L’alibi Perfetto

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CAPITOLO CINQUE

Jessie ebbe fortuna.

Mentre entrava nel grande ufficio della Stazione Centrale del Dipartimento di Polizia di Los Angeles subito dopo le otto, cercando di non dare nell’occhio, era in corso una frenetica attività. La squadra del buon costume aveva appena condotto un raid notturno, mettendo allo scoperto un’ampia cerchia di prostituzione. Tutta la centrale era piena di prostitute, magnaccia e clienti.

In definitiva, nessuno la notò mentre lei andava a prendere posto alla sua scrivania. Addirittura Ryan, che stava aiutando un agente a contenere la furia di un cliente iracondo, non la vide avvicinarsi. Lei invece non poté fare a meno di notarlo. Anche se stavano insieme da diversi mesi e lei ormai conosceva alla perfezione i dettagli del suo aspetto fisico, non cessava mai di sentirsi attratta dal suo fascino.

Con un’altezza di un metro e ottantacinque e poco meno di novanta chili di peso, era fisicamente imponente. Ma come lei sapeva bene, non c’era un grammo di grasso sul suo muscoloso corpo da trentaduenne. Nonostante il busto scolpito, Ryan emanava una sorprendente umiltà e un deciso calore per essere un detective veterano nella sezione omicidi. Aveva un sorriso semplice e teneva i capelli scuri tagliati corti, così da lasciare ben visibili i suoi amichevoli occhi castani.

Quando parlava, il suo tono morbido non lasciava presumere che lui fosse il più celebre detective della sezione speciale omicidi, anche chiamata HSS, che indagava su casi di alto profilo o intenso scrutinio mediatico, spesso con il coinvolgimento di numerose vittime e serial killer. Jessie a volte pensava che avrebbero dovuto dargli una medaglia di encomio per la sua abilità nel districarsi tra il lavoro e la sua relazione con lei.

Cacciando dalla testa i pensieri riguardanti il suo compagno, Jessie si sedette e iniziò a tirare fuori le cartelle del caso delle donne rapite. I dettagli erano scarsi, per lo più perché le donne erano state bendate per buona parte del loro incubo, quindi non erano state in grado di fornire grossi aiuti.

Dopo aver acquisito maggiore familiarità con i fatti, Jessie decise di chiamare il detective principale assegnato al caso di Morgan Remar. Prima di tutto era quello più rilevante per Kat. E poi, il detective incaricato alla Stazione del Pacifico, Ray Sands, aveva un’ottima scheda e una altrettanto buona reputazione come interessato a risolvere i casi più che a seguire severamente le procedure. Magari si sarebbe rivelato disposto ad aiutarla.

“Salve, detective Sands,” gli disse con voce piuttosto informale. “Sono Jessie Hunt. Sono una profiler criminale per la Stazione Centrale. Come va questa mattina?”

“Sono molto impegnato, signorina Hunt. Cosa posso fare per lei?” le chiese, educato ma diretto.

“Speravo di farmi un’idea di quello che pensa di un caso a cui sta lavorando al momento.”

“Di che caso si tratta?” le chiese Sands cautamente.

“Il rapimento di Morgan Remar. Speravo che lei potesse riempire un po’ di buchi.”

“Che interesse ha nel caso, signorina Hunt? Ho sentito parlare di lei e pensavo che la sua specialità fossero gli omicidi, per lo più perpetrati da serial killer.”

“È vero,” confermò Jessie. Decidendo che tutto sommato era meglio essere diretti, gli raccontò la verità. “A dire il vero sto dando un occhio per conto di un’amica, Kat Gentry. La signora Remar l’ha assoldata come investigatrice privata e lei sta trovando delle resistenze nella raccolta di dati sull’avanzamento del caso.”

“Sì, conosco la signorina Gentry,” rispose con tono carico di stanchezza. “È stata diciamo… insistente. Ripeterò a lei quello che ho già detto alla sua amica. Semplicemente non abbiamo molto in materia di informazioni di qualità da poter condividere, a questo punto delle indagini.”

Jessie aveva la sensazione che Sands fosse un brav’uomo, ma che non fosse completamente sincero.

“Detective, mi sta dicendo che dopo un mese e tre rapimenti da parte di quello che è chiaramente lo stesso colpevole, non avete nessuna pista utile?”

Non riuscì a celare lo scetticismo nella propria voce. Per qualche secondo Sands non rispose.

“Senta, signorina Hunt,” disse molto lentamente, enfatizzando con forza ogni sillaba mentre parlava. “Qui lei sta facendo un sacco di supposizioni: la prima, che questi casi siano collegati tra loro.”

“Mi sta suggerendo che non lo siano?” chiese Jessie sorpresa.

“Non lo sappiamo con certezza,” disse lui con tono poco convinto. “Tutti i rapimenti si sono verificati in diverse giurisdizioni. Tutte le donne sono state trovate in zone lontane da dove sono state rapite.”

“Ma sono state tutte tenute per approssimativamente lo stesso periodo di tempo, prima di riuscire a fuggire,” ribatté Jessie. “Sono state tutte rinchiuse in posti dallo spazio contenuto. Avevano tutte più o meno la stessa età e appartenevano alla stessa fascia socioeconomica. Non starà affermando seriamente che non sono collegate tra loro, vero?”

“No,” ammise lui. “Ma non tutti i detective che indagano sugli altri rapimenti la pensano così. E dato che sospetto che chiamerà anche loro, dopo aver parlato con me, voglio essere chiaro e dirle che non sono state tratte conclusioni.”

Jessie sospirò. Comprendeva la cautela di Sands, ma era incredibilmente frustrante.

“Senta, detective. Capisco. È politicamente sensato. E lei non mi conosce. Ma Kat Gentry è una buona amica. E sta tentando di aiutare una donna molto spaventata. Io sto solo cercando di trovare delle risposte che la aiutino a rilassarsi.”

“Pensa che non sappia che Morgan Remar ha paura?” chiese Sands, con tono per la prima volta sinceramente arrabbiato. “Sono stato io a interrogarla in ospedale mentre i medici le facevano dei punti di sutura e cercavano di sistemarle la caviglia che si è distrutta calciando la porta di quel guardaroba per liberarsi. Sono stato io quello che ha dovuto dirle che non c’erano prove utili rinvenute sul luogo dove era stata imprigionata. Sono due settimane che lavoro a questo caso senza sosta, mentre i miei colleghi delle stazioni Mid-Wilshire e West L.A. si sono trattenuti dal condividere ogni informazione. Ho avuto l’approvazione per una task force solo questa mattina. Sono consapevole della situazione, signorina Hunt.”

“Scusi,” disse Jessie, capendo di aver intrapreso il discorso con il piede sbagliato. “Non era mia intenzione suggerire che non le interessa. Io, ecco, mi spiace.”

Sands rimase in silenzio. Jessie lo sentiva respirare rumorosamente. Ma prese come buon segno il fatto che non avesse riagganciato. Prima che lo facesse, provò con un’altra tattica.

“Ha detto che questa mattina le hanno approvato una task force?”

“Sì,” mormorò lui.

“Posso chiedere cos’è cambiato?”

“C’è stato un quarto rapimento.”

“Cosa?”

“È stata trovata ieri a notte fonda a Griffith Park,” disse Sands. “Stesso modus operandi, solo che questa volta l’ha tenuta rinchiusa in una gabbia per cani per quattro giorni.”

“Cavolo,” mormorò Jessie sottovoce.

“Sì,” confermò lui. “Quindi questo ha finalmente convinto la gente del quartier generale a scavalcare i capitani delle altre centrali e farci riorganizzare le nostre risorse. Speriamo di essere pienamente operativi da questo pomeriggio.”

“Chi si occupa del gruppo?”

“Il sottoscritto.”

“Non mi stupisco della sua suscettibilità,” disse, ma poi si rese conto che l’altro poteva non prendere il suo commento come ironico.

“Sta scherzando? Io sono proprio così al massimo del mio fascino,” le rispose, chiaramente non offeso.

“Ok, allora fintanto che ho a che fare con lei quando è così di buon umore, posso farle un’altra domanda invadente?”

“Spari,” disse. “Tanto ormai ci sono abituato.”

“Quattro rapimenti. Nessuna pista per poter identificare il rapitore. Eppure ogni donna è riuscita a scappare. Non sembra strano che un rapitore così esperto sia poi tanto inetto nel tenere prigioniere le sue vittime?”

“Sì,” disse Sands, senza offrire ulteriori commenti.

“Posso supporre dalla sua significativa pausa che anche lei è scettico quanto me riguardo a fatto che nessuna di queste donne sia ‘fuggita’ da sola?”

“Sì,” disse Sands. “Anche se non tutti sono d’accordo con me, io ho la forte sensazione che quest’uomo – e sappiamo che è un uomo – ha permesso alle sue vittime di scappare.”

“Cosa la rende così sicuro?” chiese Jessie.

“A parte quello che ha notato lei – la forte improbabilità che lo stesso uomo che ha catturato tutte queste donne senza farsi beccare sia tanto incauto nel tenerle rinchiuse – c’è dell’altro.”

“Di cosa si tratta?”

“Abbiamo trovato i posti dove teneva ciascuna donna. In ogni caso, non c’era la minima traccia di DNA utilizzabile. Niente impronte. Nessuna prova incriminante di alcun genere. È una cosa difficile da ottenere in altre circostanze, come lei ben sa. Ma quasi impossibile se pensiamo che debba essere tornato dopo la fuga di ogni donna, per poi pulire frettolosamente.”

“Ma non se è stato proprio lui a lasciarle andare,” disse Jessie.

“Corretto,” confermò Sands. “Se ha scelto di lasciarle andare quando ha voluto lui, questo gli avrebbe concesso il tempo per ripulire dopo la loro fuga. Penso sia stato attento fin dal momento in cui le portava nel luogo designato, sapendo che poi il posto sarebbe stato trovato e scrupolosamente setacciato.”

“Perché fare una cosa del genere?” chiese Jessie. “Perché rischiare di lasciarle andare se poi loro potevano essere benissimo in grado di identificarlo?”

“Non dimentichi che erano tutte bendate.”

“Ma non lo erano di certo quando lui le ha prese.”

“No,” le concesse lui. “Ma le tre prime vittime sono tutte certe che lui indossasse una sorta di elaborato travestimento.”

“Però potrebbero comunque fare una stima di altezza e peso, di etnia. Potrebbero essere in grado di identificare la sua voce.”

 

“Tutto vero,” disse Sands.

“Ho l’impressione che qui ci sia sotto molto di più rispetto a quello che vediamo,” disse Jessie pensierosa.

“Anch’io,” confermò Sands. “Purtroppo non ho idea di cosa sia.”

CAPITOLO SEI

Jessie si era messa in una posizione rischiosa.

Solo perché non aveva dei casi attivi al momento non significava che il capitano Decker sarebbe stato felice di saperla diretta a Brentwood per ficcare il naso in un caso con il quale non aveva niente a che fare. Eppure era proprio quello che lei stava facendo.

Caroline Gidley, la vittima scoperta la notte precedente, era ancora priva di conoscenza e non era nella posizione di poter parlare. Il detective Sands l’aveva avvisata che Jayne Castillo, la terza vittima, non aveva voglia di essere interrogata. E dato che la cliente di Kat, Morgan Remar, era fuori città, le restava solo una persona con cui scambiare due parole.

Quando aveva chiesto a Sands se tentare di parlare con la prima vittima – Brenda Ferguson – sarebbe stato un errore, lui le aveva detto che i detective della stazione West L.A. che gestivano i casi sviluppati a Brentwood non sarebbero stati contenti. Ma non le aveva neanche richiesto esplicitamente di non farlo. Anche nella poca esperienza che aveva di lui, Jessie aveva la sensazione che quello fosse il suo modo per dirle di procedere.

Ryan aveva generosamente accettato di farle da copertura alla centrale per tenere la sua assenza alla larga dal radar del capitano Decker. Proprio mentre parcheggiava alla casa dei Ferguson, Jessie lo chiamò per controllare.

“Come vanno le cose lì?” gli chiese.

“Decker è così immerso nelle conseguenze del raid della squadra del buon costume, che non ha neanche notato che non ci sei.”

“Non so sentirmi sollevata o insultata,” rispose Jessie.

“Se ti può essere di consolazione, io sento la tua mancanza,” le disse lui.

Armata di quella sicurezza, uscì dall’auto e si diresse verso la casa. Non aveva chiamato per annunciarsi, per paura che i Ferguson chiedessero spiegazioni ai detective assegnati al caso. E poi aveva scoperto che si ottenevano informazioni più utili quando si prendevano i testimoni, i sospettati o addirittura le vittime di sorpresa. In questo modo non avevano tempo per organizzare i loro pensieri e modificare eventuali dettagli utili.

La casa era impressionante, anche se ben lungi dall’essere appariscente come alcune altre lungo quella via alberata. Era un edificio in stile spagnolo a due piani che si estendeva su un’ampia porzione del lotto di terreno. Il prato che si apriva sul davanti della residenza avrebbe potuto benissimo ospitare un’altra abitazione. Jessie bussò alla porta e dovette aspettare sessanta secondo buoni prima che un uomo sulla trentina venisse ad aprire, guardandola sospettoso.

“Posso aiutarla?” le chiese, mostrandosi allerta.

“Lo spero. Immagino lei sia il marito della signora Ferguson.”

Sì. Sono Ty.”

“Salve, Ty,” disse Jessie con il suo tono più accomodante e accogliente. “Mi chiamo Jessie Hunt e lavoro come profiler criminale per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles. So che Brenda ne ha passate delle belle. Ma speravo di poter scambiare due parole veloci con lei. Sto cercando di elaborare un profilo dell’uomo che l’ha rapita e non ci sono molti dettagli che sono riuscita a estrapolare dalla cartella del caso. Mi sono trattenuta più che ho potuto, come forma di rispetto per ciò che ha passato. Ma parlarle di persona mi sarebbe davvero di aiuto.”

Non era entusiasta di fare quella prima presentazione di se stessa con quelle che erano, al meglio, delle bugie bianche. Ma aveva bisogno di un pass d’accesso, e quella sembrava la via più efficace. Ty non le sbatté la porta in faccia, ma le parve comunque reticente.

“Senta,” disse sottovoce, guardandosi alle spalle mentre parlava. “So che sta solo facendo il suo lavoro. Ma Brenda ne ha passate già tante. Ha ripreso a dormire di notte solo negli ultimi giorni. Ho paura che questo potrebbe riaprire tutte quelle ferite.”

Jessie aveva la sensazione che la sua ritrosia fosse al limite con le sue buone intenzioni e decise che era ora di essere più diretta.

“Non posso promettere che non lo faccia, Ty. Ma sto cercando di scoprire chi sia questo tizio in modo che non faccia del male a nessun altro. Non so se lei ne è al corrente, ma ieri notte è stata ritrovata una quarta vittima.”

“No,” disse Ty, sgranando gli occhi.

“Sì. Ora è in ospedale. Ha una brutta frattura a una gamba, che si è procurata scappando dopo quattro giorni passati chiusa in una gabbia per cani. Francamente, non ci sono indicazioni che questo tizio abbia intenzione di fermarsi presto. Spero che con l’aiuto di Brenda potremmo arrivare a lui prima che prenda una quinta donna.”

Ty sembrava combattuto, ma Jessie poteva vedere come stesse lentamente diventando più incline a lasciarla entrare. Si guardò una seconda volta alle spalle, verso l’atrio.

“Resti qui,” disse alla fine. “Lasci che prima le parli. Magari riesco a convincerla.”

“Grazie,” disse Jessie, ed entrò nel foyer mentre Ty scompariva in una stanza non ben definita in fondo al corridoio.

Jessie sentì dei sussurri sommessi e agitati che continuarono per diversi minuti, poi Ty sporse la testa fuori dalla porta.

“Venga pure avanti,” la chiamò. “Chiuda il portone dietro di lei, per favore.”

Jessie annuì, fece come le era stato richiesto e imboccò il corridoio. Quando svoltò all’angolo, trovò Ty che andava a sedersi a un tavolo accanto a una donna paffuta dai capelli scuri, con gli occhi rossi e un’espressione sofferente. Non sembrava felice di avere ospiti.

“Salve, signora Ferguson,” disse Jessie con voce roca. “Grazie per aver accettato di parlare con me.”

“Lo faccio solo perché Ty mi ha implorato. Mi ha detto della quarta donna. Come sta?”

“Sopravvivrà,” le disse Jessie. “È stata trovato sul ciglio di una strada a Griffith Park con una gamba rotta e diverse ferite di altro genere. Ma da quello che ho capito dovrebbero dimetterla entro la fine della settimana.”

“È sposata? Ha figli?”

“Non penso,” disse Jessie.

“Bene. Già è orribile vivere un’esperienza del genere. Ma è terribile anche per il resto della famiglia. Mia figlia viene nella nostra camera in lacrime quasi ogni notte. Mio figlio ha iniziato a bagnare il letto. Ty si sta occupando di tutto, e sento che sta per crollare.”

“Va tutto bene, tesoro,” disse Ty stringendole la mano. “Sto bene. E i bambini supereranno anche questa. Concentrati su di te. Penso che possa essere di aiuto. Se la signorina Hunt potrà trovare un nuovo modo per acciuffare questo tizio, questo aiuterà tutti a dormire di notte.”

“Pensa di poterlo fare, signorina Hunt?”

“Vi prego di chiamarmi Jessie. E la risposta che spero è sì, con il vostro aiuto.”

Brenda la osservò con i suoi occhi stanchi e annuì.

“Vieni con me, Jessie,” le disse la donna. “Voglio mostrarti una cosa.”

Detto questo si alzò e uscì dalla stanza senza aggiungere una parola di più. Jessie la seguì, voltandosi a guardare Ty, che scrollò le spalle e si alzò a sua volta. Brenda fece strada lungo il corridoio e si fermò accanto a uno scaffale a metà del corridoio.

Allungò la mano e tirò fuori un libro dalla copertina rossa che si trovava all’estremità della mensola. Il libro venne indietro con facilità e poi tornò al suo posto. Jessie udì un sommesso click. Improvvisamente la libreria ruotò indietro come una porta.

Una luce fosforescente si illuminò in alto, mostrando una stanza della grandezza di un piccolo studio. Appoggiata a una parete si trovava una piccola poltrona. Accanto ad essa c’erano due sedie di legno. Al centro si trovava un piccolo tavolino, e nell’angolo stava un minuscolo frigorifero.

A parte qualche rivista e un po’ di libri da colorare e dei pastelli, la stanza era spoglia di ogni divertimento. Alla parete era appeso un vecchio telefono. Su un altro muro era attaccato un grosso poster con la cover dell’album Nevermind dei Nirvana, in cui un bimbo è sott’acqua con le manine allungate verso una banconota da un dollaro.

“Che forza,” disse Jessie, indicando il poster, insicura di cos’altro dire a commento.

“Sì, direi di sì,” disse Brenda. “Lo abbiamo usato perché è abbastanza grande da coprire l’accesso al tunnel che abbiamo scavato sotto la casa fino al cortile davanti.”

“Ok,” rispose Jessie, sorpresa dal tono blando con cui Brenda le descriveva una situazione così poco convenzionale.

“Ti sto mostrando questo perché volevo darti un’idea di come sia la nostra vita adesso. Ho chiesto a Ty di far costruire questa stanza di sicurezza dopo che sono tornata a casa. Non so se sarà realmente utile in caso di emergenza. Ma fino a che non è stata pronta, non sono riuscita a dormire più di due ore alla volta.”

“Capisco,” disse Jessie sottovoce.

“Davvero?” chiese Brenda con tono di sfida.

“Sul serio,” le confermò lei. “Non vi annoierò con i dettagli, ma ho avuto diversi stalker. Ho fatto rifare il mio appartamento per includere diverse misure di sicurezza, usate generalmente nelle banche o nelle strutture del governo. E anche dopo che le minacce imminenti alla mia sicurezza sono state eliminate, mantengo il livello di sicurezza. Quindi capisco cosa vi ha mosso a fare questo.”

Jessie notò che per la prima volta Brenda la guardava come se avesse trovato in lei un’alleata.

“Mi spiace che ti sia successo questo,” le disse. “E puoi chiamarmi Brenda.”

Jessie sorrise.

“Grazie, Brenda. Ti spiace se ci sediamo?” le chiese, indicando la poltroncina.

“Qua dentro?”

“Tanto vale abituarcisi, no?” le disse Jessie.

Brenda guardò suo marito che non aveva detto una parola in tutto il tempo. Lui scrollò di nuovo le spalle.

“Vi aspetto in cucina, così voi due potete avere un po’ di privacy.”

Dopo che se ne fu andato, Brenda premette un pulsante sul muro e la porta si chiuse. Indicò un piccolo interruttore che sembrava essere più o meno nello stesso punto in cui si trovava il libro rosso dall’altra parte. Era contrassegnato dalle parole ‘aperto’ e ‘chiuso’.

“Così nessuno può entrare nella stanza fino a che ci siamo dentro noi, anche se sanno del libro,” disse Brenda.

“Ottima scelta,” disse Jessie. “Altrimenti non sarebbe tanto una stanza di sicurezza, direi.”

Prese l’iniziativa, andò a sedersi sulla poltroncina. Brenda si unì a lei, ma si sedette su una delle sedie vicine.

“Allora,” iniziò Jessie, “so che hai parlato tante volte con la polizia. Ho letto la cartella. Quindi tenterò di non ripetere troppo le loro domande. Io in effetti sono interessata a cose diverse.”

“Tipo cosa?” chiese Brenda incrociando le gambe prima in un senso e poi nell’altro, nervosa.

“Dalla descrizione che avete fornito tu, la seconda e la terza vittima, so che il tuo rapitore indossava degli elaborati travestimenti, incluse parrucche, barbe ed elementi facciali finti. So anche che tutte voi siete state bendate dopo il rapimento. Quindi adesso vorrei concentrarmi di più sulla sua voce. Te la ricordi?”

“Non riesco a levarmela dalla testa,” disse Brenda, “anche se non è che parlasse tanto.”

“Saresti in grado di descriverne il timbro?” chiese Jessie. “Era profonda o alta? O una via di mezzo?”

“Una via di mezzo. Era una voce normale, di tono medio.”

“Ok,” disse Jessie. “E che mi dici dell’accento? Hai notato niente tra le righe? Magari una vibrazione nasale? O un tono più piatto, tipo centro-occidentale? Magari qualcosa che ti ricordava New York o la New England? Usava parole strane che di solito non si sentono in giro?”

“Non ho notato niente di insolito,” disse Brenda, aggrottando la fronte, concentrata. “Io sono di Los Angeles e lui mi è sembrato normale, quindi magari anche lui è di qui?”

“È possibile,” disse Jessie. “E la scelta delle parole? Usava molto slang o aveva un linguaggio più curato? Ti sembrava una persona che avesse studiato molto?”

Brenda si prese un momento per scandagliare la propria memoria.

“Non me lo ricordo parlare in nessun modo elegante. Ma non ricordo neanche che usasse un sacco di slang. Era per lo più un linguaggio piano e standard.”

“Parlava insolitamente lento o veloce?”

Gli occhi di Brenda si illuminarono davanti a quella domanda.

“Magari un po’ più lentamente del solito,” rispose. “Era come se volesse essere sicuro di dire le cose giuste quando parlava. Era molto misurato. È di aiuto?”

“Forse,” disse Jessie. “Esploriamo altre aree. Hai notato un odore particolare?”

 

Brenda fece silenzio e arrossì.

“Cosa c’è che non va?” chiese Jessie con gentilezza.

Pensava che la donna non avesse intenzione di rispondere, ma dopo qualche secondo alla fine prese la parola.

“A essere onesta,” disse quasi in un sussurro, “non ricordo un odore provenire da lui. Qualsiasi cosa abbia usato per farmi perdere i sensi aveva un odore fortissimo. E poi non ho potuto sentire niente se non la mia stessa puzza, prima per il sudore e gli odori del corpo, e poi per… i miei stessi escrementi.”

Abbassò gli occhi e non aggiunse altro.

“Ok, allora andiamo oltre,” disse Jessie rapidamente. “Perché non parliamo di come si comportava più in generale durante la tua prigionia?”

Nel corso della mezz’ora successiva, Jessie venne a sapere che l’uomo non si arrabbiava mai, ma si irritava se Brenda parlava di suo marito o dei bambini. La donna aveva imparato presto che non era il caso di parlarne. Non rideva mai, ma sembrava più felice del solito quando le portava da mangiare nel ricovero in giardino, o quando la lavava con il tubo dell’acqua.

“Sembrava essere esaltato dai momenti in cui io venivo più umiliata,” le disse Brenda. “Diceva che facevano parte del processo di ‘purificazione’.”

Dopo queste ultime parole scoppiò a piangere e non fu più particolarmente utile. Jessie mise fine all’interrogatorio prima che le cose precipitassero del tutto. Quando ebbero finito, entrambi i Ferguson accompagnarono Jessie alla porta. Brenda sembrava stare un po’ meglio di quando l’aveva incontrata all’inizio. Mentre usciva, rivolse a Jessie una domanda.

“Pensi che potremmo avere il nome di quelli che hanno installato i sistemi di sicurezza a casa tua?”

“Certo,” disse Jessie, travolta dal senso di compassione. “Ti mando un messaggio con le informazioni.”

Mentre tornava all’auto, i suoi pensieri divagavano tra diverse varianti di come poteva essere questo rapitore. Solo quando fu arrivata accanto al veicolo si rese conto che tutti e quattro i copertoni erano stati tagliati.