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Read the book: «La plebe, parte III», page 12

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– Che oggetti? domandò con vivo interesse la Gattona, a cui fu impossibile frenare o nascondere un sentimento che era qualche cosa di più di una semplice curiosità.

– Non ho nessuna difficoltà a dirvelo: questi oggetti erano un rosario, un bottone d'argento da livrea ed una lettera di poche parole.

La nonna di Gognino chinò gli occhi alla terra perchè lo sguardo del giovane fisso su di lei non potesse vedere entro essi il turbamento che l'aveva presa. Giovanni si tacque come per aspettare che la donna dicesse alcuna cosa; ed ella, rimasta così un poco immobile e muta, cogli occhi bassi, sentendo che qualche parola bisognava pur dirla, domandò poi, evitando studiosamente d'incontrare coi suoi gli occhi del giovane:

– Or bene, per che modo ci ho io da entrare in codesto?

– Ve lo dico subito. Il vostro nipotino avendo per caso veduto uno di quegli oggetti, cioè quel tal bottone, si lasciò sfuggir detto che voi ne possedevate un altro affatto simile.

La Gattona fu così malaccorta da volersi tosto difendere.

– E che per ciò? diss'ella. Primieramente codesti bottoni da livrea si rassomiglian tutti, e il mio potrebbe anche non essere identico a quello: e poi, quand'anche fosse, chi sa quanti si troveranno possederne di simili, e si avrà da dire che per ciò hanno da aver avuto parte nel trafugamento, che so io di simile, di quel bambino?

Selva sentì nel suo interno un vivo movimento di gioia che ebbe la forza di non lasciar apparire; per lui era oramai quasi una certezza che la sorte li aveva messi sulle buone traccie per iscoprire la origine di Maurilio.

– E nessuno dice codesto: rispose egli con tutta pacatezza. Quanto all'essere o non essere uguali i bottoni è una questione che potrà essere presto risolta qui stesso, perchè voi non negherete di farci vedere quel vostro e noi potremo giudicarne di subito. La vostra seconda osservazione poi sarebbe giustissima se si trattasse d'un bottone da livrea d'una famiglia tuttora vivente e di cui molto facile quindi ve ne sieno di sparsi qua e colà; ma la cosa sta invece che là sopra vi è lo stemma d'un casato da molti anni estinto, e di cui non esiste più nè parentela, ne quasi persona che con esso abbia avuta attinenza. Un oggetto come quello che ha il mio amico non c'è ragione alcuna perchè sia stato conservato, da questa infuori, che la sia una memoria; e l'averne voi uno simile fa supporre che anche per voi esso rappresenti qualche ricordo del passato, manifesti qualche attinenza con quelle medesime persone che posero vicino al fanciullo abbandonato un oggetto compagno.

La vecchia invocò tutti i santi e le sante del paradiso per protestare ch'essa non sapeva di nulla e che la non ci entrava per nulla.

– Ma frattanto, disse allora Don Venanzio colla sua voce calma ed insinuante: avreste voi alcuna ripugnanza a lasciarci vedere quel vostro bottone?

La donna stette un momento in forse: ma poi la voglia vivace che in realtà aveva ancor essa di appurare il vero la spinse ad acconsentire alla richiesta. Andò presso una specie di madia che c'era in un angolo, ed apertala trasse dal fondo un cartoccino di carta, sviluppato il quale, fece brillare il terso argento d'un bottone stemmato. Don Venanzio, a cui la vecchia lo porse, non ebbe che da prenderlo in mano per riconoscere che era affatto affatto uguale a quello di Maurilio; la medesima arma gentilizia: nella parte superiore un mezzo leone rampante in campo azzurro, nella inferiore tre stelle disposte a triangolo in campo d'oro, sormontato il tutto da un cimiero con corona comitale, ed intorno una lista ripiegata con scrittavi in carattere gotico la leggenda: voluntas ardua vincit.

A Giovanni era bastato eziandio un colpo d'occhio per vedere che Gognino aveva avuto ragione e quello posseduto dalla vecchia era tale e quale come il bottone trovato addosso al fanciullo abbandonato. I due amici di Maurilio si scambiarono uno sguardo d'intelligenza, il quale manifestava eziandio in ambedue una certa emozione.

– Non v'è più dubbio nessuno, disse Don Venanzio, i due bottoni sono perfettamente uguali… Voi non vi stupirete, brava donna, se noi crediamo dover pregarvi a dirci come e in che modo questo oggetto è venuto nelle vostre mani, se voi avete avuto alcuna attinenza colla famiglia di cui qui sopra sta in rilievo lo stemma, se finalmente voi potete darci alcuno fosse pur anco lievissimo indizio per venire a capo di argomentare da chi sia stato abbandonato infante il nostro giovane amico, se alcun rapporto ha la sua nascita con alcuno che di poco o d'assai appartenesse a quella famiglia ora spenta… Certo voi potete facilmente smagare ogni nostra domanda colla semplice risposta che già ci avete dato, cioè di non saper nulla: ma pensate, se fosse diversamente, in cosa di tanto rilievo qual carico prenderebbe la vostra coscienza…

– Pensate, soggiunse vivamente Giovanni che per vincere le esitazioni della vecchia pensava più acconci argomenti d'altra fatta, pensate che, se restituito col vostro aiuto ad una ricchezza, ad un nome illustre che gli appartengano, il nostro amico vi ricompenserà più che largamente.

La Gattona stette un poco senza parlare, profondamente riflettendo seco stessa, senza badare forse che queste sue oscitanze, come le parole che già si era lasciata scappare, davano sempre maggior fondamento alla supposizione che essa qualche cosa sapesse di quel segreto.

Quando poi parlò, invece di dare una risposta, fece essa una domanda.

– Poichè essi mi dicono che quell'arma appartiene ad una famiglia che ora è spenta affatto, sanno essi qual nome avesse questa famiglia?

– Si, rispose Don Venanzio. Ho già fatto, parecchi anni or sono, delle ricerche intorno ad essa e non venni a capo di null'altro che di sapere chiamarsi la medesima De Meyrat.

– Ebbene, disse allora la donna, io dirò tutta la verità per quanto mi riguarda e vedranno che la è molto semplice… È vero che quel bottone appartiene alla livrea dei De Meyrat; ed ecco il come si trova in mia mano… Mio marito buon'anima… che la clemenza di Dio gli dia pace nel mondo di là, che in questo, lo scellerato me ne ha fatto vedere di tutti i colori… mio marito era domestico in quella casa. Ne uscì naturalmente, e prima ancora che mi conoscesse, quando il colonnello, ultimo di quel nome, fu ammazzato ad una battaglia di Napoleone… laggiù in Alemagna… che non mi ricordo più come la si dice.

– Lipsia: suggerì Don Venanzio che l'aveva udita rammentare ancora quella stessa mattina dal marchese di Baldissero.

– Sarà benissimo come Lei dice. Alla vendita che si fece di tutta la roba famigliare, si rubò a man salva da ogni parte, e l'intendente, com'è naturale, rubava più di tutti… Mio marito che allora era giovanissimo e inesperto… ah! se fosse stato più tardi avrebbe saputo farla un po' meglio… non portò via che alcuni miseri gioielli e degli abiti, fra cui alcuni da livrea; è vero che di questi seppe scegliere quelli che avevano i bottoni e i galloni di vero argento, lusso che quella famiglia si permetteva, e che ora non si vede più… Come lor signori posson capire, tutta questa roba andò via via fondendo a poco a poco, e quando parecchi anni più tardi io sposai quel benedetto uomo… per mia disgrazia devo dire, ed in quel momento la Beata Vergine mia special patrona ed avvocata mi ebbe levato la sua santa protezione, chè ne ho visto di tutti i colori con quell'animale… basta!, quando lo sposai non rimaneva più che una filza di cotali bottoni; e questi gli uni dopo gli altri andarono ancor essi dall'argentiere, finchè non me ne rimase più che quello lì ch'io ho voluto conservare in ricordo d'un tempo migliore e come memoria del mi' uomo che Dio abbia in gloria… E questa è la verità sacrosanta, parola sacratissima di Modestina Luponi; e voglio che il Cielo mi perfondi se ho detto tanto così che non sia.

In tutto codesto, fosse o no la verità, non v'era lume alcuno da avere per l'intricata quistione cui proseguivano i due amici di Maurilio; e non potendosi essi acquetare così facilmente a rinunciare alla concepita speranza di trovare in quel fatto un bandolo della matassa, vennero muovendo e l'uno e l'altro a vicenda interrogazioni e sollecitazioni ed anco preghiere varie, insinuanti, accalorate; ma tutto inutilmente. La vecchia, lieta in sè stessa di essere da sua parte chiarita di quanto voleva sapere, pensava buona politica per suo interesse di lasciare i suoi interlocutori al buio, affine di poter agire essa sola in proposito e secondo sue convenienze.

I due amici di Maurilio, disperando oramai di vincere l'ostinazione della vecchia, e poco lontani dal persuadersi, che in realtà poi ella non avesse nulla da dire, stavano per andarsene, quando, per fortuna gli occhi di Giovanni Selva caddero sul foglio di carta cui la Gattona stava scrivendo prima del loro arrivo, ed al quale egli, appoggiato alla tavola, aveva sin'allora volto le spalle.

Il giovane mandò un'esclamazione in cui v'era sorpresa, soddisfazione e trionfo, e senz'un nè due s'impadronì di quel pezzo di carta.

– Ah ah! diss'egli agitando in aria come un trofeo lo scritto della Gattona. Oserete ancora negare?

La vecchia non comprese per qual ragione Selva mostrasse tanta gioia di aver trovato quel foglio e paresse considerarlo come una prova a di lei carico: ma tuttavia domandò vivamente che quella carta le si restituisse e fece a prenderla ella stessa colle sue mani d'arpia.

– Piano: disse Giovanni, levando tanto in alto il foglio che la donna non lo potesse arrivare; questo è un documento prezioso che non abbandono più. Ah! voi protestate che del povero bimbo non sapete nulla?.. Va benissimo; ma presso il meschinello, colle altre cose fu trovato anche un biglietto che diceva come foss'egli battezzato e con qual nome, e questo nome essere quello di suo padre; or bene la scrittura di quel biglietto è questa qui, la quale non può essere d'altri che di voi o di qualcuno che è qui con voi e che ci dovete nominare.

Don Venanzio che verificò la cosa essere appunto come Giovanni la diceva, ringraziò la Provvidenza la quale evidentemente si faceva collaboratrice dell'opera loro, e si unì al giovane suo compagno per pressare di questioni la vecchia, che a quel colpo inaspettato rimase allibita e per così dire gittata fuor degli arcioni.

Dopo inutili tentativi di ripigliarsi e combattere quell'evidenza, la vecchia rinunziò ad ogni simile difesa e finì per dire:

– Ebbene sì, molto probabilmente io potrei svelare l'arcano che copre la nascita di quel giovane… Ma è un grande segreto… un tremendo segreto che tremo tutta, solo a ricordarmene… C'è di mezzo una potente famiglia… potentissimi personaggi. Santa Madonna!.. C'è da rifletterci due volte!.. Ora, qui, subito, non posso parlare… Bisogna che raccolga i miei pensieri e le mie memorie… Bisogna eziandio ch'io mi consulti… Ah! non farei mai una cosa di tanta importanza senza sentire il parere del mio confessore… Gesù buono! Si tratta della tranquillità della mia coscienza… Si tratta di così gravi interessi!..

Per quanto dicessero i due amici di Maurilio, nulla valse a rimuovere la vecchia dalla sua ferma risoluzione.

– Ma quando in fin dei conti vi disporrete voi a parlare? domandò poscia Giovanni impazientito.

– Fra due giorni: domando due giorni di tempo per poterci riflettere.

Selva tese verso la vecchia la mano chiusa col solo dito indice puntato al di lei petto in atto di intimazione.

– Badate che cerchereste invano di sottrarvi! Ora che abbiamo posta la mano sopra un bandolo, non lo lasciamo andar più… Guai a voi se tentaste sfuggirci, o prepararvi a deviarci dal cammino della verità!.. Intanto questo vostro scritto, che è sì chiara prova contro di voi, lo conservo appo me.

La Gattona protestò che ella era disposta a tutt'altro che a voler dissimulare il vero, poichè la Provvidenza dopo tanto tempo ch'ella credeva quel bambino affatto perso, aveva voluto così inaspettatamente menarglielo dinanzi; e Don Venanzio e Giovanni, a cui premeva recare le importanti novelle a Maurilio, tornarono con passo affrettato presso di costui, giungendo, come vedemmo, quando appunto aveva termine il colloquio dei due giovani, compagni d'infanzia.

Maurilio, all'udire le rivelazioni recategli dai suoi due amici, rimase sbalordito. Le vaghe speranze che egli aveva pur sempre carezzate nell'animo di poter un giorno penetrare il mistero della sua sorte, non avevano mai preso innanzi a lui un corpo così solido e preciso. La sua fu una commozione che parve quasi uno sgomento. Come avviene quando troppo ardentemente si è anelato ad una cosa da cui dipende la vostra sorte, che all'annunzio dell'effettuarsi della medesima una trepidazione vi assale per cui quasi vorreste tornare addietro e rigettarvi nell'ansia dell'aspettativa e negli stimoli del non appagato desiderio, così Maurilio sentì poco meno che una paura di quell'enimma che accennava voler levare il suo velo e pronunziare il suo motto misterioso: fu lieto di aver ancora due giorni innanzi a sè in cui misurare nelle intime fantasticaggini le audacie segrete della sua anima con quell'ignoto. Non ebbe molte parole: la sua meraviglia non si sfogò che in tronchi monosillabi e in esclamazioni tosto raffrenate, ma il pallore e il rossore che in lui s'avvicendavano e il fremito contenuto della sua voce rivelavano la sua emozione profonda.

Ad un punto si prese fra le sue mani grossolane la sua grossa testa e se la serrò forte, come se vi volesse contenere per entro qualche cosa che minacciasse scoppiare. Un'idea agitatrice gli scombuiava nella mente tutte le categorie de' suoi pensieri. Una domanda gli alitava sulle labbra, che finì per tradursi in parole accompagnate da un vivissimo rossore.

– Quella vecchia disse che in codesto è interessata una potente famiglia… Oh! avrei io dunque illustre sangue nelle vene?

Ah! non era una sciocca e fatua vanità quella che gli metteva a forza sulle sue labbra ripugnanti queste parole. No: nel tumultuoso aggirarsi di idee e di immagini nel cervello in tramestio s'era levata di botto una splendida figura di grazia raggiante e di bellezza: – Virginia!

Se di nobile lignaggio nascesse egli pure, veniva atterrata quella fatale barriera che aveva visto fino allora innalzata ed insuperabile fra sè e l'amata fanciulla. Avrebbe dunque potuto aspirare a possederla!..

Le idee di Don Venanzio, naturalmente, avevano preso un altro corso.

– Quelle parole della vecchia, diss'egli, intorno ad una potentissima famiglia, a potentissimi personaggi, di cui pare ch'essa abbia timore, mi fanno supporre che siavi alcuno interessato a non lasciar ricomparire in mezzo ai suoi il bambino trattone chi sa per che motivi, e chi sa con che mezzi!.. Credo che sarebbe assai bene se potessimo avvalerci poi da parte nostra d'un qualche influente protettore, e penso che potrebbe esser tale per noi appunto il marchese di Baldissero che ha mostrato tanto desiderio di conoscerti, ed a cui ho promesso di presentarti oggi stesso.

Giovanni fu compiutamente del parere medesimo.

Maurilio tacque per un poco: quindi mosse alcune obiezioni, riuscendo a frenare il profondo turbamento a cui era in preda.

Era egli opportuno, era prudente di svelare quel fatto fin d'allora ad un estraneo, senza sapere bene ancora quale sarebbe poi stata la verità che s'aveva da apprendere?

Don Venanzio riconobbe la giustezza dell'osservazione, ma rispose che nel suo concetto non trattavasi già di contar la faccenda subito e senz'altro al marchese, sì invece di introdursi, Maurilio, nella casa e nelle buone di lui grazie, per aver egli più facilmente di poi, quando ne fosse il caso, entratura a parlare a quel potente personaggio di ciò che lo riguardava.

Il giovane non trovò più nulla ad opporre, e mezz'ora dopo Don Venanzio e Maurilio salivano le scale che conducevano all'appartamento del marchese. Come al giovane trovatello battesse il cuore, ve lo lascio pensare.

CAPITOLO XI

Il marchese era in casa ed accolse i due visitatori appena gli furono annunziati. La prima impressione che su lui fece l'aspetto poco grazioso e in quel momento impacciato di Maurilio non fu delle più favorevoli. Dietro le cose scritte da quel giovanetto con tanto calore e tanta sicurezza, il marchese si era formata dell'essere di lui un'immagine ben diversa: e quel nome di Maurilio il quale era pure una delle cause precipue del subito interesse che il vecchio nobile aveva sentito per quello sconosciuto giovane gli aveva ricordato una tutt'altra figura, un tutt'altro tipo da quelli che ora vedevasi venire innanzi nella persona del protetto di Don Venanzio. La timidità e la mala grazia nel primo presentarsi di Maurilio, parvero al marchese una scontrosità diffidente ed un riserbo ostile per natura sospettosa e rozza. Poichè quell'individuo non rispondeva per nulla a quell'idea ch'e' se n'era formato, il marchese fu molto presso a dirsi tosto che avrebbe fatto meglio a non evocare innanzi a sè quello spirito della democrazia così infelicemente incarnato.

Era egli però troppo squisitamente gentile per manifestare nella menoma guisa questi suoi sentimenti. Senza punto muoversi dal suo seggiolone, fece un benevolo segno di saluto ai due che entravano, e colla mano accennò loro due scranne perchè sedessero.

– Eccole quel giovane, di cui abbiamo parlato questa mattina: disse Don Venanzio; cui Ella ha voluto essere così generoso protettore…

E volgendosi a Maurilio, soggiunse:

– Ringrazia il signor marchese, chè gli è proprio a lui che tu devi la tua liberazione.

Il nostro eroe si confuse, arrossì, e come sempre quando non aveva superata quella certa timidità che era in lui, balbettò impacciate parole.

– Certo… signor marchese… la ringrazio… la mia riconoscenza…

Baldissero venne in soccorso della sua confusione.

– Ella non mi deve nessuna riconoscenza. Ho creduto che la sua e quella dei suoi compagni non fosse che una imprudente avventatezza giovanile, abbastanza punita coll'arresto di poche ore… Ed è appunto per convincermi se in ciò avevo ragione che ho desiderato conoscerla e parlarle. Quello che ho letto scritto di suo pugno mi fa troppo temere in lei un nemico della società, e d'altra parte l'affetto e le raccomandazioni del nostro buon parroco per lei sono una guarentigia… Ho caro di convincermi da per me quale ha ragione dei miei timori o della buona idea del mio vecchio amico Don Venanzio.

All'udire il marchese parlare della lettura da lui fatta di quelle sue pagine scritte in segreto per sè, per la effusione segreta dell'anima, pagine che nel suo concetto non dovevano cader mai sotto l'occhio d'un vivente, Maurilio si turbò vieppiù. In parecchi luoghi di quello scartafaccio, l'amore che gli fremeva nell'anima aveva gittato per isfogo delle aspirazioni, dei trasporti, delle estasi in versi concitati e tumultuosi ed in prosa più lirica dei versi. Il marchese aveva egli letto anche quelle pagine? Il nome di Virginia trovavasi scritto in tutte lettere; e quel nome a Maurilio pareva che dovesse fiammeggiare in mezzo all'oscurità delle altre parole come una vivida luce ad attrar l'occhio del riguardante. La fanciulla dell'amor suo non era nomata con più precisa indicazione; ma chi, a suo concetto, non avrebbe dovuto, conoscendola, ravvisare la vera Virginia a cui quelle parole s'indirizzavano? A qual altra donna al mondo si sarebbero potute adattare quelle adorazioni, quegli omaggi, quelle ammirative parole? Secondo lui a nessuna. Il marchese doveva infallantemente nell'idolo a cui era bruciato quell'entusiastico incenso di passione, riconoscere sua nipote.

Bene lo aveva assicurato Don Venanzio che il marchese nella sua squisita delicatezza si sarebbe guardato bene dal leggere cosa che appartenesse alla vita intima del cuore; ma leggendo le pagine in cui egli aveva espresse a sè e per sè solo le sue opinioni politiche e filosofiche, s'era pur penetrato nella vita intima della sua intelligenza, e perchè si sarebbero arrestati innanzi ai segreti del suo cuore, il marchese sopratutto che vi poteva essere invitato da quel nome di Virginia, che indubitatamente doveva rispiccargli innanzi agli occhi?

Il turbamento di Maurilio adunque fu tale che Don Venanzio e il marchese medesimo se ne accorsero.

– Coraggio! disse il primo dei due per venire in aiuto del giovane; il marchese ti ascolterà con bontà, e non hai nulla da temere da lui.

Baldissero fece colla mano un cenno pieno di garbo che significava: «Si tranquilli e rassicuri,» e si volse al parroco:

– Che cosa il suo amico potrebbe temere da me?.. Nel mio pensiero questo colloquio non ha da essere l'urto di due personalità, sibbene la discussione di due principii che si trovano a fronte, se pure uno di questi principii non vuole sfuggirla, siffatta discussione.

Maurilio sollevò la sua grossa testa che teneva curva al petto ed espose alla luce la vasta fronte su cui l'interno suo travaglio di quel momento aveva fatto spuntare a goccia il sudore.

– No, signor marchese, diss'egli più fermo e più sicuro la voce e l'aspetto; il principio ch'Ella mi fa l'onore di credere ch'io rappresento non isfugge la discussione.

Ma il più importante per lui era frattanto avere alcuna maggior sicurezza su quello che il marchese aveva letto o non letto del manoscritto. Per ciò, soggiuns'egli tornando nella precedente esitazione:

– Ma per definir meglio la ragione e i limiti del dibattimento… credo… e il signor marchese mi farebbe un favore se mi restituisse quell'infelice scritto… credo che sarebbe opportuno si leggessero le parole testuali dei passi intorno a cui Ella mi vuole riprendere o interrogare.

– Molto volentieri le restituerei quel suo libro, rispose il marchese, ma in questo momento esso non è più in mio potere. Trovasi nelle mani di chi ha diritto di veder tutto e saper tutto: nelle mani del Re.

Maurilio fece un trasalto per la meraviglia.

– Del Re! esclamò egli.

– Del Re! ripetè giungendo le mani Don Venanzio più spaventato ancora che stupito.

– Sì, riprese Baldissero; a S. M. è stata riferita, come di dovere, ogni cosa; il Re ha desiderato leggere egli stesso le cose da lei scritte.

– Misericordia! esclamò il buon Don Venanzio con maggiore lo sgomento, chi sa quante pazzie ci saranno colà dentro!.. E che cosa dirà il Re?

Ma questa notizia, invece di atterrire, parve aver rassicurato Maurilio. Il suo contegno divenne più libero ed agiato, e fu con voce tranquilla che egli disse a sua volta:

– Il signor marchese e S. M. medesima – spero – non trascureranno d'aver presente che quelle cose furono buttate giù per non esser viste da altrui, soli appunti di pensieri che passarono per la mente d'un giovane, fatti concreti sbadatamente in poche parole. Se quelle idee avessero saputo di dover comparire innanzi a tali che le potevan condannare, avrebbero preso altra forma, altro sviluppo, una veste più acconcia.

Baldissero guardò bene in volto il giovane, e per la prima volta travide negli occhi di lui il corruscare dell'intelligenza.

– Vuol dire, interrogò egli, pronunziando lentamente, quasi perchè il suo ascoltatore avesse tempo a soppesar bene le parole: vuol dire che in quel suo scritto non è espressa la forma definitiva del suo pensiero, e che s'Ella avesse da manifestare altrui cotali idee, le vorrebbe modificare?

– Quanto alla sostanza no: rispose vivacemente Maurilio che pareva tornare a poco a poco in tutta la libertà del suo spirito; sì quanto alla esposizione e fors'anco a qualche deduzione delle medesime.

– Codeste le son dunque convinzioni radicate nel suo animo, stillate per così dire dalla sua riflessione, e non opinioni raccolte qua e colà per vaghezza giovanile dai moderni novatori, le cui speciosità illudono agevolmente una mente non ancora matura?

Maurilio rispose con forza temperata dal rispetto:

– Ah signor marchese, qualunque elle sieno, le mie povere idee, le assicuro che le ho meditate, stacciate traverso il crivello del mio debole criterio, e le sono portato della mia mente, sangue, se così potessi dire, della mia intelligenza.

C'era in queste parole e nel tono con cui furono dette, una certa onesta baldanza che non dispiacque al marchese.

– Non ne voglio dubitare, disse questi; ma non le pare che simili idee abbiano troppa temerità nella loro ricisa affermazione? Ella parla delle condizioni della società, e vuole di questa mutate le basi e i rapporti economici e politici: ora Ella è giovane di molto, e come nel poco tempo di sua vita può avere tanto visto e conosciuto da poter chiaramente rendersi conto in tutte le sue innumere parti di ciò che si tratta di riformare, da comprendere il complesso dei fatti e delle leggi che ci hanno luogo, da abbracciare tutte le fasi del ponderoso problema?

Maurilio approfittò d'una piccola pausa che fece il marchese, per rispondere vivamente e senza indugio:

– Sì, i miei anni di vita furono pochi di numero, ma tali pur tuttavia da contare per assai più, mercè la moltiplicità e la gravità degli avvenimenti che li avvicendarono.

Sulle sue labbra venne a vagolare, per dir così, quel suo mesto sorriso pieno d'intelligenza.

– In tutti gli eserciti del mondo, continuava egli, il tempo che il soldato passa in guerra gli viene contato per doppio: il medesimo dev'essere in questo grande esercito di viventi, che ad ogni momento è chiamato a combattere col dolore. Questi miei anni trascorsi io li ho vissuti in una battaglia continua contro la sventura: ci ho guadagnato un'esperienza di quarant'anni. La sorte mi balestrò in varie condizioni, e facendomi passare traverso parecchi strati sociali mi pose in grado di conoscere i varii elementi dell'umanità, e le ragioni e i torti del suo assetto presente. Ho avuto campo a studiare più gl'infimi che i superiori ordini di questa razza umana che la religione e la ragione proclamano composta di fratelli, e che il fatto e la legge tuttavia dividono e schierano in comandanti ed in ubbidienti, in caste di eletti ed in plebe di derelitti; e di questi poveri ed umili i bisogni che ho partecipato, le miserie che ho sofferto mi hanno con morale coazione fatto comprendere, se non tutte, le più parti dell'arduo problema. Non dico poterlo sciogliere questo problema, dico averlo compreso. Alla mia propria ho cercato rincalzo dalla esperienza altrui fatta concreta nei libri. La fortuna in ciò mi fu benigna che mi pose in grado di poter tutta avermi dinanzi raccolta la scienza stillata in volumi del pensiero umano. Forse non v'ha alcuno al mondo, o pochi soltanto che abbiano divorato tanti libri quanto io. Non dico d'aver letto bene; ed anzi so pur troppo che ciò non è, ma della parola d'ogni pensatore mi sono pasciuto con avidità. Ho visto, letto, meditato di molto; ho sofferto più assai; ecco i miei titoli a dir ciò che penso del problema sociale.

Il vecchio marchese stette un poco prima di parlare a sua volta, e il suo sguardo si teneva fisso sulle espressive e travagliate fattezze del giovane; gli pareva che mercè quella luce d'intelligenza onde s'erano venuti illuminando, i tratti del viso di quel plebeo si fossero cambiati per assumere una specie di nobiltà tutto propria, per effetto di cui egli sentiva quasi un interessamento nascergli verso lo sconosciuto che ora per la prima volta gli era venuto dinanzi.

– Ella dunque ha sofferto, e di molto per causa del presente assetto sociale: disse poi il marchese con accento in cui non poteva ancora notarsi l'abbandono della confidenza, ma pure si sentiva vibrare qualche cosa che assai si accostava alla simpatia; e senza dubbio molti furono e sono e saranno mai sempre ai quali toccherà soffrire per questa ragione, imperocchè in nessun ordine di fatti l'uomo non può arrivare a cose perfette, ed un organamento tale che a tutti soddisfi quelli che sono parte della società penso che pur troppo non si avrà da raggiunger mai su questa terra.

Maurilio fece un piccolo atto che parve un segno rispettoso di voler interrompere.

– So quello ch'Ella vuol dirmi, continuò il marchese con qualche vivacità; senza pretendere alla perfezione è possibile un miglioramento progressivo anche in codesto, mediante modificazioni più o meno radicali, per cui gl'inconvenienti lamentati vengano via via cessando e per la via del meglio si vada accostandosi verso quell'ottimo che fors'anco non è nelle condizioni dell'uomo il raggiungere. Questa è appunto la teoria del progresso, s'io non mi inganno, che la democrazia moderna vuole applicata ad ogni cosa, nascondendo sotto queste modeste e discrete forme le sue passioni sovversive e rivoluzionarie che aspirano all'anarchia. Ma prima di tutto, questa teoria che mira a sfatare il passato e distrurre l'autorità del diritto storico e della tradizione, è falsa innanzi agli insegnamenti appunto della storia, alle reliquie degli antichi tempi; è falsa inoltre, ed è ciò che più importa, innanzi ai pronunziati della nostra santa religione.

E qui si rivolse verso Don Venanzio, il quale, sembrandogli forse troppo grave il pronunziarsi lì per lì in quistione di tanta importanza, curvò la testa e fece spalluccie come per dire: «sarà benissimo.»

– La storia, continuò il marchese, ci dice che il cammino percorso dall'umanità non è una spirale che sale e che sale con progresso indefinito, come dicono gli esaltatori dell'umanismo, ma sì invece è una specie d'altura giunti al culmine della quale bisogna discendere e qualche volta precipitare per rifarsi alle radici e ricominciar la salita da capo. Parecchie volte una razza, un popolo, una città giunsero a questo fastigio: le immense monarchie dell'Oriente, l'Egitto, la Grecia, Roma. Ebbene che cosa sono esse oggidì? Lo dicano l'erbe che crescono sulle ruine dei superbi loro monumenti. Il soffio di Dio ha fiaccato l'orgoglio della loro scienza e potenza umana. Le nazioni che oggidì tengono il campo, che cosa saranno da qui a mill'anni? La religione ci insegna che l'uomo fu creato da Dio nello stato più felice ed ottimo che alle sue condizioni di uomo convenisse; da quello stato egli decadde per sua colpa e non potrà in esso reintegrarsi mai più, perchè se il Redentore venne a rimetterci in comunicazione col cielo, Iddio non volle già che togliesse dalla terra gli effetti della maledizione del peccato, e la legge imposta ad Adamo alla cacciata dell'Eden dura e durerà sempre nei figli suoi. Il paradiso terrestre non si potrà riconquistar più. Quell'ideale di felicità terrena che l'uomo vagheggia è una reminiscenza del primitivo stato di grazia; e per errore d'ottica e di giudizio la passione dei beni terreni cerca nell'avvenire ciò che fu inesorabilmente spento nel più remoto passato.