Free

Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 3

Text
iOSAndroidWindows Phone
Where should the link to the app be sent?
Do not close this window until you have entered the code on your mobile device
RetryLink sent

At the request of the copyright holder, this book is not available to be downloaded as a file.

However, you can read it in our mobile apps (even offline) and online on the LitRes website

Mark as finished
Font:Smaller АаLarger Aa

L’allegorie le quali in questo canto sono, cioè il supplicio di quelle anime dannate, con le quali l’autor mostra che lungamente parlasse, sono una medesima cosa con quella, la quale è nel canto quindicesimo, precedente a questo, e ancora con quella che è nel quattordicesimo; delle quali, percioché d’una medesima qualitá sono con quella che ancora è a recitare, e che è nel canto seguente, come altra volta di sopra è detto, si riserva a dimostrare dove appresso della terza spezie di coloro che a Dio e alle sue cose fanno violenza si tratterá: e però qui non curo dirne alcuna cosa. Appresso, quello che nella fine del presente canto si discrive della corda data a Virgilio dall’autore, e dello animale che, per lo cenno da Virgilio fatto, venne sopra ’l fiume, percioché ad un medesimo fine aspetta con quella fiera della quale l’ autor tratta nel principio del seguente canto, per non fare d’una medesima materia due diversi sermoni, riserverò a dire dove di quella fiera diremo.



CANTO DECIMOSETTIMO

– «Ecco la fiera con la coda aguzza», ecc. Il presente canto si continua col precedente assai evidentemente, in quanto nella fine del precedente ha dimostrato come, per lo segno fatto da Virgilio, vedesse sotto l’acqua una figura, la qual notando veniva insú, cioè verso la sommitá del fiume; e nel principio di questo dimostra questa figura esser pervenuta a riva. E dividesi il presente canto in tre parti: nella prima discrive la forma della figura venuta; nella seconda dimostra l’afflizione degli usurieri; nella terza dimostra come, salito sopra le spalle di quella figura, insieme con Virgilio fosse passato, e trasportato del settimo cerchio dello ’nferno nell’ottavo. La seconda comincia quivi: «Quivi ’l maestro»; la terza quivi: «Ed io, temendo».



Comincia adunque cosí: – «Ecco la fiera»; chiamala «fiera» dal suo fiero e crudele effetto; «con la coda aguzza», cioè aguta e pugnente piú che alcun ferro, «che passa i monti», cioè le durissime e grandi cose, «e rompe i muri», della cittá e di qualunque fortezza, «e l’armi» (

supple

) passa e rompe di qualunque fortissimo e ardito cavaliere; «Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza», – cioè corrompe e guasta col suo iniquo è fraudolente adoperare. E dice «ecco»

demonstrative

, percioché, allora quando Virgilio cominciò a parlare, giugneva questa fiera sopra l’acqua del fiume dal lato loro. «Si cominciò», come detto è, «lo mio duca a parlarmi». Poi dice: «Ed accennolle», poi che cosí ebbe detto, «che venisse a proda», cioè sopra la riva del fiume, «Vicino al fin de’ passeggiati marmi». Pon qui la spezie per lo genere, cioè «marmi» per «pietre»: è il marmo, come noi veggiamo, una spezie di pietra bianchissima e forte. E dice «passeggiati marmi», percioché, passeggiando, eran venuti su per l’argine del fiume infin quivi; il qual argine ha di sopra dimostrato che era divenuto pietra: vuol dunque qui dire che Virgilio le fece cenno che ella venisse insino al luogo dove essi, passeggiando, erano pervenuti.



«E quella sozza immagine di froda». Manifesta l’autore qui di che cosa questa fiera fosse immagine, e dice che era «di froda»: la qual froda che cosa sia si dimostrerá appresso. «Sen venne», per lo cenno fattole da Virgilio, «ed arrivò», cioé mise sopra la riva, «la testa e ’l busto», cioè il rimanente del corpo; «Ma ’n su la riva non trasse la coda»; e cosí mostra che quella si rimanesse coperta nell’acqua.



«La faccia sua», di questa fiera, «era faccia d’uom giusto, Tanto benigna», mansueta e piacevole, «avea di fuor la pelle», cioè l’apparenza; «E d’un serpente» era «tutto l’altro fusto», della persona di questa fiera. «Due branche», cioè due piedi artigliati, come veggiamo che a’ dragoni si dipingono, «avea pelose infin l’ascelle», cioè infino sotto le ditella; «Lo dosso e ’l petto ed amendue le coste», cioè tutto il corpo, fuor che la testa e ’l collo e la coda, «Dipinte avea», ornate, come naturalmente hanno molti animali, «di nodi», cioè di composti, li quali parevano nodi, «e di rotelle», di figure ritonde.



«Con piú color sommesse e sopraposte», a variazion dell’ornamento, «Non fer mai drappi tartari né turchi», li quali di ciò sono ottimi maestri, si come noi possiam manifestamente vedere ne’ drappi tartareschi, li quali veramente sono si artificiosamente tessuti, che non è alcun dipintore che col pennello gli sapesse fare simiglianti, non che piú belli.



Sono i tartari......... .............




IV

ARGOMENTI

IN TERZA RIMA

ALLA “DIVINA COMMEDIA”

DI DANTE ALIGHIERI

ALL’INFERNO



«Nel mezzo del cammin di nostra vita»,

smarrito in una valle l’autore,

e la sua via da tre bestie impedita,





Virgilio, dei latin poeti onore,

5da Beatrice gli apparve mandato

liberator del periglioso errore.





Dal qual poi che aperto fu mostrato

a lui di sua venuta la cagione,

e ’l tramortito spirto suscitato,





10senza piú far del suo andar quistione,

dietro gli va, ed entra in una porta

ampia e spedita a tutte persone.





Adunque, entrati nell’aura morta,

l’anime triste vider di coloro

15che senza fama usâr la vita corta;





io dico de’ cattivi: eran costoro

da moscon punti, e senza alcuna posa

correndo givan, con pianto sonoro.





Quindi, venuti sopra la limosa

20riva d’un fiume, vide anime assai,

ciascuna di passar volenterosa.





A cui Caròn: – Per qui non passerai! —

di lontan grida; appresso, un gran baleno

gli toglie il viso e l’ascoltar de’ guai.





25Dal qual tornato in sé, di stupor pieno,

di lá da l’acqua in piú cocente affanno,

non per la via che l’anime teniéno,





si ritrovò; e quindi avanti vanno,

e pargoletti veggon senza luce

30pianger, per l’altrui colpa, eterno danno.





Dietro alle piante poi del savio duce

passa con altri quattro in un castello,

dove alcun raggio di chiarezza luce.





Quivi vede seder sovr’un pratello

35spiriti d’alta fama, senza pene,

fuor che d’alti sospiri, al parer d’ello.





Da questo loco discendendo, viene

dove Minós esamina gli entranti,

fier quanto a tanto officio si conviene.





40Quivi le strida sente e gli alti pianti

di quei che furon peccator carnali,

infestati da venti aspri e sonanti,





dove Francesca e Polo li lor mali

contano. E quindi Cerbero latrante

45vede sopra a’ gulosi, infra li quali





Ciacco conosce; e, procedendo avante,

truova Plutone, e’ prodighi e gli avari

vede giostrar con misero sembiante.





Che sia Fortuna e la cagion de’ vari

50suoi movimenti Virgilio gli schiude:

e, discendendo poi con passi rari,





truovan di Stige la nera palude,

la qual risurger vede di bollori,

da’ sospir mossi d’alme in essa nude,





55dove gli accidiosi peccatori,

e gl’iracundi, gorgogliando in quella,

fanno sentir li lor grevi dolori.





Sopra una fiamma poi doppia fiammella

subito vede, ed una di lontano

60surgere ancora e rispondere ad ella.





Quivi Flegias, adirato, il pantano

oltre gli passa, nel qual vede strazio

far di Filippo Argenti, e non invano.





E appena era di tal mirare sazio,

65ch’a piè della cittá di Dite giunti,

senza esser lor d’entrarvi dato spazio,





si vide, e quindi da disdegno punti

per la porta serrata lor nel petto

da li spiriti piú da Dio disiunti.





70E mentre quivi stavan con sospetto,

le tre Furie infernai sovra le mura

Tesifon, vider, Megera ed Aletto.





Appresso, acciò che l’orribil figura

del Gorgon non vedesse, il buon maestro

75gli occhi gli chiuse, e fennegli paura.





Di scender poi per lo cammin silvestro,

per cui la porta subito s’aprio,

mostra, e ’l passare a loro in quella, destro.





Quivi dolenti strida ed alte udio,

80che de’ sepolcri uscivano affocati,

de’ qual pieno era tutto il loco rio:





in quegli essere intese i trascutati

eresiarci, e tutti quelli ancora

ch ’a Epicuro dietro sono andati.





85Lì, ragionando, picciola dimora

con Farinata e con un altro face,

ch’alquanto a l’arca pareva di fora.





Disegna poi come lo ’nferno giace,

da indi in giú, distinto in tre cerchietti,

90e poi dimostra con ragion vivace





perché dentro alle mura i maladetti

spiriti sien di Due, e nel suo cerchio,

piú che color che ha di sopra detti.





Centauri truova poi sovr’al coperchio

95d’un’altra valle sovra Flegetonte,

nel qual chi fe’ al prossimo soverchio





bollir vede per tutto; e perché cónte

le vie salvagge, a passar la riviera

Nesso gli fa della sua groppa ponte.





100Oltre passati, in una selva fiera

di spirti, in bronchi noderosi e torti

mutati, entraron per via straniera.





Tutti se stessi i miseri avien morti,

che li piangean, divenuti bronconi;

105dove gli fe’ Pier delle Vigne accorti





delle dolenti lor condizioni

e delle sue; e nella selva stessa,

dopo gli uditi miseri sermoni,





da nere cagne un’anima rimessa

110vide sbranare, e seppe a tal martiro

dannato chi la sustanzia, commessa





all’util suo, biscazza. E quindi giro

piú giú, dove piovean fiamme di foco,

fuor della selva, sovra un sabbion diro;





115lá dove Campaneo, curante poco,

vider giacer sotto la pioggia grave

con piú molti arroganti; e ’n questo loco,





seguendo, mostra con rima soave

d’una statua, ch’ è di piú metalli,

120l’acqua cadere in quelle valli prave,





e quattro fiumi per piú intervalli

nel mondo occulto fare, infino al punto

piú basso assai che tutte l’altre valli.





Poi ser Brunetto abbrusciato e consunto

125sotto l’orribil pioggia correr vede,

col quale alquanto, parlando, congiunto,





di sua futura vita prende fede.

Poi, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi,

Iacopo Rusticucci, infino al piede





130di lui venuti, a’ lor nuovi dimandi

sodisfa presto; e quinci procedette

dove anime trovò con tasche grandi





sedere a collo, sotto le fiammette,

di loro alcuni a l’arme conoscendo

135stati usurieri, e per tre render sette.





Poi, sovra Gerion giú discendendo,

in Malebolge vene, ove i baratti

in diece vede, senza pro piangendo.





De’ quali i primi da dimòn son tratti

140con grandi scoreggiate per lo fondo,

scherniti e lassi, vilmente disfatti;





lá dove alcun ch’avea veduto al mondo

vi riconobbe, ch’era bolognese,

Venedico, e ruffiano; a cui secondo





145Iason venia, che tolse il ricco arnese

a’ colchi. E quindi Alesso Interminelli

in uno sterco vide assai palese





pianger le sue lusinghe; e quindi quelli

che sottosopra in terra son commessi

150per simonia; e li par che favelli





con un papa Nicola; ed, oltre ad essi,

travolti vede quei che con fatture

gabbarono non ch’altrui, ma se istessi.





Quindi discendon lá ove l’oscure

155pegole bollon chi baratteria

vivendo fece, e di quelle misture,





mentre che van con fiera compagnia

di diece diavol, parla un che fu tratto

da Graffiacan per la cottola via,





160sé navarrese dicendo e baratto;

quinci com’el fuggi delle lor mani

racconta chiaro, e de’ diavoli il fatto.





Sotto le cappe rance i pianti vani

degl’ipocriti poi racconta, e mostra

165Anna e ’l suo suocer nelli luoghi strani





crocifissi giacer. Poi, nella chiostra

di Malebolge seguente, brogliare

fra’ serpi vede della gente nostra,





quivi dannati per lo lor furare:

170Agnolo e ’l Cianfa ed altri e Vanni Fucci;

li quai mirabilmente trasformare,





dopo nuovi atti, parlamenti e crucci,

e d’uomo in serpe, e poi di serpe in uomo,

in guisa tal, che mai vista non fucci,





175discrive. E poi chi mal consiglio, comoda,

come Ulisse, in fiamme acceso andando,

vede riprender dattero per pomo.





Pria con Ulisse, e poscia ragionando

col conte Guido, passa; e, pervenuto

180su l’altra bolgia, vede gente andando





tutta tagliata sovente e minuto,

per lo peccato della scisma reo

da lor nel mondo falso in suso avuto.





Lì Maometto fesso discernéo,

185e quel Beltram che giá tenne Altaforte,

e Curio e ’l Mosca, e molti qual potéo.





Appresso vide piú misera sorte

degli alchimisti fracidi e rognosi,

u’ seppe da Capocchio l’agra morte,





190e Mirra e Gianni Schicchi e piú lebbrosi

vide, ed i falsator per fiera sete

ritruopichi fumare stando oziosi:





tra’ quali in quella inestricabil rete

vide Sinón, ed il maestro Adamo

195garrir con lui, come legger potete.





Quindi, lasciando l’uno e l’altro gramo,

dal mezzo in su gli figli della terra

uscir d’un pozzo vede, ed al richiamo





del gran poeta intramendue gli afferra

200Anteo, e lor sovr’al freddo Cocito

posa, nel quale in quattro parti serra





il ghiaccio i traditor: quivi ghermito

Sassol de’ Mascheron nella Caina,

e ’l Camiscion de’ Pazzi, ebbe sentito.





205oscia nell’Antenora, ivi vicina,

tra gli altri dolorosi vide il Bocca,

e di Gian Soldanier l’alma meschina,





ed altri molti, ch’ora a dir non tocca,

si come l’arcivescovo Ruggieri,

210ed il conte Ugolino, anima sciocca.





Piú oltre andando pe’ freddi sentieri,

spiriti truova nella Ptolomea

giacer riversi ne’ ghiacci severi.





Quivi, racconta, l’alma si vedea

215di Brancadoria e di frate Alberico,

che senza pro de’ frutti si dolea.





Appresso vede l’Avversario antico

nel centro fitto, e Iuda Scariotto,

e Cassio e Bruto, di Cesar nemico,





220nell’infima Iudecca star di sotto.

Quindi, pe’ velli del fiero animale

discendendo, e salendo, il duca dotto





lui di fuor tira da cotanto male

per un pertugio, onde le cose belle

225prima rivide, e per cotali scale





usciron quindi «a riveder le stelle».



AL PURGATORIO



«Per correr miglior acqua alza le vele»

qui lo autore, e, seguendo Virgilio,

pe’ dolci pomi sale e lascia il fiele.





Catón primier, fuor dell’eterno esilio,

5truovano e seco parlan, procedendo;

poi dánno effetto al suo santo consilio.





Su la marina vede, discendendo

nell’aurora, piú anime sante,

e ’l suo Casella, al cui canto attendendo,





10mentre l’anime nuove tutte quante

givan con lor, rimorsi da Catone,

fuggendo al monte ne girono avante.





Incerti quivi della regione,

truovan Manfredi ed altri, che moriro

15per colpa fuor di nostra comunione





col perder tempo, adequare il martiro

alla lor colpa; e quindi, ragionando,

del solar corso gli solve il desiro





l’alto poeta sedendosi, quando

20Belacqua vider per negghienza starsi;

e giá levati verso l’alto andando,





Bonconte ed altri molti incontro farsi

vider, li quali infino all’ultim’ora,

uccisi, a Dio penáro a ritornarsi.





25Quindi Sordel trovar sol far dimora,

il qual, poi che l’autor molto ha parlato

contro ad Italia, il gran Virgilio onora.





Poi mena loro in un vallone ornato

d’erbe e di fior, nel qual, cantando, addita,

30a Virgilio Sordello stando allato,





spiriti d’alta fama in questa vita,

tra’ quai discesi, il Gallo di Gallura

riceve l’autor; quindi, finita





del di la luce, vede dell’altura

35due angeli con due spade affocate

discender ad aver di costor cura.





Poscia, dormendo, con penne dorate

gli par che ’n alto un’aquila nel porti

d’infino al foco; quindi, alte levate





40le luci, spaventato, da’ conforti

fatto sicur di Virgilio, Lucia

gli mostra quivi loro avere scorti.





Del purgatorio gli addita la via,

dove venuti, qual fosse disegna

45la porta, e’ gradi onde a quel si salía,





chi fosse il portinaio, che veste tegna,

e quai fosser le chiavi, e che scrivesse

nella sua fronte, e che far si convegna





a chi passa lá dentro pone

expresse

.

50E quindi come en la prima cornice

dichiara con fatica si giugnesse;





ed intagliate in alta parte dice

di quella istorie d’umiltá verace:

poi spirti carchi dall’una pendice





55vede venir cantando, ed orar pace

per sé e per altrui, purgando quello

che ne’ mortal superbia sozzo face;





tra’ quali Umberto ed Odorisi, ad ello

appresso, e simil Provinzan Silvani

60piangendo vide sotto il fascio fello.





Oltre passando pe’ sentieri strani,

sotto le piante sue effigiati

vide gli altieri spiriti mondani.





Da uno splendido angiolo invitati

65piú leggier salgono al giron secondo,

perché li «P» l’autor trovò scemati.





Lí alte voci, mosse dal profondo

ardor di caritá, udir volanti

per l’aere puro del levato mondo;





70e poi che giunti furon piú avanti,

videro spirti cigliati sedere,

vestiti di ciliccio tutti quanti,





perché la invidia lor tolse il vedere:

Guido del Duca, Sapia e Rinieri

75da Calvol truova lí piangere, e vere





cose racconta di tutti i sentieri

onde Arno cade, e simil di Romagna;

quindi altri suon sentiron piú severi.





Ed oltre su salendo la montagna,

80da un altro angelo invitati foro,

parlando dell’orribile magagna





d’invidia, e dell’opposito, fra loro,

e, di sé tratto andando, vide cose

pacefiche in aspetto; né dimoro





85fe’ guari in quelle, che ’n caliginose

parti del monte entraron, dove l’ira

molti piangean con parole pietose.





Quivi gli mostra Marco quanto mira

nostra potenzia sia, e quanto possa

90di sua natura, e quanto dal ciel tira.





Appresso usciti dall’aria grossa,

imaginando vede crudi effetti

venuti in molti da ira commossa.





Quivi gl’invia un angel; per che, stretti

95alla grotta amendue, a non salire

dalla notte vegnente fur costretti.





Posti a sedere incominciaro a dire

insieme dell’amor del bene scemo,

che ’n quel giron s’empieva con martire,





100dove, sí come noi veder potemo,

distintamente Virgilio ragiona

come si scemi in uno ed altro estremo,





che sia amor, del quale ogni persona

tanto favella, e come nasca in noi.

105L’abate li di San Zen da Verona





con altri assai correndo vede poi

e con lui parla, e seguel nell’oscuro

tempo, con altri retro a’ passi suoi,





come sentendo si rifá maturo

110d’accidia l’acerbo. Indi ne mostra

come, dormendo in sul macigno duro,





qual fosse vide la nemica nostra,

e come da noi partasi, e, sdormito,

come venisse nella quinta chiostra,





115fattogli a ciò da uno angel lo ’nvito.

Quivi giacendo assai spiriti truova,

che d’avarizia piangon l’acquisito





in giú rivolti e, perch’el non sen mova

alcun, legati tutti; e quivi parla

120con un papa dal Fiesco; appresso pruova





l’onesta povertá, ed a lodarla

Ugo Ciappetta induce, i cui nepoti

nascer dimostra tutti atti a schifarla,





pien d’avarizia e d’ogni virtú vòti;

125e come poscia contro alla nequizia,

passato il dí, cantando, vi si noti.





Quindi, per tutto, novella letizia,

ed il monte tremare infino al basso

dimostra, mosso da vera giustizia.





130Qui truova Stazio non a lento passo

salire in su, al qual Virgilio chiede

della cagion del triemito del sasso.





la quale Stazio assegna; indi succede

al priego suo ancora a nominarsi.

135Quindi, com’uom ch’appena quel che vede





crede, dichiara Stazio avanti farsi

ad onorar Virgilio, e gli fa chiaro

lui, per contrario peccato agli scarsi,





aver per molti secoli l’amaro

140monte provato. E giá nel cerchio sesto,

parlando insieme, uno albero trovâro





donde una voce lor disse il modesto

gusto di molti; e, piú propinqui fatti,

chiaro s’avvider ch’ogni ramo in questo





145albero è vòlto in giú, e d’alto tratti

vider cader liquor di foglia in foglia,

e sotto ad esso spirti macri e ratti





vider venir piú che per altra soglia

dell’erto monte, e pure in sú la vista

150alli pomi tenean, che sí gl’invoglia.





Cosí andando infra la turba trista,

raffigurollo l’ombra di Forese:

con lui favella; e della gente mista





piú riconobbe, e, tra gli altri, il lucchese

155Bonagiunta Orbiccian; poi una voce

all’albero appressarsi lor difese.





Un angel quinci al martiro che cuoce

gl’invita, ed essi, per l’ora che tarda

era, ciascun n’andava sú veloce,





160mostrando Stazio a lui, se ben si guarda,

nostra generazione, e come l’ombra

prenda sembianza di corpo bugiarda,





e come sia da passione ingombra:

e, sí andando, pervennero al foco,

165prima che ’l santo monte facesse ombra;





lungo ’l qual trapassando per un poco

d’un sentieruolo udîr voci nemiche

al vizio di lussuria, ed in quel loco





piú anime conobbe, che ’mpudiche<