Cesare D'Arconte
Giacomo, suo figlio
Gigetta
Nellina
Don Candido
Sofia
Ester
Zia Fanny
Due servi
Un salotto molto signorile. Una porta nella parete di fondo. Due porte laterali. Quella a destra è la comune. Tra la mobilia – di una eleganza severa – c'è un tavolino, verso il lato sinistro, e c'è un basso divano, addossato alla parete di fondo, tra l'uscio e l'angolo a destra. 1
(è un uomo sulla cinquantina, alquanto emaciato. Il suo sguardo è scialbo, spesso smarrito nel vuoto. I suoi occhi sono cerchiati di livido. Il volto è pallido, ma gli zigomi sono come macchiati di rosso. Egli ha un portamento da gran signore e veste con sobrietà e raffinatezza. – È sdraiato su una poltrona, accanto al tavolino, con le gambe a cavalcioni, dondolando un piede. Cava da una saccoccia un massiccio portasigari di argento, piglia un grosso avana e l'accende.)
(Dal fondo, entra il Servo, recando un piccolo vassoio con una tazza, con la zuccheriera e con una caffettierina. Tutto è squisitamente elegante.)
I liquori. (Si versa egli stesso il caffè.)
(lascia il vassoio sul tavolino, esce dal fondo, e, alla svelta, ritorna, recando, in un altro vassoio, il servizio dei liquori: bottiglie, bicchieri e bicchierini.)
(sorseggiando il caffè) Un Cognac.
(versa il Cognac.)
Avete portato il caffè alla signorina?
(ha l'aria di non capire.)
Alla signorina Nellina… Fate lo gnorri?
Ah, alla signorina… Nellina…
Ci sono forse altre signorine, in casa?
Non ho portato il caffè alla signorina Nellina, perchè, di solito, dopo la colazione, lei va a prenderselo da sè, in cucina.
Da oggi innanzi, penserete di servirlo a lei come lo servite a me e a mio figlio.
Certamente. (Esce.)
(un po' pensoso, ma non inquieto, manda in su grosse boccate di fumo. Poi, beve d'un fiato il Cognac.)
(Entra Don Candido dalla porta a destra.)
(età ambigua, viso spelato, faccia di prete spretato: un aspetto di persona molto zelante e untuosa. È vestito di scuro, con una redingote troppo lunga, alquanto frusta, ma ben pulita. Ha in mano un piccolo ramoscello di ulivo.) Riverisco, signor Cesare.
Oh, vi si vede?
Un po' tardi?
Crederei.
È domenica delle palme, signor Cesare: ho dovuto…
Prendere parte alla messa cantata?
Questo no. Ma sono giornate in cui, diciamo così, non ci si sbriga sùbito, in chiesa. (Porgendo il ramoscello di ulivo) Posso offrirvi?..
Grazie, non ne prendo. Mettetevi il ramoscello di ulivo… dove meglio vi piace, e sedete, perchè dobbiamo parlare.
(infila il ramoscello fra lo sparato della camicia e il panciotto, con le punte di fuori, le quali gli sfiorano quasi il mento, e siede di fronte a Cesare, in atto di obbediente attesa.)
Oggi, caro don Candido, la vostra funzione di mio amministratore e segretario assume una importanza speciale.
Ne ho piacere.
Faremo una liquidazione.
Ne ho dispiacere.
Se non sapete di che si tratta…
Una liquidazione è quasi sempre determinata, diciamo così, da un fallimento.
Io non sono fallito: voglio soltanto ritirarmi dagli affari.
Mi permetterei domandarvi quand'è che avete avuto degli affari.
Mio Dio, ho avuto… delle donne.
Le chiamate affari?
Affari di cuore.
Di cuore?! (Ride un po' di un piccolo riso falsamente stupido.)
La vostra incredulità è semplicemente bestiale. Io le ho sempre amate molto le donne.
Benissimo.
Ma già, che potete capire, voi? Io ho amato ogni donna con la quale ho avuto qualche… dimestichezza, e ho cercato di avere qualche dimestichezza… con ogni donna che ho amata. Questo è tutto.
(risolino) Eh eh!..
La varietà non esclude la intensità. Raramente, mio caro Don Candido, l'amore – che è poi una tirannica necessità di godimento complesso – raggiunge in altri uomini quel grado di spasimo e di frenesia che raggiunge in me.
E vi ritirate dagli affari?
(correggendosi) Non pigliate alla lettera le parole che ora mi sono uscite di bocca. Mi riferivo al passato. Mi riferivo a ciò che è accaduto in me sino a quando… ho sentita… la possibilità…
Diciamo così, della dimestichezza.
Diciamo come volete.
Diciamo come vogliamo, ma io, alla faccenda del ritiro, non ci credo. (Fregandosi le mani) Non ci credo, non ci credo!
Be', perchè non ci credete?
(risolino) Eh eh!.. Quel che si vede, si vede.
Ma che cosa credete di vedere, voi? Sentiamo.
Credo di vedere… che… se si ha sotto mano un bocciuolo di rosa come quella piccina, che, per fare una buona azione, vi siete cresciuta in casa… non è molto facile… ritirarsi dagli affari.
(lasciando trasparire la sua compiacenza) Sicchè… non vi sembra sgradevole la «piccina»?
(con un lampo di cupidigia) Tutt'altro! (Poi, rivolgendo immediatamente gli occhi al cielo) Sarebbe ingiusto disconoscere che la Provvidenza non le è stata avara.
(con umoristica severità) Don Candido!
Che è?
Voi avete fatti gli occhi lucidi!
Io ho fatto gli occhi lucidi?.. Non me ne sono accorto.
Me ne sono accorto io.
Sarà stata la espressione spontanea del mio animo di buon credente al pensiero di quella cosa divina che si chiama la Provvidenza. (Con le braccia in atto ascetico e gli sguardi rivolti di nuovo al cielo) Voi lo sapete che io sono un…
Un orangutango.
Un orangutango?!
Precisamente! Sotto la veste del santone, in voi si nasconde il bruto, signor mio!
Si nasconde il bruto in me?!
O che vorreste dire che si nasconde in me?
Non oserei.
Perchè non lo pensate.
Perchè non lo penso.
Ecco. (Pausa.) (Un po' turbato e nervoso) Volete un Cognac?
Io no: mai!
Un Whisky?
Niente, niente.
Io, sì. (Versa in un gran bicchiere il Whisky e l'acqua di soda.)
In verità, almeno di mattina, dovreste astenervene anche voi. Questi liquori vi bruciano.
Visto che mi piacciono, lasciate che mi brucino. (Beve avidamente mezzo bicchiere di Whisky. – Dal portasigari, cava un altro avana e lo accende. Poi, con un lievissimo tremito nella voce:) Dunque… dove eravamo rimasti?
Al bruto.
Sicuro: al bruto. (Pausa. – La sua fisonomia muta, atteggiandosi a una curiosa ed amara intimità.) Ditemi un po': quante volte avete cercato di raccogliere le briciole cadute dalla mia mensa?
Signor Cesare!
Credete che io ve ne rimproveri?
Ma… mi maraviglio!
Sono gl'incerti di ogni intelligente segretario come voi.
Mi addolorate parlandomi così.
(sempre più intimo) Ora, per esempio, ci sarebbe una briciola abbastanza preziosa; ma… vi prego di rinunziarci, perchè… è molto attaccaticcia. Se si attacca a voi, mi parrà di non essermene ben liberato io.
Questa sarebbe, diciamo così, la liquidazione?
Appunto. Io liquido la Gigetta.
Ah?
Alquanto matura, ma… ancora…
Senza dubbio.
E mi pare onesto il metterla in libertà prima che le rughe la costringano al riposo.
Una certa libertà glie l'avete già concessa da un pezzo…
Naturale! Benchè ne fossi stato innamoratissimo in illo tempore, sono circa otto anni che non ho con lei che qualche rapporto… di condiscendenza. Ella avrebbe avuto tutto l'agio di fare il comodo suo.
Lo ha fatto? Lo ha fatto?
No, povera diavola! Avendo ottenuto da me… un singolare favore… un favore che, modestia a parte, nessun altro uomo le avrebbe reso, ella mi si è mostrata sempre riconoscente e devota fino alla esagerazione. Ed è proprio per questo che non ho mai saputo avere l'energia di troncare completamente.
Ma poi, diciamo così, tutto a un tratto…
Tutto a un tratto, non so come, sono stato vinto… dal bisogno urgente di non avere più nulla di comune con lei.
Benissimo. (Breve pausa.) Glielo avete detto?
E no. Glielo dovete dire voi.
Io?!
Vi munirò di una letterina per avvertirla che vi ho incaricato di compiere una delicata missione, e voi ve la caverete… con due parole.
Temo che non le basteranno.
Io vi prego sul serio di essere laconico ed esauriente.
Ma, in conclusione, mi ci mandate con le mani vuote?!
Vi affiderò, beninteso, la piccola somma che le ho destinata. Sarà una buon'uscita ragionevole. In fondo, io non avrei nessun obbligo verso di lei. Quando l'ho conosciuta, non era che una cosuccia di second'ordine. Ha vissuto per dieci anni come una gran signora… Non ha di che lamentarsi. Adesso, il mio pourboir le permetterà di non aver troppa fretta, e di questo io sarò molto contento. Le donne di quel genere, caro don Candido, se hanno troppa fretta, si discreditano, e allora… non c'è rimedio: sempre più giù, sempre più giù, irreparabilmente.
(con gli occhi afflitti e pietosi) Eh!.. non ne parliamo!
Sì, meglio non parlarne, perchè la cosa non è allegra. Suol dirsi che la prostituzione sia la vendetta delle donne contro gli uomini; ma è molto difficile che esse medesime non restino miseramente vittime della loro vendetta. (Rannuvolandosi)… E anche l'uomo più cinico ne è talvolta… conturbato! (Si alza)… Vado a scrivere la lettera e a prendere il danaro. (Esce dal fondo.)
(resta seduto tutto compunto.)
(Entra Nellina dalla porta a destra, e si avanza lenta, molle, quasi sciatta, tutta intenta a fumare una sigaretta. La fuma con evidente inesperienza, tenendola fra le labbra strette e protese e soffiandovi dentro. – Don Candido, che ha le spalle verso la porta da cui Nellina è entrata, non si accorge di lei. – Ella, abituata alla presenza di lui, non gli bada neppure. Un po' di fumo le va in gola. Tossisce. Don Candido si volta.)
Oh, siete voi, Nellina?
(come se non avesse udito, continua ad occuparsi soltanto della sua sigaretta.)
(con maraviglia) Fumate?!
(seccamente) Sì.
Se vi vede il signor Cesare!..
Me le ha date lui le sigarette.
(con una smorfia furba) Ottimamente. (Abbassa gli sguardi a terra, riunisce le mani sul petto, e la guarda di sottecchi.)
Ohè!.. Perchè mi guardate?
Ma io… non guardo che il pavimento. (Fissa gli sguardi sul pavimento per mostrare di aver detto il vero.)
No. Mi stavate guardando con lo sguardo di sbieco.
Vi giuro che v'ingannate.
Uhm! Non è la prima volta che vi ho sorpreso a guardarmi in un certo modo.
(come scandalizzato) Ma, dico: per chi mi prendete?
(freddamente astiosa) Per una robaccia.
Per una robaccia?! Insomma, io sono perseguitato dalla calunnia! (Continua a guardare a terra.)
(Breve pausa.)
(si accosta al tavolino, sceglie un bicchiere e vi versa il Whisky e l'acqua di soda.)
(levando gli occhi) Anche il Whisky?
Il signor Cesare mi ci sta abituando.
E voi?..
Perchè no?.. Mi piace. (Beve.)
Benissimo!
(coi gomiti appoggiati al tavolino, ora lo osserva attentamente.) Siete tutto pulito, oggi!.. Che cosa avete lì, che vi spunta dal panciotto?
Oggi è la santissima domenica delle palme. Questo è un ramicello di ulivo benedetto.
(gli mette la mano nel panciotto, e tira fuori il ramoscello.)
Ve lo pigliate?
(senza rispondergli, lo guarda con una curiosità mista di disgusto.)
Adesso, diciamo così, siete voi che guardate me.
Mi viene la voglia di cacciarvi il ramicello di ulivo in un occhio. (Gli sfiora, difatti, un occhio con la punta del ramoscello.)
(alzandosi) No!.. Che vi salta in mente?! Mi accecate!
Robaccia!
(preso dalla stizza e da una repentina sensualità cattiva) Se non state tranquilla, io vi afferro.
(sfidandolo con rabbioso disprezzo) Fatelo! Fatelo! Voglio vedere come lo fate!
(ghermendola forte per le spalle e stringendo i denti) Siete la più terribile delle birichine!
(entra all'improvviso e, con austerità collerica, esclama:) Don Candido!
(scostandosi da Nellina con un soprassalto, e confondendosi un poco) Mi voleva… mi voleva… accecare… Non dovevo difendermi, io?
(a Nellina:) Lo volevi accecare!
(mostrando il ramoscello, senza guardare nè Cesare, nè Don Candido) Già.
(a Don Candido:) E voi, col pretesto di difendervi, facevate… l'orangutango?
Ci siamo all'orangutango!
(lo fissa, tentennando il capo in segno di rimprovero.)
(per darsi un'aria disinvolta, con una mano finge di spolverare una manica della redingote.)
No, no! Lì non ce n'è polvere. Dovreste spolverare piuttosto la vostra coscienza!
È così spolverata!
(gli si avvicina e gli consegna due buste: una chiusa, l'altra, più grande, imbottita di biglietti di banca; e gli dice sottovoce:) Questa è la lettera, e questo è…
Ho capito.
La cifra è scritta sulla busta.
(guardando la cifra, torce il muso ed alza le sopracciglia come per dire: «troppo poco, non ce la facciamo!»)
Siate molto cortese, ma…
… laconico ed esauriente.
Senza lavorarvi la piazza per conto vostro. Mi spiego?
Che castigo di Dio è la calunnia!
Andate, andate, don Candido.
Benissimo. (Esce a destra.)
(tenendo d'occhio Nellina, relativamente impacciato, in silenzio, si sdraia sopra una poltrona.)
(tira fuori da una saccoccia un piccolo portasigarette di metallo bianco e una scatoletta di cerini; si caccia fra le labbra un'altra sigaretta, l'accende, e, affaticandosi a fumare come dianzi, lentamente, sciattamente, si avvia verso la destra.)
Nellina!
(si ferma senza voltarsi.)
Mi fai il favore di non dare tanta confidenza a quell'imbecille?
(alza le spalle con noncuranza.)
Già, in generale, tratti con troppa familiarità anche i servi di casa.
(voltandosi appena) Fino a poco tempo fa, mi lasciavate sempre in loro compagnia.
T'ho tenuta, per altro, come una piccola parente! Se tu fossi rimasta nell'ospizio, dal quale ti ho tolta bambina, non saresti… che una povera operaia. Io non mi vanto; ma tu mi potresti risparmiare questi rimproveri. Che dovevo fare, io? Dovevo condurti attorno con me?
E, dunque, mi sono abituata a stare con i servi.
Ma adesso che io comincio a preferire una vita più casalinga… non c'è ragione che tu vada gironzolando fra le livree.
Io ci trovo gusto.
Malissimo!
Almeno, ai servitori, posso dire tutte le insolenze che mi vengono alle labbra.
A che proposito?
Sono uomini anche quelli. (Con un'altra alzata di spalle, sta per dirigersi di nuovo verso la destra.)
(dissimulando la sofferenza prodottagli dal contegno di lei, e cercando dei pretesti per trattenerla) Ma… stammi a sentire, Nellina…
Cosa?
Tu hai qui (indica a sinistra) la tua stanzetta graziosa. Io l'ho recentemente destinata a te perchè ho creduto necessario che tu avessi un cantuccio tutto tuo. Perchè non vuoi starci mai?
Mi sembra una trappola. Non ci sto volentieri.
E allora, va a trattenerti (indica il fondo) nelle stanze interne. È inutile che tu stia sempre in quelle dove passano tutti, o addirittura in cucina.
(pigramente) Andrò a trattenermi nelle stanze interne. (S'avvia verso il fondo.)
(quando Nellina è sul punto di uscire, irrefrenabilmente scatta in tono di comando:) Resta qui, Nellina!
(si ferma. Indi, con una fisonomia di rabbia chiusa, le sovracciglia aggrottate, la fronte bassa, siede sul divano, ch'è accanto alla porta in fondo, e, raccogliendovi le gambe, si raggomitola tutta.)
(contenendosi e mutando tono) Con questo tuo caratterino dispettoso, mi obblighi ad essere brusco, e poi io stesso me ne dolgo. Certe volte, mi fuggi come se io fossi un tuo nemico. E, ieri sera, fosti… così aspra… così irritante… che io… dovetti fare uno sforzo per non punirti acerbamente!
(fredda, d'una tranquillità acre) Voi stavate per baciarmi. Non voglio essere baciata da voi.
(impallidisce, si confonde, si agita dentro; indi si leva, passeggia su e giù, siede presso il tavolino.)
(entrando dal fondo) Babbo!
(sconcertato) Che c'è, Giacomo!
(si avanza un poco, senza accorgersi di Nellina. Appare cogitabondo, ma calmo e risoluto. Parla a suo padre con affettuoso rispetto.) Puoi darmi qualche minuto?
Sùbito?
Sì, ho premura di parlarti.
Abbi pazienza, Giacomo: in questo momento sono un po' turbato…
(per avvertire della sua presenza Giacomo, fa cadere a terra il suo piccolo portasigarette.)
(ode il rumore, si volta un istante e, nel vedere Nellina, intuisce di essere entrato in mal punto.)
(senza scendere dal divano, raccoglie il portasigarette.)
Appena rimessomi, sarò a tua disposizione.
Va bene, babbo. (Via dal fondo.)
(nervosissimo, guarda i liquori, prende il suo bicchiere e osserva che ce n'è un altro adoperato.) Avete bevuto voi in quest'altro bicchiere?
Sì.
(con reticenza)… Volete ancora?
No.
(Beve sino al fondo.) (Pausa.) (Poi, con la voce più tremula, più roca) Nessuna donna ha mai avuto ribrezzo di me. Ed è strano che ne abbiate proprio voi, a cui ho fatto un po' di bene. Non è pudore, no, perchè il pudore non vi consentirebbe certe vostre piccole audacie di sfrontatezza; e non è neppure quell'odio misterioso che voi v'immaginate di nudrire per tutti gli uomini. È bensì una speciale ribellione contro di me: una ribellione sorda e maligna, che mi rende ogni giorno più inquieto, più torbido, più sofferente… più febbricitante!
(ha gli occhi spalancati e biechi, fissi su lui in un misto di paura e di ferocia recondita.)