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Agide

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POPOLO E chi non sa, che a lui la vita hai salva?..

AGIZ. Sí, per lui sol l'aure di vita ancora spira il mio padre. Io nel crudel periglio, io stessa, il vidi; agli inumani messi d'Agesiláo giá in mano ei stava quasi, quando opportuni d'Agide gli amici gli ebber fugati, e noi ritratti illesi in securtá.

 
AGESIS. Quindi pagar nel vuole
Leonida oggi, a lui togliendo, iniquo,
non che la vita, anca la fama…
 
 
AGIDE E questa
mai non sta nel tiranno: in me, nel mio
solo operar, sta la mia fama.
 

AGESIS. E nasce sol dal tuo oprar l'altrui livore, e il fermo empio pensier di opprimerti. Ma, viene Anfare a noi? degno consiglio e amico di Leonida…

AGIDE Udiamlo.

AGIZ. Oh cielo! io tremo…

SCENA QUARTA
AGIDE, AGESISTRATA, AGIZIADE, ANFARE, POPOLO

ANFAR. Fuor del tuo sacro asilo, Agide, in mezzo d'una tal turba io non credea trovarti. Ma pur, piú grati testimon di questi io bramar non potea. Vengo ad esporti di Sparta i sensi.

AGIDE E son?..

ANFAR. Di pace.

AGIDE E quale?

 
ANFAR. Vera: ove pace alle tue mire avversa
non sia pur troppo; ove in tumulti e risse
securtá tu non cerchi e in un grandezza.
 
 
AGIDE Io discolparmi or presso a te non deggio:
forse il farò presso a chi il deggio. Udiamo,
di Leonida udiam la pace intanto.
 

ANFAR. Son io messo del re? Di Sparta io sono eforo; e a te parlo di Sparta in nome. Ove piegarti ai cittadin tu vogli, (ai veri e saggi) e la cittá tranquilla rifar, dannando ogni tua nuova legge tu stesso; il seggio, onde scaduto sei col tuo fuggirne, Sparta oggi ti rende.

AGESIS. Agide…

AGIDE Madre, a te son figlio; or posa secura in me. – Tu, che di Sparta in nome, pur ch'io indegno men renda, il trono m'offri; pregoti, al re Leonida in risposta reca, ch'io seco favellar vorrei, pria che in giudicio a Sparta innanzi io parli.

AGIZ. Io pur ten prego, Anfare, vanne al padre, e a ciò lo induci: a lui ritorna in mente, che senz'Agide in vita ei non sarebbe; ch'ei la diletta unica figlia sua diede ad Agide in moglie…

 
AGIDE A lui null'altro
non rammentar, fuorché di Sparta entrambi
siam cittadini; e che il comun vantaggio
vuol, ch'ei mi ascolti.
 
 
ANFAR. È dubbio assai, s'ei possa,
o venir voglia ad abboccarsi teco,
fin ch'ei non sa, se tu i proposti patti
nieghi, od accetti.
 

AGIDE In guisa niuna ei puote negar d'udirmi, e nol vorrá. L'asilo io per sempre abbandono; a me dintorno corteggio nullo io vo'. – Spartani, ad alta voce vel grido; io rimaner quí voglio, solo, ed inerme, ed innocente. —

(Il popolo si va allontanando, e disperdesi.)

Il
vedi,
Anfare,
il
vedi;
il
tempo,
il
loco,
il
modo,
opportuno
or
fia
tutto
Io
fra
brev'ora
tornerò
in
questo
foro;
e
quí
non
sdegni
venirne
il
re
Solo
sarovvi;
egli
abbia
al
fianco
i
suoi
satelliti:
veduti
sarem
da
quanti
cittadini
ha
Sparta,
ma
non
sarem
da
nessun
d'essi
uditi

ANFAR. Poiché tu il vuoi, tosto a recarne avviso a Leonida volo.

SCENA QUINTA
AGIDE, AGESISTRATA, AGIZIADE

AGIDE Io ben sapea con qual esca allettarlo. – Or, donne, intanto io con voi riedo alla magione, e ai figli. Godrò fra voi brevi momenti estremi d'alcun privato dolce, infin ch'io torni al fatal parlamento.

AGIZ. Oh cielo!..

AGESIS. O figlio, che speri tu dall'empio re?

AGIDE La sorte di Sparta ei tiene; e tu mi chiedi, o madre, quel che da lui sperare Agide possa?

ATTO TERZO

SCENA PRIMA
AGIDE

Non giunge ancor Leonida: l'invito sdegna fors'ei? non l'ardiria: quí 'l debbe trar, se non altro, or la vergogna. Udiva il popol dianzi il generoso prego, ch'io gl'inviai per Anfare: riguardi possenti, e molti, ancor lo stringon; molto timor si annida entro il suo cor, bench'egli vincitor sia. Potessi, ah! pur potessi dal suo temer l'util di Sparta io trarre!.. Ma al fin vien egli: oh! di regal corteggio si adorna? e ben gli sta. S'incontri.

SCENA SECONDA
AGIDE, LEONIDA, SOLDATI

 
AGIDE A udirmi
ne vieni, o re, pria che ad altr'opre?..
 
 
LEON. A udirti
or vengo io, sí…
 
 
AGIDE Dunque, a te solo io chieggo
di favellar…
 
 
LEON. Traetevi in disparte. —
Eccomi solo: io t'odo.
 

AGIDE A te non parlo, quale a suocero genero; ancor ch'io oltre ogni dire una consorte adori, ch'è delle figlie esemplo.

LEON. Alto legame ell'era, è ver, fra noi, pria che di Sparta tu mi cacciassi in bando.

AGIDE Il so; né debbo parlarten ora, poiché allor tel tacqui. Non ch'io allor l'obliassi, e il sai; ma in core Sparta allor favellavami, al cui grido ogni altro affetto in me taceasi, e tace. – Di Sparta il re, di me il nemico sei: ma, se nol sei di Sparta, oggi dai Numi giá protettori della patria chieggio, e impetrar spero, un sí verace e forte alto parlar, che da me stesso or vogli apprender tu pronto e sicuro il modo, onde ottenere oltre tue brame forse…

LEON. Oltre mie brame? E ciò ch'io brama, il sai?

AGIDE Di me vendetta, a tutte cose innanzi, brami, e l'avrai; dartela piena io voglio. Durevol possa, è il tuo desir secondo; e additar ten vogl'io la vera base. Né basta; io t'offro alto infallibil mezzo, onde acquistar cosa ben altra, a cui forse il pensier mai non volgesti; e tale, che pur (dov'ella ad acquistar sia lieve) tu sprezzarla non puoi. Perenne, immensa procacciartela ancora…

LEON. E fia?..

AGIDE La fama.

LEON. – Meglio sai torla, che insegnarla altrui – Meco il trono occupasti; al ben di Sparta meco tu allor, per comun gloria nostra, concorrer mai non assentivi: al tuo privato ben tu sol pensavi, e a farti su la rovina del mio nome un nome. Quindi all'esiglio me, Sparta al suo rogo, spingevi tu. Non io perciò disegno far mie vendette; io ben di Sparta afflitta farle or dovrei; ma il vieta a me di vera pace l'amor: pace, cui presti ancora sono a sturbare (abbenché invano) i tuoi pessimi tanti. Amor di pace, in somma, di Sparta a nome ora ad offrirti trammi perdono intero…

AGIDE Intero? è troppo. – Or via, nessun quí c'ode; il simular, che giova? Ch'io non ti legga in cor, tu giá nol credi; che tu il cangiassi, creder nol mi fai. Cred'io bensí, che il tormi e scettro e possa, per or non basti a far sul trono appieno securo te. Ben sai, che infin ch'io vivo, un altro re collega tuo crearti ligio non puoi: ma, né pur osi a un tempo uccider me, perché dei molti in core sai che tuttora io regno. Ecco i veraci tuoi piú ascosi pensieri: odi ora i miei. – Io, mal mio grado, entro all'asil mi chiusi; spontaneo n'esco; e oppor poss'io, se il voglio, alla forza la forza: all'arte opporre l'arte, né il so, né il voglio. Omai convinto esser tu dei, che in mio favor né stilla versare io vo' di cittadino sangue. Solo or mi vedi; in tuo poter mi pongo; supplice me per la mia patria miri: non che la vita, io son per essa presto a darti la mia fama.

LEON. E intatta l'hai, questa tua fama che offerirmi ardisci?

AGIDE Intatta, sí, del tutto; e non indegna d'Agide; e troppa, agl'invidi tuoi sguardi. – Me tu abborrisci; adoro io Sparta: or odi come al mio amor, e all'odio tuo, potresti servire a un tempo. Io libertá, grandezza, virtude impresi a ricondurre in Sparta, col pareggiarne i cittadin fra loro. Tu, coi piú rei, di opporviti, ma indarno, mai non cessasti; e non, che vero e immenso tu non vedessi in ciò il comun vantaggio; non, che virtú co' suoi divini raggi via non s'aprisse entro il tuo chiuso petto, senza pure infiammarlo: ma in tuo petto l'amor dell'oro, e di soverchia ingiusta possa, vincea d'assai l'util di Sparta, di veritade il grido, e il folgorante scintillar di virtú. Pubblica, e vera Spartana voce dal tuo seggio allora te rimovea, chiamandoti nemico di Sparta: e tu la insopportabil taccia né smentir pur tentavi. In bando poscia, proscritto, errante (il sai) vilmente ucciso stato saresti; io nol soffria: né il dico per rinfacciartel ora; ma per darti prova non dubbia, ch'io base posava ai disegni alti miei l'alte spartane opre bensí, non la rovina tua.

LEON. E in ciò pur, mal accorto, error non lieve tu salvandomi festi.

AGIDE E chiara ammenda tu ne farai, me trucidando. I mezzi sol ne impara da me. – Sparta piú inclina a libertá, che a tirannia: per certo tienlo, ancorché per ora imposto il freno aspro di re tu le abbi. Un breve sdegno dei piú contro all'infame Agesiláo, or ti ha riposto in trono, e lui cacciato d'eforo: or me de' suoi delitti a parte havvi chi pone, e non a torto affatto, finch'io pur taccio. A disgombrar del tutto su me tal dubbio, or tu non trarmi; è lieve troppo il mostrar, che Agesiláo tradiva Agide e Sparta a un tratto; ove ciò chiaro a tutti io faccia, allor tu forza usarmi non puoi, senza a te nuocere.

 

LEON. Tu il credi?

AGIDE Tu il sai. Ma, non temere. Io di Spartani Spartano re volli essere; te lascio re di costoro. A far me reo non basta niuna tua forza: in faccia a Sparta, io voglio, io, colpevole farmi; io darti intera palma di me; pur che tu stesso farti grande ti attenti, e di grandezza vera, contra tua voglia.

LEON. Invan mi oltraggi…

AGIDE Adempi tu stesso, or sí, quant'io giá audace impresi a pro di Sparta e di sua gloria. In seggio riponi or tu, non le mie, no, ma l'alte, libere, maschie, sacrosante leggi del gran Licurgo; povertá sbandisci in un coll'oro; ella dell'oro è figlia: del tuo ti spoglia: i cittadin pareggia: te fa Spartano, e in un, Spartani crea:… Ciò far voll'io; tu il compi, e a me ne involi la gloria eterna. – Ove ciò far mi giuri, a Sparta innanzi or mi puoi trar qual reo; e dir, ch'io velo a mie private mire fea del pubblico bene; e dir, che iniquo era il mio fin, non le mie leggi. A questo aggiungerai, che rinnovar tu stesso vuoi con mente migliore e cor piú schietto. di tua cittá la gloria. Intera Sparta udrammi allor di meritata morte accusar reo me stesso; e dir, che mie eran le ingiurie e víolenze usate da Agesiláo; dirò, ch'io in lui creava un precursor di tirannia; che un saggio voll'io per lui della viltá Spartana. Ciò basterá, cred'io. Morte, che darmi or tu non puoi, che a tradimento, (il vedi) l'avrò cosí dai cittadini miei, e parrá lor giustissima. La fama, che in me ti offende, e che a me tor non puoi, io me la tolgo, e a te la dono. Io moro, tu regni; ambo contenti: a te non toglie fama il regnare; a me l'infamia in tomba portar pur lascia l'unica mia speme, che a nuova vita abbia a risorger Sparta.

LEON. – Vil m'estimi cosí?

AGIDE Grande t'estimo; poich'atto a compier la mia grande impresa te credo…

LEON. A' tuoi disegni empj, dannosi, io por mano?..

AGIDE Me spento, appien tu scarco d'invidia resti: e gli alti miei disegni, con tuo vantaggio, e in un, con quel di Sparta, puoi compier tu. Di mia grandezza ardisci grande apparir tu stesso: invido fosti; or, col mio sangue la viltá tua prisca tu ammanti appieno. A non sperata altezza l'animo estolli, e al trono tuo ti agguaglia.

LEON. Maggior di te, dei cittadini il grido giá abbastanza mi fea; ma il perdonarti, se a me il concede Sparta, assai darammi piena palma di te. Ch'io a Sparta intanto ti appresenti, m'è d'uopo. – Altro hai che dirmi?

AGIDE A dirti ho sol, ch'esser non sai tu iniquo, né sai fingerti buono.

LEON. Or, che i tuoi sensi tutti esponesti, anzi che a Sparta involi te di bel nuovo il tempio, in carcer stimo doverti io trarre. – Olá, soldati…

AGIDE Io vado securo in carcere, qual non sei tu in trono. Sparta entrambi ci udrá; né meco a fronte star potrai tu. – Se in carcere mi uccidi, te stesso perdi; e il sai. Pensa, e ripensa; a te salvare, a uccider me, niun mezzo, che quel ch'io dianzi t'additai, ti resta.

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