Un Lamento Funebre per Principi

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From the series: Un Trono per due Sorelle #4
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CAPITOLO CINQUE



La vedova regina Mary della Casa di Flamberg sedeva nella grande sala dell’Assemblea dei Nobili, cercando di non farsi vedere troppo annoiata sul suo trono al centro, mentre i presunti rappresentanti del suo popolo parlavano e parlavano.



Di solito non avrebbe avuto importanza. La vedova aveva imparato da tempo a padroneggiare l’arte dell’apparire impassibile e regale mentre le grandi fazioni presenti discutevano. In genere lasciava che populisti e tradizionalisti si scannassero prima di parlare lei stessa. Ma quel giorno le cose stavano andando più per le lunghe del solito, il che significava che l’onnipresente tensione che aveva nei polmoni stava crescendo. Se non avesse presto finito con questa cosa, quegli sciocchi avrebbero potuto vedere il segreto che lei si sforzava così tanto di nascondere.



Ma non aveva senso mettere fretta. La guerra era arrivata, e questo significava che tutti volevano la loro possibilità di parola. Peggio, parecchi di loro volevano delle risposte che lei non aveva.



“Vorrei solo chiedere ai miei onorabili amici se il fatto che i nemici siano approdati sulle nostre coste sia un indicatore di una più ampia politica di governo volta a trascurare le capacità militari della nostra nazione,” chiese Lord Hawes di Palude di Rovo.



“L’onorabile lord è ben consapevole del motivo per cui questa Assemblea è stata diffidente nei confronti di un esercito centralizzato,” rispose Lord Branston del Vereford Superiore.



Continuarono a farfugliare, rinfacciando vecchie battaglie politiche mentre quelle presenti e tangibili si stavano facendo sempre più vicine.



“Se potessi dichiarare la mia situazione, così che questa Assemblea non mi accusi di trascurare il mio dovere,” disse il Generale Guise Burborough, “le forze del Nuovo Esercito sono approdate sulle nostre coste sudorientali, superando molte delle difese che avevamo posizionato per prevenire questa possibilità. Sono avanzati a rapido passo, sopraffacendo quei difensori che hanno tentato di fermarli e bruciando i villaggi al loro passaggio. Ci sono già numerosi rifugiati che sembrano pensare che noi dovremmo fornire loro una sistemazione.”



Era divertente, pensò la vedova, che quell’uomo potesse far apparire la gente che scappava alla ricerca della salvezza come parenti indesiderati determinati a fermarsi troppo a lungo.



“Cosa diciamo dei preparativi attorno ad Ashton?” chiese il Marchese dell’Argillite. “Ipotizzo che si stiano dirigendo da questa parte. Possiamo sigillare le mura?”



Quella era la risposta di un uomo che non sapeva nulla di cannoni, pensò la vedova. Avrebbe riso ad alta voce se ne avesse avuto il fiato. In quel momento tutto quello che riuscì a fare fu mantenere la sua espressione impassibile.



“Sì,” rispose il generale. “Prima della fine del mese, potremmo trovarci a doverci preparare per un assedio, e sono già in corso i lavori ai terrapieni per evitare questa possibilità.”



“Stiamo considerando di far evacuare la gente lungo la via dell’esercito?” chiese Lord Neresford. “Dovremmo avvisare la gente di Ashton perché fugga a nord per evitare i combattimenti? La nostra regina, almeno, dovrebbe considerare di ritirarsi nelle sue proprietà?”



Era buffo: la vedova non lo aveva mai preso per uno interessato al suo benessere. Era sempre stato veloce a votare contro qualsiasi proposta avanzata da lei.



Decise che era ora di parlare, mentre ancora poteva. Si alzò in piedi e nella sala calò il silenzio. Anche se i nobili avevano lottato per la loro Assemblea, ascoltavano ancora quello che lei diceva là dentro.



“Ordinare un’evacuazione darebbe il via al panico,” disse. “Ci sarebbero saccheggi nelle strade, e uomini forti che potrebbero difendere le loro case finirebbero invece per fuggire. Anche io resterò qui. Questa è casa mia, e non mi si vedrà scappare da essa di fronte a una marmaglia di avversari.”



“Non è per niente una marmaglia, vostra Maestà,” sottolineò Lord Neresford, come se i consiglieri della vedova non le avessero detto con precisione dell’estensione della forza di invasione. Forse dava semplicemente per scontato che, essendo donna, non avesse sufficiente conoscenza delle cose di guerra per capire. “Anche se sono sicuro che tutta l’Assemblea sia felice di udire i vostri piani per sconfiggerla.”



La vedova lo fissò dall’alto in basso, anche se era cosa difficile a farsi quando i suoi polmoni sembravano poter esplodere in un eccesso di tosse da un momento all’altro.



“Come sanno gli onorabili lord,” disse, “ho deliberatamente evitato un ruolo troppo vicino agli eserciti del regno. Non vorrei mettervi tutti a disagio sostenendo di mettermi ora al comando.”



“Sono certo che per questa volta potremmo perdonare,” disse il lord, come se avesse il potere di perdonarla o condannarla. “Qual è la vostra soluzione, vostra Maestà?”



La vedova scrollò le spalle. “Pensavo di iniziare con un matrimonio.”



Si alzò in piedi, aspettando che il clamore calasse, con le varie fazioni dell’Assemblea che urlavano una contro l’altra. I monarchici erano contenti ed esultavano a sostegno, gli anti-monarchici si lagnavano dello spreco di denaro. I membri militari immaginavano che li stesse ignorando, mentre coloro che venivano da più lontano nel regno volevano sapere cosa questo potesse significare per la loro gente. La vedova non disse nulla fino a che non fu sicura di avere la loro attenzione.



“Ma sentitevi, blaterate come bambini spaventati,” disse. “I vostri tutori e le vostre governanti non vi hanno insegnato la storia della nostra nazione? Quante volte gli avversari stranieri sono venuti a pretendere le nostre terre, gelosi della loro bellezza e ricchezza? Devo farvi l’elenco? Devo raccontarvi dei fallimenti della flotta da guerra di Havvers, dell’invasione dei Sette Principi? Anche nelle nostre guerre civili, gli avversari che sono venuti dal niente sono sempre stati respinti. Sono passati mille anni da quando qualcuno ha conquistato questa terra, e ora andate nel panico perché una manciata di nemici hanno scavalcato la nostra prima linea di difesa?”



Si guardò attorno nella stanza, facendoli vergognare come bambini.



“Non posso dare molto alla nostra gente. Non posso comandare senza il vostro supporto, e va bene così.” Non voleva che si mettessero a discutere del suo potere qui e adesso. “Posso dare loro speranza, però, che è il motivo per cui oggi, in questa Assemblea, desidero annunciare un evento che offre speranza per il futuro. Desidero annunciare le imminenti nozze di mio figlio Sebastian con Lady d’Angelica, Marchesa di Sowerd. Qualcuno di voi cercherà di sollevare obiezioni sulla questione?”



Non lo fecero, anche se lei sospettava che fosse più che altro perché erano stupiti dall’annuncio. Alla vedova non interessava. Uscì dalla stanza, decidendo che i suoi preparativi erano più importanti di qualsiasi affare si fosse concluso in sua assenza.



C’era ancora così tanto da fare. Doveva assicurarsi che le figlie dei Danse fossero state fermate, doveva andare avanti con i preparativi del matrimonio…



La crisi di tosse la colse all’improvviso, sebbene se la fosse aspettata per la maggior parte del suo discorso. Quando ritirò il fazzoletto macchiato di sangue dalla bocca, la vedova capì di aver esagerato per quella giornata. E poi le cose stavano procedendo più rapidamente di quanto avrebbe mai voluto.



Avrebbe terminato le cose qui. Avrebbe assicurato il regno per i suoi figli, contro ogni minaccia, interna ed esterna. Avrebbe visto la continuazione della sua linea. Avrebbe fatto eliminare i pericoli.



Ma prima di tutto questo, c’era qualcuno che doveva vedere.





***





“Sebastian, mi spiace così tanto,” disse Angelica, e poi si fermò con la fronte accigliata. Non andava bene. Doveva provare di nuovo. “Sebastian, mi spiace così tanto.”



Meglio, ma non ancora bene. Continuò a provare mentre percorreva i corridoi del palazzo, sapendo che quando fosse giunto il momento di dirlo davvero sinceramente, avrebbe dovuto apparire perfetto. Doveva far capire a Sebastian che sentiva il suo dolore, perché quel genere di empatia era il primo passo per entrare in possesso del suo cuore.



Sarebbe stato più facile se avesse provato qualcosa di diverso dalla gioia al pensiero di Sofia morta. Solo il ricordo del coltello che le scivolava dentro le portava un sorriso che non poteva mostrare davanti a Sebastian quando fosse tornato.



Non mancava molto. Angelica era arrivata a casa prima di lui cavalcando velocissima, ma non aveva alcun dubbio che Rupert, Sebastian e tutto il resto sarebbero presto tornati. Doveva essere pronta quando fossero arrivati, perché non aveva senso levare di mezzo Sofia se non poteva approfittare del vuoto rimasto.



Per ora però Sebastian non era il membro di quella famiglia di cui lei doveva preoccuparsi. Si trovava fuori dalle stanze della vedova, e fece un profondo respiro mentre le guardie la osservavano. Quando aprirono le porte in silenzio, Angelica preparò il suo sorriso più radioso e si avventurò all’interno.



“Ricorda che hai fatto quello che voleva,” disse a se stessa.



La vedova la stava aspettando, seduta su una comoda sedia mentre beveva un qualche genere di tè d’erbe. Angelica ricordò il suo profondo inchino questa volta, e sembrò che la madre di Sebastian non fosse dell’umore giusto per fare giochetti.



“Per favore alzati, Angelica,” disse con un tono che era sorprendentemente mite.



E comunque aveva senso che fosse contenta. Angelica aveva fatto tutto ciò che le era stato richiesto.



“Siedi qui,” disse la donna indicando un posto accanto a sé. Era meglio che doversi inginocchiare davanti a lei, anche se ricevere ordini a quel modo era pur sempre un piccolo pezzo di sabbia abrasiva che le grattava contro l’anima. “Bene, raccontami del tuo viaggio a Monthys.”

 



“È fatta,” disse Angelica. “Sofia è morta.”



“Ne sei sicura?” chiese la vedova. “Hai controllato il corpo?”



Angelica si accigliò di fronte alla nota inquisitoria presente nella voce della vedova. A quella donna non andava mai bene niente?



“Sono dovuta fuggire prima, ma l’ho pugnalata con uno stiletto impregnato del più potente veleno che avevo,” disse. “Nessuno avrebbe potuto sopravvivere.



“Bene,” disse la vedova. “Spero tu abbia ragione. Le mie spie dicono che è arrivata sua sorella?”



Angelica sentì gli occhi che si dilatavano leggermente davanti a quell’affermazione. Sapeva che Rupert non era ancora tornato, quindi come faceva la vedova ad aver sentito così tanto e così rapidamente? Magari aveva inviato un uccello messaggero.



“Sì,” rispose. “È salpata insieme al cadavere di sua sorella, su una barca diretta a Ishjemme.”



“Diretta verso Lars Skyddar, non c’è dubbio,” mormorò la vedova. Fu un altro piccolo shock per Angelica. Come potevano mai delle paesane come Sofia e sua sorella conoscere qualcuno come il governatore di Ishjemme?



“Ho fatto quello che volevate,” disse Angelica. Anche a lei il tono parve sulla difensiva.



“Ti aspetti un premio?” chiese la vedova. “Magari una ricompensa? Un qualche inutile titolo da aggiungere alla tua collezione, magari?”



Ad Angelica non piaceva che le si rivolgessero a quel modo. Aveva fatto tutto ciò che la vedova le aveva chiesto. Sofia era morta, e Sebastian sarebbe stato presto a casa, pronto ad accettarla.



“Ho appena annunciato le vostre nozze all’Assemblea dei Nobili,” disse la vedova. “Pensavo che sposare mio figlio fosse una ricompensa sufficiente.”



“Più che sufficiente,” disse Angelica. “Ma questa volta Sebastian accetterà?”



La vedova allungò una mano e Angelica dovette sforzarsi di non rabbrividire mentre la donna le accarezzava una guancia.



“Sono certa di aver detto che questo era parte del tuo lavoro. Distrailo. Inginocchiati davanti a lui e imploralo se devi. I miei resoconti dicono che è avvolto nel dolore mentre viene a casa. Il tuo lavoro sarà di fargli dimenticare tutto. Non il mio lavoro, ma il tuo. Fai un buon lavoro, Angelica.” La vedova scrollò le spalle. “E ora esci. Ho delle cose da fare. Devo assicurarmi che tu abbia effettivamente finito Sofia, tanto per cominciare.”



Il congedo fu tanto improvviso da potersi considerare maleducato. Con chiunque altro, sarebbe stato sufficiente per chiedere una retribuzione. Con la vedova, non c’era nulla che Angelica potesse fare, e questo rendeva solo peggiori le cose.



Lo stesso avrebbe fatto quello che la vecchia donna chiedeva. Avrebbe fatto Sebastian suo non appena fosse tornato a casa. Sarebbe presto diventata una dei reali sposandolo, e quella salita sociale sarebbe stata più che una ricompensa.



Nel frattempo l’incertezza della vedova sulla sorte di Sofia la angustiava. Angelica l’aveva uccisa, ne era certa, ma…



Ma non avrebbe fatto alcun male vedere cosa poteva apprendere degli eventi a Ishjemme, giusto per esserne certa. Del resto aveva almeno un amico lì.





CAPITOLO SEI



Sofia poteva sentire lo sciabordio lento della nave da qualche parte sotto di sé, ma era qualcosa di lontano, al limite della sua coscienza. A meno che non si concentrasse, era difficile ricordarsi di essere mai stata su una nave. Di certo non riusciva a metterla a fuoco, anche se era l’ultimo posto in cui ricordava di essere stata.



Le sembrava invece di essere in un posto oscuro, pieno di nebbia che mutava e si gonfiava, con una luce intermittente che filtrava apparendo più come il fantasma del sole che veramente esso. Nella nebbia Sofia non sapeva da quale parte significasse andare avanti, o dove avrebbe dovuto dirigersi.



Poi udì il grido di un bambino che squarciava la nebbia più chiaramente della luce del sole. In qualche modo, un qualche istinto le disse che quel bambino era suo, e che lei doveva andare da lui. Senza esitare, partì in mezzo alla nebbia, si mise a correre.



“Sto arrivando,” disse per rassicurare il bimbo. “Ti troverò.”



Il piccolo continuava a piangere, ma ora la nebbia contorceva il suono, facendolo arrivare da ogni direzione allo stesso tempo. Sofia scelse una direzione e si lanciò in avanti di nuovo, ma sembrava che ogni via scelta fosse quella sbagliata, perché non gli si avvicinava mai.



La nebbia brillò e delle scene parvero formarsi attorno a lei, disposte così perfettamente da sembrare spettacoli sul palcoscenico. Sofia vide se stessa mentre piangeva nel dare alla luce il bambino, sua sorella che le teneva la mano mentre portava quella vita nel mondo. Vide se stessa che teneva tra le braccia suo figlio. Si vide morta, con un medico accanto a lei.



“Non è stata abbastanza forte dopo l’aggressione,” disse l’uomo a Kate.



Ma non poteva essere vero. Non poteva essere vero, se lo erano le altre scene. Poteva accadere.



“Magari niente di tutto questo è vero. Forse è solo la mia immaginazione. O forse sono possibilità e nulla è deciso.”



Sofia riconobbe all’istante la voce di Angelica. Si girò, vedendo l’altra donna lì in piedi, con un pugnale insanguinato in mano.



“Non sei qui,” le disse. “Non può essere.”



“Ma può il tuo bambino?” ribatté.



Allora fece un passo avanti e pugnalò Sofia. L’agonia la attraversò come fuoco. Sofia gridò… e si trovò da sola, in piedi in mezzo alla nebbia.



Sentiva un bambino che piangeva da qualche parte in lontananza, e partì in quella direzione perché capì di istinto che era il suo bambino, sua figlia. Corse cercando di raggiungerla, anche se aveva la sensazione di averlo già fatto prima…



Trovò attorno a sé le scene della vita di una ragazza. Una bambina che giocava, sana e salva e felice, Kate che rideva insieme a lei perché avevano entrambe trovato un buon nascondiglio sotto le scale e Sofia non poteva trovarle. Una bambina tirata fuori dal castello giusto in tempo, Kate che lottava contro una decina di uomini, ignorando la lancia nel suo fianco in modo che Sofia potesse scappare con lei. La stessa bambina da sola in un salone vuoto, senza nessun genitore.



“Cosa c’è?” chiese Sofia.



“Solo tu potresti chiedere il significato di una cosa del genere,” disse Angelica uscendo ancora dalla nebbia. “Non puoi solo essere in un sogno, deve essere pieno di portenti e segni.”



Si fece avanti e Sofia alzò una mano per tentare di fermarla, ma questo significò solo che il coltello le si conficcò sotto al braccio, piuttosto che finire di netto nel petto.



Era in mezzo alla nebbia, il pianto di un bambino che le risuonava accanto…



“No,” disse Sofia scuotendo la testa. “Non continuerò ad andare in giro a questo modo. Non è reale.”



“È abbastanza reale perché tu sia qui,” disse Angelica, la sua voce che riecheggiava dalla nebbia. “Come ci si sente ad essere una cosa morta?”



“Non sono morta,” insistette Sofia. “Non può essere.”



La risata di Angelica riecheggiò come aveva fatto prima il pianto del suo bambino. “Non puoi essere morta? Perché sei così speciale, Sofia? Perché il mondo ha così tanto bisogno di te? Lascia che te lo ricordi.”



Uscì dalla nebbia, e ora non si trovavano più nella nebbia, ma nella cabina della barca. Angelica venne avanti, l’odio sul suo volto piuttosto ovvio mentre piantava la lama nel cuore di Sofia ancora una volta. Sofia sussultò per il colpo, poi cadde, crollando nel buio mentre sentiva Sienne che attaccava Angelica.



Allora si trovò ancora nella nebbia, in piedi là in mezzo mentre quella foschia scintillava attorno a lei.



“Allora questa è la morte?” chiese, sapendo che Angelica stava sicuramente ascoltando. “Se è così, cosa ci fai qui?”



“Magari sono morta anche io,” disse Angelica. Si riportò in vista. “Magari ti odio così tanto che ti ho seguita. O magari sono tutto quello che tu odi nel mondo.”



“Io non ti odio,” insistette Sofia.



Sentì allora Angelica che rideva. “No? Non odi che io sono cresciuta al sicuro mentre tu ti trovavi nella Casa degli Indesiderati? Che tutti mi accettino a corte mentre tu sei dovuta scappare? Che io avrei potuto sposare Sebastian senza nessun problema, mentre tu sei dovuta andare via di corsa?”



Fece un altro passo avanti, ma questa volta non pugnalò Sofia. Le passò oltre, andandosene nella nebbia. La foschia parve rimodellarsi dopo il passaggio di Angelica, e Sofia capì che quella non poteva essere una persona reale, perché la vera Angelica non si sarebbe stancata tanto rapidamente di assassinarla.



Sofia la seguì, cercando di trovare il senso a tutto.



“Lascia che ti mostri qualche altra possibilità,” disse Angelica. “Penso che queste ti piaceranno.”



Solo il modo in cui lo disse fece capire a Sofia quanto poco le sarebbero piaciute in realtà. Lo stesso la seguì nella nebbia, non sapendo cos’altro fare. Angelica scomparve rapidamente alla vista, ma Sofia continuò a camminare.



Ora si trovava in mezzo a una stanza dove stava seduto Sebastian, evidentemente intento a provare di trattenere le lacrime che gli cadevano dagli occhi. Angelica era lì con lui, e allungava le braccia verso di lui.



“Non devi trattenere le tue emozioni,” diceva, con tono di perfetta empatia. Lo abbracciò e lo tenne stretto. “È giusto portare il lutto per i defunti, ma ricorda che i vivi sono qui per te.”



Guardò fissa Sofia negli occhi mentre stringeva Sebastian, e Sofia poté scorgere l’espressione di trionfo nel suo sguardo. Sofia andò verso di lei colma di rabbia, intenzionata a staccargli Angelica di dosso, ma la sua mano non arrivava neanche a toccarli. Passò loro attraverso senza alcun contatto, lasciandola lì a fissarli, niente più che un fantasma.



“No,” disse Sofia. “No, non è reale.”



Non reagirono. Era come se lei non fosse lì. L’immagine mutò, e ora Sofia si trovava al centro di una specie di matrimonio che mai avrebbe osato immaginare per se stessa. Era in una sala con il soffitto che sembrava raggiungere il cielo, nobili riuniti in tale quantità da far addirittura apparire piccolo il salone.



Sebastian stava aspettando vicino a un altare insieme a una sacerdotessa della Dea Mascherata con le vesti che proclamavano il suo rango superiore alle altre dell’ordine. C’era anche la vedova, seduta su un trono d’oro mentre guardava sul figlio. La sposa avanzò, coperta dal velo e vestita di bianco. Quando la sacerdotessa tirò indietro il velo mostrando il volto di Angelica, Sofia gridò…



Si trovò in una stanza che riconosceva dalla sua memoria, la disposizione delle cose di Sebastian immutata dalle notti che aveva trascorso lì con lui, la cascata della luce della luna sulle lenzuola che la riportava ai ricordi del tempo trascorso insieme. C’erano dei corpi aggrovigliati in quelle lenzuola, e stretti tra loro. Sofia poteva udire le loro risate e la loro gioia.



Vide la luce della luna illuminare il volto di Sebastian, colto in un’espressione di puro bisogno, e quello di Angelica che non mostrava altro che trionfo.



Sofia si girò e si mise a correre. Corse alla cieca nella nebbia, non volendo vedere nient’altro. Non voleva restare in quel luogo. Doveva scappare da lì, ma non riusciva a trovare l’uscita. Peggio ancora, sembrava che ogni direzione prendesse riportasse ad altre immagini, e anche quelle di sua figlia le facevano male, perché Sofia non aveva modo di sapere quali potessero essere vere e quali fossero lì solo per farle del male.



Doveva trovare un modo per uscire, ma non ci vedeva abbastanza bene da trovarlo. Rimase ferma lì, sentendo il panico crescere dentro di sé. In qualche modo sapeva che Angelica l’avrebbe seguita di nuovo, dandole la caccia nella nebbia, pronta a conficcarle in corpo la lama ancora una volta.



Poi vide la luce che brillava attraverso la nebbia.



Crebbe lentamente, partendo come qualcosa che si faceva appena strada attraverso le tenebre, poi diventando pian piano qualcosa di più grande, qualcosa che bruciava la nebbia eliminandola nello stesso modo in cui il sole poteva asciugare la rugiada al mattino. La luce portava con sé del calore, dando vita alle sue membra, agli arti che prima le erano sembrati di piombo.



Si riversò su Sofia, e lei lasciò che il potere le scorresse dentro, portando con sé immagini di prati e fiumi, monti e foreste, un intero regno contenuto in quel tocco di luce. Anche il ricordo del dolore proveniente dalla ferita sembrava scomparire davanti a quel potere. Per istinto Sofia si mise una mano sul fianco e la ritrasse bagnata di sangue. Poteva vedere la ferita adesso, ma si stava chiudendo, la carne si stava ricomponendo sotto il tocco di quell’energia.

 



Quando la nebbia si sollevò, Sofia poté vedere qualcosa in lontananza. Le ci volle

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