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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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Per le stesse ragioni il Principe di Condè vanta pure aver pretensione sopra questo Reame, traendo sua ragione da Carlotta Caterina della Tremoglia, figliuola di Luigi, che si maritò con Errigo di Borbone Principe di Condè, della quale non si dimenticò Camillo Tutini nel suo trattato degli Ammiranti del Regno232.

Ecco in qual maniera fu il Reame di Napoli trasferito al Re di Spagna Ferdinando il Cattolico, il quale pretendeva, che gli s'appartenesse per successione del Re Giovanni suo padre, erede d'Alfonso I suo fratello, e per ciò non volle esser chiamato Ferdinando III, o che foss'egli obbligato ad osservare i privilegi e promesse fatte da'predecessori Re Ferdinando I e II, Alfonso II e Federico. Gli reputò sì bene Re legittimi e non ingiusti usurpatori, intrusi, stante le investiture, che coloro aveano avute da romani Pontefici e la legittimazione, che Alfonso I avea fatta a Ferdinando suo figliuol bastardo, non essendo questa legittimazione stata mai contrastata a' nostri Aragonesi, e l'Autor del suddetto Trattato fa vedere con più esempi, che non meno in Napoli, che ne' Regni di Spagna, han succeduto i bastardi; ancorchè non risponda a quello, di che veniva imputato Ferdinando, d'esser figliuol supposto e non naturale d'Alfonso.

Per questa cagione trovandosi in questi medesimi tempi Ferdinando nella città di Toro, a' 18 febbraio del nuovo anno 1505 promulgò una prammatica233 colla quale chiamandoli legittimi Re, e suoi predecessori, confermò tutti i loro atti, concessioni e privilegi, comandando, che i possessori delle città, castelli, Feudi e di qualunque ragione, o roba, sia burgensatica o feudale, che si trovassero possedere in vigore delle loro concessioni, non fossero in quelle turbati, nè inquietati, nè in giudicio, nè fuori, ma in esse mantenuti e conservati. Solo permise, che contro gli atti, decreti e concessioni fatte ne' turbolentissimi anni del Regno di Alfonso II, di Ferdinando II e di Federico, potesse ciascuno richiamarsi; ma ciò con sua licenza, prescrivendo loro il modo di ricorrere al suo Vicerè del Regno, il quale intese le querele, col voto e parere del Viceprotonotario e del Luogotenente del Gran Camerario, presa informazione, ne facesse a lui relazione, acciò, che secondo stimerà egli più giusto, potesse darvi la dovuta providenza; ma che intanto niuno si molestasse nella possessione, nella quale erano in vigor delle concessioni, che ne aveano da que' Re ottenute.

Parimente con altra sua Prammatica data nella stessa città di Toro, cassò, annullò e revocò tutte le concessioni, privilegi, convenzioni, atti e qualsivoglia altre scritture, che si fossero fatte dal Re Federico dopo li 25 di luglio del 1501 in avanti, quando perduta Capua, essendo per lui disperate le cose del Regno, mandò Ambasciadori a' Capitani del Re di Francia per capitolare la resa di Napoli e suoi Castelli con le altre Terre e castelli del Regno: le quali, per essere state estorte con importunità da diversi in quella disperazione e rivoluzione di cose, credette di poterla rivocare, valendosi di quel proverbio, che allegò in quella prammatica: Quod importunitate concessimus, consulto revocamus234.

Quindi presso i nostri Giureconsulti è nata quella distinzione, che, sempre che colui, il qual allegava il privilegio di questi Re, si trovi, che per lungo tempo abbia avuta detto privilegio la sua esecuzione ed esserne in possesso, debba esserne quello mantenuto, bastandogli quel titolo, per non essere vizioso, ma procedente da' Re legittimi e per tali riputati dall'istesso Re Ferdinando il Cattolico. Quando però si tratti, o che il privilegio, o concessione non abbia avuto mai il suo effetto, tantochè chi l'allega non mostrasse per se il possesso; ovvero fosse stato espressamente dal Re Ferdinando, o dagli altri Re austriaci suoi successori rivocato: in questi casi, perchè non vogliono essere obbligati ad osservare ciò che quelli promisero o concederono, perchè al Regno sono succeduti non già come loro eredi, ma come successori d'Alfonso I per la persona del Re Giovanni, a cui il Regno s'apparteneva; per ciò resti in loro arbitrio di far ciò, che ad essi piacerà e parerà, siccome ampiamente ne discorrono i Reggenti Loffredo, e Moles rapportati dal Reggente Marinis235, e dall'Ageta236 ne' loro volumi.

Ancorchè Ferdinando il Cattolico proccurasse di non alterare la forma e politia del Regno, ma di lasciarlo nella maniera, che lo trovò, nulladimanco dovendo essere da ora innanzi governato non da' Re, propri, che vi dovessero risedere collocando quivi la lor sede regia, come per lo passato, ma da' loro Ministri, dovea per necessità introdursi nuova forma di governo; come si scorgerà ne' seguenti libri di quest'Istoria, dove si vedrà cangiata non meno la civile, che l'ecclesiastica politia, introdotti nuovi magistrati, nuova nobiltà di sangue spagnuolo e nuovi istituti e costumi.

FINE DEL LIBRO VENTESIMONONO

LIBRO TRENTESIMO

Trasferito il Reame di Napoli al Re di Spagna Ferdinando, e governato in nome del medesimo dal Gran Capitano, fu, durante il Regno suo, libero da straniere invasioni: poichè il Re Luigi di Francia alienato dalle cose del Regno, rivolgeva tutte le sue cure per la conservazion sola del Ducato di Milano: e la morte della Regina Elisabetta accaduta a' 26 novembre di quest'istesso anno 1504, ancorchè turbasse non poco il riposo della Spagna, e sopra ogni altro affliggesse il Gran Capitano, dalla quale riconosceva ogni grandezza, nulladimanco quest'istesso cagionò, che nel Regno non vi accadesse mutazione alcuna.

Apparteneva a questa Regina (donna d'onestissimi costumi, ed in concetto grandissimo ne' Regni suoi di magnanimità e di prudenza) propriamente il Regno di Castiglia, parte molto maggiore e più potente della Spagna, pervenutale ereditaria per la morte d'Errigo suo fratello, ma non senza sangue e senza guerra; perchè se bene era stato creduto lungamente, ch'Errigo fosse per natura impotente alla generazione, e che per ciò non potesse essergli sua figliuola la Beltramigia, partorita dalla moglie, e nutrita molti anni da lui per figliuola e che per questa cagione Elisabetta, vivente Errigo, fosse stata riconosciuta per Principessa di Castiglia, titolo di chi è più prossimo alla successione; nondimeno levandosi in tempo della di lui morte, in favore della Beltramigia molti Signori della Castiglia, ed aiutandola con l'arme il Re di Portogallo suo congiunto, venute finalmente con le parti alla battaglia, fu approvata dal successo della giornata per più giusta la causa d'Elisabetta, conducendo l'esercito Ferdinando d'Aragona suo marito, nato ancora esso della Casa de' Re di Castiglia, e congiunto ad Elisabetta in terzo grado di consanguinità; ed il quale essendo poi socceduto per la morte di Giovanni suo padre nel Regno d'Aragona, s'intitolavano Re e Reina di Spagna, perch'essendo unito al Regno d'Aragona quello di Valenza ed il Contado di Catalogna, era sotto l'imperio loro tutta la provincia di Spagna, la quale si contiene tra i monti Pirenei, il mare Oceano e 'l mare Mediterraneo; e sotto il cui titolo, per essere stata occupata anticamente da molti Principi Mori, ciascun de' quali della parte occupata essendosi intitolato Re, viene per ciò a comprendere il titolo di molti Regni; eccettuato nondimeno il Regno di Granata (che allora posseduto da' Mori, fu da poi gloriosamente ridotto da loro sotto l'Imperio di Castiglia) ed il picciol Regno di Portogallo, e quello di Navarra molto minore, che avevano Re particolari.

Ma essendo il Regno d'Aragona con la Sicilia, la Sardegna e l'altre isole appartenenti a quello, proprio di Ferdinando, si reggeva da lui solo, non vi si mescolando il nome o l'autorità della Regina. Altrimenti si procedeva in Castiglia, perch'essendo quel Regno ereditario d'Elisabetta e dotale di Ferdinando, si amministrava col nome, con le dimostrazioni e con gli effetti comunemente, non eseguendosi cos'alcuna, se non deliberata o ordinata, e sottoscritta da amendue. Comune era il titolo di Re di Spagna: comunemente gli Ambasciadori si spedivano: comunemente gli eserciti s'ordinavano, le guerre comunemente s'amministravano, nè l'uno più che l'altro si arrogava della autorità e del governo di quel Reame.

 

Ora per la morte di Elisabetta senza figliuoli maschi, apparteneva la successione di Castiglia per le leggi di quel Regno (che attendendo più alla prossimità che al sesso, non escludono le femmine) a Giovanna figliuola comune di Ferdinando e di lei, moglie dell'Arciduca Filippo, perchè la figliuola maggiore di tutte ch'era stata congiunta ad Emanuello Re di Portogallo, ed un piccolo fanciullo nato di quella, erano molto prima passati all'altra vita; onde Ferdinando, non aspettando più a lui, finito il matrimonio l'amministrazione del Regno dotale, avea da ritornare al piccolo Regno suo d'Aragona: piccolo a comparazione del Regno di Castiglia per la strettezza del paese e dell'entrate, perchè i Re aragonesi non avendo assoluta l'autorità regia in tutte le cose, sono in molte sottoposti alle costituzioni ed alle consuetudini di quelle province, molto limitate contra la potestà de' Re. Ma Elisabetta quando fu vicina alla morte, nel testamento dispose che Ferdinando, mentre vivea, fosse Governadore di Castiglia: mossa, o perchè essendo sempre vivuta congiuntissima con lui, desiderava si conservasse nella pristina grandezza, o perchè, secondo diceva, conosceva essere più utile a suoi popoli il continuare sotto il governo prudente di Ferdinando, non meno che al genero ed alla figliuola; a' quali, poichè alla fine aveano similmente da succedere a Ferdinando, sarebbe beneficio non piccolo, che insino a tanto che Filippo nato e nutrito in Fiandra (ove le cose si governavano diversamente) pervenisse a più matura età ed a maggior cognizione delle leggi, delle consuetudini, delle nature e de' costumi di Spagna, fossero conservati loro sotto pacifico ed ordinato governo tutti i Regni, mantenendosi in questo mezzo come un corpo medesimo, la Castiglia e l'Aragona.

Rimosse adunque la morte di questa Regina tutte le difficoltà che prima aveano impedita la pace tra 'l Re di Francia e Ferdinando; ma partorì nuovi accidenti tra Ferdinando e Filippo suo genero. Rimosse il rispetto dell'onore del Re di Francia, e 'l timore di non alienare da se l'animo dell'Arciduca; perchè il Re di Francia, essendogli molestissima la troppa grandezza sua, era desideroso d'interrompergli i suoi disegni; ed il Re di Spagna, avendo notizia che l'Arciduca, disprezzando il testamento della suocera, aveva in animo di rimuoverlo dal Regno di Castiglia, era necessitato a fondarsi con nuove congiunzioni; però si contrasse matrimonio tra lui e Madama Germana di Fois, figliuola d'una sorella del Re di Francia, con condizione, che il Re gli desse in dote la parte che gli toccava del Reame di Napoli, obbligandosi il Re di Spagna a pagargli in diece anni 700 mila ducati per ristoro delle spese fatte, ed a dotare in 300 mila ducati la nuova moglie237: col qual matrimonio essendo accompagnata la pace, fu quella conchiusa in Bles a' 13 del mese d'ottobre di quest'anno 1505 in cotal maniera238.

Che i Baroni angioini e tutti quelli ch'avevano seguitata la parte franzese, fossero restituiti senza pagamento alcuno alla libertà, alla patria ed a' loro Stati, dignità e beni, nel grado medesimo che si trovavano essere nel dì, che tra Franzesi e Spagnuoli fu dato principio alla guerra, che si dichiarò essere stato il dì, che i Franzesi corsero alla Tribalda239.

Che s'intendessero annullate tutte le confiscazioni fatte dal Re di Spagna e dal Re Federico.

Che fossero liberati il Principe di Rossano, il Marchese di Bitonto, Alfonso ed Onorato Sanseverini, Fabrizio Gesualdo e tutti gli altri Baroni ch'erano prigioni degli Spagnuoli nel Regno di Napoli.

Che il Re di Francia deponesse il titolo del Regno di Gerusalemme e di Napoli.

(Questo articolo dimostra, quanto fosse stravagante la nuova interpretazione, che il P. Arduino sognò sul motto PERDAM BABILONIS NOMEN, che il Re Ludovico XII fece imprimere nelle sue monete, per rintuzzare l'alterigia di Papa Giulio II, nelle quali, oltre il titolo di Re di Francia, si legge anche Regnique Neap. Rex, sul falso supposto, che post annum certe 1503 nunquam inscripsit se Ludovicus XII Regem Neapoleos, come sono le sue parole in Oper. select. pag. 905, e per conseguenza che non poteva intendere delle brighe avute con Giulio II, le quali non cominciarono, se non all'anno 1509. Lodovico anche dopo perduto il possesso di Napoli nel 1503, e dopo questa pace del 1505 (che il primo a violarla fu Ferdinando stesso) insino all'ultima pace fatta col medesimo Re pure a Blois nel primo di decembre dell'anno 1513 non abbandonò mai questo titolo, dopo quest'ultima pace che si legge nel Tom. 2 della Raccolta de' trattati stampata in Amsterdam sotto il titolo: Recueil des Traités de Paix, pag. 35, nella quale Lodovico tornò assolutamente a rinunciare il titolo e le ragioni sopra il Regno di Napoli. Non si legge che nel restante di sua vita avesse continuato di porlo fra gli altri suoi titoli. Leggasi sopra questa moneta la dissertazione, ultimamente impressa nel Tomo VII dell'ultima edizione di Londra dell'Istorie di Tuano con tanta accuratezza e magnificenza data fuori da Samuel Buckley. L'autor della quale è lo stesso, che lo Scrittore di questa istoria; e perciò si vede ora inscritta nel V Tomo di questa nuova edizione in idioma italiano, siccome l'Autore la distese tradotta poi in latino e mandata a Mr Buckley).

Che gli omaggi e le recognizioni de' Baroni si facessero respettivamente alle convenzioni sopraddette, e nell'istesso modo si cercasse l'investitura dal Pontefice.

Che morendo la Regina Germana in matrimonio senza figliuoli, la parte sua dotale s'intendesse acquistata a Ferdinando, ma sopravvivendo a lui ritornasse alla corona di Francia.

Che fosse obbligato il Re Ferdinando ad aiutare Gastone Conte di Fois fratello della nuova moglie, al conquisto del Regno di Navarra che pretendeva appartenersegli, posseduto con titolo regio da Catterina di Fois e da Giovanni figliuolo d'Albret suo marito.

Che il Re di Francia costringesse la moglie vedova del Re Federico ad andare con i due figliuoli che erano appresso a se in Ispagna, dove le sarebbe assegnato onesto modo di vivere; e non volendo andare la licenziasse dal Regno di Francia, non dando più nè a lei nè a figliuoli provvisione, o intrattenimento alcuno.

Che all'una parte ed all'altra fosse proibito di fare contra ciò, che i nominati da ciascuno di loro stabilissero: i quali nominarono amendue in Italia il Pontefice ed il Re di Francia nominò anche i Fiorentini.

Per ultimo, che in corroborazione della pace, tra i due Re s'intendesse essere perpetua confederazione a difesa degli Stati, essendo tenuti a soccorrersi vicendevolmente, il Re di Francia con mille lancie e con seimila fanti, e Ferdinando con trecento lancie, duemila giannettarj e seimila fanti.

Conchiusa in cotal maniera questa pace, della quale il Re d'Inghilterra promise per l'una parte e per l'altra l'osservanza, i Baroni angioini ch'erano in Francia, licenziatisi dal Re andarono quasi tutti con la Regina Germana in Ispagna: ed Isabella stata moglie di Federico, licenziata dal Regno dal Re di Francia, perchè ricusò di mettere i figliuoli in potestà del Re Cattolico, se n'andò a Ferrara.

Questa pace, che fu ratificata dal Re Cattolico in Segovia a' 16 ottobre del medesimo anno 1505 ancorchè avesse lasciata speranza, ch'estinte già le guerre nate per cagione del Regno di Napoli, la quiete d'Italia avesse a continuare; nondimeno apparivano dall'altra parte semi non piccioli di futuri incendj, perchè Filippo, che già s'intitolava Re di Castiglia non contento, che quel Regno fosse governato dal suocero, si preparava a passare contra la volontà sua in Ispagna. Veniva incitato a ciò da' più principali Signori di Castiglia, i quali stimavano con maggior licenza di poter godere della loro grandezza sotto un fioritissimo Re giovane, che sotto un austero, e com'essi dicevano, poco liberal vecchio Catalano240. Pretendeva ancor Filippo, non essere in potestà della Regina morta prescrivere leggi al governo del Regno finita la sua vita; ed il Re de' Romani preso animo dalla grandezza del figliuolo, trattava di passare in Italia.

Ferdinando veduta la resoluzione di Filippo di passar in Ispagna, nè potendola impedire, pensò (simulando essergli grata) di promover trattati con lui del modo, come doveano convenirsi insieme a governar la Castiglia; e dall'altra parte Filippo, temendo pure che 'l suocero non gli facesse con gli aiuti del Re di Francia resistenza, governandosi con le medesime arti spagnuole accettò la mediazione, e mostrò che si sarebbe nella maggior parte delle cose rapportato al suo governo; onde fra di loro fu convenuto che avessero comune il titolo di Re di Spagna com'era stato comune tra lui e la Regina morta, e che l'entrate si dividessero in certo modo: il perchè Ferdinando, ancorchè non bene sicuro dell'osservanza, gli mandò in Fiandra per levarlo molte navi. Partì per tanto Filippo da Fiandra a' 10 gennajo del nuovo anno 1506, ed imbarcatosi con la moglie e con Ferdinando suo secondogenito prese con venti prosperi il cammino di Spagna, dove appena giunto concorsero a lui quasi tutti i Signori di Castiglia; e Ferdinando non potendo resistergli, rimanendo abbandonato quasi da tutti, nè avendo se non con molto tedio e difficoltà potuto vedere il genero, bisognò, disprezzato il primo accordo fatto tra loro, che accettasse le leggi e le condizioni, che con altro nuovo gli furon date.

Fu pertanto nuovamente convenuto, che Ferdinando cedendo all'amministrazione lasciatagli per testamento dalla moglie, ed a tutto quello che per ciò potesse pretendere, si partisse incontanente di Castiglia, promettendo di più non vi tornare.

Che Ferdinando avesse per proprio il Regno di Napoli: sopra di che vi fu grande altercazione: poichè se bene Ferdinando pretendesse sopra di ciò non potervi essere alcun dubbio, essendo quel Regno suo proprio, e come Re d'Aragona a lui dovuto, e poi acquistato e con le arme e colle forze d'Aragona; nulladimanco non mancò chi mettesse in considerazione, che più giustamente questo reame s'appartenesse a Filippo, per essere stato ultimamente acquistato con le armi e con la potenza del Regno di Castiglia, poichè le spedizioni furono fatte da Ferdinando ed Elisabetta comunemente, e come Re di Spagna, ed il titolo e le investiture fur comuni non meno all'uno che all'altro, e non particolari a Ferdinando come Re d'Aragona. Comunque si fosse, per facilitare la partita di Ferdinando non pur da Castiglia, ma anche da tutta la Spagna, gli fu accordato, che il Regno di Napoli l'avesse come proprio.

Che i proventi dell'isole dell'India rimanessero riservati a Ferdinando durante la sua vita.

Che i tre Maestralghi di S. Jacopo, Alcantara e Calatrava fossero parimente a lui riservati.

 

E che dall'entrate del Regno di Castiglia avesse ciascun anno venticinquemila ducati.

Firmata questa capitolazione, Ferdinando, che qui innanzi chiameremo o Re Cattolico o Re d'Aragona, se ne andò subito in Aragona, con intenzione d'andare quanto più prestamente potesse per mare a Napoli.

CAPITOLO I
Venuta del Re Cattolico in Napoli, e suo ritorno in Ispagna per la morte accaduta del Re Filippo. Come lasciasse il Regno sotto il governo de' Vicerè suoi Luogotenenti: sua morte, e pomposi funerali fattigli in Napoli

Il Re Cattolico ritirato da Castiglia ne' suoi propri Stati d'Aragona, deliberò di passar tosto a Napoli, non tanto per desiderio di vedere questo Regno, siccome i Napoletani ne l'aveano richiesto, ed egli loro promessolo241, e di riordinarlo, come apparentemente mostrava, ma per cagioni assai più gravi e serie. Mostrava per tanto egli in apparenza di venire per desiderio di vederlo e di riordinarlo con migliori leggi ed istituti, e restituirlo nell'antico splendore e dignità. E dall'altra parte il desiderio e l'espettazione de' Napoletani era molto maggiore, persuadendosi ciascuno, che per mano d'un Re glorioso per tante vittorie avute contra gl'Infedeli e contra i Cristiani, venerabile per opinione di prudenza, risonando chiarissima la fama d'avere con singolar giustizia e tranquillità governato i suoi Reami; dovesse il Regno di Napoli ristorarsi di tanti affanni ed oppressioni, che dalla morte di Ferdinando I per lo spazio poco men di diece anni avea sofferti, e vedutosi ardere per continue guerre e tutto sconvolto per le mutazioni di sette Re, che in sì breve spazio di tempo vi dominarono; dovesse ora per la prudenza d'un tanto Re ridursi in istato quieto e felice; e sopra tutto reintegrarsi de' Porti, dei quali nell'Adriatico i Veneziani per le precedute guerre, soccorrendo i Re d'Aragona di Napoli di denari, si erano impadroniti, e tenevano a titolo di pegno, con dispiacere non piccolo di tutto il Reame.

Ma cagioni assai più gravi mossero il Re Cattolico ad intraprendere questo viaggio. Era egli entrato in sospetti gravissimi del Gran Capitano, del quale, dopo la morte della Regina Elisabetta, temeva che non pensasse in se medesimo trasferire il Regno di Napoli; ovvero fosse più inclinato a darlo al Re Filippo che a lui: di che maggiormente s'era insospettito, perocchè non ostante che, fatto l'accordo, il Re Filippo gli facesse intendere che avea totalmente ad ubbidire al Re d'Aragona, il quale l'avea richiamato in Ispagna; egli tuttavia con varie scuse ed impedimenti differiva l'andata; perciò Ferdinando dubitando, non andandovi in persona, d'avere difficoltà di levargli il governo, deliberò venire; ed imbarcatosi a Barcellona a' 4 settembre di quest'anno 1506 con 50 vele, navigò verso Italia.

Il Gran Capitano avvisato della deliberazione del Re Cattolico, mandò subito, prima che il medesimo partisse da Barcellona, un suo uomo a prestargli ubbidienza, e ad offerirsi pronto a riceverlo. Il Re nascondendo ciò che di lui avea pensato di fare, l'accolse lietamente, e confermò a lui non solo il Ducato di S. Angelo, il quale gli aveva già donato il Re Federico; ma ancora Terranova, e tutti gli altri Stati, che possedeva così in Calabria, come in tutto il Regno, che in que' tempi portavan d'entrata più di ventimila ducati. Gli confermò l'Ufficio di Gran Contestabile del medesimo Regno, e gli promise per cedola di sua mano il Maestralgo di S. Jacopo; perciò Ferdinando imbarcatosi con maggior speranza, ed onoratamente ricevuto per ordine del Re di Francia insieme con la moglie in tutti i Porti di Provenza, fu col medesimo onore ricevuto nel Porto di Genova. Il Gran Capitano andò ad incontrarlo, ciò che diede a tutti ammirazione, perchè non solo negli uomini volgari, ma eziandio nel Pontefice, era stata opinione, ch'egli consapevole della inobbedienza passata, e de' sospetti, i quali il Re forse non vanamente avea avuti di lui, fuggendo per timore il suo cospetto, passerebbe in Ispagna.

Partito da Genova, non volendo con le galee sottili discostarsi da terra, stette più giorni, per non avere i venti prosperi, in Portofino; dove, mentre dimorava, gli sopraggiunse avviso, che il Re Filippo suo genero giovane di 25 anni, e di corpo robustissimo e sanissimo, nel fiore della sua età e costituito in tanta felicità, per febbre duratagli pochi dì, era in Burgos passato all'altra vita a' 25 settembre, lasciando di se e di Giovanna sua moglie, Carlo e Ferdinando, che furon poi Imperadori, e quattro figliuole femmine.

Ciascuno credette, che per desiderio di ripigliare il governo di Castiglia, Ferdinando volgesse subito le prue a Barcellona; ma continuando egli il cammino, giunto nel porto di Gaeta nel dì di San Luca, nel giorno seguente entrò in Napoli, dove fu ricevuto dai Napoletani con grandissima magnificenza ed onore. Concorsero a Napoli prontamente Ambasciadori di tutta Italia, non solo per congratularsi, ed onorare un tanto Principe, ma eziandio per varie pratiche e cagioni, persuadendosi ciascuno, che con l'autorità e grandezza sua avesse a dar forma, e ad essere il contrappeso di molte cose. Ma giunto Ferdinando a Napoli, perchè avea determinato di passar in Ispagna, e di trattenervisi poco tempo, non potè soddisfare all'espettazione grandissima, che s'era avuta di lui.

Era egli stimolato per varie cagioni di ritornar presto in Ispagna, intento tutto a riassumere il governo di Castiglia, perch'essendo inabile Giovanna sua figliuola a tanta amministrazione, non tanto per l'imbecillità del sesso, quanto perchè per umori malinconici, che se le scopersero nella morte del marito, era alienata dall'intelletto, i figliuoli comuni del Re Filippo e di lei erano ancora inabili per l'età, de' quali il primogenito Carlo non avea più che sette anni. Lo movea, oltra questo, l'essere desiderato e chiamato a quel governo da molti per la memoria d'essere stati retti giustamente, e fioriti per la lunga pace quelli Regni sotto lui; ed accrescevano questo desiderio le dissensioni già cominciate tra i Signori grandi, e l'apparire da molte parti segni manifestissimi di future turbazioni; ma non meno era desiderato dalla figliuola Giovanna, la quale, non essendo nell'altre cose in potestà di se medesima, stette sempre costante in desiderare il ritorno del padre, negando contra le suggestioni ed importunità di molti, ostinatamente di non sottoscrivere di mano propria in espedizione alcuna il suo nome, senza la quale soscrizione non avevano, secondo la consuetudine di que' Regni, i negozi occorrenti la sua perfezione.

Per queste cagioni non potè più trattenersi in Napoli, che sette mesi, ne' quali, ancorchè avesse dato in parte qualche riordinamento al Regno con introdurvi nuova politia; la quale dopo la sua partita, dai Vicerè che vi lasciò, e dagli altri Re suoi successori fu perfezionata, e poi ridotta nello stato nel quale oggi ancora dura; nulladimanco, e la brevità del tempo, e perchè difficilmente si può corrispondere a' concetti degli uomini, il più delle volte non considerati con la debita maturità, nè misurati con le debite proporzioni, non soddisfece a quel concetto grandissimo che s'era di lui formato.

Coloro, che credettero colla sua venuta in Napoli doversi apportare comodo universale all'Italia, rimasero delusi, perchè alle cose d'Italia non lo lasciò pensare il desiderio di ritornare presto nel governo di Castiglia, fondamento principale della grandezza sua; per lo quale era necessitato fare ogni opera per conservarsi amici il Re de' Romani, e 'l Re di Francia, acciocchè l'uno con l'autorità d'essere avolo de' piccioli figliuoli del Re morto, l'altro con la potenza vicina, e col dare animo ad opporsegli a chi avea l'animo alieno da lui, non gli mettessero disturbi a ritornarvi.

Intorno al gratificare il Regno, ancorchè, come scrisse il Guicciardino242, non vi portasse alcuna utilità, nè vi facesse alcun beneficio, ciò nacque per la difficoltà, che seco portava 'l trovarsi egli obbligato per la pace fatta col Re di Francia, a restituire gli Stati tolti a' Baroni angioini, che o per convenzione, o per remunerazione erano stati distribuiti in coloro, ch'aveano seguitata la parte sua: e costoro, non volendo egli alienarsi i suoi medesimi, era necessitato ricompensare, o con Stati equivalenti, che si aveano a comprare da altri, o con danari: alla qual cosa essendo impotentissime le sue facoltà, era costretto non solo a far vivi in qualunque modo i proventi Regj, ed a dinegar di fare, secondo il costume de' nuovi Re, grazia o esenzione alcuna, o esercitare spezie alcuna di liberalità, ma eziandio, con querela incredibile di tutti, ad aggravare i Popoli, i quali aveano aspettato sollevazione e ristoro di tanti mali. Ed ancorchè a' 29 gennajo del nuovo anno 1507, ad istanza degli Eletti della città di Napoli, avesse conceduto indulto generale (che si legge fra le nostre prammatiche) agli uomini della città di Napoli, e di tutte le altre città e Terre demaniali di questo Regno, per li delitti commessi per tutto il mese d'ottobre passato, da che egli entrò a Napoli; ed a' 30 del medesimo mese, essendosi convocato general Parlamento, avesse egli confermati i privilegj, e conceduto alla città 47 capitoli, non derogando agli altri privilegj conceduti da' Re suoi predecessori; nulladimanco gli fu per ciò fatto un donativo di ducati trecentomila.

I Baroni, non meno Angioini che del suo partito, non cessavano parimente di querelarsi, perchè a quegli che possedevano, oltra che mal volontieri rilasciavano, gli Stati, furono per necessità scarse e limitate le compensazioni, ed a quegli altri si ristringeva quanto si poteva in tutte le cose, nelle quali accadeva controversia, il beneficio della restituzione; perchè quanto meno a lor si restituiva, tanto meno agli altri si ricompensava.

Solo alla Piazza del Popolo di Napoli fu Ferdinando liberalissimo, avendo a loro domande concedute molte grazie; secondo il privilegio, che intiero vien rapportato da Camillo Tutini243 nel suo libro della Fondazione de' Seggi, che porta la data nel Castel Nuovo de' 18 maggio di quest'anno 1507, le quali poi nel 1517 furono confermate dalla Regina Giovanna, e dall'Imperador Carlo V suo figliuolo.

Partì finalmente il Re Cattolico da Napoli a' 4 giugno di quest'anno 1507, e con lui il Gran Capitano, drizzando la navigazione a Savona, ove era convenuto abboccarsi col Re di Francia. Partì con poca soddisfazione tra 'l Pontefice e lui, perchè avendogli dimandata l'investitura del Regno, il Pontefice negava di concederla, se non col censo, col quale era stata conceduta agli antichi Re. Ferdinando faceva istanza, che gli fosse fatta la medesima diminuzione, ch'era stata fatta al Re Ferdinando I suo cugino, a' figliuoli, ed a' nipoti: dimandava l'investitura di tutto il Regno in nome suo proprio, come successore d'Alfonso il vecchio, nel qual modo avea ricevuto in Napoli l'omaggio ed i giuramenti, con tutto che ne' capitoli della pace fatta col Re di Francia, si disponesse, che in quanto a Terra di Lavoro e l'Apruzzi si riconoscesse insieme il nome della Regina Germana sua moglie. Si credette, che l'aver il Papa negato di concedere l'investitura, fosse cagione, che 'l Re ricusasse di venire a parlamento con lui, mentre il Papa, essendo stato nel tempo medesimo più dì nella Rocca d'Ostia, si diceva esservi stato per aspettare la passata sua. Ma in appresso, nel 1510, gli concedè ciò che volle, e gli donò li censi, che dovea; siccome da poi nel 1513 fece anche Lione X, confermandogli tutti i privilegi, concessioni, remissioni ed immunità fattegli da' Pontefici Romani suoi predecessori244.

232Tutin 1. e. p 162.
233Pragm. de Possessor. non turbau.
234Si legge questa Prammatica sotto il titolo: De Revocatione gratiar. factar. per R. Feder. etc.
235Marinis lib. 2 cap. 273 num. 10 ad 17.
236Ageta ad Moles § 23 de jur. devolut. part. 57.
237Tuan. lib. 1. Hist. Facile in novas nuptias consensit bis legibus, ut dotis nomine jus in ea Regni Neapolis parte, quae in divisione Ludovico obvenerat, Germanae ab avunculo cederetur, ita ut si ante Ferdinandum moreretur, ea pars marito accresceret, sin marito ante sine liberis mortuo decederet, ad Ludovicum rediret. Nec certior in eo foedere conservando quam in reliquis Ferdinandi fides fuit, nam contra dotales tabulas, ipse mox se totum Regnum ex successione Alphonsi I excluso Germanae uxoris jure, possidere palam professus est.
238L'Istromento di questa pace è rapportato da Federico Lionard nel 2 tom della sua raccolta de' Trattati di pace, etc. fol. 35.
239Guic. lib. 6. Giovio lib. 3. Vita di Consalvo.
240Giovio lib. 3. Vita di Cons.
241Capitoli e grazie, etc. cap. 48 fol. 49 a ter.
242Guic. l. 7.
243Tutin. Orig. e fondaz. de' Seggi, c. 21.
244Chioccar. t. 1. M. S. Giur.