• La Marchesa Elena di Roveglia
• La Contessa Elvira di Francofonte
• La Contessa Gemma Del Pallio
• La Baronessa Masina Roveri
• Il Marchese Teodoro di Roveglia
• Andrea Sarni
• Filippo Landucci
• Paolo D'Aspri
• D'Almèna
• Del Sannio
• Rulfi
• Rubaconti
• Lorenzo Del Pallio
• Enrico Pardi
• Il Cavaliere Lerici
• Anselmo |
• Ambrogio | domestici della Contessa
• Giulia, cameriera
Filippo.
Eccomi.
Chiudete quell'uscio e servite il caffè.
Subito. (fa per chiudere).
No, che fate? Almeno si sente quello che dicono. Gli uomini sono così divertenti dopo pranzo.
Perchè non vai di là addirittura?
Se ci fossi io cambierebbero discorso.
Che peccato!
O se non lo cambiassero saresti costretta ad arrossire, mentre qui fra donne…
Brava, ed io?
Come, voi?
Avete detto qui fra donne. E io cosa sono?
E oramai voi non contate più.
Che ingratitudine! E poi si lagnano se gli uomini le lasciano in disparte.
Non ci lasciano, ce ne stiamo.
Coll'uscio aperto.
E chi ascolta?
Le donne hanno sempre un orecchio teso ai discorsi lontani.
Quando i vicini non interessano.
Se è una malignità, non fa colpo; non m'avrò mai per male di cose dette da una donna.
Neanche se vi dicessi che siete un impertinente?
Di questo mi glorierei. (la serve di caffè).
Sì, badate a versarmelo adosso.
Marchesa, siete più nervosa del solito.
È vero, lo tratti male.
Gli parli così asciutto.
La… Filippo. (gli porge la mano).
Mi piacciono i vostri nervi. Sono gli incerti del mio mestiere.
Lo sentite? Mestiere! Con noi esercita il suo mestiere.
Come devo dire? Arte? L'arte vuole una vocazione e non ne ho nessuna; non sono nel numero degli eletti io. Non c'è mai stata una donna innamorata di me.
Chi lo direbbe? (ride).
Ingrato Filippo! (ride).
È tanto giovine! (ride).
È inteso, padrone, ridano, non domando di meglio. (serve Gemma) Ce n'ho messo tre pezzi grossi, e una goccia di Cognac.
Bravo.
Ma intanto eccole tutte occupate dei fatti miei, mentre se ci fosse qui uno degli uomini che sono presi sul serio, tutte loro signore si studierebbero di mostrargli una grande noncuranza… salvo forse a ripagarlo…
Oh… oh… oh!
Parlo delle donne in genere. (serve Elvira) Contessa.
Grazie.
Ebbene io mi contento del mio piccolo successo palese… Non do ombra, mi lascio deridere, ad un altro direbbero: favorite di fare… a me si dice: fate. Ricevo ordini e li eseguisco, e servo di zimbello per attirare i tordi. Quando una signora vuole stimolare colla gelosia qualche Narciso ricalcitrante, mi fa l'occhietto dolce a me, quando vuole aver l'aria di fargli un sacrifizio mi manda a spasso; e a questo mestiere, mestiere, Marchesa, se non seggo a tavola, qualche briciola da raccattare, c'è sempre. Io sono il mendicante che raccatta le briciole.
Voi siete un vanitoso che vuol far credere ai proprii successi.
Infatti mi è più caro mi si attribuisca a torto l'amore di una donna, che possederlo davvero in segreto.
Siete più sincero degli altri, dacchè lo dite. Ecco tutto.
E aggiungerò che una certa società che giudica della vostra a distanza…
Vi attribuisce su di noi tutti i trionfi immaginabili.
Io nego sempre.
S'intende, senza di ciò non lo crederebbero. Ma ce lo meritiamo. Noi ci pavoneggiamo degli uomini come di gioielli, è naturale ch'essi ci rendano la pariglia. Non c'è uno, dico, non uno degli uomini che abbiamo respinto, che creda alla nostra virtù. Diranno che non ebbero le circostanze a seconda, che siamo fatte di marmo, senza cuore e senza immaginativa.
Quello che si dice di voi.
Quello che si dice di me. Che volete che pensi dei fatti nostri, la gente che non ci conosce, se gli amici ne fanno questo giudizio! – Noi mettiamo ogni studio a dare il peggior concetto possibile dei nostri costumi. Tolleriamo in casa dei discorsi che ci farebbero arrossire a leggerli. Se in teatro si parlasse come parliamo noi, come parlo io molte volte, tutti griderebbero allo scandalo ed alla calunnia, io per la prima. La suprema eleganza è una suprema spavalderia di sicurezza. Riconduciamo a casa, la notte, nella nostra carrozza, seduto al nostro fianco, un uomo che passò la serata a dirci che siamo belle. È vero che ce lo dicono così male! L'uomo che ci era ignoto ieri, oggi lo chiamiamo amico, gli scriviamo un biglietto domani. Ostentiamo una dimestichezza universale, senza intimità, senza poesia, e quindi senza pericoli. La poesia poteva riuscire a turbarci il cuore, ora messe al sicuro, amiamo di scherzare col fuoco. In apparenza siamo cinicamente corrotte, lo siamo timidamente in realtà. In fondo siamo scoraggite. Parliamo d'amore ad ogni momento perchè non ci crediamo più. L'amore è morto e seppellito.
Boum!!!
Si vede che frequentate certi amici…
E quali?
Sapete dove va la sera uscendo di casa nostra? Va all'ufficio, alla direzione, so io come la chiamano, di un giornale…
Ci sono stato ieri sera, la prima volta in vita mia. Mi ci ha portato un amico per vedere da vicino un uomo che sarà celebre un giorno, se campa.
Chi?
Un uomo che parte domani per il Polo-Nord. Pare che al Polo si debba trovare la soluzione di certi problemi di fisica. Uno scienziato.
Un vecchio?
No, giovane, più giovane di me, e un bel giovane anche.
Dev'esser bello, se siete andato apposta per vederlo.
Mi rincresce di non potervelo presentare.
Oh guardate, sarà qui a momenti. Mio zio Teodoro gli ha dato appuntamento in casa mia, perchè gli deve consegnare una certa lettera di raccomandazione, e non osa farlo salire sino al Macao. Come vedete, a volerlo conoscere non ci occorre la vostra protezione.
Sapete, Marchesa, perchè mi punzecchiate tanto? Perchè quei signori, fra cui c'è il mio amico Paolo, stanno di là a fumare invece di venir qui a farvi la corte.
Giusto! tanto giusto che… guardate, (va alla porta a destra e chiama) Paolo!
È lei che lo chiama.
La Marchesa? lo può fare senza pericolo; è invulnerabile.
Si capisce, la vedovanza le ha tolto la maggiore causa di debolezza che abbia una donna.
Che è?
Il marito.
Badate che sento.
Ci ho gusto. Ho detto che siete invulnerabile.
È vero, e mi annoio.
Mi avete chiamato, Marchesa?
Sì, mi pare mezz'ora fa.
D'Almèna raccontava una storia così lepida!
È finita?
Sì.
Allora rimanete qui.
Oh! ancora una sigaretta! Una sola. Ci avete dato un pranzo tanto delizioso!
Grazie per il mio cuoco. Anzi guardate là, in quello stipetto, c'è una scatola di sigari che m'ha portato lo zio dall'Avana.
Questa?
Sì, sono lunghi un palmo, durano tre quarti d'ora.
Ah troppo! (depone la scatola).
D'Almèna avrà bene un'altra storia da raccontare.
Vi domando perdono, lasciatemi qui.
Mi fate la grazia di prendere quella scatola e d'offrirne di là.
Obbedisco. (via colla scatola a destra).
Filippo, riconosco che siete il fiore della cavalleria. Quello è un uomo che mi fa la corte.
Almeno si dice.
È vero; a segno che mi hanno già fidanzata con lui più volte.
La voce è messa in giro da lui.
Non lo credo.
Il suo stesso contegno di or ora lo prova. Ha mostrato una scortesia affatto…
Maritale.
Siete proprio in collera?
Perchè in collera?
Perchè siamo stati di là tanto tempo.
Oh!
Ma la scatola è intatta, non se n'è preso uno.
Questo è un tratto da cavaliere antico. Che discorso devo fare io per ringraziarvi d'aver risparmiati i miei sigari, e d'aver avuto pietà di noi? Se sapeste come languiva la conversazione! Un' altra volta ve ne preghiamo colle mani giunte, non private più la nostra società del suo più bell'ornamento.
Il più bell'ornamento siete voi.
Ah! che madrigale! Pubblichiamolo subito. Signori e signore: D'Almèna mi ha detto una cosa gentile.
È così facile, Marchesa!
E due. Fatemi la corte, D'Almèna, vi do perfino licenza di spargere la voce che sono disposta a sposarvi, come sembra abbia fatto il vostro amico Paolo.
Io?
Non è vero?
Affatto! e non so chi abbia potuto dire…
Queste signore… or ora.
Ah! è un tradimento!
Come?
Vedete? Non occorre far nomi. Sbrigatevela con lei.
Contessa, mi spiegherete! (discorrono).
Dunque?
Dunque?
Mi fate la corte?
È bella e fatta.
Sareste disposto a commettere delle pazzie per me?
Qualunque cosa facessi sarebbe un atto ragionevole. Una sola forse meriterebbe il nome di pazzia.
Ed è?
L'innamorarmi seriamente di voi.
Non sarebbe una pazzia, sarebbe un'assurdità.
Se m'accompagnate in capo al mondo ci vado.
La pazzia la commetterei io. Bel merito!
Che colpa ci ho, se per guadagnarmi le vostre grazie non conosco nulla che mi costi fatica!
Che miseria! Ecco un uomo di spirito che non sa immaginare un solo atto di sacrifizio per conquistare l'amore d'una donna.
Le donne non sanno più inspirare eroismi.
Oh! datemi un uomo meno infiacchito di tutti voi e vedrete.
È giusto! le sole pazzie meritorie sono quelle dei savi.
E dato quell'uomo forte, vi proporreste di fargli andare la testa in giro?
Come una trottola; non fosse che per vendicarmi.
Di che?
Della vostra presunzione che vi rende perfino scortesi.
La carrozza della Contessa di Francofonte, la carrozza della Baronessa Roveri. (via).
Addio, Elena. (si alza).
Che fretta!
Alle nove vengono da me gli amici di mio marito, se tardo se ne vanno. Gli uomini non sanno più aspettare. Mi accompagnate, Rulfi?
Oh vedrai che non potrà. Gli uomini si fanno pregare ora.
Infatti devo andare all'Apollo. Stassera fanno il ballo prima dell'Opera.
Allora si capisce.
Voi D'Aspri?
Ho appuntamento all'Apollo anch'io: anzi, Contessa, dovreste metterci voi sino alla porta del teatro. L'allungate di così poco.
Ma sì, figuratevi! Buona sera. (saluta. Elena accompagna Elvira fino all'uscio, chiacchere e risa, via Elvira, Paolo e Rulfi).
Vieni?
Volevo proportelo, mi secco… io dopo pranzo…
Hai bisogno d'aria come me.
Aspetta, avverto mia moglie.
Fai…
Io vado, sai?
Benissimo.
Andiamo?
Guarda, s'alza la Baronessa. (Masina s'alza e saluta i vicini). Andiamocene nella confusione a modo della Corte. (si ecclissano senza esser veduti).
Vado anch'io.
Buona sera.
Ho un posto in carrozza. Chi viene dalle mie parti?
Io.
Bravo. Ah! mentre mi ricordo, Elena, quella famosa ricamatrice non ha finito ancora?
La colpa è d'Enrico che doveva disegnare le cifre.
Oh, guarda!
Ve ne siete scordato?
Del tutto. Ma le disegnerò stassera, mi faccio un nodo al fazzoletto.
Senza di che…
E me le porterete domani?
Mi darete da pranzo?
Sarà un doppio favore che mi fate. (a tutti) Addio. (va ad Elena) Rimani. (via Masina, Enrico, Lorenzo e Rubaconti).
Eh! che galanteria! tutti così.
E voi ve ne affliggete?
Vorrei poter far del male a qualcheduno.
C'è Filippo per questo.
Non basta. (entra Teodoro) Oh, zio!
Contessa. Non è venuto ancora il mio protetto?
No.
Ah! il viaggiatore! Come si chiama?
Il dottor Sarni. Gli ho detto alle nove e mezzo.
Sono le nove.
Tu mi cederai un tuo salotto per riceverlo.
E perchè non in questo?
Non sarebbe caritatevole lasciargli indovinare le delizie del soggiorno di Roma, nel momento che sta per intraprendere un viaggio da cui è miracolo se torna.
Ma se lo credi un viaggio così pericoloso, perchè lo aiuti ad andarci?
Io non sono il custode del genere umano, e tanto meno dei signori professori, dottori, scrittori, compositori, seccatori e compagnia bella: ci pensino da sè, che la sanno lunga. La spedizione è allestita dal governo Svedese che avea promesso un posto al dottor Sarni. Ma i posti sono pochi ed all'ultimo momento due ufficiali Russi sollecitano l'imbarco: se l'ottengono, il Sarni è scartato. La cosa sarà decisa fra otto giorni e il dottore sapendo che io fui ministro a Stoccolma e che sono amicissimo di quel Presidente del Consiglio, venne da me per una commendatizia un po' calorosa presso quest'ultimo. Ho promesso di scriverla e m'è venuto un fiore d'eloquenza. Nel mio mestiere ho imparato che bisogna sempre aver l'aria di dar molta importanza agli uomini di studio. Quando sapremo se esiste un mare chiuso piuttosto che un mare libero e che ragione hanno i fenomeni elettrici, non avremo rubato il bacino al barbiere e non occorrerà allo Stato nè uno scrigno di più, nè un carabiniere di meno. Ma gli uomini che hanno il coraggio di affrontare un simile viaggio è meglio che lo facciano. Rimanendo in patria, sarebbero capaci di vagheggiare Dio sa che progressi di civiltà e di metterci sossopra ogni cosa.
Oh, oh, lo credi da tanto?
Avessi sentito con che fuoco perorava la sua causa! Neanche per andare a nozze. Con che serietà parlava del dovere che ha ogni uomo di giovare agli uomini e di mettere la vita per lo scoprimento di una verità. Non c'è che dire, è un uomo forte.
Oh! un uomo forte! sentite, Marchesa?
E con ciò?
Un uomo forte. E il vostro proposito di poc'anzi di far andare la testa in giro al primo che aveste incontrato?
Parte.
Buon per voi che non siete esposta…
Ad uno scacco? Oh sì che sarebbe così difficile!
Andiamo colle bravate! Ora ti vanteresti di non lasciarlo partire?
Gran cosa! Che ne dite D'Almèna?
Non dico nulla.
Non credete che se volessi?
Ma non vuoi.
Quando parte il tuo dottore?
Posdomani.
Presto. È ben deciso di partire?
Irrevocabilmente.
Se riuscissi a trattenerlo, che ne direste, D'Almèna?
Non sarebbe il modo d'ispirargli l'eroismo.
Ma vi mostrerei che si possono ottenere dei sagrifizi. Va la scommessa?
Scherziamo, eh?
Io ci avrei un gusto matto.
E le vostre paure come agitatore?
Oh! in quelle mani…!
Intendiamoci. È un uomo di mondo?
Conosco dei duchi che lo sono meno di lui.
Quel viaggio non gli deve fruttar denaro?
Glie ne costa.
Va la scommessa? Chi tiene?
Io…
Tu? Tu sostieni che parte?
Certo.
La contessa è la sola persona qui che possa senza scortesia dubitare della riuscita.
Oh, state pure dalla sua; non me n'ho per male. Va la scommessa?
In che termini?
Io sostengo che quel signore che deve venir qui ora, il Dottor… non rammento nemmeno il nome, guardate.
Sarni.
Il dottor Sarni, non partirà per il suo viaggio polare.
Io sto per la Marchesa.
No, no. Voglio esser sola. (a Gemma) Vada fra noi due.
Che va?
La statua in bronzo della Tuffolina che mi volevano regalare il giorno della mia festa.
Ah! per la vita d'un uomo!
Glie la salvo la vita.
È detta.
Siate testimoni. (le due si stringono la mano). Zio, dammi la lettera commendatizia. (a Gemma) Ti do la mia parola d'onore che quella lettera… (a Teodoro) Quando hai detto che intende partire?
Posdomani mattina.
Ebbene che prima di domani sera il sig. Sarni avrà quella lettera.
Va bene.
Me la dài?
Eccola. (le consegna la lettera).
Oh, Marchese!
Detesto gli uomini superiori.
E ora, zio, ti mando via.
Ah!
Naturale, se ci sei tu non posso rimettere a domani la consegna della lettera.
Giusto.
Le nove e tre quarti.
La carrozza della Contessa del Pallio.
Posso rimanere?
Anzi vedrai che poche arti ci vogliono.
Anselmo, quando verrà un signore a cercare di mio zio lo farete passare.
Sissignora. (via).
Addio.
Ah! Sveglia Del Sannio e portalo con te. Non voglio che il tuo eroe possa credere che la nostra compagnia concilia il sonno. Almeno questo.
Giusto. (scuote Del Sannio) Oh giovinotto!
Eh!
Andiamo?
Subito. Chiudono? (mezzo insonnito va a prendere il cappello ed accenna ad avviarsi con Teodoro).
Crede di essere al Club.
Ciò vendica i nostri saloni.
Non salutate?
Oh diavolo! Cara Marchesa.
Vi ringrazio della bella serata che ci avete fatto passare.
Che dite?.. Sono io che…
Presto.
Vengo. Contessa! (s'avvia, quando è vicino a Teodoro gli dice) Oh! Marchese, scusate, non vi avevo conosciuto.
La cimmeria nebbia, come dicono i classici.