meglio, e potrò, – qui la voce le mancò in un singulto, – potrò anche alzarlo a difesa dell'innocente capo di Anne-Marie.

– Sta bene, Miss Brown, – disse lui.

Poi si chinò in avanti e le prese fra le due grandi mani il piccolo viso malinconico. La guardò a lungo, ed ella vide i duri occhi arrossarsi subitamente, come soffusi di pianto. Ma ripresero poco a poco la loro chiarezza fredda senza distogliere l'azzurrino sguardo da lei.

– Brava Miss Brown, – disse, – brava piccola, coraggiosa, dolce Miss Brown.

E la baciò in fronte.

Quella sera partì, e se ne ritornò nelle sue miniere.

XX

L'inverno seguente, allorchè Nancy era a Praga da quasi un anno, il Professore disse:

– Il mese prossimo Anne-Marie darà un concerto orchestrale.

– Oh! Herr Professor! – esclamò Nancy.

– Cosa c'è? – disse il Professore.

– Cosa c'è? – disse Anne-Marie.

– Ma non ha che nove anni.

– E allora? – chiese il Professore.

– E allora? – chiese Anne-Marie.

Chi potrà mai descrivere la febbrile agitazione dei giorni che seguirono?

L'agitazione di Bemolle per la scelta del programma! L'agitazione di Fräulein per la scelta del vestito! L'agitazione di Nancy, che non chiudeva più occhio la notte, che si figurava Anne-Marie rifiutando all'ultimo momento di presentarsi al pubblico; o scoppiando in lagrime e smettendo in mezzo a un pezzo; o ammalandosi di spavento; o prendendo un raffreddore il giorno prima del concerto! Tutti erano in uno stato folle di esaltazione ed eccitamento, eccetto Anne-Marie stessa. Quanto a lei, pareva non preoccuparsene affatto.

Doveva suonare il Concerto di Max Bruch? Benissimo. E la Fantasia Appassionata di Vieuxtemps? All right! E le variazioni di Paganini sulla corda di sol? Ma sì – e adesso, poteva andar fuori con Schopenhauer? (Perchè anche Schopenhauer, ormai un lungo cane semplice ed inelegante, assai più affettuoso che decorativo, era venuto a Praga, e aveva stretto amicizia con tutti gli allegri cani boemi del quartiere).

– Usciamo pure, – disse Fräulein. – E andrò a vedere di questa veste rosa per il tuo concerto.

– Oh, non rosa, – disse Nancy. – Ci vuole un vestito bianco.

– Io voglio un vestito celeste, – disse Anne-Marie.

E il vestito fu celeste.

In una mattinata di vento e di neve Anne-Marie si recò alla sua prima prova d'orchestra. Nella immensa sala vuota del Rudolfinum, i cento maestri dell'orchestra aspettavano chiacchierando, quando le grandi porte di vetro laterali si aprirono, e Anne-Marie entrò, seguìta da Bemolle portando il violino, e da Nancy portando la musica, e da Fräulein portando Schopenhauer. Dietro a loro veniva il Professore, col cappello a larghe ali tirato giù sugli occhi; torceva tra le dita nervose un grande sigaro spento. Subito nell'orchestra fu un mormorìo di commozione e di sorpresa, e tutti applaudirono, picchiando con gli archi sui violini e i violoncelli.

Anne-Marie fu presentata al direttore d'orchestra, Jaroslav Kalas, tutto sorrisi sotto ai lunghi baffi rossi; e poi Fräulein e il Professore la issarono sul palco, e Bemolle le diede fra le mani violino ed arco.

Ed ora Jaroslav Kalas batte il suo leggìo e alza il braccio. Poi ricordandosi a un tratto di qualche cosa, si china verso Anne-Marie.

– Hai il « la »?

– Sì, grazie, – dice Anne-Marie, appressando all'orecchio il manico del violino, e con le dita della destra pizzicando leggermente le corde.

Poi, con gesto deciso e rapido lo appoggia alla spalla sinistra e si mette in posizione.

Di nuovo il direttore d'orchestra batte due colpi secchi sul leggìo, e alza il braccio.

Br-r-r-r-r-r, rullano i timpani.

« Re-do-si, re-do-si, re-e-e-e », sospirano in terze i clarinetti. – Una pausa. Anne-Marie alza lentamente il braccio destro e attacca il « sol » basso con arco deciso. La lunga nota freme, bassa e vibrante, con voce di violoncello. Ed ecco che Anne-Marie spicca la volata della cadenza ascendente, e si ferma sul pianissimo « re in alt », colla morbida sicurezza con cui una piccola volatrice di trapezio mette dopo un volteggio il piede fermo.

Bemolle, che stava in piedi, si siede improvvisamente. Il Professore che era seduto, si alza in piedi.

Ora Anne-Marie lancia come un razzo la seconda cadenza. Fräulein, solitaria e raggiante in una poltrona nel centro della platea vuota, muove la testa su e giù, continuamente e rapidamente come un giocattolo chinese. Nancy tiene il viso coperto colle mani.

Ma la ragazzina, col capo chino sopra il suo istrumento suona il Concerto e non vede nulla. D'improvviso trasale, udendo dietro a lei il subitaneo rombo metallico degli istrumenti d'ottone; senza smettere di suonare e volgendo un poco il capo, li sogguarda con occhio incerto. Poi li comprende, li dimentica, e si lancia nella musica perdendovisi come in un mare di delizie. Sirena alata, ella passa e scorre, ondeggiante e lieve pel variato Andante; si affonda, si sommerge nelle profondità cupe dell'Adagio; poi si scaglia con subitaneo volo, vivido e scintillante – con un brillìo d'acque cascanti, un luccichìo di stelle, un saettar di razzi – nella sfolgorante magnificenza dell'Allegro finale.

Un profondo silenzio. L'orchestra non ha applaudito; Kalas si volta; con gesto lento incrocia le braccia, e guarda il Professore. Ma il Professore sta cercandosi in tasca il fazzoletto. Si soffia il naso, e non guarda nessuno.

Allora Kalas scende dal suo scanno, e prendendo solennemente una manina di Anne-Marie se la porta alle labbra e la bacia.

Poi risale lesto al suo posto, batte il leggìo per far silenzio, e dice:

– « Vieuxtemps, Fantaisie ».

E i fogli di musica, fruscianti, si volgono.

Tutta Praga accorse al Rudolfinum, la sera del concerto; si affollò in platea, si stipò nelle gallerie, sedette, bisbigliando e tossendo, nelle poltrone e nei palchi.

 

Poi l'orchestra Boema prese i suoi posti. Jaroslav Kalas salì al suo scanno, e fu suonata una Ouverture.

Una breve pausa. Ed ecco, nel silenzio teso, intenso, apparire Anne-Marie col violino sotto al braccio.

… Ora, ritta al suo posto, la minuscola figuretta bionda spicca come una miniatura azzurra sui neri abiti dei professori d'orchestra. Porta una corta veste ondeggiante di raso celeste, le calze e le scarpette nere; e la bionda chioma è divisa da una parte e legata con un nastro celeste sulla tempia. Pare l'incarnazione della serena infanzia; pare la sorella di tutte le bambine che sono al mondo.

Un lungo mormorìo commosso passò nel pubblico; e nelle gremite gallerie fu un grande spingersi e sporgersi per poterla vedere.

Calma e serena, Anne-Marie volse i tranquilli occhi su quelle mille faccie rivolte a lei. Girò lo sguardo quieto per il largo cerchio delle gallerie; e non appena la luce del suo sguardo li colpiva, tutti quei visi intenti, come per incanto, si rischiaravano d'un sorriso. Anne-Marie con un piccolo gesto del capo per gettare all'indietro i leggieri capelli, avvicinò all'orecchio la voluta del violino, e pizzicando piano le corde, ne ascoltò il mormorato responso. Il direttore d'orchestra ritto al suo posto con la bacchetta in mano, la guardava, pallidissimo.

Anne-Marie gli fece con la testa un piccolo cenno, ed egli ribattè due colpi secchi sul leggìo. Br-r-r-r-r-r, rullarono i timpani…

* * *

Nella sala degli artisti alla fine del concerto la folla spingeva e si urtava per poter vedere e avvicinare Anne-Marie. Allora i direttori e gli inservienti ricacciarono indietro tutti, spinsero fuori tutti, e chiusero le porte.

Un agente di polizia, grande e grosso, con un feroce piumaccio verde sull'elmetto, fu appostato di guardia davanti all'uscio.

Il Professore che aveva ascoltato il concerto nascosto in un angolo remoto dell'ultima galleria, si fece strada come potè traverso la formidabile calca e, avendo dato alla guardia il suo nome, gli fu permesso di passare. La porta fu rapidamente richiusa dietro a lui.

Il Professore entrò nella sala degli artisti portando nelle mani la sua cassetta da violino, vecchia e nera. Sulla grande tavola, ingombra di fiori presentati e gettati ad Anne-Marie, egli, cacciando indietro le odoranti masse, adagiò con cura il prezioso istrumento che pareva una piccola cassa da morto in mezzo ai fiori. Poi il Professore si guardò d'intorno, cercando Anne-Marie.

Anne-Marie stava in fondo alla sala, vestendosi per andare a casa. Jaroslav Kalas le metteva il mantello, mentre Nancy, col viso smorto e gli occhi rossi, le stava legando al collo una sciarpa di seta bianca. Il Professore le fece segno di venire, e la bambina corse subito a lui.

– Le è piaciuto il mio concerto, Herr Professor? – chiese Anne-Marie.

Il Professore non rispose. Aprì la nera cassetta e ne tolse il magnifico istrumento biondo che da trent'anni era il suo conforto e orgoglio. Girò la caviglia del cantino e tolse la corda di « mi ». Poi levò la corda di « la ». Poi quella di « re ». La sola corda d'argento del « sol » rimase a mantenere il ponticello. Il Professore contemplò il violino. Poi si volse solennemente alla bimba, che ritta e grave accanto a lui lo osservava.

– Questo è il mio Guarnerius del Gesù, – disse il Professore.

– Sì, – disse Anne-Marie.

– Lo dò a te.

– Sì, – disse Anne-Marie.

– Suonerai sempre su questo violino le Variazioni del Paganini per una corda sola. E l'Aria di Bach.

– Sì, – disse Anne-Marie.

Il Professore ripose l'istrumento nella cassetta e la richiuse. Poi si volse con solennità alla bambina.

– Io ti ho insegnato ciò che potevo, – disse. – La vita ti insegnerà il resto.

– Sì, – disse Anne-Marie, e prese subito in braccio la cassetta del violino.

Il Professore la guardò a lungo. Poi disse:

– Guarda di mettere dei guanti caldi per uscire; nevica.

Poi si volse rapidamente e lasciò la stanza.

Nancy mise le braccia intorno alla sua bambina.

– Ma, amor mio! Hai dimenticato di ringraziarlo!

Anne-Marie tenendo stretto nelle due braccia la cassetta, levò verso sua madre gli occhi innocenti:

– Come si può ringraziarlo? A che cosa serve ringraziarlo? – disse.

E Nancy sentì che aveva ragione.

– Dove sono i miei guanti? Lui mi ha detto di metterli, – disse Anne-Marie, guardandosi intorno. – E dov'è Fräulein?

Fräulein non c'era. Fräulein aveva il cuore debole. Le era venuto male dopo il secondo pezzo, e si era dovuto mandarla a casa in carrozza.

– E Bemolle?

Bemolle – che aveva ascoltato i pezzi stringendosi convulsamente la fronte tra le mani, e che, per reazione, aveva pianto copiosamente ad ogni intervallo – si avvicinò col naso gonfio e i baffi spioventi; portava in mano l'altra cassetta col violino di Anne-Marie.

– Perchè fate così? – disse Anne-Marie, guardandolo con leggiero disprezzo. – Perchè fate quelle faccie?

Bemolle non potè risponderle.

Ecco, erano pronte. Nancy voleva dare la mano ad Anne-Marie, ma la piccina portava il Guarnerius e i fiori, e non potè. Gli inservienti in uniforme salutarono, e spalancarono le porte.

Anne-Marie che aveva già fatto un passo innanzi, si fermò di botto. Davanti a lei il vasto corridoio era stipato, gremito d'una folla immensa e silenziosa, divisa in due lunghe file accalcate, che lasciavano appena uno stretto passaggio libero in mezzo. E lontano, in fondo al vestibolo presso le porte, si vedeva ancora la gente ondeggiare e sospingersi come marosi battuti dal vento.

Anne-Marie si volse a sua madre.

– Mamma! che cosa aspetta tutta questa gente?

Nancy, scossa e convulsa dall'emozione, non potè rispondere. Sorrise colle labbra tremanti:

– Andiamo, cara, – disse.

– Ma no! ma no! – disse Anne-Marie, – non voglio andare. Tutti aspettano per vedere qualche cosa. E voglio aspettare anch'io, per vedere cosa c'è!

Ma la folla l'aveva intravveduta e già si spingeva rumoreggiante e formidabile verso di lei; allora la grande guardia col piumaccio si chinò, la afferrò, e sollevandola come fosse una piuma, se la posò sulla spalla. Poi si spinse avanti facendosi largo attraverso il tumulto.

Anne-Marie, dopo il primo istante di sbigottimento, rideva serrando tra le braccia i fiori e la cassetta del violino; questa sbatteva sull'elmo della guardia ad ogni passo che egli faceva. Nancy, nella calca, li seguiva ridendo e singhiozzando, sentendo mille mani afferrare le sue, mille voci commosse benedirla e felicitarla.

– Mamma fortunata! Mamma benedetta!

Essa non sapeva come rispondere. Rideva e piangeva, dicendo:

– Grazie! Oh, grazie! grazie!

Ed ecco, finalmente! – erano in carrozza tutt'e due, strette l'una all'altra, tenendosi abbracciate. Lo sportello fu chiuso, e cento visi ridenti si affacciarono intorno ai vetri.

– Salutali, – disse Nancy, – Salutali colla mano.

E Anne-Marie li salutò colla mano, e coi fiori, e con tutte e due le mani, ridendo e battendo le dita contro i vetri.

Le grida d'evviva della folla spaventarono i cavalli che si rizzarono scalpitando, e partirono al galoppo per le notturne strade.

Ecco, erano sole. Nancy aveva messo il braccio intorno alla sua bambina e la testina bionda le posava sul petto. Il Guarnerius era ai loro piedi, e tutti i fiori erano caduti dalle mani di Anne-Marie sulla cassetta nera che pareva una piccola cassa da morto.

Così s'allontanarono dal fragore e dalle luci, e traversarono le buie strade silenziose tenendosi strette, senza parlare.

Dopo un gran pezzo Anne-Marie disse:

– Ti è piaciuto il mio concerto, Liebstes?

Aveva imparato da Fräulein il tenero appellativo tedesco.

– Sì, – sussurrò Nancy.

– Ho suonato bene?

– Sì, piccola cara! piccola mia!

Un lungo silenzio.

– Sei felice, Liebstes?

– Sì, sì, sì! Sono felice, – disse Nancy.

XXI

Non era passata una settimana che già Nancy aveva scoperto che è ardua cosa essere la madre di una celebrità. Torrenti di lettere le piovevano in casa, e tutte domandavano delle risposte; diluvi di estranei le invadevano il tranquillo appartamento nel Vinohrady e tutti s'aspettavano di essere ricevuti.

A partire dalle sette del mattino, giovani violinisti rivali passeggiavano sotto le loro finestre per sentire se Anne-Marie studiava; e che cosa studiava; e come studiava. Ragionavano che, per suonare così, certo doveva studiare tutto il giorno. Non udendola, erano convinti che si esercitava su un violino muto, e se ne andavano delusi e amareggiati. Verso le dieci la sorridente cameriera, Lori, aveva già aperto la porta a due o tre giornalisti, a due o tre impresarii, a due o tre mamme con due o tre bambini; e nessuno di essi pareva sentire la necessità di andare a casa a far colazione.

Facevano a Nancy molte domande e le davano molti consigli. E i giornalisti prendevano molte note.

– Quante ore al giorno studia la bambina?

– Due o tre ore, – rispondeva Nancy.

– Troppo! – esclamavano le madri.

– Troppo poco! – esclamavano gli impresarii.

E i giornalisti prendevano note.

– A che età ha cominciato?

– Tra i sette o gli otto anni, – rispondeva Nancy.

– Troppo presto! – gridavano le madri.

– Troppo tardi, – gridavano gli impresarii.

– Dorme, di notte? – domandavano le madri.

– Che onorari vi aspettate? – chiedevano gli impresarii.

– Perchè la vestite di celeste? – chiedevano le madri.

– Perchè non la vestite da maschio e dite che ha cinque anni? – chiedevano gli impresarii.

– Speriamo che la lascerete suonare molto per beneficenza, – dicevano le madri.

– Speriamo che non la lascerete mai suonare per beneficenza, – dicevano gli impresarii.

– Chi sa com'è nervosa! – dicevano le madri.

– Chi sa quanti quattrini guadagnerà! – dicevano gli impresarii.

E i giornalisti prendevano note.

Uscendo, gli impresarii dicevano a Lori:

– E' vero che ha sedici anni e le danno del « whiskey », per tenerla piccola?

E le madri uscendo dicevano a Lori:

– E' vero che suo padre la bastona tutto il giorno per farla studiare?

E Nancy era mortificata e piangeva.

Ma Anne-Marie in quell'ore andava fuori a passeggio con Fräulein e, coi capelli stretti in due treccie per non farsi riconoscere, saltellava nel parco e giocava al cerchio e alla palla colle bambinette boeme che non sapevano che ella fosse una celebrità. E le bambine boeme le tiravano le treccie e le davano dei pizzicotti e mettevano anche fuori la lingua, sempre non sapendo che fosse una celebrità. (E se lo avessero saputo, avrebbero fatto lo stesso). Anche Anne-Marie non sapeva di essere una celebrità; e voleva molto bene alle bambine boeme che mettevano fuori la lingua e le tiravano i capelli.

Frattanto la fama del « Wunderkind » era arrivata a Vienna; e tosto Anne-Marie fu invitata a suonare in quella città nella grande sala del Musik-Verein.

Dissero addio al Professore con molte lagrime di riconoscenza, e partirono, portando via il suo miglior violino e il suo unico assistente, perchè fu deciso che Bemolle andrebbe con loro a Vienna, per portare il violino, e fare le commissioni, e badare ai bagagli; e sopratutto per incaricarsi, quale uomo pratico, di trattare gli affari. Perchè di ciò che riguardava gli affari, nè Fräulein, nè Anne-Marie – e meno ancora Nancy – potevano dirsi competenti. Anche Bemolle era nervosissimo a questo proposito, perchè, come diceva lui, di transazioni finanziarie non ne aveva mai fatte in vita sua. Ma il Professore (che di affari se ne intendeva quanto Anne-Marie) s'incaricò di addottrinarlo.

– Bada, – disse a Bemolle, – che bisogna diffidare degli impresarii. Tutti lo dicono.

– Lo so, – disse Bemolle, già terrorizzato.

– Bisogna essere armati di tutto punto, – continuò il Professore. – Vedi; tu dopo il concerto vai alla cassa, e lì c'è l'agente o l'impresario che ti dà tutti i biglietti e tutto il denaro che ha preso. E tu devi contare i biglietti e contare il denaro; e devono corrispondere. Vedi?

Sì, Bemolle vedeva.

E così partì, armato di tutto punto. E seguì a puntino i consigli datigli dal Professore. Sempre, in tutte le città, dopo tutti i concerti, si presentava con aria d'uomo positivo e rotto agli affari, alla cassa, dove il sorridente agente o impresario aveva già fatto da due ore i conti. E Bemolle prendeva con viso fosco e aria importante il nitido « bordereau », e i bene ordinati biglietti d'ingresso, e i denari ben accomodati a pacchi e mucchietti.

 

Allora Bemolle guardava accuratamente il bordereau, e contava i biglietti, e contava i denari; (il sorridente impresario intanto girellava fumando, o se n'andava addirittura, osservando a Bemolle che tanto aveva completa fiducia in lui!) E tutto corrispondeva sempre con la massima accuratezza.

Dunque dal lato affari le cose erano in ordine; e Bemolle si domandava perchè mai fosse prevalente quell'ingiusta superstizione riguardo alla disonestà degli impresarii.

La immensa sala del Musik-Verein era affollata per il primo concerto di Anne-Marie. Era gremita e rigurgitante per il secondo, e per il terzo, e per il quarto. Una bionda arciduchessa invitò la fanciulletta a suonare per i suoi bambini, e la piccola bocca di Anne-Marie apprese a formulare le frasi che si rivolgono alle Altezze Reali, e le sue gambette nere furono addestrate a inchini e riverenze.

Poi fu Berlino che telegrafò perchè venisse « das Wunderkind »; e la piccina miracolosa andò a Berlino e suonò del Bach e del Beethoven nella consacrata « Saal der Philharmonie ». Due vecchi alti e canuti vennero alla fine del concerto a vederla nella sala degli artisti; e solennemente le baciarono la fronte innocente ed ispirata, invocando su lei la benedizione del cielo.

Quando partirono, Nancy vide Bemolle che si precipitava dietro a loro; vide le due venerande figure fermarsi e parlare con lui, poi, sorridendo, stringergli la mano.

– Ma che cosa avete fatto, Bemolle? – chiese Nancy.

E Bemolle, che dal debutto di Anne-Marie in poi pareva costantemente dibattersi in un mare di commozioni, esclamò col viso pallido e gli occhi rossi:

– Ho stretto la mano a Max Bruch e a Joachim! Ora non m'importa di morire!

E sempre alla fine dei concerti la folla aspettava all'uscita la piccola Anne-Marie. Ed essa passava tra le grida d'evviva, tra gli applausi e le acclamazioni, sorridendo a destra, sorridendo a sinistra, salutando da una parte e dall'altra, ringraziando e sorridendo ancora. E dietro a lei veniva Nancy, tremante e commossa, ringraziando, sorridendo, salutando…

Sovente la folla era così grande che la bambina non poteva passare; e doveva essere portata a braccia traverso la calca, ridendo dall'alto a tutti, e agitando le mani piene di fiori. Poi era uno stiparsi ed accalcarsi intorno alla carrozza. Nancy vi entrava dietro ad Anne-Marie come poteva, affannata e ansante, lagrimosa e ridente. Le portiere erano chiuse, e via! si partiva al galoppo, mentre Anne-Marie salutava ancora, ridendo e picchiando le dita ai vetri, prima dell'una finestra e poi dell'altra, in segno d'addio… Finalmente le grida e gli applausi, e i giovani che ancora tentavano di seguire la carrozza a corsa, tutti erano lasciati indietro, e la piccina ricadeva con un piccolo sospiro di gioia nelle braccia di sua madre.

– Ti è piaciuto il mio concerto, Liebstes? Ho suonato bene, cara mamma mia?

Era quella l'ora felice di Nancy. Durante i concerti essa non viveva – quasi non respirava: sedeva immobile, agghiacciata di paura. I concerti stessi erano per lei una tortura: la tramutavano in una statua di terrore, la avviluppavano di spavento come di un lenzuolo di ghiaccio.

Mentre la piccola Anne-Marie suonava, calma e estatica, lievemente mossa dall'alitare della melodia come ondeggia un fiore al vento – Nancy bianca, rigida, agghiacciata dal panico, sedeva in mezzo al pubblico (dove Anne-Marie sempre la voleva); teneva le mani convulsamente strette, e sentiva il suo cuore martellare rapido e cupo nelle tempia.

L'azzurra luce sognante degli occhi di Anne-Marie girava per l'uditorio, poi si fermava sul viso di sua madre… E l'angelica figurina suonante sorrideva.

Nancy si sforzava allora di rispondere a quel sorriso: Anne-Marie la vedeva torcere la bocca in una smorfia strana, un sorriso terrorizzato che rimaneva poi impietrito su quel viso stravolto dalla paura.

Allora la bambina, anche mentre suonava, era presa dalla voglia di ridere. E se, per l'appunto stava eseguendo qualche sbalorditiva difficoltà del Paganini, qualche fantastica bravura dell'Ernst o del Bazzini, essa fissava il volto terrorizzato di sua madre, e un lampo malizioso le scintillava negli occhi. Intanto sulle corde le dita correvano, balzavano, balenavano, e l'arco volava aereo, come un raggio, come una saetta!

Nancy, guardandola, e sempre foggiando le pallide labbra a quell'agghiacciato sorriso, diceva tra sè e sè:

– Mio Dio! mio Dio! adesso si fermerà, dimenticherà, si confonderà! Non è possibile che tenga a mente quelle mille e mille note! Adesso si romperà una corda! Mio Dio mio Dio! ora succederà qualche cosa! e se il mio cuore continua a battere così, io cadrò per terra, e morirò.

Ma nulla accadeva – e Nancy non moriva; e il pezzo finiva. E gli applausi crepitavano e scrosciavano intorno a lei.

Il concerto terminava… E poi erano insieme, sole insieme, nella movente penombra della carrozza piena di fiori.

– Sei felice, mamma mia cara?

– Sì, sì, sì! sono felice, adorata mia!

Nel mite mese di maggio andarono a Londra.

Londra! la patria del padre di Nancy – Londra, vicina all'Hertfordshire, dove Nancy aveva passato i primi otto anni della sua vita!

A bordo dell'agitato battello sulla Manica, Nancy additò alla sua bambina le bianche scogliere britanniche.

– Guarda piccola mia, – e la sua voce era tremante e intenerita, – quella è l'Inghilterra!

– Lo so, – disse Anne-Marie.

– Devi amare l'Inghilterra, – disse Nancy.

– Vedremo, – rispose il prodigio, che non intendeva d'amare su comando.

Fräulein Müller era agitata da mille reminiscenze. Era lì, a Dover, che la madre di Nancy, – Valeria – dolce e giovine e Italiana, le era venuta incontro ventiquattro anni fa!… Avevano preso il thè, con pane e burro, nel treno… Avevano entrambe perduto l'ombrello… e pioveva…

Anche oggi pioveva, grevemente, malinconicamente, sul triste paesaggio verde della contea di Kent, che il treno attraversava, correndo verso Londra.

Bemolle, rannicchiato in un angolo colla fronte appoggiata al vetro lacrimoso, pensava all'Italia.

Rivedeva un villaggetto ai piedi dell'Appennino, dove la sua vecchia madre viveva, rassegnata e solitaria, seguendo coi semplici pensieri il figlio errabondo in paesi lontani. Egli doveva ritornarle un giorno celebre e ricco: partendo non le aveva egli promesso che quando si sarebbe data la sua prima Opera alla Scala di Milano, vi avrebbero assistito insieme, loro due, in un palco colle tende di velluto rosso?… Anche l'opera di Bemolle aspettava, mentre egli correva per l'Europa portando il violino di Anne-Marie. Anche Bemolle era uno dei Divorati.

Il primo concerto a Londra ebbe luogo otto giorni dopo il loro arrivo.

Il « Manager », roseo e pulito, con una faccia di bambino ben lavato su due spalle d'Ercole, girava per i corridoi del Queen's Hall battendo sulle spalle i conoscenti, i critici e gli intenditori.

– Che cosa ne dite, eh? Rivelazione! Miracolo! Io non ho mai creduto alla storia di Giona che ha vissuto tre giorni nella balena. Ebbene, adesso ci credo. Adesso credo a tutto. Se questa bambina può suonare così il concerto di Beethoven, non c'è una ragione al mondo perchè non si possa vivere in una balena. Non vi sono più miracoli. Non vi sono più impossibilità.

– E' vero, – dicevano i musicisti inglesi. – E' proprio vero. Ah! la musica! Come innalza! Come commuove! Allora domattina siamo intesi, si va a giocare al golf?