Read the book: «Il Conte Libertino»
IL CONTE LIBERTINO
DONNE INTELLETTUALI CONTRO UOMINI MALANDRINI VOLUME 1
DAWN BROWER
Traduzione di ILARIA FORTUNA
Questa è una storia di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio e non devono essere considerati come reali. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o a persone, in vita o defunte, è puramente casuale.
When an Earl Turns Wicked Copyright © 2018 Dawn Brower
Copertina e modifiche a cura di Victoria Miller
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata o riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta, fatta eccezione per brevi citazioni inserite nelle recensioni.
Pubblicato da Tektime
Questo libro è per mio padre, Archal Brower Jr. Lui ha sempre pensato che avrei dovuto scrivere un libro, ma io non avrei mai pensato di riuscirci. Vorrei che potesse essere qui per vedere che finalmente l’ho scritto, non uno ma più di uno. Mi manchi papà, il mondo non è lo stesso senza di te.
NOTA DELL’AUTRICE
Questo libro fa due cose: lancia una nuova serie e si collega a una vecchia. Cercate gli altri libri della serie “Donne Intellettuali contro Uomini Malandrini” che arriveranno in futuro, nonché un estratto del prossimo libro alla fine di questo, e per chi che non ha familiarità con la mia serie “Linked Across Time” può iniziare con il primo libro: “Saved by My Blackguard”. E nel secondo libro, “Searching for My Rogue”, compaiono Alys e James. Magari avete voglia di sapere dov’è iniziata la loro storia.
RINGRAZIAMENTI
Come sempre, grazie alla mia meravigliosa editrice, Victoria Miller. Mi fai venire voglia di lavorare di più e scrivere libri sempre migliori. Grazie anche a Elizabeth Evans, rendi la scrittura un divertimento. Grazie per avermi aiutata e per aver letto tutte le mie bozze.
PROLOGO
Castello di Southington, Inghilterra, 1808
Era una giornata era come tante, in Inghilterra. La pioggia era diventata un evento così normale che Jonas non se ne accorse nemmeno, anche se gli gocciolava sul viso, inzuppandolo completamente. Fissava le lapidi incise del cimitero accanto alla cappella di Southington. Solo i membri della sua famiglia erano sepolti lì, molti dei quali non aveva mai conosciuto di persona. Le loro foto riempivano la grande sala ma per lui appartenevano alla storia, ed era riuscito a prendere le distanze da loro. Sarebbe stato molto diverso.
La sua vita non sarebbe mai stata come la loro. La morte di suo padre aveva portato alla luce una verità immutabile. Il duca ora aveva il controllo sulla vita di Jonas. Suo nonno era un tiranno e aveva sempre cercato di imporgli la propria volontà. Suo padre era stato l’unico su cui potesse contare. Un muro di difesa che il duca non riusciva a sfondare, nonostante ci avesse provato spesso.
Quindi, no, non gli importava del freddo perché era intorpidito fin nelle ossa. La pioggia? Non era niente in confronto a ciò che doveva ancora affrontare. Il duca di Southington, suo nonno, non aveva ancora iniziato, più che altro perché non poteva. Erano presenti altre persone e non poteva scatenare una scenata. Quando tutti se ne sarebbero andati, le cose si sarebbero messe ancora peggio per lui. Suo nonno gli avrebbe permesso di tornare a Eton? E sua madre? Sarebbe riuscita a tenergli testa? Ad ogni modo, lui dubitava di tutto e pregava che la sua vita tornasse com’era prima della morte di suo padre.
«Lord Harrington.» disse un uomo, poggiando una mano sulla spalla di Jonas. Come poteva essere lui il conte, adesso? Quello era il titolo di suo padre e dubitava che si sarebbe mai abituato. «È ora di rientrare.».
Alzò lo sguardo verso l’uomo mentre la pioggia continuava a gocciolargli sul viso. I suoi capelli erano neri, ma avevano già iniziato ad ingrigirsi sulle tempie. Jonas lo conosceva a malapena, ma Lord Coventry era un amico di suo padre. «Non sono pronto.» gli disse.
«George era un brav’uomo.» disse Lord Coventry. «Vi voleva bene.».
«Lo so.» rispose Jonas freddamente. Da tempo aveva smesso di provare sentimenti e ora stava accadendo lo stesso ai gesti del corpo. Che altro poteva fare? Lord Coventry aveva ragione, era passato molto tempo, eppure non riusciva a muoversi. Una volta che se ne fosse andato, sarebbe diventato tutto troppo reale per lui. Suo nonno avrebbe iniziato ad impartire ordini, e ci sarebbero voluti anni prima di potersi liberare di lui. Tre lunghi anni per l’esattezza, una volta compiuti diciotto anni avrebbe potuto prendere il controllo della sua eredità. Finché suo nonno non avesse trovato il modo di eludere il testamento. «Ma ciò non cambia le cose.».
«No.» concordò Lord Coventry. «Se n’è andato e niente potrà mai riportarlo indietro.».
Se Jonas fosse stato capace di piangere, lo avrebbe fatto giorni fa. Forse era stato meglio così. Qualsiasi segno di debolezza avrebbe scatenato l’ira di suo nonno. Doveva essere coraggioso e trovare in qualche modo la forza per andare avanti prima di quanto avrebbe voluto. Suo padre meritava di essere compianto, ma avrebbe capito perché Jonas non poteva farlo apertamente. «Possiamo andare.». Jonas non guardò Lord Coventry. Si voltò e iniziò il lungo viaggio di ritorno al Castello di Southington. Odiava la casa di suo nonno, era fredda quanto lui. Non aveva nulla di accogliente.
«Lord Harrington…»
«Non chiamatemi così.» lo interruppe Jonas. Sentirsi chiamare con il titolo che era appartenuto a suo padre gli inviò una fitta di dolore al suo cuore già provato. Non voleva pensare né sentire niente. Ogni cosa gli ricordava suo padre e la perdita che non aveva potuto evitare. Il titolo… era più di quanto potesse sopportare.
Lord Coventry si schiarì la gola. «È quello che siete adesso.».
«Può darsi.» Jonas deglutì a fatica. «Ma prendere il posto di mio padre è un qualcosa per cui non sono ancora pronto. Non riesco a sentire quella parola senza pensare a lui e a ciò che ho perso.».
«Capisco.» disse Coventry e sospirò. «Siete troppo giovane per aver già perso vostro padre. Se io avessi un figlio…», scosse la testa. «Non importa. Avete una lunga strada da percorrere e, probabilmente, non c’è nessuno di cui vogliate fidarvi. Potreste non saperlo ancora, ma potete fidarvi di me.». Si fermò per un momento prima di continuare: «Come vorreste che vi chiamassi?».
«In nessun modo.» disse Jonas. «Dubito che ci rivedremo ancora, dopo oggi.».
L’uomo più anziano rise. Era un suono inconsueto, considerando l’ambiente circostante. La tristezza permeava tutto ciò che li circondava, eppure il conte aveva trovato qualcosa di divertente. Coventry sembrava un tipo simpatico e, in un’altra occasione, a Jonas sarebbe piaciuto. Dubitava che avrebbe considerato qualcosa attraente o gioioso per diverso tempo.
Coventry indicò il castello in lontananza. «Vedremo. Venite, ripariamoci da questa pioggia.».
Il conte seguì Jonas mentre entravano nel castello. Non si trattenne per molto. Aveva parlato in privato con il duca prima della sua partenza, e il duca non aveva discusso né impartito ordini. Ciò portò Jonas a chiedersi di cosa avessero discusso.
«Ora che tutti se ne sono andati, abbiamo alcune cose di cui discutere, figliolo.». Suo nonno attraversò la stanza e lo guardò. «A partire dalla tua educazione… io ti avrei tenuto qui, ma Coventry ha addotto una giusta osservazione. Dovrai allacciare dei rapporti e i tuoi contatti sono ben radicati a scuola. Quindi ti permetterò di tornare a Eton, almeno per il resto dell’anno scolastico. Rimanderemo la decisione al prossimo termine.».
Doveva al conte molto più di quanto immaginasse. Non aveva mai pensato che suo nonno gli avrebbe permesso di tornare a scuola. «Grazie.».
«Aspetta a ringraziarmi.» disse il nonno burbero. «Ci aspetta molto lavoro per prepararti al ruolo di duca.».
Era appena diventato conte e doveva già preoccuparsi del titolo di suo nonno? Il titolo di Southington non veniva più trasmesso per eredità, ma non glielo avrebbe ricordato. Jonas avrebbe solo voluto accoccolarsi e dormire per giorni, anzi no, per settimane. Tuttavia, quello era un comportamento da codardi e lui si rifiutava di arrendersi. «Dov’è la mamma?».
«È andata a vivere con sua sorella.» rispose. «Tua madre è troppo delicata per vivere a Southington. Non preoccuparti. Tuo padre ha fatto in modo che non le mancasse nulla.».
Sua madre lo aveva abbandonato? Era sempre stato più vicino a suo padre, ma… lei l’aveva lasciato da solo con il duca pur conoscendo la sua natura rude. Non temeva di usare il pugno di ferro per esprimere un’opinione. Il titolo degli Harrington era prestigioso, ma lui non avrebbe avuto il controllo della tenuta ancora per molti anni. Disponevano di molti fondi purché facessero ciò che voleva il duca. Suo padre aveva deciso di tagliare i ponti il più possibile con Southington. Vivevano in una piccola villa a Londra e suo padre aveva investito in una proficua compagnia di spedizioni con le entrate che aveva a disposizione. Non vivevano nel lusso, ma si erano sentiti a proprio agio.
La cosa non aveva reso felice il duca ma, d’altra parte, nulla lo rendeva felice. Gli piaceva avere il controllo della sua famiglia, e perderlo lo avevo portato a tagliarli fuori dalla propria vita. Questo finché suo padre non era morto e lui aveva visto l’opportunità per tornare indietro. Ora Jonas era sotto la sua tutela finché non avrebbe avuto pieno accesso alla sua eredità. Non era una somma enorme, ma sarebbe stata sufficiente per liberarsi da lui.
«Posso congedarmi?». Il duca lo colpì con un pugno in bocca, cogliendolo di sorpresa. Jonas scattò involontariamente all’indietro, ma poi riprese subito il controllo. Alzò lo sguardo e fissò il duca negli occhi, ripetendo la sua domanda: “Posso congedarmi, ora?”. Congedarsi senza permesso avrebbe prolungato la tortura e lui non voleva un altro pugno in faccia né da nessun’altra parte.
Il duca annuì e Jonas se ne andò il più in fretta possibile. Non corse via come avrebbe voluto perché non avrebbe ceduto al bullismo del duca. Se fosse uscito di corsa dalla stanza, suo nonno avrebbe trovato un motivo per farlo rimanere. Invece, camminò a passo svelto e costante fino alle sue stanze. Solo allora, dopo aver chiuso la porta e ottenuto la sua privacy, cedette alle emozioni che lo tormentavano. Alla fine, le lacrime che aveva trattenuto fluirono liberamente e pianse suo padre.
Londra, 1812
Jonas prese il bicchiere di brandy sul tavolo e ne bevve un sorso. Lo posò di nuovo e fissò le carte che aveva in mano. Fino a quel momento, la fortuna non era stata dalla sua parte e stava continuando a perdere i fondi che aveva. Avrebbe dovuto rinunciare già da tempo ma, stoltamente, pensava che avrebbe vinto se avesse continuato a giocare. La libertà lo aveva condotto fuori strada invece di portargli la felicità. Imparò presto che quest’ultima era un’emozione sfuggente non adatta a lui.
«Penso che per stasera possa bastare.» disse Jason Thompson, Conte di Asthey. Si passò le dita tra i suoi capelli biondo scuro e sorrise come un gatto che aveva catturato l’agognato topo. «È stata una serata produttiva.».
Almeno per uno di loro era andata bene. «Sono d’accordo.». Jonas lanciò le sue carte sul tavolo. «Ho già perso troppo.». E aveva ben poco da poter perdere ancora. Suo nonno controllava buona parte delle finanze. In qualche modo aveva trovato il modo per ottenere il controllo di gran parte della sua eredità. Jonas aveva ottenuto la sua indipendenza un anno fa, ma non era veramente libero. L’unica cosa che gli era rimasta, che il duca non poteva toccare, era una piccola somma che gli aveva lasciato sua nonna materna. Bastava a malapena per sopravvivere. Doveva trovare un modo per aumentare le proprie entrate, ma non riusciva a capire quale.
«È un peccato.» disse Asthey. «Sbancare risolverebbe molti dei tuoi problemi.».
Jonas alzò gli occhi al cielo. «Mi serve più di quanto vincerei con una partita a carte, per risolverli tutti.». Se suo nonno si fosse deciso a tirare le cuoia sarebbe stato di aiuto, e invece no, non accadeva ancora. Il vecchio era troppo stupido per fare qualcosa di così congeniale per liberare il mondo dalla propria meschinità. «Dov’è Shelby?». Gregory Cain, Conte di Shelby, era l’altro membro del trio. Jonas scrutò la stanza alla ricerca dei capelli corvini di Shelby. Erano il suo segno distintivo. Nessun altro aveva i capelli così neri come i suoi. Il suo amico non si vedeva da nessuna parte al tavolo dei giochi.
«Ha trovato una donzella di suo gradimento e ha occupato una stanza per fare un po’ di sport.».
Ovviamente… Shelby era più che dissoluto e adorava ammaliare qualsiasi donna ben disposta nei paraggi. «Dovremmo aspettarlo?».
«Conosce la strada di casa.» rispose Asthey. «Preferirei non aspettare che finisca. Potrebbe volerci tutta la notte o potrebbe finire tra un’ora. È difficile dirlo.».
«Hai ragione.» concordò Jonas. Si alzò, indossò la giacca sul gilè e se la abbottonò. «Io sono stanco e preferirei dormire nel mio letto.».
Entrambi si diressero verso la porta principale ed uscirono. Era ancora buio e, per una volta, era una notte serena a Londra. La pioggia era durata per giorni. Le strade erano piene di pozzanghere e fango. Camminarono in silenzio per alcuni istanti mentre si dirigevano verso una carrozza. Mentre si apprestavano ad attraversare, Jonas si sentì tirare all’indietro. Cadde a terra, sbattendo la testa contro la superficie dura.
«Maledizione.» disse gemendo. «Che vi è saltato in mente?».
«Ho un messaggio per voi.». Un uomo grosso e corpulento torreggiava su di lui.
Jonas alzò un sopracciglio. «Dovrebbe migliorare la modalità di consegna. Non consiglierei i suoi servizi a nessuno.».
«Non ne ho bisogno.» rispose l’uomo corpulento. Jonas non riuscì a distinguere i suoi lineamenti nel buio, ma sentì bene il pugno che lo colpì alla mascella. «Il messaggio non è verbale.».
Il furfante era pronto a sferrare un altro pugno, ma fu tirato all’indietro prima che potesse farlo. Cadde a terra quasi allo stesso modo di Jonas. Che gli serva di lezione… Jonas balzò in piedi prima che l’altro potesse rialzarsi. Si passò una mano sulla mascella dolorante. «Ce ne hai messo di tempo.» disse, voltandosi verso colui che pensava fosse Asthey, ma fu sorpreso di trovare Lord Coventry.
«Dov’è Asthey?».
«Laggiù.» disse Coventry indicando in lontananza. Stava facendo a pugni con un altro furfante. Gli sferrò un duro colpo e l’uomo cadde a terra. «Che cosa sta succedendo?».
«Sfortunatamente, questa è opera di vostro nonno.» rispose. Un accenno di tristezza velava le sue parole. «Ho sentito delle voci ed ero venuto a verificarne la fondatezza.».
«Dunque?» a Jonas non piaceva la piega di quella conversazione. Suo nonno era capace di causare molti danni, se avesse voluto, e sembrava che avesse deciso di usare il suo potere. Doveva ottenere tutte le informazioni in possesso di Coventry per poter elaborare un proprio piano. I contatti di suo nonno erano estesi e la sua portata lo era ancora di più. Per batterlo al suo stesso gioco, Jonas avrebbe potuto trovarsi costretto a giocare sporco.
«Visto come stanno le cose, temo che fossero corrette.» rispose Coventry.
Asthey si unì a loro, agitando una mano mentre camminava. «Mi fa più male di quanto io voglia ammettere. Forse dovrei imparare un paio di cose su come sferrare correttamente un pugno.».
Coventry annuì, «Potrei essere in grado di aiutarvi entrambi.». Poi si rivolse ad Asthey: «Andate dentro e chiamate il vostro amico Shelby. Ho una proposta per tutti voi.».
Asthey non si oppose all’ordine di Coventry, annuì e tornò nell’inferno del gioco. Jonas lo osservò finché non scomparve all’interno, poi si voltò verso Coventry. «Che cosa sapete?».
«Molto più di voi.» rispose in modo criptico, «Il duca ha dei piani per voi e non è contento della vostra riluttanza nel seguirli.».
«È una situazione che conosco fin troppo bene.». Si augurava che il vecchio lo lasciasse da solo. «Era questo il suo piano per costringermi ad andare a Southington?».
«Non sono del tutto sicuro di ciò che sperava di ottenere stasera.» ammise Coventry. «So che lo ha organizzato, e sono qui per aiutarvi, se me lo permettete.».
Jonas era stanco di combattere costantemente contro suo nonno. Doveva esserci un modo per impedirgli di seguirlo ovunque. «Che cos’avete in mente?».
Asthey e Shelby uscirono dall’edificio e li raggiunsero. Shelby portava la cravatta in mano e si stava raddrizzando la giacca. «Spero che sia importante.» mormorò Shelby, «Quella donna era…».
«Non ci serve saperlo.» disse Asthey, interrompendolo.
Coventry sorrise. «Credo che vi troverete bene.».
«Non vi seguo.» disse Jonas, poi si accigliò. «Trovarci bene dove?».
«In un club molto speciale.» rispose lui. «Venite. Vi spiegherò tutto, anche come vi aiuterò con Southington, con la vostra vita sociale, e persino finanziariamente, se lo desiderate.».
Non capiva come un club potesse fare tutto ciò, ma era disposto ad ascoltare Coventry. Lo aveva salvato da una rissa e, finché lui avesse avuto i suoi due amici al proprio fianco, non ci vedeva niente di male. Avrebbero potuto decidere insieme se ne valeva la pena. Erano amici da così tanto tempo.
Seguirono Coventry fino a una carrozza e vi salirono. Percorsero facilmente la strada acciottolata. L’interno era elegante e i sedili piuttosto comodi. Jonas non era mai salito su una carrozza così comoda. Dopo un breve tragitto, la carrozza si fermò. Scesero e si trovarono davanti ad un’elegante villa con una “W” incisa sulla porta. Dov’erano? Che cosa aveva detto Coventry in precedenza? Qualcosa a proposito di un club.
«Dove siamo?» chiese Asthey, dando voce ai pensieri di Jonas.
«Non mi sembra granché.» rispose Shelby. «Perché ho lasciato da sola quella bella donna?».
Coventry estrasse dalla tasca una chiave con sopra la stessa “W”. La infilò nella serratura e aprì la porta. «Signori, prego, entrate.». Li condusse dall’atrio fino alla parte principale della casa.
L’esterno nascondeva sapientemente la lussuosa decadenza che si trovava all’interno. Un sontuoso velluto decorava le finestre. I divani, le chaise longue e tutte le sedie avevano una combinazione di colori simile, rosso scuro e marrone brunito. Su un lato c’era una lunga ringhiera di ciliegio che avvolgeva una scala elaborata. Sull’altro lato c’era una grande stanza con un camino acceso. Diversi uomini erano seduti a uno dei tavoli e giocavano a carte. Ognuno di essi teneva in braccio una bella donna in abiti succinti. Jonas rimase a bocca aperta per tutto ciò che vide, e non riusciva a credere di non sapere dell’esistenza di quel posto. Si rivolse a Coventry e disse: «Avete la nostra attenzione. Volete spiegarci tutto, adesso?». Continuava a fissare il lusso di ciò che lo circondava.
Coventry sorrise. «Benvenuti al “Coventry Club”. Siete stati nominati per l’ammissione, se volete unirvi. Ci sono delle regole, ovviamente.» li informò Coventry. «Niente di così drastico, credo che le troverete ragionevoli. Mantenere segreto il club e rinunciare all’iscrizione una volta sposati. Solo il leader del gruppo può avere una moglie e mantenere l’iscrizione. Se vi state chiedendo chi sia… attualmente sono io il responsabile del club e dei suoi membri.». Li guardò e chiese loro: «Desiderate far parte di tutto questo?». Allargò le braccia.
Annuirono tutti all’istante. Jonas non ci pensò due volte e neanche gli altri due, probabilmente. Gli eccessi di quel posto li avevano conquistati. Il resto lo avrebbero compreso in seguito.
Era stata una decisione di cui non si era mai pentito…
CAPITOLO UNO
Londra, 1823
Nuvole grigio scuro fluttuavano nel cielo, minacciando di scatenare la pioggia su tutti coloro che osavano camminare per le strade di Londra. Lady Marian Lindsay le fissava mordendosi il labbro inferiore. Non era un buon segno e sperava che quel cattivo presagio non portasse ad un disastroso incontro con Sir Anthony Davis. Non che la pioggia non fosse all’ordine del giorno in Inghilterra, perché sicuramente onorava il Paese con regolarità; tuttavia, la fortuna di Marian non aveva mai gli effetti sperati quando pioveva. Quindi il suo incontro con Sir Anthony era sicuramente condannato.
Tuttavia, aveva intenzione di andare fino in fondo. Aveva dei piani e Sir Anthony era l’ostacolo. Senza il suo consenso, non sarebbe mai entrata nella Royal Medical Society. Loro avevano questa idea sbagliata della medicina e le donne non s’intromettevano. Sperava di fargli cambiare idea e ottenere una buona parola per l’ammissione.
Aveva studiato medicina ed erbalismo per tutta la vita. D’accordo, forse non da così tanto, eppure le sembrava di sì. Il suo interesse era iniziato quasi un decennio prima, dopo la morte di sua zia e suo zio. Entrambi avevano avuto un terribile incidente in carrozza nei pressi della tenuta di famiglia. Suo padre era il Conte di Coventry. Suo zio, il Conte di Frossly, aveva sposato sua zia Belinda ed era entrato a far parte della famiglia. Dopo la loro morte, la madre di Marian si era disperata per il dolore e per la perdita della sua adorata sorella minore.
Da allora, era cambiato tutto nella vita di Marian. I suoi due cugini andarono a vivere da loro e sua madre si ammalò dopo il loro arrivo, lasciando nell’oblio il debutto in società suo e di sua cugina. Non che la cosa le importasse molto, soprattutto quando sua madre cedette alla malattia e se ne andò per sempre. Il suo dolore era stato troppo grande e aveva deciso che voleva di più nella vita. Marian non voleva sposarsi né avere figli. Aveva obiettivi molto più alti, come diventare un vero medico e guadagnarsi da vivere aiutando le persone.
Il che la riportò a Sir Anthony: doveva farla entrare nella società. Quello era il passo successivo per acquisire le conoscenze necessarie per diventare un medico. Alzò di nuovo gli occhi al cielo.
«Ti prego, aspetta finché non avrò finito.» implorò, «Ho bisogno di un po’ di tempo.». Si affrettò finché non raggiunse la casa di Sir Anthony e aprì la porta. Marian entrò mentre la pioggia iniziava a cadere. Batteva sulla strada, creando pozzanghere quasi all’istante. Marian chiuse la porta ed emise un respiro di sollievo.
Qualcuno si schiarì la voce. Lei si voltò e vide due uomini in piedi, che la fissavano con una lieve sorpresa sui loro volti. Il signore più anziano doveva essere Sir Anthony. Aveva i capelli scuri striati di grigio. L’altro gentiluomo era piuttosto bello, addirittura affascinante. Aveva i capelli scuri e dei diabolici occhi blu. Con suo grande disappunto, lo aveva sempre trovato attraente, e non perché fosse il maschio più bello che avesse mai visto. C’era qualcosa in lui che le faceva battere forte il cuore nel petto. Il corpo di Marian era pervaso da un’energia indescrivibile. Jonas Parker, lo stimato Conte di Harrington, la metteva sempre messa a disagio e, a volte, credeva che lui ne fosse consapevole. Accidenti a lui. «Buongiorno, milord.» lo salutò Marian, poi si rivolse all’uomo più anziano. «Sir Anthony.». Sperava che la sua intuizione fosse corretta e che fosse lui l’uomo che lei credeva, o sarebbe stato imbarazzante…
«Lady Marian.» disse Lord Harrington con voce lenta, «Vostro padre sa che siete qui?».
Accidenti. Era ovvio che quella sarebbe stata la sua prima domanda ma, almeno, non aveva sbagliato persona. «Mio padre è a conoscenza delle mie attività.». Non era una completa bugia. Lui sapeva che sperava di diventare medico e la assecondava. Certo, non credeva che ci sarebbe riuscita, ma lei aveva intenzione di dimostrargli che aveva torto. Gli uomini avevano tutti i vantaggi nella società e le donne avevano poca voce in capitolo. Una situazione che odiava dal profondo della sua anima. «Non siate in pensiero per me.».
«In che modo possiamo esservi di aiuto?» le chiese Sir Anthony. «La pioggia vi ha costretta ad entrare?».
Lord Harrington alzò un sopracciglio, «Non credo sia questo il motivo.». Continuava a guardare Marian, irritandola. Stava osservando troppe cose e lei non gradiva quell’esame. «Siete qui per via del vostro piccolo progetto, non è vero?».
Chiunque conoscesse suo padre, e quindi lei, era consapevole del suo desiderio di diventare medico. Suo padre si vantava del suo “hobby”, anche se dubitava di lei. Era il suo modo di sostenerla. Non che fosse granché né un segno di approvazione, ma finora era riuscito ad aiutarla nella sua ricerca. «E se fosse così?» alzò il mento, «Mirate ad impedirmi di compiere il passo successivo?».
Lui allungò le mani. «Lungi da me l’ostacolare una donna intellettuale in missione. Di fatti, esponete la vostra argomentazione e vedremo se Sir Anthony è disposto ad aiutarvi.».
Sir Anthony guardò entrambi, ma Marian se ne accorse a malapena. Era irritata più di quanto avrebbe dovuto essere. Lord Harrington era stato “gentile” a concederle la parola… che uomo sardonico, arrogante e presuntuoso. Alzare gli occhi al cielo non l’avrebbe aiutata a convincere Sir Anthony ad ammetterla nella Royal Medical Society. Fece un respiro profondo per calmarsi. Offenderlo mentalmente non avrebbe giovato ai suoi obiettivi. Doveva ricomporsi e cercare di mostrare il meglio di sé a Sir Anthony.
«Richiedete il mio aiuto?» chiese Sir Anthony, dandole tutta la sua attenzione, «Di che si tratta?».
«Ecco…» iniziò lei. Era molto più difficile di quanto pensasse. «Avrei una richiesta che spero accettiate.».
«Oh.».
Tutto lì. Non aggiunse altro né la incoraggiò a continuare. Lord Harrington, la canaglia, si appoggiò ad un tavolo vicino e incrociò le braccia sul petto. Aveva un sorriso malvagio sul quel viso troppo bello. Se Marian non fosse stata una donna, avrebbe fatto di tutto per cancellare quel sorriso compiaciuto. Qualcuno doveva tenerlo a bada, forse non sarebbe stato più così condiscendente.
«Studio per diventare medico da molto tempo e…».
«Davvero?» Sir Anthony si accigliò, «E vostro padre ne è al corrente?».
«Sì, certo.» rispose lei, «Come ho già detto, è a conoscenza delle mie attività.».
«È un’intellettuale.» aggiunse Lord Harrington, «Si sa come va quando hanno un’idea in testa. È per questo che non l’ho fermata quando è venuta, se ricordate.».
Marian si arrese e alzò gli occhi al cielo, non poteva più trattenersi. Perché doveva sentirsi così attratta da lui? La faceva arrabbiare in più modi di quanti ne immaginasse, eppure era l’unico uomo per il quale il suo corpo si animava. Lo odiava per questo. «Grazie, milord.» si stampò un sorriso sul viso, «Dispensate consigli brillanti.».
«È il minimo che io possa fare.» rispose lui con quella sua voce peccaminosa. Le fece venire i brividi lungo la schiena. «Come potete vedere, Sir Anthony è piuttosto scandalizzato dal vostro “hobby”. Ha perso la parola per lo shock.».
Accidenti a lui, aveva ragione. Sir Anthony la fissava come se fosse un insetto da studiare a lungo. Non diceva una parola da diversi secondi. «Speravo che avreste favorito la mia ammissione alla Royal…».
«Assolutamente no.» rispose lui con veemenza, «Le donne non diventano medico né studiano alcunché. Non capisco questa generazione e il bisogno di ficcare il naso in cose di cui è meglio non fare parte.».
«Alcune donne trovano interessanti la scienza e il sapere.» disse Marian, alzando la testa in segno di sfida. «L’intelligenza è una risorsa piuttosto interessante a cui ispirarsi.».
«Touché.» concordò Lord Harrington, «Ma io farei un ulteriore passo avanti e suggerirei che, in una donna, ci sono cose che un gentiluomo trova più attraente di ciò che è nella sua testa.».
Lei scosse la testa, «Non sono venuta qui per discutere delle qualità che una persona cerca in un potenziale coniuge. Io voglio diventare un membro attivo della Royal Medical Society.».
«Non succederà, mia cara. Temo che alle donne non sia permesso e non lo sarà mai.». Sir Anthony raddrizzò le spalle, preparandosi alla battaglia. Bene, lei aveva intenzione di dargli qualcosa per cui combattere.
«“Mai” è un tempo troppo lungo da rispettare.» rispose Lady Marian, «Volete limitarvi quando ci sono infinite possibilità se accettasse la loro ammissione?».
«Non dipende da me.» le disse Sir Anthony, «La Società ha delle regole per un motivo. Andate a casa e dedicatevi a qualcosa di più femminile. È meglio così.».
Lei restrinse lo sguardo e serrò le labbra. Femminile? Lui era molto peggio di Lord Harrington. Almeno il conte fingeva di darle lo spazio per discutere della sua posizione. Sir Anthony era un lacchè vecchio stile. Pensava che, sottolineando i suoi tributi femminili, l’avrebbe convinta ad abbandonare la sua vocazione per dedicarsi al ricamo. Perché un uomo poteva fare tutto ciò che voleva, mentre una donna aveva alternative inadeguate? Se lei avesse deciso di dedicarsi alla pittura o al pianoforte, l’avrebbero incoraggiata. Diventare medico, invece? Era un’idea ridicola.
«Grazie per il vostro saggio consiglio.» rispose Marian con falsa dolcezza, «Vi lascio a ciò di cui stavate discutendo. È ora che io torni a casa. Buona giornata.». S’inchinò e si voltò verso la porta.
«Aspettate.» disse Lord Harrington facendo un passo avanti, «Vi accompagno.».
«Non ce n’è bisogno.» lo informò lei. Marian non voleva che la seguisse fino a casa. Se avesse parlato con suo padre, sarebbe stato peggio del fallito tentativo di entrare nella Royal Medical Society. «Sono arrivata qui in sicurezza senza accompagnatori. Non ne ho bisogno per ritrovare la strada di casa.».
«Può darsi.» rispose lui cordialmente, «Ma rimarrò al vostro fianco durante il tragitto, insisto. Non mi perdonerei mai se vi succedesse qualcosa che io avrei potuto impedire.». Un angolo della sua bocca si curvò in modo sensuale. «Ammiro vostro padre e solo per questo vi scorterei fino ai confini della Terra. Nulla di ciò che direte mi farà cambiare idea.».
Accidenti a lui. Lo maledisse per la millesima volta nel giro di mezz’ora. Di questo passo, avrebbe iniziato a farlo ad alta voce. Non avrebbe mai vinto in una discussione con lui. Il modo più semplice sarebbe stato assentire, ma ciò la irritava comunque.
«Bene.» rispose lei, «Faremo come dite.».
«Succede sempre così.» ribatté lui, «Buon per voi che abbiate ragionato.». I suoi occhi blu brillavano di malizia. Era un presuntuoso mascalzone.