Possono essere tante le ragioni.
Per ciò è una gran miseria non averne nessuna.
Nessuna?
Parliamo d'altro! Vuole? quanto durerà il suo viaggio?
Un anno forse…
Il Barone Landucci! (movimento d'Andrea – Filippo entra – Elena, senza interrompere il discorso, gli porge la mano).
Partiranno in giugno, avremo notizia dei primi giorni di viaggio, e poi il gran silenzio. Si ricorderà ancora che sono al mondo al suo ritorno?
Certamente!
Come va a quest'ora?
Ma…
Per voi non fa giorno al solito che verso le due.
Vi dirò: ho dovuto levarmi per affari, passando davanti la vostra porta, ho pensato di venire a darvi il buon giorno.
Grazie, mio buon amico, (gli dà la mano a baciare).
A che ora posso ripassare; o se vuole lasciar la lettera dal portinaio…
Ambrogio non può tardare. Aspetti ancora un momentino. (a Filippo) Che affari potete mai aver voi, mio povero amico?
Naturale, io sono un uomo nullo! Che affari posso mai aver io?
Come la pigliate! (ad Andrea) Landucci si lagna sempre di esser maltrattato dalle signore.
Quando si dice l'errore!
Mal trattato…
Ma lo fa ad arte. Per scusare all'occasione le sue perfidie.
Le mie perfidie!
Negatelo. Chissà quegli affari cosa nascondono. Non sarebbe certo per me che avreste fatto sacrifizio di tre o quattro ore di sonno!
Vengo però a dedicarvene la maggior parte.
Che ci faccio io qui? (salutando) Marchesa, voglio lasciar l'agio di scolparsi al Barone.
Sono proprio mortificata di questo ritardo dello zio. Io non esco di casa; ripassi al tocco; la lettera ci sarà di certo, dovessi andare a ritirarla io stessa. Ma non la lascio dal portinaio, voglio che salga a pigliarla. È inteso?
Sissignora… Barone…
Dottore… (via Andrea).
Dunque?
Aspettate che sia fuori del tutto.
Ha un'aria andantino pizzicato! Hanno chiuso l'uscio d'entrata.
Là là là là.
Non parte più?
Oh! anzi. In questo momento non vede l'ora d'esser partito. Ma non partirà.
Credete?
Oh! però è sconfortante. Ah, che miseria! come ci vuol poco! E sono gli uomini di valore, e mutano la faccia del mondo! Sono i martiri della scienza e gli eroi della civiltà. Che fermezza! Eccolo turbato come un'educanda che riceve un biglietto d'amore. Poveretto, mi fa pena!
Che cuore!
Gli uomini, eh?
I grandi uomini.
Tutti. Nemmeno solidali fra di loro. Voi mi secondate come se fosse cosa da nulla. V'assicuro che se sapessi di una macchinazione simile contro una donna, anche non essendole amica, a quest'ora l'avrei già messa sull'avviso. Ma voi altri! Che uno dei vostri cada in trappola, che ve ne importa? Ve lo spingete, se occorre.
Siete impagabile!
Ma sì, ieri sera D'Almèna faceva l'austero, mi ha sermoneggiata, mentre era così facile correre dietro a quel disgraziato e metterlo al corrente della scommessa. La cosa era tanto ovvia che ho temuto la facesse. Ma è bastato opporgli lo spauracchio della lealtà offesa per disarmarlo. Naturale! La vostra cavalleria ha un'aria di protezione che mi rivolta. Se il tranello contro il Dottore fosse stato ordito da un uomo, D'Almèna glie lo avrebbe svelato sul momento. Ma una donna! La dignità maschile sdegna di lottare contro una donna. Poverette, siamo tanto deboli! – Si vede. – Ma ostentate di tenerci per tali, e sarebbe peccato non approfittarne.
Siete impagabile!
E quell'altro. L'uomo forte! Vi giuro che stamane ero quasi pentita del gioco, e se appena avesse mostrato un po' di elevatezza, avrei smesso. Ma sapete cos'è che lo conturba in questo momento? Volete vederlo il talismano che ha atterrato quel paladino della scienza? Guardate là sul camino.
Il mio ritratto. Due miei ritratti.
Già.
Dove diavolo li avete presi?
Nel mezzo fra i vecchi. Ce li avevo da sei o sette anni.
Ero un bel giovane.
Eh! altro!
Trovo che mi somigliano ancora.
Il Dottore li ha riconosciuti.
E gli avete lasciato credere?..
Che li tenessi lì per specchiarmi nei vostri occhi.
E l'ha creduto?
Ma sì… l'imbecille. Ed ecco perchè finirà per rimanere. Non saranno già le mie arti a trattenerlo, nè un capriccio da gran signore, nè la follia d'un amore improvviso, nulla di ciò che potrebbe far scusabile la sua debolezza. Sarà il dispetto del vostro trionfo a cui crede, e la lusinga di attraversare la vostra felicità; un misto di invidiuzza meschina e di vanità petulante. Davvero che ciò merita dei riguardi! Se i vostri grandi uomini sono così piccini, non pigliatevela con noi se li facciamo cadere. Facendolo, vendichiamo la grandezza vera.
Così va detto. Il vostro è un atto....
Di giustizia.
Femminile. Come le moine che mi avete fatto ieri sera; ma vi avverto che non sono di ghiaccio. Non vorrei che per trattenere quell'altro dal Polo mandaste me ai Tropici.
È tornato Ambrogio.
Ah! dello zio.
Siete in corrispondenza così mattiniera?
Gli ho scritto che mi mandasse la commendatizia.
Se ve l'ha data ieri sera!
Volevo ritardarne la consegna al Dottore senza dar sospetti.
E che vi ha risposto lo zio?
Leggete…
Un enigma. C'è una sola parola: Altrettanto.
Gli avevo scritto: Buon giorno.
E il Dottore ha creduto?..
Che sollecitassi la commendatizia. Ma sua colpa! Era là ritto contro la scrivania. Avevo fatto cadere a terra il vostro ritratto, l'ha raccolto felice della caduta, e per rimetterlo a posto si chinava fino sulla cartella dove stavo scrivendo. Mi divertivo come una pazza. Mi dicevo: se legge, se avverte l'inganno, gli confesso ogni cosa e ci si fa una risata. Ho piegato il biglietto piano piano, mettendoglielo sotto il naso; a non leggerlo bisognava farlo apposta, perchè saltano agli occhi due parole: Buon giorno. Era una corda di salvamento che gli gettavo.
Ci pigliava gusto ad affondare. Chissà stanotte quanto avete meditato il piano di battaglia!
Che! Ho dormito d'un fiato – credete ch'io sappia quello che dirò a quel disgraziato quando tornerà fra mezz'ora in casa mia? Non una parola. So che finirà per restare – ecco tutto. – L'arte della seduzione consiste nella facoltà di mettersi improvvisamente in uno stato d'animo che desta interesse. Un sentimento non è vero, perchè dura, ma perchè lo si prova. – Hanno torto quelli che declamano contro le grandi ammaliatrici. Nel momento della seduzione esse prodigano il fiore dell'anima loro, e i fiori più delicati sono quelli che durano meno. Il vostro Dottore non può lagnarsi se in cambio della sua rinunzia gli lascio intravedere per un istante le superbe ricchezze del mio cuore ignote a me stessa.
Ma se una volta odorato il fiore e adocchiato il tesoro l'amico da uomo saggio vi levasse l'incomodo?
Cioè…
Se partisse davvero?
Se partisse?.. ne sarei contenta.
C'è un mezzo semplicissimo.
No, senza questa prova non posso farmi un'idea del suo valore.
Vuol dire che desiderate di trovargliene del valore.
Desidero persuadermi che si può trovare chi ne abbia.
Ahi! Brutto segno. Quando una donna come voi cerca un uomo di merito, è vicina a scegliere chi non ne ha punto. Gli dèi se ne vanno. La vostra divinità invulnerabile vi pesa.
Forse. (scampanellata di fuori).
Peccato! Era un bel esempio. Mi piaceva quella solitudine ingrata. Datemi retta, mandate la lettera al Dottore e buon viaggio. Non mettetelo ad altre prove. L'unico mezzo di potervi illudere intorno alla sua virtù di resistenza è quello di non tentarla. Quando sarà lontano lo circonderete d'un'aureola di poesia, locchè vi salverà dalla prosa che vi circonda. È un buon consiglio… e disinteressato, perchè di quella prosa faccio parte anch'io.
Siete patetico e solenne.
Il cavaliere D'Almèna.
Oh! buon giorno.
Vengo a riscattare il mio onore.
L'avete perduto in casa mia?
Ieri sera devo esservi sembrato supremamente ridicolo. Ho fatto l'hidalgo Don Chisciotte della Mancia, e vengo a pregarvi di scordare la mia spagnuolata.
È bell'e scordata e non se ne parli più. Stamattina vi ho veduto a cavallo.
Ci tenevo più tanto a farvi questa dichiarazione.
Non avete più quel bel sauro?
L'ho venduto; dicevo che…
Non parliamone altro.
Scusate, ma non mi basta riconoscere il mio torto, devo anche proclamare che avevate ragione.
Dove mira costui?
Figuratevi che stamane ebbi delle informazioni sul conto di quel dottor Sarni.
Ah!
È proprio vero che bisogna andare adagio a pensar bene del prossimo.
Un intrigante, eh? L'avrei giurato.
No, un intrigante non si può dire, ma via, se lo tratterrete a Roma, l'umanità non ci perderà molto.
Che vi hanno detto sul conto del Dottore?
Che è un vanitoso, che vuol far parlare di sè. Già un'altra volta ha menato gran scalpore di un viaggio che i balenieri fanno ogni anno.
Non pare un gradasso, e ad ogni modo dacchè si dispone ad affrontare i rischi è giusto che goda i benefizi.
Qui sta il punto. Pare che sappia già fin d'ora di non potersi imbarcare. Ma ha tanto strombazzato il suo proposito, che ora va fino a Stoccolma, per aver l'aria di non cedere che alla forza delle cose.
Chi vi ha dato queste informazioni?
Oh, Dio!.. mezza Roma.
Val quanto dire nessuno. Dite la verità, persistete a volermi salvare?
Devo andarmene?
No – D'Almèna è uomo da farmi la predica in vostra presenza.
Infatti, Filippo è vostro amico; e mi stupisce che non capisca.
Io non ho intelligenza.
Filippo capisce che non amo sentirmi protetta.
Sempre l'orgoglio!
Non è orgoglio, è stanchezza della continua frivolità che mi circonda.
Perciò fate frivole le cose serie?
Chi ci crede?
Che sarà di voi se rimane?
Avrò una ragione di più per disprezzare il mio mondo.
Badate a scherzare col fuoco!
Sentite, D'Almèna: dicevo or ora a Filippo che invece di farmi la predica dovreste mettere sull'avviso il vostro protetto. Io in voi l'avrei fatto…
È troppo tardi. Vi farei troppo torto,
Ah! seguitate a proteggermi? (scampanellata di fuori).
Ecco il signor Sarni. La vostra protezione cavalleresca mi umilia e la respingo. Parlategli o accettate la complicità.
Il sig. Sarni.
Dottore, sono felicissima che lei giunga in tempo perchè le possa presentare il Cav. D'Almèna, un mio zelante amico e suo, il quale sospira un'occasione di mostrarle l'interesse che prende al suo viaggio e il desiderio che ha di esserle utile.
Il sig. Sarni non ha bisogno dei miei servizi. Per mostrarle, non oso dire, la mia amicizia, ma la mia viva simpatia, non ho altri mezzi che di far voti perchè lei compisca felicemente il suo viaggio, e non si lasci smuovere da nessuna delle difficoltà che potrebbe incontrare. Ma questo è un desiderio troppo naturale in chi, non avendo valore, rispetta almeno quelli che ne hanno, perchè me ne possa fare un merito. Signor Sarni, mi auguro di poterla festeggiare al suo ritorno.
La ringrazio.
Marchesa! (via). (Andrea lo guarda allontanarsi indovinando qualche armeggio).
È pomposo come un capo tamburo.
Vale cento volte meglio di voi. Se credete di lusingarmi deridendolo, vi sbagliate. È una viltà.
Ho capito. Sono di troppo, eh?
Pigliatela come vi piace.
Non mi piace, ma la piglio come posso. Sig. Sarni, io non so fare dei discorsi, ma le regalo il motto della mia divisa: Tutto per il meglio. Arrivederci. (via)
Che diavolo hanno?
Questa è la lettera dello zio. Mi lasci.
Così subito?
Si, ho molte cose da fare. Buon viaggio! si rammenti di noi e buona fortuna. Vada. (Andrea s'inchina interdetto e s'avvia per uscire. – Elena si getta sul canapè).
Che cos'ha?.. Cos'è seguìto?
Sono una donna cattiva.
Perchè?
Non lo può capire, non mi conosce lei. Non s'occupi di me. Vada, la sua vita è bella e larga, non l'impicciolisca con queste miserie. Sono cose da nulla, procelle di gente oziosa. Mi lasci! Mi lasci!
Non posso lasciarla così. Da ieri sera che il caso me l'ha fatta conoscere, questa è la terza volta che la vedo. Le circostanze m'hanno condotto oggi in casa sua con una frequenza che m'incoraggia. Che può temere da me? Se non ho tempo di mostrarmi degno della sua fiducia, non ho tempo nemmeno di abusarne. Perchè piange? Mi conceda di portar via come una reliquia la confidenza di un suo dolore, ed un momento della sua vita.
Non è nulla. Se anche glielo volessi dire non saprei. Non ho più ragione di piangere in questo momento che un'ora fa, nè oggi che ieri. È il complesso delle cose, sono scontenta di me e sfiduciata degli altri.
Quanto invidio i suoi amici!
Non li invidii, non ne ho. Ciò vuol dire che non ne merito – o che li sdegno. Noi profaniamo tanto la parola Amicizia! Tutti sanno amare forse, ma pochi pochi essere amici o avere un amico. Io ho un carattere scontroso, sarebbe così facile rinunziare a un po' d'orgoglio per trovare la via di dominarmi. Ma bisognerebbe darsi la pena di osservare e di riflettere, e quelli ne sono incapaci. Il perder tempo occupa tutta la loro giornata. Se sapesse che vita vuota! Lei non può immaginarla. Ma le altre se ne contentano, e il torto è mio. Come fanno? Non lo so e non lo voglio sapere. È la solita canzone della noia oziosa che fa cadere le donne nei romanzi e nelle commedie, e che è venuta a fastidio, tanto l'hanno ricantata. È una canzone triste, ma vera. Sono ricca, non posso fare il maggiordomo della mia casa e risparmiare il salario di quello che mi serve. Non posso procacciarmi io col mio lavoro nemmeno quelle cose futili che, comprandole da altri, dànno da vivere a tanta gente. Non ho ingegno che basti a farmi scrittrice od artista e abborrisco dalle singolarità. – La politica non m'interessa. Mi guardo attorno e non vedo nulla, nulla che mi faccia desiderare più un giorno che l'altro. La società è mal fatta, ma non la cambio io. E intanto la vita scende, scende inutile, uggiosa, senza una gioia vera, senza un dolore fortificante, smarrita in una nebbiuzza grigia che ne anticipa il tramonto. È naturale, chi ha ingegno e fermezza non cura di noi, noi siamo i parassiti del mondo operoso. Gli uomini capaci di farci tollerare la vita o si chiudono nello studio o vanno lontano per i mari o le terre deserte, in Africa o al Polo.
Come parla bene! Come sono contento di averla conosciuta!
Anch'io; questo sfogo mi ha rasserenata… Dov'è andato or ora?
A comperare un libro.
Chissà che astruserie!
I versi di Leopardi. È un libro che m'ha sempre seguìto dappertutto.
E l'ha comprato or ora?
Non me ne parli. – Ne avevo un esemplare vecchio a forza di rileggerlo, cui volevo un bene dell'anima, l'ho perduto. Questo nuovo mi piacerà meno.
L'ha con sè?
Eccolo. (trae di tasca un'edizione diamante).
Ne preferisce una copia sciupata? Vuol fare un cambio? Eccole il mio. – In memoria della mia fanciullaggine.
Perchè non l'ho conosciuta prima d'ora?
A che servirebbe dacchè deve partire?
Non sarei partito forse.
Male…
Nei giorni passati la gioia che provavo del viaggio imminente, era turbata da un senso di amarezza, che sembrava rimorso. Mi rimordeva che non mi dolesse di partire. È triste lasciare il nostro paese senza portare seco nell'anima la emozione del rimpianto, il miraggio del ritorno. Bisogna dire che la giovinezza mi ha dato ben poco, se la vita austera che m'aspetta non mi spaventa e se l'affrontarla non mi costa sacrifizio. Quando sentivo intorno lodare la mia fortezza d'animo mi dicevo: a costoro il soggiorno in patria dev'essere ben dolce, se credono sia così arduo abbandonarla. Passavo per un eroe quando l'eroismo mi era tanto facile! Se avessi avuto un vincolo qualunque che mi legasse alla vita normale che vivono tutti, chissà se mi sarebbe bastato il cuore di romperlo. Sono forte per forza.
Ne ringrazi la sorte.
Che riporterò di laggiù? Se i miei studi mi condurranno ad accertare una verità intraveduta ed a scoprire una legge fisica, il mio nome andrà per le accademie scientifiche, e sarà commemorato nei consessi di gente vecchia e sazia della vita. Avrò la coscienza di aver giovato alla causa del sapere umano, ma mi basterà poi questo premio ideale? Ieri la speranza di meritarlo mi infervorava tanto, stamane ancora avrei dato tutto il mio poco avere per appianare gli ostacoli che potrebbero trattenermi; come va che ora provo una stanchezza sfiduciata che mi fa parere troppo vicino il momento della partenza? Sono dunque così instabili questi ardori, o non ho nell'animo la fede pertinace e vittoriosa? Legga il viaggio attraverso il continente africano, un viaggio di tre anni. In capo al primo volume c'è il ritratto dello Stanley innanzi la partenza, in capo al secondo quello dopo il ritorno. È partito giovane, forte, bello, i capelli neri, la fronte piana, su cui poteva posarsi con amore il bacio d'una giovinetta; è tornato vecchio, logoro, rugoso, coi capelli bianchi, capace di condurre un esercito e degno d'imperare su d'un popolo, ma inetto a far palpitare il cuore d'una donna. Che viltà in questi pensieri! Ma ieri non ero vile. Oggi mi pare così dolce ed umano esser debole.
Non mi faccia pensare d'averlo scoraggiato io.
E se fosse la mia vera coscienza che parla? Se l'orgoglio che m'ha accecato cadesse ora vinto dal suo modo di essere così semplice e sincero? Ho sognato di far camminare il mondo! Povero illuso! La canzone che gl'innamorati ripetono a memoria per dare un ritmo ai loro pensieri d'amore contribuisce alla felicità umana più che la scoperta d'una legge astratta della natura. Vivere, ecco la ragione della vita.
No, no, no, non parli così, glielo proibisco, la mia parte sarebbe troppo odiosa. Vada, mi lasci subito. Domani avrà scordato questo momento di debolezza. L'avrebbe provato da solo prima di partire. Addio.
Che farò di qui fino a domani?
Mi dia quel libro. (mette il fiore fra le pagine) Guardi dove lo metto: Le rimembranze. Si ricorderà di me? Non deve poi esser tanto difficile nella solitudine.
Chissà che vento gelido porterà via questo povero fiore! Almeno lo porterà in luoghi dove non ne crescono altri. Come stupiranno quelle nevi d'una fogliolina di rosa!
Gliela ridarò al mio ritorno.
Al suo ritorno! Chissà cosa sarò diventata!
Perchè?
Sono tanto stanca di questa vita! Oh! non parlo di morire, sa, non sono sentimentale, e non avrei coraggio.
Che vuol dire?
Mah! bisogna pigliare il mondo com'è. A forza di vivere con gente che non stimo – un bel giorno – per intonarmi cogli altri…
Oh! – Prenda. (le dà la lettera).
Che cos'è?
La lettera di suo zio. Rimango.
No, no. Andiamo! – Che follia! Tenga quella lettera. Vede bene che sono cattiva! La tenga, non la voglio, le dico.
Perchè ha detto quelle orribili parole?
Oh, Dio! Perchè questa mia scontentezza è superbia bella e buona; disprezzo gli altri perchè mi credo di più di loro. Con che diritto mi metto sul piedestallo? Non verrà, ma può venire il giorno che la voluttà di profanare…
E non crede che se avesse un amico?
Ah!
Non come gli altri. Un amico, nulla più che un amico non cupido, non intraprendente. Un uomo che tremasse all'idea di vederla cadere da quell'altezza dove s'è rifugiata, che volesse costringerla a rimanere pura e nobile, per trovare in lei la forza d'esser nobile e generoso, un uomo…
Dov'è quest'uomo?
Eccolo. (straccia la lettera).
Che ha fatto?
Ho dato una ragione divina alla mia vita.
Torno da mio zio.
Le do la mia parola d'onore che non parto più.
Non posso… non posso… come vuole che accetti? Oh!
Voglio vivere, voglio vivere, non è lei che mi trattiene, è la mia giovinezza, la mia ignoranza della vita, è l'ardore di conoscere, di sentire, di soffrire… forse è un'occulta viltà dell'animo mio.
Che rimorsi m'ha dato! che male le ho fatto! No… No…!!
Non insista, è inutile, non partirei per un impero! – A domani, Marchesa – a domani!
Ah! (si copre il viso colle mani).