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Orlandino

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Carlo, che ‘l vede sbianchegiato in fronte
e d’un color[e] che par fra il nero <e> il bigio,
disse: – A la vostra grazia, o sir d’Anglante!
Or va’ tu, Astolfo, a trovar l’amostante. -
 

35

 
Rispose il milites glorioso Astolfo:
– Sacra Corona, e’ mi dol sì la testa
ch’ho perso e<l> lume e paio un uom di zolfo
e non potrei tener la lancia in resta;
tamen per Carlo i’ noterei nel golfo
del marum magno. – E con quella tempesta
ch’un bulo sol bravar, – Arme! arme! – grida,
e totum mundum minacciando sfida.
 

36

 
Venner l’arme a staffetta e il duca armato
cominciò per la sala passeggiando:
– Pagan, poltron, furfante, disgraziato!
La morte tua è in punta de ‘sto brando. -
E quello straniamente sfoderato,
mille ferite al vago vento dando,
dicea: – Rèndite a me, cochin pagano,
che Astolfo son, che fei cacar Martano. -
 

37

 
In tanto Cardo con rabioso suono
orribilmente dicea: – Se indugiate
a comparire in campo ad un sol sono
adesso abbrucierò questa cittate.
Non gioverà a chiedermi perdono,
perché di voi arò quella pietate
che ‘l gran Coglion Bartolameo avea
quando fuggir qualche poltron vedea. -
 

38

 
– Io vengo, io scendo, a caval monto, aspetta! -
gridava d’Inghilterra il duca altiero
e con quella ruina e quella fretta
che trae del letto un infermo il cristero
scende le scal’ e inanzi ch’el piè metta
inela staffa e il culo in <sul> destriero
ritorna in sala e dice piano e lento:
– Vo’ confessarmi e poi far testamento.
 

39

 
Vo’ testamento far, vo’ confessarmi,
prima ch’io arrischi la mia cara pelle.
Altro che ciance è lo mestier de l’armi:
rida chi vol, che son tutte novelle. -
Udendo ciò Turpin disse: – Ben parmi
che ti discarchi di tue colpe felle. -
E confessollo in un tratto, e poi
montò a caval, settati i fatti suoi.
 

40

 
E come fu a caval, trottando un poco,
si ferma e pensa e seco dice: “ O duca,
andrai o no a por la carne a fuoco?
Sarà me’ ch’io mi appiatti in qualche buca,
perché il condursi in campo è un certo gioco
che suol condure a elle ne nos induca.
Vo’ prima ch’ognun dica “qui fuggì
Astolfo, uomo da ben”, che “qui morì”.
 

41

 
Glori’, a tua posta! Morti che noi siamo,
può sonar mona Fama con la piva,
che in polvere di Cipri ci pos[s]iamo
con lauro, con mirto e con l’uliva,
e tanto de le lodi ci sentiamo
quanto de le vergogne Elena diva
o la Zaffetta, a ben che ‘l sappia ognuno
del dato benemerito trentuno “.
 

42

 
Rinaldo in questo si scusa con Carlo
dicendo che a combatter anderia
se l’armi avessi (et obligo ha di farlo),
le quali sono in pegno a l’osteria.
Eccoti Cardo, del cui valor ciarlo,
che vede Astolfo che pian pian s’invia
per ascondersi in luoco ove sue lancia
non fori a lui la venerabil pancia:
 

43

 
– Ahi, famoso poltrone! ahi, paladino!
ahi, guerrier de la tavola ritonda!
Con le spalle s’affronta il saracino?
Guardami in viso pria che ti nasconda! -
Come la furia de l’acqua un mulino
volge per forza o qual se ‘l vento fronda,
tal la vergogna con superba voce
rifece Astolfo vilmente feroce.
 

44

 
Onde animo si fece col bravare,
come chi canta per timor di notte,
con dir: – Non fugo, ma givo a pisciare,
che con altr’uom ho de le lancie rotte.
Tu credi forse un vigliacco affrontare,
pagan, can traditor, squarta-ricotte!
Presto, giù scendi de la tua giraffa,
fammi un inchino e scortami la staffa;
 

45

 
se non, per l’elmo, idest la visiera,
 

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