Una Amore come il Loro

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From the series: Le Cronache Dell’amore #3
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CAPITOLO TRE

Keira fu svegliata dal suono stridulo della sua sveglia. Segnava le sette del mattino, ma grazie al jet-lag e alla parte relativamente breve di notte in cui lei e Cristiano avevano usato il letto per dormire, il suo corpo si sentiva come se fosse ancora notte fonda. Era intontita, come se avesse fatto un sonnellino nel momento sbagliato del giorno.

Nonostante il disagio fisico, mentalmente era molto emozionata per la giornata che li aspettava. Saltò immediatamente giù dal letto, alimentata dall’eccitazione e dall’adrenalina creata dalla stanchezza.

Si voltò per guardare Cristiano. L’uomo era ancora profondamente addormentato.

“Sveglia,” disse, chinandosi su di lui e baciandogli la fronte.

I suoi occhi si aprirono faticosamente. “Devo proprio?” chiese, sbadigliando. “Quel lungo volo mi ha sfinito.”

“Ah, è stato il volo a sfinirti, eh?” disse maliziosamente Keira, facendo un occhiolino.

Ma capì che si era già riaddormentato!

Decise di lasciarlo riposare e andò a lavarsi e prepararsi per la giornata.

Si diresse con cautela verso il soggiorno. Era buio e Bryn russava rumorosamente. Facendo attenzione a essere più silenziosa possibile e a non svegliare la bestia addormentata, superò la sorella in punta di piedi e si fece una rapida doccia, ripulendosi dal residuo dell’aeroplano e dagli ultimi ricordi dell’Italia che le rimanevano sulla pelle.

Quando tornò in camera da letto, vide che Cristiano era ancora profondamente e pacificamente addormentato. Sospirò e decise che tanto valeva portare i suoi vestiti sporchi alla lavanderia giù all’angolo. Non aveva senso perdere tempo, dato che il giorno successivo sarebbe tornata in ufficio.

Svuotò rapidamente la valigia, radunò i vestiti sparsi della notte prima, aggiungendoli al mucchio prima di affrettarsi fuori dall’appartamento, lungo il corridoio, giù per i gradini e in strada.

Era una mattina eccezionalmente gelida, e provò uno splendido senso di nostalgia. Negli ultimi due mesi non era stata quasi per niente a New York ed era davvero piacevole essere tornata a casa: i rumori familiari del traffico, le normali esalazioni delle auto. Le facevano venire in mente il Ringraziamento, e sorrise tra sé e sé sapendo che non mancava molto alla sua festa preferita. Quell’anno sarebbe stato particolarmente speciale, grazie alla presenza di Cristiano insieme a loro. Se fosse rimasto tanto a lungo, in ogni caso.

La lavanderia automatica era vuota e Keira infilò i vestiti sporchi di diverse settimane in una macchina, riempì il cassetto con il detergente e aggiunse delle monete. Aveva con sé solo gli spiccioli per un lavaggio rapido, perché non aveva ancora avuto il tempo di recuperare della moneta locale, ma un giro di trenta minuti era meglio che niente.

Non appena la macchina iniziò il ciclo, riuscì rapidamente, desiderosa di tornare da Cristiano, per svegliarlo ed estrarlo dall’appartamento (e dalle grinfie) di Bryn il prima possibile.

Ma una volta tornata in camera, scoprì che Cristiano dormiva ancora. Lo baciò di nuovo per cercare di svegliarlo.

“Bell’addormentato,” disse, più intensamente quella volta, con voce un po' più alta e più esigente. “Dobbiamo alzarci e muoverci!”

Cristiano gemette. “Non possiamo passare una giornata pigra a letto?” mugugnò. “Abbiamo camminato per settimane. Meritiamo di rilassarci una mattina, no?”

Keira scosse la testa, pensando a Bryn nell’altra stanza. Dovevano scappare prima che lei si svegliasse.

“No,” rispose. “L’intera New York ci aspetta!”

Cristiano sbadigliò, girandosi per allontanarsi dalla sua voce squillante. “E sarà ancora lì nel pomeriggio, dopo la colazione.”

“Ma è meglio godersela al mattino,” contestò Keira, sollevandogli le coperte di dosso. “Te lo dice una del posto.”

Cristiano smise di discutere, e tremando si alzò dal letto.

“Perché sei tanto di fretta?” si lamentò.

“Perché ci sono tantissime cose da fare!” ripose lei, infilandosi rapidamente un paio di stivali invernali di Bryn. Tutte le sue calzature pesanti erano conservate da qualche parte in una scatola, le sue cose prese dall’appartamento di Zach sparse in vari luoghi, dalla sua stanza a casa della madre, all’attico di Shelby e David, fino all’armadio di Bryn. C’era persino un scatola nascosta sotto la sua scrivania al Viatorum.

“Posso farmi almeno una doccia?” chiese Cristiano.

Keira si morse il labbro. Ogni minuto sprecato era un minuto più vicino al risveglio di Bryn e ai suoi tentativi di mettere le mani su Cristiano. Ma non poteva negargli le necessità umane fondamentali.

“Certo,” disse allegramente, fingendo calma. Andò verso l’armadio di Bryn e ne estrasse un soffice asciugamano. “Ecco,” aggiunse, tendendoglielo insieme a dello shampoo e al doccia schiuma che prese dalla valigia. “La doccia è proprio in fondo al corridoio.”

Lui la baciò per ringraziarla e uscì dalla stanza. Keira si accasciò a sedere sul letto, già esausta. Non sarebbe stato facile. Avrebbe dovuto trovare un nuovo appartamento il prima possibile. Tipo tornando indietro nel passato.

Ma quello dipendeva dalla caparra del vecchio appartamento che Zach doveva restituirle. Non avrebbe voluto mettersi in contatto con lui, ma era chiaramente il minore tra i due mali in quella particolare situazione. Prese il cellulare e spedì un messaggio.

Novità sulla caparra? K.

Avventatamente aggiunse una x, un bacio, alla fine. Adulare Zach non era qualcosa che le piaceva fare, ma se significava che avrebbe riavuto indietro la sua caparra ne valeva la pena.

Sbirciò fuori dalla camera da letto verso la zona del soggiorno. Le tapparelle erano abbassate e la stanza era buia. Gli unici suoni erano la doccia in fondo al corridoio e il rumoroso russare di Bryn. Per fortuna neanche Cristiano l’aveva svegliata superandola.

Ma lei iniziò a spazientirsi. Cristiano ci stava mettendo troppo tempo! Controllò l’orologio e vide che i suoi vestiti nella lavanderia automatica avrebbero raggiunto presto la fine del ciclo. Decise di recuperarli, piuttosto che correre il rischio che qualcuno glieli rubasse nel momento in cui la porta della macchina si fosse aperta. Anche alle sette e mezza della domenica mattina non si poteva mai abbassare la guardia!

Uscì di nuovo dall’appartamento e corse fino alla lavanderia. Dentro c’erano un paio di persone, entrambe donne di mezza età dall’aria organizzata che chiaramente stavano tentando di evitare la fila. Keira radunò i suoi vestiti caldi e umidi. Non aveva abbastanza monete per l’asciugatrice quindi avrebbe dovuto appenderli nell’appartamento di Bryn.

Uscì, riprendendo la strada per tornare a casa. Era davvero bello sbrigare di nuovo le normali faccende, tornare a essere una persona semplice piuttosto che una scrittrice di viaggio in un’eccitante paese straniero. A quanto pareva anche una cosa buona poteva finire per stancare.

Il telefono le vibrò in tasca proprio mentre iniziava a salire le scale per l’appartamento. Era un messaggio di Zach. Si morse il labbro per l’anticipazione e lesse quel che le aveva scritto.

Bon jour, Keira! Sono in Francia per lavoro. Una conferenza di una settimana che inizierà domani! Possiamo parlare di soldi quando sarò tornato?

Sospirò per le frustrazione. Sarebbe passata un’altra settimana prima che ne parlassero di nuovo, non che capisse che cos’altro ci fosse da dire! Avrebbe semplicemente dovuto trasferirle la sua quota di denaro nel conto in banca, ma ovviamente non aveva intenzione di renderle le cose facili.

Con lo sguardo ancora sul cellulare, Keira entrò a casa di Bryn. Fu immediatamente sorpresa dal suono di risate, e alzò gli occhi.

Era cambiato tutto. Le tapparelle erano alzate, le luci accese, la macchina del caffè ribolliva e Bryn era in cucina, sembrando fin troppo sveglia per qualcuno che aveva passato l’ultima giornata a bere. Seduto con la schiena appoggiata al bancone c’era Cristiano, con il torso nudo rilucente di gocce d’acqua, solamente un asciugamano legato attorno alla vita per proteggere la sua modestia.

“Che sta succedendo?” gridò, sorpresa.

Bryn le lanciò un’occhiata e fece una smorfia, divertita dal tono paranoico di Keira. “Sto facendo il caffè,” disse, affermando l’ovvio. “Dove sei stata?”

“Sono andata alla lavanderia a gettoni,” disse Keira, sollevando la pesante busta piena di vestiti bagnati. “Sono stata via solo due minuti.”

Due minuti, chiaramente, era quanto serviva a Bryn per cogliere l’occasione di godere della visione del corpo muscoloso di Cristiano.

“Tesoro,” disse con risolutezza Keira, guardandolo. “Faremmo meglio a rivestirci. Dobbiamo andare.”

“Abbiamo tempo per un caffè, non è vero?” chiese. “Mentre metti i vestiti ad asciugare?”

Keira lasciò cadere la busta per terra, con noncuranza, e cercò di sembrare allegra mentre gli si avvicinava e lo spingeva per una spalla verso la camera da letto.

“Ma voglio portarti nel miglior bar di New York,” disse lei. “Quantità limitate, appena macinato. Molto più buono del caffè di Bryn fatto con la macchinetta.”

“Oh… oh, okay…” disse Cristiano, senza fare resistenza. “Ma… i tuoi vestiti?”

Mentre lo guidava verso la sicurezza della sua camera da letto, Keira lanciò un’occhiata verso la sorella al di sopra della spalla. Lei li stava guardando, sogghignando, divertita dalla sua fuga frettolosa. Keira le fece una smorfia severa, uno sguardo di avvertimento che diceva esplicitamente di lasciare in pace Cristiano.

“Posso stendere io i tuoi vestiti,” disse Bryn con un sorriso dolce e consapevole.

 

“Grazie,” rispose secca Keira.

Stava per chiudere la porta, ma Bryn non aveva finito.

“Cara, se pensi che io sia un problema,” e ridacchiò, “aspetta di averlo portato là fuori. ” Indicò la finestra. “Troverai molto peggio di me. Fidati.”

Irrigidendosi, Keira chiuse la porta.

CAPITOLO QUATTRO

La loro prima fermata fu nell’Upper West Side, dove presero bagel e caffè da mangiare nel cammino. Fu ben diverso dai lunghi pasti lenti che si erano goduti in Italia, ma Keira voleva che Cristiano si facesse davvero un’idea di come fosse la vita a New York.

“Quindi questo è il miglior caffè di New York, giusto?” chiese Cristiano, sorseggiandolo dalla tazza di plastica e valutandolo con attenzione. Non sembrava convinto.

“Oh, sì, il migliore,” ribadì Keira, ricordando la bugia che le era sfuggita quella mattina. Era buono ma non era quello in quantità limitate e appena macinato che gli aveva promesso. “Per me, in ogni caso.”

Lui si limitò ad alzare le spalle.

Passeggiarono mano nella mano lungo il marciapiede, diretti verso il fiume Hudson. Keira era estremamente consapevole della quantità di sguardi che Cristiano attirava. Sapeva che c’era una discrepanza tra la loro bellezza fisica, ma tornata a New York si sentiva ancora di più banale, perché lì Cristiano era più che un bell’uomo, era una bestia rara. Bryn aveva avuto ragione. C’era molto peggio di lei in città. Averlo lì sarebbe stato estenuante.

“Che cosa pensi di mia sorella?” chiese all’uomo.

Cristiano scoppiò a ridere. “È interessante.”

“Interessante in che senso?”

Ci fu una pausa, durante la quale Cristiano cercò con palese cura le sue parole seguenti. Alla fine si decise per: “Pazza,” in italiano.

“Che cosa significa?” volle sapere lei, mentre la sua mente evocava ogni genere di possibilità: bellissima, splendida, attraente, affascinante.

“Matta,” spiegò Cristiano.

Keira scoppiò a ridere. Era un sollievo sentirgli dire una cosa del genere. A meno che non avesse un debole segreto per la follia, probabilmente era al sicuro. Da Bryn, per lo meno. Doveva ugualmente fare i conti con il resto della popolazione femminile di New York.

Attraversarono il Riverside Park, guardando il fiume scenografico, e poi si diressero verso Central Park. Dato che Cristiano lo aveva notato dall’alto quando erano arrivati in aereo, Keira aveva immaginato che gli sarebbe piaciuto vederlo da terra.

“È incredibile,” disse lui, studiando i grattacieli in lontananza che li circondavano. “Non sembra vero.”

Keira sorrise, ripensando di aver detto cose molto simili a proposito dell’Italia. Era bello vederlo tanto affascinato dalla sua città, e così meravigliato da scorci che lei aveva dimenticato di apprezzare.

Si diressero a est, verso il Metropolitan Museum of Art. La cultura in Italia era stata incredibile ma Keira era competitiva di natura e non voleva che Cristiano pensasse che il suo paese europeo dalle antiche origini avesse più pregi di New York! Ma c’erano così tante cose da comprimere in un solo giorno, che rimasero dentro per un’ora circa prima che Cristiano richiedesse di vedere di più della città vera e propria.

Presero la metropolitana per la Quinta Strada così che Keira potesse mostrargli Times Square, per poi dirigersi verso l’Undicesima per una passeggiata lungo l’High Line, dove lui avrebbe potuto davvero godersi il panorama dello skyline di Manhattan. Comprarono altro caffè da uno dei venditori lungo il ponte.

Mentre il pomeriggio progrediva, Keira portò Cristiano a SoHo, dove pranzarono in uno dei bar. A Cristiano quella parte della città sembrò piacere in modo particolare, soprattutto le persone modaiole e gli interessanti negozi di vestiti. In effetti sembrava fatta apposta per lui, con i suoi abiti italiani, e trovò per sé una nuova giacca che somigliava molto a quella economica che aveva comprato all’outlet vicino all’aeroporto, con l’unica differenza che quella costava cinquanta dollari invece che dieci.

Mentre stavano pranzando, il telefono di Keira iniziò a squillare. Il suo primo pensiero fu che dovesse essere Bryn, nel tentativo di riattirarli all’appartamento. Ma quando Keira controllò lo schermo, vide che era sua madre. Rispose alla chiamata.

“Cara, ho appena parlato con tua sorella,” annunciò la madre. “Devi portare Cristiano qui per cena.”

“No, mamma,” rispose lei con un sussulto. “Vogliamo passare insieme al giornata. Abbiamo già progettato tutto.”

“Ma sono già stata al negozio,” rispose la donna con un tono triste e lamentoso. “Ho comprato tutto il necessario per fare le lasagne.”

“Perché?” sibilò Keira. “Non me l’hai nemmeno chiesto.”

Ma sapeva il perché. Se sua madre glielo avesse chiesto prima, non avrebbe avuto niente con cui farle pressione, nessun modo per negoziare né per farla sentire in colpa. Invece così aveva il coltello dalla parte del manico. Il rifiuto avrebbe fatto sembrare Keira una figlia viziata e ingrata.

Dall’altra parte del tavolo, Cristiano apparve preoccupato. “Va tutto bene?” chiese.

Lei annuì, cercando di far finta di niente. Parlò di nuovo al telefono. “Mamma, ora devo andare. Ceneremo insieme un’altra volta.”

Sua madre si esibì in un lungo sospiro. “Hai almeno chiesto a Cristiano se gli farebbe piacere conoscermi? Perché non sembra che tu gli abbia dato la possibilità di scegliere.”

Keira digrignò i denti. Roteando gli occhi, guardò Cristiano. “Mia madre vuole che andiamo da lei per cena questa sera. Ma avevamo progettato di andare a quel ristorante che fa le polpette, no? Quindi le sto dicendo che per stavolta passiamo.”

Ma invece della risposta che aveva sperato di ricevere da lui, Cristiano sembrò emozionato dalla prospettiva di incontrare sua madre.

“Possiamo andare a mangiare le polpette quando vogliamo,” disse con un’alzata di spalle. “Se tua madre vuole cucinare per noi, dovremmo permetterglielo. Mi piacerebbe molto conoscerla.”

Keira lasciò cadere la testa tra le mani. Con un sospiro, si arrese.

“Va bene,” disse al telefono. “Hai vinto, mamma. Saremo da te alle otto.”

“Alle sette,” la corresse la madre.

“Alle sette,” ripeté cupa Keira.

“Oh, ma che meraviglia!” esclamò la donna. Ma Keira spense la telefonata prima ancora che finisse di parlare. Alzò lo sguardo su Cristiano. “Non devi essere educato a tutti i costi, lo sai.”

L’uomo scoppiò a ridere. “Non voglio essere educato, Keira. Mi piacerebbe davvero incontrare tua madre.”

“Cucinerà le lasagne,” aggiunse Keira con tono secco. “Posso solo immaginare che sia perché tu sei italiano.”

“Beh, è perfetto,” rispose lui. “Perché io adoro le lasagne.”

Keira sospirò. Magari Cristiano era pronto a incontrare altri membri della sua pazza famiglia, ma lei non lo era di certo. Averlo lì stava diventando sempre più stressante ogni secondo che passava.

CAPITOLO CINQUE

Mallory Swanson viveva ancora nello stesso appartamento dove aveva cresciuto le sue due figlie. Keira provava sempre uno strano senso di nostalgia ogni volta che tornava a casa. Anche se la sua infanzia era stata piena d’amore e di allegria, l’assenza del padre era sempre stata percettibile. Che lui avesse vissuto in quella casa con Bryn e sua madre prima che Keira nascesse era stato un pensiero continuamente presente nella sua mente, perché poco dopo la sua nascita aveva lasciato la famiglia. Lei aveva sempre vissuto sentendosi come se il suo spirito si aggirasse in casa, come se le cose non fossero proprio come dovessero essere.

Lei e Cristiano presero un taxi direttamente in città. Keira non era voluta tornare all’appartamento di Bryn per sopportare un viaggio in tre, tutti stretti in un auto, quindi aveva detto alla sorella che l’avrebbero incontrata lì. Almeno la capacità di Bryn di arrivare in orario era pessima e così avrebbero avuto un po’ di tempo per loro, una volta giunti a destinazione.

Salirono i gradini del palazzo di mattoni rossi. L’appartamento a piano terra era abitato dalla stessa donna anziana che vi aveva vissuto per tutta la sua vita. I suoi numerosi gatti erano sdraiati sul marciapiede o erano seduti sulle ringhiere a miagolare ai passanti.

Keira premette il campanello e un momento più tardi sua madre apparve alla porta. Indossava un grembiule macchiato sopra i vestiti e aveva i capelli in disordine.

“Eccola qui! La mia figlia nomade!” gridò Mallory. Gettò le braccia attorno a Keira e la strinse forte. Poi la lasciò andare e guardò Cristiano. “Beh, ma tu sei veramente affascinante!” esclamò di getto. Abbracciò anche lui. “Ora, veloci, entrate in casa. Ho lasciato le lasagne nel forno e non voglio che si brucino.”

Li sospinse nel palazzo. Keira salì la squallida scalinata che portava all’appartamento del primo piano. Sembrava più stretta del solito, e le pareti verde scuro più macchiate di quanto si ricordasse. Non era d’aiuto il fatto che la maggior parte delle lampadine nel corridoio erano fulminate. Dava all’ambiente un’atmosfera da film horror.

Arrivarono all’appartamento e furono subito assaliti dal calore irradiato dal forno. L’odore forte del formaggio permeava l’aria.

“Quindi è qui che sei cresciuta?” chiese Cristiano, guardandosi educatamente attorno nel modesto appartamento di Mallory.

Keira annuì. Era estremante diverso dalla villetta dei suoi genitori sulle colline di Firenze. Non c’era un solo mobile in casa che sembrasse provenire dalle pagine di una rivista d’arredamento alla moda. Non si poteva nemmeno dire che la casa fosse shabby-chic. Era solo shabby, trasandata.

Si sentì opprimere dal peso della vergogna. Si era impegnata duramente a scuola e al college proprio per lasciarsi alle spalle quel tipo di vita. Temeva che l’impressione che stava dando di sé a Cristiano fosse diversissima da ciò che si doveva essere aspettato quanto aveva accettato di salire sull’aereo con lei. Altro che importante giornalista di New York. Ormai non poteva più nascondere le sue umili origini.

“Perché non vi accomodate?” gridò Mallory al di là di una spalla mentre si rimetteva al lavoro in cucina.

Keira fece cenno verso il tavolo. Sua madre lo aveva coperto con una strana tovaglia di plastica. Cristiano si sedette su una delle sedie. Keira la notò ondeggiare sotto di lui, ma ovviamente l’uomo era troppo educato per dire qualcosa.

Mallory tornò con un piatto da portata fumante e lo appoggiò sul tavolo. La lasagna era una visione agghiacciante, il sugo di pomodoro ribolliva attraverso la pasta e il formaggio era bruciato agli angoli. Doveva essere tutta un’altra cosa rispetto a ciò a cui era abituato Cristiano in Italia!

“Che cosa sono quelle?” chiese Keira, indicando delle piccole escrescenze rotonde sulla superficie.

“Nocciole,” disse Mallory.

“Sopra una lasagna?” domandò lei, accigliandosi.

“L’ho letto in una rivista,” rispose ambiguamente la madre.

Keira si sentì diventare sempre più pesante.

“Non dovremmo aspettare Bryn?” chiese alla donna.

“Le ho detto di essere qui alle sette,” disse Mallory. “Sa leggere l’orologio. È colpa sua se non è arrivata in tempo.” Fece un sorriso a Cristiano e gli versò un bicchiere di vino. “Spero che ti piaccia il rosé.”

Keira si fece ancora più piccola nella sua sedia, ripensando a quanto lui conoscesse bene il vino e come sapesse quale tipo si abbinasse a ogni piatto. Ma non c’era bisogno di essere un esperto per sapere che il rosé non andava con niente!

Educatamente, Cristiano sollevò il suo bicchiere di vino tinto di rosa.

“Al nostro affascinante ospite,” annunciò Mallory, e brindarono tutti e tre.

Keira era così imbarazzata che avrebbe voluto sparire.

La porta si aprì e in quel momento entrò Bryn. Qualsiasi segno del doposbornia di cui avrebbe dovuto soffrire era completamente svanito. I suoi occhi erano brillanti, i capelli puliti e lucidi, e si era vestita per fare colpo.

A volta Keira non poteva fare a meno di essere gelosa della bellezza della sorella. Quei sentimenti erano alimentati dai ricordi di tutti gli anni in cui i ragazzi avevano fatto follie per lei. L’unico punto a suo favore era che la sorella era un po’ instabile, ma non si capiva semplicemente guardandola. A un primo sguardo la gente pensava che fosse una modella, tutta grazia ed eleganza.

 

Bryn si sedette al tavolo con un gesto plateale e si servì una grossa porzione di lasagna.

“Oggi ho fatto un’ora e mezza di palestra,” si vantò. “Ho il permesso di esagerare.”

Keira non riusciva a ricordare l’ultima volta che era stata in palestra. In effetti, gli ultimi due mesi erano stati un turbinio di bevute e mangiate. Tra le Guinness e le colazioni fritte in Irlanda, e la pasta e i gelati in Italia, era sorpresa di non essere diventata obesa. Era solo grazie alle colline italiane e ai percorsi fangosi irlandesi se era riuscita a mantenere una qualsiasi forma.

“Ti alleni spesso?” chiese Cristiano a Bryn. Sembrava interessato piuttosto che allusivo, cosa che sollevò il morale Keira, anche se non riusciva a capire perché volesse saperlo.

Bryn annuì. “Lo spinning è l’esercizio che preferisco. Oh, anche l’arrampicata. Hanno un muro fantastico nella mia palestra.”

Cristiano apparve eccitato. “Mi piace moltissimo arrampicarmi!”

“Davvero?” chiese Keira, sorpresa. Per qualche motivo non era mai venuto fuori durate le loro conversazioni.

“Sì,” disse lui, annuendo emozionato prima di riportare l’attenzione su Bryn. “Dovrai portarmi una volta o l’altra,”

“Ne sarei felice,” rispose lei.

Keira sussultò. Quella conversazione la stava agitando. Voleva mettere più distanza possibile tra la sorella e Cristiano.

Mallory sembrò adeguatamente colpita dalle capacità di scalatore dell’uomo. “Cos’altro sai fare, quindi?” chiese. “Fisicamente?”

“Mamma,” gemette Keira. “Che razza di domanda è?”

“Mi piace nuotare,” rispose Cristiano. Poi, con un occhiolino verso Keira, aggiunse: “E ballare tutta la notte.”

“Davvero?” esclamò Mallory. “Conosci il flamenco?”

“Quello è spagnolo, mamma!” gridò Keira.

Cristiano scoppiò a ridere. Anche Bryn ridacchiò. Persino Mallory sembrò trovare divertente il proprio errore. Keira fu l’unica a non apprezzare. Che Bryn avesse ragione sul fatto che fosse rigida?

“Quindi come è stata la tua avventura italiana?” chiese a lei la madre, tendendosi attraverso il tavolo per darle qualche leggero colpetto sulla mano. “Un altro successo?” Lanciò un rapido sguardo a Cristiano.

Keira sentì il rossore salirle sulle guance. “È stata bellissima,” disse, cercando di allontanare la conversazione dal fatto che avesse istigato un’altra storia d’amore e per riportarla sul paese. “I panorami sono una cosa dell’altro mondo. Il cibo è incredibile. E la cultura!”

“E non dimenticarti degli uomini,” aggiunse Bryn, agitando le sopracciglia.

Keira le lanciò un’occhiataccia. “Sì, anche la gente è fantastica. Cristiano mi ha portato a incontrare i suoi genitori a Firenze. Sono stati super amichevoli.”

Mallory guardò Cristiano, molto colpita. “Sei molto legato alla tua famiglia?”

Lui sorrise e annuì. “Certo. A parte i periodi in cui lavoro fuori città, li vedo almeno una volta alla settimana.”

“È così bello,” commentò Mallory, abbassando lo sguardo sulle lasagne con aria contemplativa. “Le mie ragazze sono sempre troppo impegnate per venire a trovarmi. Sono a solo una corsa in taxi da loro, ma è come se vivessi in Canada.”

Bryn roteò gli occhi. “Siamo donne moderne, mamma. Noi lavoriamo.”

“E negli ultimi due mesi ho passato circa quarantotto ore a New York!” aggiunse Keira.

Mallory scrollò le spalle, continuando a mantenere l’espressione ferita sul volto per fare più effetto. Bryn sembrava immune a quel genere di ricatto, ma Keira ne era sempre irritata. Riteneva che la sua relazione con la madre fosse piuttosto buona. Di certo parlava spesso con lei a telefono, e la andava a trovare di frequente. Mallory non era affatto una povera signora anziana che rimaneva a casa da sola tutto il giorno! Anche se era andata in pensione, aveva molti amici e ogni genere di hobby con cui occupare il suo tempo.

“Come sono le lasagne?” chiese allora la madre a Cristiano. “Immagino che non si possano paragonare alla ricetta di tua mamma, vero?”

Bryn scoppiò a ridere davanti al tono sconsolato della donna. Keira invece non era dell’umore di incoraggiarla. Rispose prima ancora che Cristiano potesse farlo, cercando di evitargli una scena pubblica imbarazzante.

“Certo che no,” disse. “Il nostro cibo è completamente diverso. La maggior parte è importato. Voglio dire, gli ingredienti italiano sono così freschi e nutrienti.” Punzecchiò la sua pasta gommosa con la forchetta. “Persino i pomodori hanno un sapore differente in Italia.”

“Ma anche il cibo americano è buono,” aggiunse con diplomazia Cristiano. “Keira e io siamo andati a mangiare dei bagel per colazione, stamattina. È stato emozionante.”

Bryn fece una smorfia per indicare che trovava adorabile l’emozione di Cristiano per i bagel. Keira non riuscì a sopportare il modo in cui lo guardava, come se fosse un cucciolo carino.

“E per quanto rimarrai a New York?” chiese Mallory.

‘Fantastico,’ pensò Keira. ‘Di nuovo questa domanda.’

“Ancora non lo so,” rispose Cristiano. “Ma non ho nessun motivo per andarmene in fretta.”

Sulla fronte di Mallory apparve una ruga perplessa. “No? Non hai un lavoro a casa a cui tornare?”

Cristiano scosse con noncuranza il capo. “Faccio solo lavori occasionali e la maggior parte sono durante l’estate. La guida turistica. Servo ai tavoli al ristorante. Quel tipo di occupazione.”

Keira notò il modo in cui la ruga sulla fronte della madre si approfondì.

“Lavori occasionali?” ripeté, con un tono che rivelava la sua contrarietà.

“La cose sono diverse là,” spiegò Keira. “La cultura è diversa. La gente non si accapiglia per una promozione come facciamo qui.”

“Ma non è più un ragazzino,” disse esasperata Mallory a Keira. “Non dovrebbe avere qualche idea di che cosa vuole fare della sua vita?”

“Mamma!” esclamò Keira.

Cristiano si limitò a ridere, trovando chissà come un lato buffo in quella situazione. “Un giorno troverò la mia strada, Mallory,” la rassicurò. “Non ho fretta.”

Spostò serenamente lo sguardo sulle sue lasagne. Al di sopra della sua testa, Mallory lanciò a Keira un’espressione afflitta. Se credeva che la figlia fosse in ritardo per accasarsi e iniziare a fare figli, che cosa mai poteva pensare del fatto che Cristiano ancora non avesse trovato un suo percorso lavorativo?

Una volta che ebbero svuotato i piatti, Mallory andò a prendere il dessert. Gelato. Keira aveva mangiato talmente tanto gelato in Italia che era l’ultima cosa che voleva, specialmente il misero sostituto americano che sua madre aveva comprato. Ma Cristiano fu educato come sempre e mentre mangiava fece tutti i commenti appropriati.

“Siete tutti stretti nell’appartamento di Bryn in questo momento?” chiese Mallory.

“Gli ho lasciato il letto,” rispose la sorella, sembrando orgogliosa di aver messo le necessità di qualcun altro davanti alle proprie, forse per la prima volta nella sua vita.

“Perché non rimanete qui?” suggerì la madre. “Keira ha la sua camera da letto.”

“Davvero?” chiese Cristiano, accigliandosi leggermente come se non riuscisse a capire perché Keira avesse preferito il divano della sorella invece della propria stanza.

Lei scosse la testa. “Non è una buona idea,” gli disse sottovoce. “Il viaggio per arrivare a lavoro da qui è una sofferenza.”

“Che cosa sta dicendo?” chiese Mallory a Cristiano ad alta voce. “Fammi indovinare. Il viaggio per andare a lavoro. È sempre quello. Non appena ha lasciato l’appartamento con Zach è andata direttamente da Bryn! Come se io non esistessi nemmeno. E ogni volta che chiedo il motivo, oh, è il viaggio fino a lavoro.”

“Mamma, mi ci vuole più di un’ora per arrivare al lavoro da qui,” ripeté Keira per quella che doveva essere la milionesima volta.

“Un’ora è nella norma,” rispose Bryn. “Prima eri fortunata, con la posizione del tuo appartamento. Ed è stato solo perché Zach ne pagava la maggior parte.”

“Bryn!” Keira la riprese. Poi, incrociando le braccia con testardaggine, aggiunse a voce più bassa: “Era di suo cugino. Tutti e due pagavamo poco d’affitto.”