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Racconti politici

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V

Abbiamo schizzato due ritratti e due biografie. Ma il signore e la signora De Mauro, come già avvertimmo, non prenderanno molta parte nella breve storia che siamo per riferire. – Vi è un giovane di ventidue anni in questo palazzo costrutto coll'oro degli appalti e delle forniture militari, un giovane che è passato per tutte le fasi delle fortune paterne senza quasi avvedersene, che sarà un giorno l'erede di uno dei più cospicui patrimonii di Milano, ed è, cionnullameno, infelice, noiato della vita e cupamente misantropo. Un bel giovane dai capelli bruni, dallo sguardo profondo, dal labbro ardente, adorato dai genitori, stimato dagli amici, desiderato nei circoli della società più eletta. Eppure il figlio del signor De Mauro non brilla fra gli eleganti di Milano, rifugge dai convegni brillanti, vive quasi isolato. In famiglia, rare volte si abbandona a quelle espansioni confidenziali che una madre affettuosa, una tenera madre qual è la signora Serafina, avrebbe diritto di attendersi dall'unico figlio. – Qual è il segreto di questa tristezza che ogni giorno progredisce in un cuore di ventidue anni? – Noi lo sapremo fra breve. È tempo oramai che i nostri personaggi si mettano in azione, che prendano a rivelarsi da sè medesimi.

VI

Una sera, in sul finire del maggio 1866, si trovava adunata nel medesimo gabinetto – ciò che avveniva rare volte – tutta la piccola famiglia – La signora Serafina era intenta a ripassare delle lingerie – Ella non aveva mai potuto rinunziare alle abitudini casalinghe de' suoi anni meno fortunati – Il signor De Mauro leggeva la Gazzetta di Milano – e tratto tratto levava la testa dal giornale per lanciare una occhiata fuggitiva a suo figlio che, in quella sera, pareva di umore assai tetro.

– Ebbene? non ci dici nulla, Edoardo! Come hai passata la giornata? – domandò la signora Serafina al figliuolo.

– Come al solito! – rispose il giovane a voce bassa; stamattina ho lavorato un poco nel mio studio da pittore… poi verso le due sono uscito…

– A cavallo?..

– No… sono andato a piedi fino alla stazione della ferrovia… Quest'oggi partivano per Como più di duemila volontari…

– Ah!.. tu pure ti trovavi alla stazione, Edoardo! – disse il signor De Mauro, interrompendo la lettura. – Non ti ho veduto… Ti avrei ricondotto colla mia carrozza…

– C'era tanta folla!.. rispose il giovane sbadatamente senza volgere gli occhi a suo padre.

– È vero! c'era mezzo Milano… per vedere quei bei… mobili! Che faccie quegli alessandrini… quei greci…! gente da far paura! tutti armati di coltello… e di revolver… Parevano assassini!

– Eppure… a quanto dicono… sono tutte persone…

– Persone…? sentiamo un poco… Edoardo!..

– Persone rispettabili e degne di ammirazione! esclamò il giovane con accento vibrato – essi hanno attraversato il mare e sono venuti ad offrire il loro braccio all'Italia, a far arrossire quei pochi italiani che, giovani com'essi e vigorosi, rimangono qui a poltrire nell'ozio e ad almanaccare sui dispacci dell'Agenzia Stefani!

Il signor De Mauro fissò nel giovane due occhi quasi atterriti. L'enfasi di quelle parole gli avevano rivelato ciò che egli da parecchie settimane tremava sempre di dover intendere. La buona Serafina intervenne fra padre e figlio.

– Oh! sicuro… Edoardo ha ragione… Li ho veduti anch'io quei bravi giovani… l'altro ieri… quando sono arrivati… Non è poco sacrifizio… venire da paesi così lontani e dicono… a loro spesa… per combattere contro i tedeschi… e sarebbe proprio vergogna se i nostri…

– Non c'è questo pericolo, mamma – riprese Edoardo con accento più mite – quest'oggi, anche dei nostri ne partivano più di due mila… e altrettanti ne partirebbero domani, se il Governo non avesse creduto bene di sospendere gli arruolamenti per la esuberanza degli accorsi… Ma quanto prima… dicono il cinque giugno… si ricomincerà da capo…

– E tutti quelli – riprese la signora Serafina – tutti quelli che amano la patria, e che sono abbastanza robusti da poter resistere alle dure fatiche del campo… faranno senza dubbio il loro dovere!..

– E lo faremo tutti, il nostro dovere! – esclamò il signor De Mauro con una voce che indicava il proposito di conciliarsi la benevolenza e l'ammirazione di suo figlio. – Noi abbiamo già dato cinquecento lire per le famiglie povere dei contingenti – d'altre cento lire ho disposto per quelli fra i nostri giovani di studio che sono partiti per il campo e saranno per ritornarne colla medaglia del valore militare – Se tu credi, Edoardo – sentiamo un poco il tuo parere – sai… del denaro non ce ne manca… è roba tua… e puoi farne liberamente quell'uso che credi migliore… Dobbiamo stabilire una piccola rendita vitalizia a tutte le vedove e le madri dei nostri coloni, le quali avessero a perdere il marito od il figlio in queste ultime battaglie della patria?

– Tu sai bene che quando si tratta della patria…

– Ebbene… sì! faremo anche questo sacrifizio… cioè… tu, Edoardo… Alla fine… come dicevo… è roba tua… E faremo stampare sui giornali… che il signor Edoardo De Mauro…

– Questa ci mancherebbe! – esclamò il giovane con accento di sentita ironia – Stampare nei giornali che il signor Edoardo De Mauro, un giovinotto di venti anni, sano, robusto, addestrato al maneggio delle armi, ha voluto esimersi dal suo obbligo di prestare il braccio alla patria… costituendo una pensione vitalizia in favore di quei poveri contadini che sono andati a farsi ammazzare in sua vece, perchè hanno sentito – essi, idioti e quasi ignari di avere una patria! – hanno sentito che in questo sublime momento della nazione non vi è altro posto d'onore per un giovine italiano che il campo di battaglia!

La fronte del signor De Mauro si coperse di una nube. I suoi occhi bigi coperti da folte palpebre cercavano ansiosamente quelli di Serafina – ma dessa, la buona madre di Edoardo, teneva lo sguardo intento alle lingerie, e non osava respirare.

Il signor De Mauro, dopo breve meditazione, riprese a parlare con quel tuono moderato e insinuante che pretende persuadere colla duplice influenza della logica e del sentimento.

– Si lavora per tutta la vita e si diventa vecchi… Si adunano delle fortune… non per sè stessi… ma per quelli che vivranno dopo noi… pei nostri figli… Quando se ne ha molti dei figli… si capisce… questi vanno e quelli restano a casa… Fossero due!.. meno male! – io non mi farei pregare… io direi: qual è di voi che vuole arruolarsi?.. Tirerebbero a sorte… non è vero, Serafina? – anche tu saresti contenta. – Ma quando non si ha che un solo figlio… e quando si può giovare alla patria… quando si può fare dell'immenso bene al paese senza sacrificare il nostro sangue – allora, dico io, allora bisogna essere senza cuore, o peggio, ubbriachi di fanatismo e di orgoglio – sì… anche di orgoglio! – per resistere alla voce della natura, agli istinti dell'affetto… Oh! ne abbiamo veduti dei padri fare ostentazione di un tale cinismo! Dei vecchi usurai, i quali non si vergognarono di negare alla patria una miserabile oblazione di poche lire, poichè, dicevano essi, avevano già dato… il loro figlio! – Ah! si farebbero le belle guerre… senza i milioni!.. Sono forse le braccia che mancano? Dove ci sono milioni, ci sono soldati… Mi parlate dei contadini!.. Essi vanno perchè devono andare… Ebbene: quando noi proprietarii si fa piovere qualche spicciolo nelle giberne, quando noi si provvede al mantenimento delle famiglie povere e si istituiscono premii e pensioni vitalizie… ecco questi poveri ragazzi partono di buona voglia… gridano: viva l'Italia! e marciano incontro al fuoco con coraggio! Uno diventa due – le forze si raddoppiano… e con uomini di tal fatta non c'è più da temere! – Convengo… se vi fosse penuria d'uomini… Ma tu lo vedi – Edoardo – si è obbligati a sospendere gli arruolamenti… Uno più, uno meno conta per qualche cosa in un esercito che trabocca? – Nulla! proprio nulla! – Ma questo uno conta per tutto… è tutto nella vecchia famiglia di suo padre e di sua madre… e quanto all'esercito, quest'uno può contare per cento senza allontanarsi dalla propria casa. Io te lo ripeto, Edoardo: domanda ciò che vuoi – io sono pronto a qualunque sacrifizio. Non ami che i nostri sacrifizi sieno fatti palesi per mezzo dei giornali? Sia pure. – Registrerò le offerte a nome mio… Ma tu… nella tua coscienza potrai dire: sono io che ho indotto mio padre a far questo – sono io che soccorro tante famiglie povere di soldati… Leggo nelle Gazzette che il governo ha bisogno di cavalli… Ne offriremo due… sei contento?.. Pensaci – o far le cose per bene o non farle… Ho messo gli occhi sul tuo Morello… Hai capito, Edoardo?.. Sei tu disposto a privartene?

– Morello!?.. Non è possibile! – rispose il giovane alzandosi in piedi e levando un lume dalla tavola in atto di ritirarsi.

– Ah… vedi!.. ti dispiace privarti del tuo più bel cavallo… Anche questi sono sacrifizi!..

– Gli è che Morello mi è divenuto indispensabile – disse Edoardo avviandosi verso la porta – perchè domani io intendo presentare la mia petizione alla commissione degli arruolamenti volontari per entrare nel corpo delle guide!

Ciò detto, il giovane uscì dal salotto senza volgere la testa.

VII

Il signor De Mauro rimase come un uomo percosso dal fulmine. – Era la prima volta che suo figlio osava parlargli un simile linguaggio, la prima volta che quel figlio taciturno e sottomesso accennava di volersi ribellare alla autorità paterna in modo sì franco e risoluto. – La signora Serafina tremava. Ella si attendeva una di quelle esplosioni violente che andavano a scaricarsi sovr'essa, ogniqualvolta al tenace dispotismo di suo marito si opponevano delle contrarietà inesorabili.

Ma questa volta l'esplosione non avvenne. Il signor De Mauro aveva bisogno di un alleato per lottare vantaggiosamente contro la ribellione del suo unico figlio; e il migliore, il più potente alleato – egli lo comprendeva – era la madre di Edoardo. Serafina era più forte di lui, poichè la tenerezza di una madre ha maggiore impero sul cuore di un figlio che non l'affetto paterno. Il signor De Mauro non aveva mai permesso a sua moglie di intromettere una mezza parola nelle vertenze più scabrose dei suoi affari, delle sue speculazioni commerciali; ma ora egli sentiva il bisogno di prendere consiglio da quel cuore di donna, da quel senno di madre.

 

– Hai tu sentito, Serafina? – cominciò egli con voce fioca e con accento desolato – ah! ne avevo il presentimento! ma pure non avrei creduto ch'egli avesse a mostrare tanta durezza!.. Un bel vantaggio davvero… questa libertà!.. Cosa abbiamo guadagnato?.. Non si può contare su nulla… nè anche sui figli…! Ingrati! E quando vi hanno detto: la patrial'Italia… credono di avere il diritto di calpestare il padre, la madre, tutti gli affetti o i doveri della famiglia! Noi altri non si conta più nulla… noi! La patria, l'Italia, e crepino nella solitudine e nella amarezza coloro che ci hanno messo al mondo, e che vivono solo per noi! – Che cosa ne dici, Serafina?..

– Io dico che quel ragazzo…

– Non è più un ragazzo… Serafina! – Oh se lo fosse, faremmo presto a metterlo al dovere!.. Ma ti pare? Quando io mi era messo a fargli un po' di morale, a mostrargli come due e due fanno quattro, che noi signori si può fare molto bene alla sua patria senza metterci là ad aumentare di venti o trenta chili la carne da cannone – cosa ha risposto… vediamo!.. «Domani anderò a presentare le mie petizioni al Comitato degli arruolamenti»! – Domani!.. Hai capìto, Serafina?.. Ma io credo che la petizione abbia già fatto la sua strada a quest'ora… credo che da questo lato non ci sia più mezzo di attraversargli la via… Quel ragazzo è già bello ed arruolato!

– Non ancora! – rispose Serafina timidamente – sai bene che Edoardo dice sempre la verità…

– Non ancora?.. Capisco… tu ne sapevi qualche cosa… Hai fatto male a non avvertirmene subito… Ma pure… se le cose stanno come tu dici… Vediamo: – ma tu non ti sei provata a fargli intendere ragione? non hai tentato?..

– Io?.. Sicuro che gli ho parlato… La prima volta che Edoardo si lasciò sfuggire una mezza parola su tale argomento, gli ho detto: bada, figliolo mio; tu non hai salute da buttar via, tu non potrai reggere alle fatiche del soldato… lascia andare quelli che sono già abituati alle durezze e ai disagi della vita…

– Ed egli ti avrà risposto: anche il tale e il tal altro appartengono alle prime famiglie di Milano, sono nati e cresciuti nella bambagia… il figlio del conte G… il figlio del marchese C… e via con una filza di piccoli conti e di piccoli marchesi!.. Bisognava prender la cosa da un altro verso!.. Serafina… tutti quanti si credono Ercoli… si credono Sansoni… in questi momenti!.. anche quelli, che l'anno passato giravano per la città con una veletta azzurra abbassata sulla faccia come le modistine che vanno a bottega!

– Gli ho anche proposto – come tu mi avevi indicato una sera – gli ho proposto di fare quel tal viaggio a Parigi ed a Londra…

– Sicuro… una buona idea! egli mi tormenta da due anni per ottenere il permesso… ed il danaro… Ebbene: che cosa ha risposto?

– Ha risposto che per andar a Parigi egli vuole aspettare la grande esposizione dell'anno venturo… e che del resto… sarebbe una vergogna per un giovane come lui… il farsi vedere sui boulevards di Parigi…

– Imbecille! come se a Parigi avessero a riconoscerlo e a fischiargli dietro le spalle, perchè, essendo figlio unico, ed unico erede del signor De Mauro, che possiede oltre sette milioni di patrimonio, non è andato a farsi massacrare dalla mitraglia, onde gli altri abbiano a godersi il fatto suo. C'è proprio da sbattezzarsi a vedere come ragionano queste teste! E dire che le abbiamo fatte noi…

– Insomma…

– Insomma… ho capito… Non sei riuscita a mettere assieme quattro ragioni da persuaderlo ch'egli si è fitto in capo una idea da matto… Bisognava assalirlo dal lato della sensibilità… parlargli dell'immenso dolore che mi avrebbe cagionato… del tuo amore… dirgli che saresti morta… Tu sei la persona ch'egli ama di più a questo mondo… Oh vedete un po' se si può dare di peggio?.. Fosse almeno innamorato…! avesse almeno preso moglie!.. Quand'uno ha moglie, non pensa a certe follie… Sono fatti così questi ingrati di figli… Il padre, la madre piangano pure… si disperino… muoiano… che importa? ma per una fanciulla che faccia gli occhi morti… per una moglie che finga di svenire, essi cedono le armi, diventano docili e sommessi come agnelletti…!

– Lorenzo… mi viene un pensiero! – esclamò la signora De Mauro abbandonando le sue lingerie e guardando fissamente il marito – forse un mezzo ci sarebbe…

– Sentiamo, mia buona Serafina… Sentiamo!

– Tu non mi sgriderai se ho taciuto finora…

– Via, poichè mi dici che vi è un mezzo…

– Sarebbe… Tu dicevi che una donna… una fanciulla… che insomma… quando un giovane è innamorato…

– Dunque… lui… Edoardo… sarebbe?.. Ma perchè aspettar tanto… a parlarmene?

– Mio Dio!.. Avrei parlato prima d'ora… ed anzi… da circa tre mesi non si è fatto che esplorare l'occasione favorevole… Ma tu… in questi tre mesi ne hai combinati tanti dei matrimonii pel nostro Edoardo! Non saranno venti giorni… volevi che egli sposasse la figlia del banchiere Zanna…

– Che possiede una bella e buona dote di ottocento mila franchi alla mano e tre zii milionarii… Ma non era la dote che mi stava a cuore… Io prevedeva il temporale… io capiva di avere a fare con un matto… e volevo, ad ogni buon conto, incatenarlo ad un pezzo di moglie!.. Ma tu dici che il ragazzo ha già le sue idee… Sentiamo… Purchè ci stiano le nostre convenienze…

– Si tratterebbe… Tu conosci la figlia del Contareno… quella cara fanciulla…

– Il marchese Contareno!.. uno spiantato… tutto boria… tutto fumo…

– Ma la ragazza ha ereditato la dote di sua madre… poca cosa… circa centomila franchi… Il nostro Edoardo è d'altra parte abbastanza ricco… e poi… gli è tanto innamorato di quella figliola…

Il signor De Mauro stette alcuni momenti sopra pensiero, colla testa appoggiata alle mani… Le sue dita si agitavano convulse sulla fronte, come quelle di un suonatore sulla tastiera d'un pianoforte.

Scorsi alcuni istanti, riprese a parlare; ma questa volta a bassa voce, senza badare alla moglie, senza attendere risposta.

– Famiglia di spiantati… ma pure… una nobile famiglia… Questo sarebbe forse un espediente per vincere l'orgoglio e la ritrosia di cert'uni… Tutto sta che quella mummia di marchese non abbia l'aria di farmi una grazia!.. Egli n'è ben capace!.. Non hanno un baiocco… ma del fumo… del fumo ce n'è da acciecare un battaglione di ussari!.. Non vogliono persuadersi che il loro tempo è finito… che oggigiorno… la nobiltà… la vera nobiltà siamo noi, o piuttosto i nostri sacchi di marenghi. – Sentimi, Serafina…

E a questo punto il signor De Mauro rinforzò la voce, dirigendo la parola a sua moglie:

– Credi tu che anche lei… la ragazza… la figlia di questo marchese… sarebbe disposta?..

– Innamorata pazza del nostro Edoardo! – rispose la signora De Mauro coll'accento dell'orgoglio e della gioia.

– Se la è così – disse il De Mauro levandosi in piedi – affare concluso!.. Domani si va dal marchese – gli si fanno le proposte – si stabilisce che il matrimonio abbia a concludersi entro quindici o venti giorni… si induce la ragazza… Oh! lasciamo fare a lei… Se Edoardo è innamorato, come tu mi dicevi, si lascerà facilmente persuadere… e addio Garibaldi, addio volontari, addio patria… e chi è minchione vada a farsi ammazzare!..

– Ma zitto, Lorenzo!.. Non posso sentire queste parole! – disse la signora, facendosi bianca nel volto.

– Che? che?.. Sta a vedere che anche tu mi diventi repubblicana come il tuo Edoardo! La patria!.. Sicuro: nessuno potrà dire che io non abbia sempre amato e non ami la patria… Ma questa non è una ragione perchè mandi mio figlio a farsi ammazzare dai croati! – Nostro figlio deve goderla la patria – a chi servirebbe questa Italia una e indipendente, se non fosse ai nostri figli, a quelli che la erediteranno da noi?

Così parlando, il signor De Mauro uscì dal salotto col volto radiante. Egli non era mai tanto felice come quando poteva sgomentare un poco la sua docile e ingenua compagna con ciò che egli chiamava le sue spiritosità politiche.

VIII

All'indomani, verso le undici del mattino, il signor De Mauro salì nella sua carrozza di gala, e si fece condurre in via dei B… alla porta dell'antico palazzo dei Contareno.

Il marchese era un uomo sui sessant'anni – un patrizio dell'antico stampo, alquanto modificato dai due rivolgimenti politici del 1848 e del 1859, ma pure, in fondo all'anima, devoto ai principi assoluti di un'altra epoca. Non parteggiava per l'Austria, ma era avverso alla costituzione del nuovo regno. Egli vagheggiava un'Italia una, salvo il rispetto alle provincie appartenenti per diritto al Sommo pontefice; una Italia indipendente, ma governata col più severo despotismo. Ordine e religione: queste due parole formulavano tutto il suo programma politico.

A quarant'anni era rimasto vedovo con una figlia, e i maligni pretendono ch'egli sciupasse le sue sostanze nel patrocinare una allieva del maestro Blasis, che forse avrebbe consentito di rinunziare alle danze e di prenderselo per marito, s'egli, fortunatamente, non si fosse lasciato spiumare in anticipazione fino all'ultima penna.

Questa circostanza lo salvò da' peggiori disastri – da una moglie ballerina, la quale non aveva le migliori disposizioni per rassegnarsi alla vita inerte al fianco di un vecchio rovinato.

Il marchese Contareno, – convien rendergli giustizia – dopo quell'ultimo disinganno di amore concentrò tutte le sue affezioni nel cuore di sua figlia. Dal 1859 in appresso, la sua vita fu una passeggiata al mattino, una tazza di semata al Caffè Cova, ed il resto del giorno in casa, a dir male del governo e della licenza pubblica col suo vecchio domestico e colla sua Enrichetta.

Diremo noi che la figlia del marchese Contareno, è una delle più avvenenti fanciulle, una stella nascente del patriziato milanese? – In un romanzo, ciò sarebbe obbligatorio – ma noi, sventuratamente, dobbiamo attenerci alla realtà. Enrichetta è una buona figliola, dalla statura alta, dalla fronte spaziosa e severa, dallo sguardo profondo – è una bellezza simmetrica, dai contorni incensurabili, dai lineamenti perfetti – ma pure non è di quei tipi di fanciulla che hanno il fascino della seduzione. Le sue labbra, squisitamente delineate, non si schiudono che a brevi sorrisi – i suoi occhi non brillano di quella luce carezzante che rivela le anime espansive, esuberanti di giovinezza e di passione.

I baci di una madre non ammorbidirono quei lineamenti; le carezze di una mano di donna mancarono a quella infanzia vissuta nelle solitudini di un palazzo in rovina. Enrichetta si era educata da sè – un vecchio maestro di danza le aveva insegnato gli atteggiamenti e le pose della gran società – uno zio prete i rudimenti della grammatica italiana e un po' di francese – ma ella, profittando liberamente di una vecchia biblioteca, dove suo padre lasciava ammuffire migliaia di volumi, aveva assorbita una erudizione superiore alla sua età ed al suo sesso. A sedici anni ella aveva letto Plutarco e la Nuova Eloisa, i saggi di Montaigne e il Don Giovanni di Byron, la Storia di Tito Livio e il Cavaliere di Faublas. E nondimeno quell'anima non si era corrotta. Ella aveva respirato nei libri la filosofia e la lascivia, l'eroismo della storia e le enfatiche passioni del romanzo, ma il suo nobile carattere si era sempre elevato. A vent'anni ella non aveva ancora amato – il suo cuore patrizio esigeva un eroe, il suo spirito colto e fantastico aveva bisogno di un'alta intelligenza a cui affratellarsi. – Nelle sale del Prefetto e del Sindaco, ella aveva danzato con dei giovani ufficiali sfolgoreggianti di decorazioni, ma nessuno era riuscito a commuoverla. Il di lei sembiante altero, sdegnoso, pareva respingere gli adoratori. Una sera, alla veglia del casino, nessuno le mosse incontro per invitarla alla danza. Era una piccola congiura, una vendetta degli eleganti. Ma in quella sera un giovane le si era fatto dappresso, e si era intrattenuto con lei alcun tempo. Le sue guancie si erano animate di una tinta più rosea, – i suoi occhi mandarono un lampo inusitato – quella statua di fanciulla si rianimò come per effetto di incanto. – Enrichetta aveva trovato il suo ideale – e questo ideale, ch'ella prese ad amare con tutto l'ardore della sua anima vergine, era Edoardo De Mauro.