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Read the book: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6», page 27

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Ancora dagli antichi Cedolarj regj si ricava, che la Terra di Pontecorvo, dalli tempi del Re Carlo I insino alla Regina Giovanna II, fu sempre tassata nelle tasse generali a pagar le collette alla Regia Corte, conforme tutte l'altre Terre del Regno, come nell'anno 1274, 1275, 1292, 1295, 1304, 1306, 1309, 1316, 1319, 1320, 1321, 1322, 1323, 1324, 1328, 1333, 1335, 1339, 1395 e 1423, li quali documenti furon tutti raccolti dal Chioccarello nel tomo 18 de' suoi M. S. Giurisdizionali.

Ma il monastero Cassinense, avendo patite varie mutazioni, e dalla Corte romana ora dato in Commenda a qualche Vescovo o Cardinale, ora restituito nel suo primiero stato, disponendone i Pontefici romani a lor talento, fu molto ben da essi estenuato con appropriarsi buona parte de' suoi dominj, tanto che Pontecorvo tolto a' Monaci, finalmente pervenne in mano della Sede Appostolica. I Papi non vollero riconoscere i nostri Re per supremi Signori della Terra, come prima gli riconoscevano gli Abati di quel monastero, ma s'usurparono sopra quella ogni diritto. Ma il Re Alfonso in tempo dell'inimicizia, che ebbe con Eugenio IV gli tolse colle armi Pontecorvo, e fin che regnò, lo tenne, e dopo la sua morte lo trasmise al Re Ferdinando suo successore. Nella guerra poi, che questo Re ebbe con Giovanni figliuol di Renato, cotanto ben descritta dal Pontano, gli fu tolto da Giovanni; ma avendo Ferdinando fatta lega col Pontefice Pio II, il quale contro Giovanni pose in piedi un fioritissimo esercito, l'esercito del Papa discacciò Giovanni da que' luoghi che avea presi, e Pontecorvo ritornò in questa guerra a Ferdinando suo vero padrone437. Ma i Pontefici Romani, che mai trascurano il tempo e l'occasioni di riacquistar ciò, che una volta possederono, vegghiaron sempre per riaverlo, e secondo le congiunture portarono, con non picciola trascuraggine de' Ministri de' nostri Principi, se n'impossessarono di nuovo, e con non interrotta possessione lo tennero lungamente, ed in fine giunsero, che nell'investiture del Regno se l'han riserbato, non meno che fecero di Benevento438; ed ultimamente, perchè il Vescovo d'Aquino dimorasse in più sicuro luogo, han mutata la sua residenza, ed in vece di farlo risiedere in Aquino antica Sede Cattedrale, oggi risiede in Pontecorvo, Terra da essi pretesa fuori del dominio de' nostri Re439. Anzi rinovando l'antiche contese de' confini, intrapresero estendergli sopra Rocca Guglielma, tanto che nel Ponteficato di Paolo V fu d'uopo al Vicerè D. Pietro Conte di Lemos, mandar in S. Germano il reggente Fulvio di Costanzo Marchese di Corleto, il quale coll'Arcivescovo di Chieti Commessario appostolico mandato dal Papa, composero queste differenze, ed a' 31 maggio 1762 ne fu in S. Germano stipulato istromento tra il suddetto Arcivescovo e 'l Reggente per la distinzione de' confini suddetti tra Pontecorvo e Rocca Guglielma, nel quale furono inserite le loro commissioni sopra di ciò ricevute440.

Vindicò Alfonso da' Pontefici romani non meno Pontecorvo, che le picciole isole adiacenti ne' mari di Gaeta. Sono in questo mare quattro isolette chiamate Ponza, Summone, Palmerola e Ventotene. In alcune carte Summone e Palmerola, son dette S. Maria e le Botte. Pure sopra quest'isole i Pontefici romani tentarono dell'intraprese, ancorchè comprese nel Regno di Napoli, e fossero riputate sempre della diocesi di Gaeta, e da' nostri Re sempre dominate.

Il Re Carlo I nel 1270 ordinò a' suoi Ufficiali di Terra di Lavoro, che non facessero molestare l'Abate e Convento del monastero di S. Maria dell'isola di Ponza dell'ordine Cisterciense della diocesi di Gaeta, sopra alcuni beni che possedeva nella diocesi di Sessa; ed il nostro Re Alfonso, avendo Fr. Marcellino d'Alvana ottenuto da lui sorretiziamente un ordine, che fosse posto in possesso della Badia del monastero di S. Maria di Ponza, scoverto l'inganno, ordinò che se gli levasse tosto il possesso e la riscossione de' frutti di detta Badia.

Seguendo in ciò l'esempio d'Alfonso, li successori Re mantennero in quest'isole il lor possesso; e, regnando l'Imperador Carlo V, abbiamo, che il Conte di S. Severina Vicerè del Regno nel 1525 spedì più ordini a' Castellani di Ponza e Ventotene, che le guardassero attentamente, e con vigilanza contro i Turchi.

Ma nel Regno di Filippo II i Pontefici romani avanzarono le loro pretensioni, e oltre averne spedite concessioni al Cardinal Farnese ed al Duca di Parma, i Romani attentarono di fare alcuni Forti nell'isola di Ponza, di che avendone il Duca d'Ossuna avvisato il Re, Filippo nel 1584 gli rescrisse, che stasse in ciò con molta avvertenza, in non permettere, che alcuno usurpi la sua giurisdizione, e che perciò voleva che pienamente l'informasse di tutto con suo parere. Il Vicerè fece far consulta dalla Regia Camera, nella quale fu con molta esattezza dimostrato, che l'isola di Ponza con altre Isole convicine, cioè Summonte, Palmerola e Ventotene erano comprese nel Regno, nè il Papa poteva avervi alcun dritto, nè il Duca di Parma, il quale non era che un semplice e nudo affittatore, avendosele nel 1582 affittate per scudi 13000 per ventidue anni: onde il Re con altra sua carta de' 3 novembre del medesimo anno 1584 in vista di detta consulta gli ordinò, che continuasse a conservare le ragioni che egli vi tenea, nè permettesse che altri sopra quelle facessero innovazione alcuna.

Succeduto poi al governo del Regno il Conte di Miranda, il Cardinal Farnese mosse trattato col Re Filippo, per mezzo del Conte d'Olivares allora Ambasciadore in Roma, che queste isole si concedessero in feudo al Duca di Parma suo fratello cugino: ed inclinando il Re per le condizioni di que' tempi a farlo, scrisse al Conte nel 1587, che l'informasse con particolarità di ciò che poteva occorrere in contrario, ma che fra tanto non permettesse in dette isole vi si facesse fortificazione alcuna, nè molo nè porto nè cosa simile, insino che informata del tutto potesse risolvere quel che più conveniva al suo regal servigio. Ed avendogliene il Conte di Miranda fatta piena relazione, risolvè il Re d'infeudarle al Duca di Parma con darne avviso al Vicerè di questa sua risoluzione; ed a' 22 settembre del 1588 ne scrisse anche al Conte di Olivares suo Ambasciadore in Roma, che in conformità di quel che avea scritto al Vicerè, veniva a concedere dette isole in feudo al Duca di Parma con ergerle in Contado441.

Accrebbe finalmente Alfonso il Regno colla sovranità, che acquistò sopra lo Stato di Piombino (posto presso il mare tra il Pisano ed il Sanese), e coll'acquisto della picciola isola del Giglio, di Castiglione della Pescara e di Gavarra. Nella guerra che Alfonso mosse in Toscana per indurre i Fiorentini alla pace, ed a richiamare le loro truppe dall'assedio di Milano, essendogli da' Senesi dato il passo, pensò, che non per altra parte potesse più utilmente muovere le sue forze contro i Fiorentini, se non per lo Stato di Piombino, nel cui Porto potesse far venire da Sicilia la sua armata di mare. Rinaldo Orsino erane allora Signore, il quale se ben prima avesse seguita la parte d'Alfonso, cominciò da poi ad aver intelligenza coi Fiorentini, co' quali finalmente si unì contro il Re. Fece per tanto che Alfonso deliberasse di fargli guerra; onde dopo aver per tutta la primavera dell'anno 1488 guerreggiato in Toscana, nel principio di luglio andò a poner il campo contro Piombino, cingendolo di stretto assedio. Rinaldo chiamò i Fiorentini che venisser tosto a soccorrerlo, i quali non furon pigri a farlo442; ed azzuffatesi le due armate, riuscì ad Alfonso di batter in mare i Fiorentini, ed introdurre le sue navi nel Porto di Piombino, le quali s'impadronirono ancora della vicina isola del Giglio. Fece dar l'assalto alla città per ridurla; ma sopraggiunta in quell'està una gran pestilenza nel suo esercito, fu d'uopo levar l'assedio: trattatasi poi la pace tra 'l Re ed i Fiorentini, con gli altri Potentati d'Italia, Alfonso l'accettò con queste condizioni, che rimanessero sotto il suo dominio Castiglione della Pescara, il Giglio, lo Stato di Piombino e Gavarra: ciò che gli fu accordato; ma i Fiorentini vollero, che in questa pace si includesse anche Rinaldo Orsino, e fu accordato che Rinaldo rimanesse Signore di Piombino, con riconoscere il Re per sovrano, a cui pagasse per tributo ogni anno un vaso d'oro di 500 scudi.

Era questo Stato della nobilissima famiglia Appiano, e Gherardo Lionardo Appiano ne fu l'ultimo Signore. Questi essendosi casato con Paola Colonna, dal cui matrimonio non essendone nati maschi, ma una sola femmina chiamata Catterina Appiana, ordinò che nello Stato succedesse non Catterina, ma Emmanuele suo fratello, nel caso, che Giacomo altro suo fratello morisse, come avvenne, senza figli maschi. Ma morto Gherardo, Paola sua moglie, avendo casata Catterina sua figliuola con Rinaldo Orsino, proccurò che Rinaldo suo genero si fosse reso Signore dello Stato, escludendone Emmanuele e per mezzo de' Fiorentini ottenne, che Alfonso gli lasciasse lo Stato col tributo del vaso d'oro, come si è detto.

(Gherardo a Roo443, e per la costui testimonianza, Struvio Syntag. Hist. Germ. dissert. 30 §. 22 rapportano, che gli Orsini collo sborso di quindicimila ducati, che pagarono all'Imperadore Federico III, ebbero dal medesimo il Principato di Piombino; il quale Alfonso rese a se tributario).

Essendone da poi morto Rinaldo, Catterina sua moglie mandò Oratori al Re Alfonso, pregandolo a non darle travagli per li misfatti del marito; poichè ella seguiterebbe a riconoscerlo per sovrano con prestargli ogni ubbidienza e pagargli il tributo. Il Re ne fu contento, e fin che visse Catterina rimase Signora dello Stato; ma quella poco da poi morta, i Cittadini di Piombino chiamaron subito Emmanuele, e come loro legittimo Signore l'invitarono allo Stato. Ritrovavasi questi in Troja città del Regno, posta nella provincia di Capitanata, ove erasi ricovrato sotto la protezione d'Alfonso: il ricevette molto contento dell'invito fattogli da' suoi vassalli444, e per tenerlo più fermo in suo servizio, quando bisognasse contro i Fiorentini, inviò un suo Segretario a coloro dello Stato, dichiarando il contento, che teneva così per aver essi fatto il lor debito in richiamarlo, come anch'egli avea molto caro, che quello Stato fosse ricaduto ad Emmanuele, che avea sempre tenuto sotto la sua protezione sopra a qualunque altro; onde Emmanuele, avendogli giurato omaggio, e promesso di pagare a lui e suoi successori ogni anno un vaso d'oro di 500 scudi, fu stabilito ancora con coloro dello Stato, che tutti gli altri, che succedessero in quella Signoria, fosser obbligati di riconoscere il Re e suoi successori nel Regno per lor sovrano con restar esenti e liberi d'ogni altro vassallaggio. Giunto Emmanuele a Piombino fu salutato e riconosciuto da tutti per lor Signore, il quale governò i suoi popoli con molta prudenza ed amore, e fu sempre carissimo al Re Alfonso; e morto che fu, lasciò suo successore Giacomo suo figliuolo, e per molti anni in appresso si vide la Gente Appiana signoreggiare questo Stato. Ma poi quella estinta, insorsero varie contese fra' Pretendenti, nella determinazione delle quali vi ebbero sempre gran parte i nostri Re, come successori di Alfonso, a' quali s'appartenevano le ragioni di sovranità, onde narra il Summonte445, che a' suoi tempi il Vicerè di Napoli mandò a sequestrarlo e tenerlo in nome del Re Filippo II. Quindi son derivate le ragioni a' nostri Re sopra la sovranità di questo Stato, e le investiture, che poi di quello si fecero a varie altre famiglie.

Lo Stato adunque delle province ond'ora si compone il Regno, ne' tempi d'Alfonso, si vide nel suo maggior vigore ed ampiezza; e poichè la soverchia sua generosità l'avea portato ad invigilar pur troppo ad accrescere il regal patrimonio, il Tribunale della regia Camera, che soprastava all'esazione de' regali diritti, ed avea la soprantendenza sopra i Doganieri, Tesorieri e sopra tutti gli altri Ufficiali minori delle Province destinati a questo fine, si vide più numeroso, e d'affari più carico. Quindi nacque lo stile, che ancor oggi dura, di distribuire le province fra' Presidenti e Razionali della medesima, acciò ciascheduno ne avesse particolar pensiero, e di mandare un Presidente in Foggia a sopraintendere al governo della regia dogana della mena delle pecore, donde il Re ne ricava somme immense di denaro, e che oggi vien riputata per una delle maggiori rendite del regal patrimonio.

Accrebbe parimente Alfonso il regal Patrimonio coll'esazione del ducato a fuoco, onde s'introdusser nel Regno le numerazioni. Prima sotto i Re normanni l'entrate del Fisco si riscuotevano per apprezzo; cioè per ogni dodici marche d'entrate si pagavano tre fiorini446, e quest'esazione per licitazione soleva affittarsi a' Pubblicani; il che durò fin al tempo dell'Imperador Federico II. Questo Principe, acciocchè i poveri non fossero oppressi da' più ricchi e potenti, proibì l'esazione in questo modo; ed avendo nel 1218 nel castel dell'Uovo convocato un general Parlamento di tutt'i Baroni e Feudatari del Regno, con i Sindici delle città e Terre, stabilì, che per l'avvenire l'entrate regie si riscuotessero per collette, in guisa, che chi più possedesse roba, più pagasse; chi meno, meno, chi nulla, nulla. Furono imposte in cotal maniera le prime collette assai moderate; ma poco appresso, non bastando a sovvenire alle necessità del Regno, si venne alle seconde, e così di mano in mano insino alle seste collette chiamate pagamenti fiscali ordinarj, secondo ci testificano Andrea d'Isernia447, Luca di Penna448, Antonio Capece449, e Fabio Giordano nella sua Cronaca.

Durò questo modo fino al tempo d'Alfonso, il quale, siccome fu detto, nel primo Parlamento, che convocò in Napoli nel 1442, stabilì, che in iscambio delle sei collette, si riscuotessero da ogni fuoco carlini diece. Nell'anno poi 1449 come si nota ne' Registri della regia Camera450, resedendo Alfonso nella Torre del Greco, fece radunare un altro Parlamento, ed avendo proposto, che mantenendo egli grossi eserciti così terrestri come marittimi per custodire il Regno, non essendo l'entrate regie bastanti, era forzato quelle accrescere; onde avea pensato, che per beneficio universale fosse bene, che s'imponessero cinque altri carlini al fuoco, oltre a' diece, e che all'incontro e' promettea di dare a tutti i fuochi del Regno un tomolo di sale per ciascheduno: ciò che fu con consentimento di tutti stabilito.

Furono perciò nel Regno introdotte le numerazioni, e la prima cominciò dall'istesso Alfonso nell'anno 1447, la qual si trova intera nel grande Archivio. Le altre si fecero ne' tempi de' Re suoi successori, e la seconda fu fatta nel 1472, la terza nell'anno 1489, la quarta, che non fu compita, si fece nel 1508, la quinta nel 1522, la sesta nel 1532, la settima nel 1545, e l'ottava nel 1561, le quali si trovano, ancor che alcune non intere, nel grande Archivio. Seguirono da poi le altre, che si conservano presso i Razionali, cioè degli anni 1595, 1642, 1648 e 1699 ch'è l'ultima, che ora abbiamo451. Oltre di questi pagamenti ordinari, che ad esempio d'Alfonso furon da' suoi successori da tempo in tempo sempre accresciuti, tiene il Re moltissimi altri fonti perenni, onde riscuote dalla città di Napoli, dalle province e Baroni grandissime entrate, delle quali il Mazzella tessè lungo catalogo; le quali, ora dopo un secolo che lo scrisse, sono cresciute in immenso; ma in gran parte dalla Corona distratte ed alienate, avendo gli Spagnuoli invogliati i Nazionali istessi a comprarsi le proprio catene, perchè non potessero mai disciorsene.

CAPITOLO VII

Alfonso accrebbe il numero de' Titoli e de' Baroni, a' quali diede la giurisdizion criminale. Sua morte, e leggi che ci lasciò

Rese Alfonso più di quel, che era, il Regno assai numeroso di Baroni e di Titolati. Prima non vi erano, che due Principi, quel di Taranto e di Salerno, e poi s'aggiunse quello di Rossano; cinque Duchi, e pochi Marchesi; de' Conti ve n'era qualche numero e più di Baroni; ma Alfonso gli accrebbe al doppio, siccome dice il Summonte452, e si vede dal catalogo che ne fece. In alcuni Seggi di Napoli non vi eran Titolati, ed i primi furono al seggio di Nido il Conte di Borrello ed il Conte di Bucchianico della famiglia Alagna. Questi furono due fratelli della famosa Lucrezia d'Alagno figliuola d'un Gentiluomo di Nido, la quale fu amata tanto da Alfonso, che avea tentato di aver da Roma dispensa di ripudiare la moglie, che era sorella del Re di Castiglia, per pigliar costei per moglie; e tra le altre cose notabili, che fece per lei, subito che l'ebbe a' suoi piaceri, fece questi due fratelli l'un Conte di Borrello e Gran Cancelliere, e l'altro Conte di Bucchianico: e scrive Tristano Caracciolo nel libro De varietate fortunae, rapportato dal Costanzo453, che questi furono i primi Titolati del seggio di Nido.

Ma quello di che non s'ebbero molto da lodare i secoli seguenti, fu d'aver Alfonso conceduto a' Baroni il mero e misto impero. Avendo questo Principe per la sua sterminata liberalità resi esausti tutti gli altri fonti, cominciò ad esser profuso anche delle più supreme regalie, che non doveano a verun patto divellersi dalla sua Corona, quando i Re suoi predecessori erano stati di ciò cotanto gelosi, che il Re Carlo I d'Angiò avendo donato al suo figliuolo unigenito la città di Salerno, col titolo di Principe, con alcune altre città e terre d'intorno, gli concedè sopra quelle solamente la giurisdizione civile, e solo in Salerno per quanto si distendeva il circuito delle sue mura e non oltre, gli concedè la giurisdizione criminale454; e gli altri Re, siccome s'è veduto ne' precedenti libri, molto di rado, e solo in premio d'una eminente virtù a qualche loro benemerito ed a qualche segnalato Barone, solevano concederla; ond'era, che le concessioni ed investiture, fatte prima che regnasse Alfonso, non abbracciavano la giurisdizione criminale, essendo delle cose eccettuate e riservate; poichè l'uso di que' tempi era, che i Feudatari, che possedevano Terre con vassalli, non potevano esercitare, se non quella bassa ed infima giurisdizione indrizzata a sedar le liti e le discordie, che sogliono nascere tra gli abitatori de' luoghi; e perciò i Baroni ed i Feudatari, non eleggevano se non Camerlenghi annuali, i quali esercitavano giurisdizione in conoscere e giudicare di quelle brevi liti e cause sommarie455: poichè la G. C. esercitava la giurisdizione sopra tutti i luoghi e Terre del Regno. E la ragione era, perchè, siccome fu saviamente considerato dal Consigliere Giuseppe di Rosa nostro acutissimo Giureconsulto456, nelle città e Terre con vassalli, era solamente quella giurisdizione, che infima si chiama e che, secondo il diritto de' Romani, s'amministrava da' minori Magistrati, che si chiamavano Defensores, e consisteva nella cognizione delle Cause civili: in luogo de' quali, secondo notò Andrea d'Isernia457, nel nostro Regno succederon poi i Baglivi de' luoghi, i quali conoscevano delle cause civili, dei furti minimi, de' danni, de' pesi e misure, e d'altre cause leggiere e di picciolo momento458; ma le cose più gravi e massimamente quelle, che risguardavano il mero imperio e la giurisdizion criminale, s'appartenevano, secondo il diritto de' Romani, a' Presidi delle province, in luogo de' quali nel nostro Regno furono, come si è veduto ne' precedenti libri, costituiti i Giustizieri459, che ora pur Presidi appelliamo, da' quali per via d'appellazione si riportavano alla G. C. della Vicaria, Tribunale supremo sopra tutti i Giustizierati del Regno. Così le investiture, che prima d'Alfonso eran concedute a' Baroni delle città e Terre con vassalli, abbracciavan solo quell'infima giurisdizione come a loro coerente e da esse inseparabile, e non il mero imperio e la giurisdizion criminale, che non poteva dirsi alle medesime coerente, siccome quella, che non da' proprj Magistrati, ma da' Presidi prima soleva esercitarsi, e da poi non da' Baglivi de' luoghi, ma da' Giustizieri delle province.

Ne' tempi d'Alfonso e degli altri Re aragonesi suoi successori, cominciò a porsi in uso nell'investiture de' Feudi la concessione della giurisdizion criminale460 e delle quattro lettere arbitrarie ancora, come fu da noi altrove rapportato. Quindi in decorso di tempo fu veduto quel che ancor oggi si vede, che qualunque, benchè picciol Barone, abbia ne' suoi Feudi il mero e misto imperio, con non picciol detrimento delle regalie del Re, e danno de' suoi sudditi. Ben Carlo VIII Re di Francia, in que' pochi mesi che vi regnò, pensò di toglierlo affatto a' Baroni, con ridurgli all'uso di Francia461; ma il poco tempo, che vi ebbe, e per le difficoltà che s'incontravano, non potè mettere in esecuzione questo suo disegno; molto meno oggi è ciò da sperare, che il male è antico, e che senza grandi ravvolgimenti e scompigli non potrebbe ridursi ad effetto.

Dopo avere questo Principe in cotal guisa riordinato il Regno, ancor che negli ultimi suoi anni si fosse rinovata la guerra co' Fiorentini, ed ultimamente per non aver voluto far restituire alcune navi predate dai suoi legni a' Genovesi, se gli avesse resi nemici; nulladimanco invilito negli amori di Lucrezia d'Alagno proccurò tosto pace co' primi, nè molto curò de' secondi, ed attese il rimanente tempo di sua vita in cacce, conviti, giostre ed altri piaceri; e mentre era già vecchio, il Duca di Milano mandò Ambasciadori a trattare doppio matrimonio con la sua casa regale, perchè dubitava molto, che il Re di Francia non pigliasse a favorire il Duca d'Orleans, che pretendeva, che il Ducato di Milano toccasse a lui per esser figlio di Valentina Visconte legittima sorella del Duca Filippo462; ed in tal caso gli parea di non potere avere più fedele ajuto che da Alfonso, il quale avea sempre in sospetto Re Renato, che ancor teneva in Italia molte pratiche. Così in breve fu conchiuso matrimonio doppio, ed Ippolita Maria figliuola del Duca fu data per moglie ad Alfonso primogenito del Duca di Calabria; e Lionora figliuola del Duca di Calabria fu promessa a Sforza figliuolo terzogenito del Duca di Milano, e tanto gli sposi, come le spose, non passavano l'età di otto anni.

Successe in questo anno 1455 la morte di Papa Niccolò V, e dopo 14 dì, che vacò la Sede Appostolica, fu nel mese d'aprile eletto in suo luogo il Cardinal di Valenza Alfonso Borgia, che, come si disse, era stato molti anni caro al Re Alfonso e suo intimo Consigliere, che Calisto III nomossi. Costui, benchè fosse d'età decrepita, fece gran disegno di fare cose che avrebbono ricercata un'età intera d'un uomo. Come suole avvenire che i più confidenti ai Principi, quando sono elevati al Papato, sogliono divenire i più fieri loro nemici; così Calisto assunto al trono cominciò a pensar nuove cose, e ad opporsi ai disegni d'Alfonso: e non piacendogli questo nuovo parentado conchiuso col Duca di Milano, fece ogni sforzo per disturbare le nozze; ma Alfonso, avendo conosciuto l'animo del Papa, tanto più lo sollecitava: onde nel principio dell'anno seguente 1456 furono solennemente celebrate, ed Elionora fu condotta a Milano al suo sposo Sforza.

A questi tempi medesimi Giovanni Re di Navarra, fratello secondogenito del Re Alfonso, stava in gran discordia con D. Carlo suo figliuolo primogenito che s'intitolava Principe di Viana; e la cagione della discordia era, perchè il Regno di Navarra era stato dotale della madre del Principe ch'era già morta, ed il Re Giovanni avea tolta per seconda moglie la figliuola dell'Ammirante di Castiglia. Il Principe non poteva soffrire di vedere la Regina sua matrigna sedere, dove avea veduta sua madre, ed esso vivere privatamente; perchè la matrigna s'era in tal modo fatta Signora del marito, già vecchio, che tanto nel Regno di Navarra, quanto in Aragona, dove il padre era Vicerè, non si faceva altro che quel che volea la matrigna, e per questo avea tentato nel Regno di Navarra farsi gridare Re, perchè era molto amato per le virtù sue e per la memoria della madre, Regina naturale di quel Regno. Il disegno non gli riuscì, onde venne ad accostarsi col Re Alfonso suo zio, il quale gli costituì dodicimila ducati l'anno pel vivere suo; ma perchè vedeva ch'era di corpo bellissimo e di costumi amabili ed atto ad acquistare benevolenza, non gli piaceva che dimorasse molto in Napoli; ma lo mandò al Papa a pregarlo, che pigliasse assunto di ridurlo in concordia col padre. Il Principe andò, ed il Papa lo ricevè con gusto, e gli diede trattenimento da vivere; ma poichè vide che Calisto per l'età decrepita era tardo a trattare la riconciliazione sua col padre, e che Re Alfonso era assai declinato di salute, e non potea molto vivere, si fermò in Roma, con speranza che i Baroni del Regno che stavano mal soddisfatti delle condizioni del Duca di Calabria, chiamassero lui per Re dopo la morte di Alfonso. Intanto Alfonso ne' principj di maggio di quest'anno 1458 cominciò ad ammalarsi, e peggiorando tuttavia, s'incominciò a pubblicare che il suo male era pericoloso, di che avvisato il Principe di Viana venne tosto da Roma a visitarlo, ciò che rese più travagliato il fine di così gran Re; perchè giunto il Principe a Napoli tre giorni avanti che morisse, essendo già disperato da' Medici, gli raddoppiò l'agonìa della morte, sapendo ch'era venuto per tentare d'occupar Napoli; e perchè conosceva che morendo al Castel Nuovo, donde non potea cacciare il Principe, avria potuto il Castellano più tosto ubbidire al Principe, che al Duca di Calabria massimamente essendo la guardia del Castello tutta di Catalani che restavano vassalli del Re Giovanni, il qual avea da succedere ne' Regni d'Aragona e di Sicilia; fece subito dire ch'era migliorato, e che i medici lodavano che si facesse portare al Castello dell'Uovo per la miglioranza dell'aria, il che s'eseguì subito, lasciando al Duca di Calabria la cura di guardarsi il Castel Nuovo; e da poi giunto al Castello dell'Uovo il dì seguente morì a' 27 giugno di quest'anno 1458, essendo giunto all'anno 64 di sua vita463.

Questo fu il fine di sì gran Re; Principe celebratissimo per infinite virtù che l'adornavano, e sopra tutto per liberalità e magnificenza. Egli liberalissimo arricchì molti con preziosi doni, ed ingrandì altri assai, donando loro grandissimi Stati. Fu magnificentissimo nel dare al Popolo spettacoli, ne' quali si sforzò di emulare la magnificenza de' Romani, come si vide quando ricevè in Napoli Federico III, designato Imperadore e Lionora figliuola del Re di Portogallo, e di sua sorella, che dovea sposarsi con Federico.

(Il matrimonio tra Federico III e Lionora, fu trattato in Napoli da Alfonso suo zio, da' Legati mandati dal Re di Portogallo e da Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II, dove dopo quaranta giorni fu conchiuso; siccome narra Gobellino, lib. 1, p. 16. Quam rem, e' dice, diebus quadraginta tractatam, cum denique conclusissent coram Rege, Cardinale Morinensi Apostolico Legato, Clivensi, Calabriae, Suesae, Silesiaeque Ducibus, et Magna Praelatorum, Comitumque multitudine, in Curia Novi Castri Neapolitani; Aeneas Sylvius de Nobilitate, virtuteque contrahentium orationem habuit, quae postmodum a multis transcripta est. Lo stesso narra Nauclero pag. 1056 e Fugger. lib. 5, c. 7, n. 1. Anzi Enea Silvio stesso Hist. Friderici p. 82 rapporta che, dopo i travagliosi viaggi della sposa, accolta da Alfonso in Napoli, nella dimora, che quivi fecero gli sposi, fu il matrimonio consumato, siccome scrisse anche Struvio Syntag. Hist. Germ. Diss., 30, § 22. Invitatus inde ab Alphonso Siciliae Rege cum nova nupta, et reliquo comitatu suo Neapolim venit, ubi matrimonium demum fuit consummatum).

Si conobbe ancora Re Alfonso nelle alte gran feste, cacce, giostre e conviti, dando spesso diletto al Popolo napoletano vaghissimo di simili divertimenti. Tenne il palazzo abbondantissimo di tappezzerie di lavoro d'oro e d'argento, e d'arredi ricchissimi e preziosi. Splendidissimo ancora negli edificj, onde adornò Napoli a pari di qualunque altra illustre città del Mondo: fece ingrandire il molo grande, e diede principio alla gran sala del Castel Nuovo, che senza dubbio è delle stupende macchine moderne che sia in tutta Italia: fortificò il castello con quelle altissime torri che ora s'ammirano: fece ampliare l'Arsenale di Napoli, la Grotta onde da Napoli vassi a Pozzuoli, e fece un fondaco reale e molti altri edificj per diversi usi.

La sua morte fu amaramente pianta da' Napoletani, come quella che non solo gli privò di tante grandezze e felicità, e che disturbò la pace del Regno; ma che poi dovea recar loro una lunga guerra, e porgli in nuove calamità e disordini. Non abbastanza compianto, fu il suo cadavere, con funerale superbissimo, rinchiuso dentro un forziere che rimase in deposito nel Castello dove morì; e benchè nel suo testamento avesse ordinato che fosse portato alla Chiesa di S. Pietro Martire, e di là quanto prima si mandasse in Ispagna al monastero di Santa Maria a Pobleto, ove sono sepolti gli antichi Re d'Aragona; nulladimeno restò il suo deposito in Napoli, ov'era additato da' Padri Domenicani nella Sagrestia della lor chiesa di S. Domenico Maggiore di questa città con molti segni di stima e di venerazione.

Non avendo avuti figliuoli dalla Regina Maria, figliuola d'Errico III Re di Castiglia, nel suo testamento, che fece il dì avanti di morire, istituì e nominò per successore nel Regno di Napoli D. Ferdinando Duca di Calabria suo figliuolo naturale, legittimato; e ne' Regni della Corona d'Aragona e di Sicilia D. Giovanni Re di Navarra suo fratello secondogenito e suoi discendenti, conforme avea anche disposto nel suo testamento D. Ferrante suo padre, che si conservava nell'Archivio reale di Barcellona, donde prima di morire avea voluto Alfonso che se gliene inviasse copia; ed ordinò in quello molti legati indrizzati ad opere di pietà464. Narra S. Antonino Arcivescovo di Fiorenza, che prima di morire non lasciava di ricordare al Duca di Calabria, ch'egli gli lasciava il Regno di Napoli, ma che per potervi quietamente regnare, bisognava che tenesse lontani, e s'alienasse da tutti gli Aragonesi o Catalani ch'egli avea esaltati, e che in lor vece si servisse d'Italiani e di questi componesse la sua Corte, e principalmente amasse quelli del Regno, a' quali conferisse gli ufficj e non gli riguardasse, come faceva, di mal viso e come sospetti. Che egli conosceva avere gravato il Regno con nuove gravezze ed esazioni, alterando anche le antiche, e ch'eran tante che i Popoli non potevano sopportarle: che però l'ammoniva che le levasse tutte e le riducesse all'usanza antica. E finalmente che coltivasse la pace, nella quale egli l'avea lasciato colle Repubbliche e Principi d'Italia, e sopra tutto si tenesse amici i Pontefici romani, da' quali in gran parte dependeva la conservazione o la perdita del suo Regno: soffrisse con pazienza il lor fasto ed alterezza, e loro si mostrasse per non isdegnarli, sempre umile e riverente, perchè egli non avea conosciuti altri mezzi per rintuzzare la loro ambizione.

437.Summ. tom. 3 lib. 5 pag. 421.
438.Chioccar. loc. cit.
439.Abb. de Nuce loc. cit. lib. 1 cap. 18.
440.Chioccar. loc. cit. tom. 18.
441.Chiocc. tom. 18. M. S. Giurisd.
442.Summ. tom. 3 lib. 5 pag. 88.
443.Lib. 5 pag. 188.
444.Summ. loc. cit. pag. 91.
445.Summ. loc. cit. pag. 91.
446.Mazzel. tratt. dell'entrade, etc.
447.Andr. in cap. 1 § et extraordinaria, in princ. et num. 2. Quae sint regal.
448.Luc. de Pen. l. 1 n. 3. C. de indebit lib. 10.
449.Ant. Capec. Invest. Feud. claus. vers. collectis, col. 5 in fin. et in princ.
450.Registro intitolato Literarum Curiae secundi anni 1451 fol. 133 riferito dal Mazzel. loc. cit.
451.V. Toppi de orig. Trib. tom. 1 lib. 2 cap. 6 n. 3.
452.Summ. tom. 3 lib. 5 cap. 1 pag. 18 et 229.
453.Costanzo Ist. Nap. lib. 18.
454.Freccia lib. 2 auth. 2 nu. 21.
455.Franc. de Amic. ad tit. de his, qui feud. dar. poss. in cap. sumus modo, fol. 43 n. 2 et seqq.
456.Rosa in praelud. feud. lect. 11 num. 10.
457.Andr. in Constit. locorum Bajuli.
458.Constit locor. Baju. et ad officium Bajul.
459.Const. Justitiarii nomen, et normam Constit. Justitiarii per Provincias Constit. Praesides. Constit. Capitaneorum.
460.Franchis decis. 510 nu. 4.
461.Affl. in prooem. Constit.
462.Costanzo lib. 19.
463.Ricc. de Reg. Neap. et Sic. lib. 4.
464.V. Summon. tom. 3 lib. 5 pag. 121.