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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3

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SAGGIO DI CONFUTAZIONE DEL CAP. XVI

Qui l'Autore si fa a parlare delle persecuzioni sofferte dal Cristianesimo, e prende ad investigarne le cagioni, l'estensione, la durata e le più importanti circostanze, e tutti i suoi sforzi tendono a due oggetti: primo, a mostrar sempre più, che nulla avvi di maraviglioso nello stabilimento di una Religione, ch'ebbe tutto il tempo di crescere e di fortificarsi, prima che si esponesse all'impeto delle persecuzioni, che fu perseguitata lentamente, e che godè molti intervalli considerabili di pace: secondo, è suo impegno di far servire queste stesse cose a giustificare la condotta dei persecutori, e a rovesciare sopra i Cristiani l'odiosità tutta. Nel che egli è stato in parte preceduto dal Signor di Voltaire nella Storia universale, da cui egli ha cavati alcuni suoi materiali. Facciamoci pertanto a considerar le cagioni della persecuzione, che sono l'aver i Cristiani abbandonato il culto nazionale: l'essere stati accusati di ateismo: il segreto delle loro adunanze: i loro costumi calunniati.

L'abbandono del culto nazionale; primo motivo della persecuzione

Ristretto. Si è osservata la tolleranza religiosa di tutto il genere umano: vediamo ora, come furono trattati gl'intolleranti Giudei per giudicare delle vere cagioni, per le quali fu perseguitato il Cristianesimo, che adottò la stessa intolleranza. I Giudei, dopo la distruzione di Gerusalemme, da Nerone sino ad Antonino Pio, spesso si rivoltarono contro i Romani; ma mediante la general tolleranza del politeismo e il dolce carattere dell'ultimo Imperatore si restituirono loro gli antichi privilegi. Giacchè questi, benchè rigettassero con abborrimento la Divinità de' loro Sovrani, godevano il libero esercizio della loro Religione insocievole, perchè non furono tollerati i Cristiani? La differenza è chiara: i Giudei formavano una nazione, i Cristiani una setta. Essendo stata ricevuta la legge Mosaica per molti secoli da una numerosa società, quelli che l'osservavano, si giustificavano coll'esempio del genere umano; laddove i Cristiani violavano le istituzioni religiose del proprio paese: ed i filosofi non concepivano che si dovesse esitare a conformarsi al culto stabilito, come ai costumi, all'abbigliamento ed al linguaggio della patria.

Risposta. L'Autore per voler essere singolare nelle sue idee si contraddice. Secondo la massima della tolleranza universale, tutte le Religioni dovevano rivolgersi contro la Giudea e la Cristiana, entrambe intolleranti: frattanto la prima fu tollerata, e la seconda no; e n'era la ragione, che i Giudei formavano nazione, ed i Cristiani setta. Or la Nazione Giudaica lasciava per questo di essere insocievole ed intollerante? Dunque o è falso, che l'intolleranza era il motivo della persecuzione de' Cristiani; o è falso, che i Giudei furono tollerati, perchè costituivano nazione.

Anzi la verità, che trionfa nella storia, si è, che gl'intolleranti Giudei furono perseguitati, sinchè costituirono nazione, e che allora si lasciarono in pace, e ricuperarono i lor privilegi, quando, distrutta la città e perita un'infinita quantità di abitanti, quelli che rimasero, si sciolsero, e si sparsero per le Province dell'Impero. Fecero eglino di tratto in tratto alcuni deboli sforzi per sottrarsi dal giogo de' Romani, e prendevano i più efficaci motivi di ribellarsi dalle loro opinioni religiose, come l'Autore lo avverte. Finchè i Romani li temettero, gl'infestarono col ferro e col fuoco: disarmati e sottomessi che gli ebbero, permisero ch'esercitassero pacificamente il proprio culto. Quando facevano ancor figura di Nazione, ed i Romani vollero profanare il lor tempio, perchè non valse questo stesso carattere, l'antichità della stirpe, e l'esempio di tutto il mondo?

Ma se noi discordiamo dall'Autore intorno a' Giudei, intorno ai Cristiani convenghiamo con lui. L'aver essi abbandonato il culto nazionale, ed il farlo abbandonare da altri, era la vera cagione della persecuzione. Forse i Romani erano disposti a soffrire ogni culto, purchè non ve ne fosse uno che pretendesse di escludere gli altri, e di distruggere quello dell'Impero. Il Cristianesimo voleva essere solo, riprovava com'empi tutti i culti della terra, e faceva ogni sforzo per far entrar tutto il mondo nella sua comunione; e perciò tutto il mondo si voltò contro di esso.

Come lo zelo esclusivo ed intollerante de' Cristiani, ch'era la cagione naturale della persecuzione, poteva essere cagione naturale de' loro progressi, si è nel precedente capo veduto: qui dobbiamo cercare, se questa prima cagione di persecuzione rimuova da' persecutori la taccia d'ingiustizia, come s'ingegna di fare l'Autore.

Egli mette in contrasto queste due massime: ogni uomo ha diritto di disporre della sua coscienza e del suo giudizio particolare: e non si deve esitare a conformarsi al culto nazionale, come ai costumi, agli abbigliamenti, ed alla lingua della patria. Riferisce che i Cristiani riclamavano i diritti inalienabili della coscienza; ma soggiunge, che i loro argomenti erano dispregiati da' filosofi, cui pareva un delitto enorme ed irremissibile l'abbandonare il culto della nazione.

Obblighiamolo a scegliere. S'egli riconosce per giusta la prima massima, uopo è, che si unisca con tutti i Cristiani a detestare l'ingiustizia dei loro antichi persecutori. S'egli vuol fare l'apologia di questi, bisogna che mostri con buone ragioni che sia equa la massima, che fa recitar da filosofi, come da interlocutori di scena. Non si deve esitare? Perchè? Ma ecco il carattere del Sig. Gibbon: asserisce e poi tace; giacchè non pare a noi, che una similitudine insensata possa stare invece di prova: i costumi, l'abbigliamento, la lingua sono cose indifferenti: che ogni culto religioso debba guardarsi colla stessa indifferenza, ha bisogno di prova, e prove l'Autore non ne suol dare.

L'uomo per la verità e per la salute non può essere indifferente, come circa il modo di parlare e di vestirsi: noi non crediamo, che alcun uomo ragionevole possa mettere in dubbio la verità di questa massima contraria a quella de' pretesi filosofi.

Quando uno ha scoperta la verità e la strada della salute, ha diritto di fare tutto ciò ch'è necessario a conseguirla, e di astenersi da tutto ciò che nuoce al suo fine. Questa seconda massima è dotata della stessa evidenza.

Il diritto, ch'è in uno di fare o di non fare una cosa, induce agli altri obbligazione di non molestarlo. Questo è un assioma di gius naturale.

Ora supponiamo, che il sistema vero, il sistema che unicamente conduca alla salute, sia il Cristianesimo. La contraddizione, che vi ha tra' dogmi, la morale ed il culto dell'Idolatria, e tra il culto, la morale ed i dogmi del Cristianesimo, e così sensibile, che ci dispensa dall'ulteriormente spiegarlo. In una parola, il Cristianesimo, che supponiamo vero, condanna ogni altro culto, come dannoso alla salute.

In qualunque paese uno si trovi s'egli si persuade della verità del Cristianesimo, non può guardarlo con indifferenza; chi ha diritto di fare quanto esso gli prescrive, e di astenersi da tutto ciò, ch'esso gli proibisce; e gli altri hanno l'obbligazione di non molestarlo; poichè queste tre massime hanno una necessaria connessione fra di loro.

Resta un sol punto a decidersi. A chi propriamente appartiene il giudicare della verità o della falsità di una Religione? O alla nazione o ai privati. Non alla nazione; poichè essendo il fine della società civile il ben essere temporale di quelli, che si unirono in corpo sotto una certa forma di governo, l'autorità pubblica non si stende sulle azioni interne che non hanno rapporto alla società; si stende certamente sulla professione esterna della Religione, non già per esaminare se sia vera o falsa; poichè ciò non conduce al fine della società; ma per vedere se la tale professione esterna giovi o nuoca alla sicurezza ed alla prosperità dello Stato. Il giudizio della verità o della falsità della Religione appartiene ad ogni privato; poichè ognuno in privato è interessato nel fine ch'ella propone. Ed in effetto o si consideri la Religione naturale, e Iddio parlava a ciascuno in privato, per l'organo della Religione; o si tratti della rivelata, e Iddio non la propose al Sinedrio di Gerusalemme ed al Senato di Roma, perchè essi obbligassero i sudditi a riceverla, ma la promulgò pubblicamente e promiscuamente a tutti.

Diamo pertanto il suo a ciascuno. Ogni suddito dell'Impero Romano aveva diritto di giudicare, se la rivelazione Cristiana era la vera; e quando si persuadeva di doverla abbracciare, nè alcuno in particolare, nè la nazione in corpo aveva diritto di molestarlo, unicamente per questo, di sorte che le leggi proibitive degl'Imperatori per questo riguardo erano ingiuste, contrarie manifestamente ai principj del gius naturale.

Ma apparteneva alla potestà pubblica l'esaminare, se la Religione Cristiana era utile o nociva allo Stato nella sua esterna professione. E questo esame poteva farsi a priori, come suol dirsi ed a posteriori. L'esame a posteriori sarebbe stato il più breve. È certo, che il Cristianesimo è rivelato da Dio? Dunque non può nuocere alla società civile, perchè Iddio non vuole il detrimento della società civile. L'esame a priori esigeva, che si facesse un confronto de' dogmi e della morale Cristiana co' principj, su i quali è fondato il ben pubblico. Se i Pagani lo avessero fatto, avrebbero veduto, che il Cristianesimo lungi dal distruggere i fondamenti del ben essere civile, li fortifica e li perfeziona, come noi lo abbiamo brevemente accennato nel capo precedente; e così invece di perseguitarlo dovevano fare sul principio quello che fece Costantino dopo l'esperienza di tre secoli.

Ma quello, che rende più detestabile la loro condotta, si è che non esaminarono, ma sparsero il sangue di tanti sudditi innocenti per puri sospetti, per semplice gelosia di Stato, per l'orribile costume che ha il dispotismo d'incrudelire senza poter neppure rendere ragione a se stesso, perchè incrudelisca.

 
La falsa accusa di ateismo; secondo motivo della persecuzione

Ristretto. I Cristiani erano rappresentati come una società di Atei; nè si vedeva, quale Divinità, e quale specie di culto avessero sostituito agli Dei ed ai tempj dell'antichità. I Filosofi, che ammettevano l'unità di Dio, erano persuasi, che i pregiudizi popolari dipendono dall'originale disposizione della natura umana, e che un culto fatto pel popolo, se crede di non aver bisogno de' sensi, dà nel fanatismo. Si avvisavano che i Cristiani degradassero l'unità di Dio colle loro chimeriche speculazioni. Sarebbe sembrato meno sorprendente, che avessero rispettato G. C. come un sapiente, come un savio, che adoratolo come un Dio. I Politeisti erano disposti dalle leggende di Bacco, d'Ercole e di Esculapio a veder comparire il Figliuolo di Dio sotto forma umana; ma si maravigliavano, che i Cristiani abbandonati gl'inventori delle arti e delle leggi e i domatori de' mostri e de' tiranni, scegliessero per oggetto esclusivo del loro culto un oscuro maestro che di fresco, e presso un popolo barbaro era stato vittima della malizia o della gelosia; rigettavano l'immortalità offerta da Cristo e la sua risurrezione, e desideravano la sua nascita equivoca, la sua vita e la sua morte ignominiosa.

Risposta. L'accusa, che nel titolo si annuncia d'ateismo, realmente era di fanatismo, di superstizione. I Gentili rimproverati da' Cristiani di adorare Dei di pietra e di legno, invece di rivolgersi al Creatore dell'universo, come potevano attaccarli di ateismo? Sapevano bene, che agli Dei della favolosa antichità avevano sostituito G. C. Figliuolo di Dio; e che al culto di Roma avevano surrogato un altro culto secretamente celebrato: sicchè realmente gli accusavano di superstizione, non d'ateismo.

L'una e l'altro possono avere riguardo al ben essere dello Stato; e vi ha chi ha trattato problematicamente, se nuoca più alla società la superstizione, che l'ateismo.

Secondo i principj poc'anzi stabiliti, i Romani per non incorrere la taccia d'ingiusti, dovevano, sprezzando le voci ed i numeri volgari, far un serio esame della dottrina Cristiana, per decidere se intesa nel suo giusto senso, si opponesse o no al bene dello Stato.

Noi ci lagniamo d'aver essi negletto un dovere tanto essenziale: ci lagniamo anzi, che imperversando nell'odio chiusero l'orecchie alle vive proteste de' Cristiani, e si risero delle ardenti Apologie, nelle quali questi esponevano chiaramente la loro credenza sulla natura della Divinità e sull'innocenza del loro culto religioso.

Ma l'Autore per lo più deviante dal vero segno, non introduce i Gentili a dimostrare, che il culto era di nocumento allo Stato; ciò che sarebbe stato a proposito per la loro giustificazione; ma si vale della loro maschera semplicemente a risvegliare un filosofico disprezzo degli augusti misteri, che formano l'oggetto della nostra credenza, trattandoli di speculazioni chimeriche inventate a degradare l'unità di Dio. Il qual esame esce da' limiti della presente questione; e fuori dalle ingiurie, nulla altro si trova da confutare.

Abbiamo veduto che i Cristiani stessi confessano essere i misteri superiori alla religione, e ch'eglino li credono obbligati dalle prove generali, che dimostrano la verità della Rivelazione. Laonde per conchiudere logicamente contro i misteri fa d'uopo esaminare le prove della Rivelazione. E gli antichi Politeisti più di noi prossimi ai fatti, e circondati da una luce pressochè perenne, proveniente da' frequenti miracoli che si operavano; dall'eminenza delle virtù, che facevano campeggiare i Cristiani di ogni sesso, di ogni condizione e di ogni paese; e dal coraggio, col quale incontravano la morte, potevano più facilmente convincersi dell'origine divina del Cristianesimo.

I filosofi, che ammettevano l'unità di Dio, si persuadevano assai male che i pregiudizi popolari dipendessero dalla disposizione originale dell'umana natura, per concludere insensatamente, che non si dee far conto della differenza dell'opinioni e de' culti. La disposizione costante ed essenziale dell'umana natura è di avere una ragione, per iscuoprire la verità ed amarla, e per iscuoprire tutti i falsi pregiudizi, e detestarli e correggerli.

Ma i filosofi dell'Autore insegnano ottimamente, che un culto fatto pel popolo, se crede di non aver bisogno dei sensi, dà nel fanatismo. Questa lezione non dee farsi ai Cristiani, che hanno avuto sempre un culto sensibile, e che nella sua parte essenziale fu istituito da Dio medesimo; ma ai moderni Deisti, i quali escludono ogni pratica esterna. Non possiamo però approvare, che questi filosofi ristringano la necessità del culto esterno alla sola contemplazione del popolo, poichè non si trova sistema di gius naturale, in cui parlandosi degli uffizi a Dio dovuti, non si stabilisca in termini generali l'obbligazione del culto esterno.

Ai filosofi sarebbe sembrato meno sorprendente che avessero rispettato G. C. come un sapiente, che adoratolo come un Dio. Ma le profezie ed i miracoli ci obbligano a riconoscerlo come Dio; e colla loro evidenza rendono ragionevole quest'ossequio.

Le leggende di Ercole, di Bacco, di Esculapio avevano assuefatti i Politeisti a veder comparire gli Dei sotto umana forma: ma nessuno era disposto a riconoscere tre persone in una sola natura, e la natura umana unita colla divina in una sola di esse tre persone. Questo mistero fu rivelato dal Cristianesimo, e fu creduto per le prove della Rivelazione, non perchè i Politeisti fossero disposti a idee così remote dalle loro.

L'essere inventori delle arti e delle scienze e domatori de' mostri e de' tiranni è un carattere che rende gli uomini degni della stima de' loro simili; ma d'un uomo, per quanto sia grande, non può farsene un Dio; e questa fu la stupida superstizione dei Politeisti: furono convinti co' loro stessi Autori di dar gli onori Divini a soggetti, ch'erano stati puri uomini, ed uomini, i cui vizi e le cui stravaganti vicende oscuravano la luce delle poche opere giovevoli, che attribuì loro la Mitologia. In Gesù Cristo noi non adoriamo un uomo Deificato, ma un Dio unito all'umana natura; e nelle cui azioni traluceva così chiaramente la Divinità, che ne restò pure atterrito chi condannollo alla morte.

La nascita di Gesù da una vergine e la sua risurrezione si mettevano dagl'Infedeli in derisione; e frattanto gl'Infedeli si convertivano in folla: quanto dovevano essere chiare le prove, che facevano ricevere idee così lontane dal naturale.

E queste prove, alle quali l'Autore non ha potuto togliere un grado di forza, dimostrano contro di lui, e dimostravano ai filosofi ed agl'Idolatri dell'antichità, che il Cristianesimo è il sistema della verità, non un'invenzione della superstizione.

Le assemblee Cristiane; terzo motivo di persecuzione

Ristretto. La politica Romana risguardava con gelosia e diffidenza qualunque società particolare, che si formava nello Stato: e le Cristiane assemblee parevano meno innocenti e più pericolose di ogni altra. Gl'Imperatori volevano in esse punire lo spirito d'indipendenza, e temevano, che le predizioni d'imminente calamità inspirassero l'apprensione di qualche pericolo, che provenir potesse dalla nuova setta, che era tanto più sospetta, quanto più oscura.

Risposta. Questo è il ritratto del dispotismo, che invece di giustificare fa fremere di sdegno chiunque conosce i diritti originali dell'umanità. Una politica che prende gelosia di qualunque società particolare, che si formi nello Stato, senza informarsi dell'istituto che professa, dell'oggetto a cui tende, degli esercizi in che si occupa, sarà sempre, come sempre è stata, la politica de' Tiranni.

Le Cristiane assemblee parevano meno innocenti, e più pericolose d'ogni altra? Dunque se ne doveva prendere esatta cognizione. Potevasi negar fede agli Apologisti, come parte interessata. Ma Plinio fece sapere a Traiano, com'egli aveva impiegata una diligenza particolare per venire in chiaro di che si trattasse nelle adunanze de' Cristiani; che per sino aveva impiegati i tormenti ad istrappar dalla bocca di due donne, che in esse servivano da ministre, la verità, che il risultato delle sue ricerche era stato d'averle trovate innocenti e superstiziose. Qual fu la risoluzione del virtuoso Traiano? Stabilì un piano regolare di persecuzione, per abolire un istituto che si era trovato non pure innocente, ma virtuoso, perchè obbligava secondo Plinio col giuramento all'astinenza d'ogni reità.

Plinio non vi trovò l'indipendenza, che sarebbe stata degna di esser punita dall'Imperadore; e Tertulliano sfidò i Gentili ad additare un solo Cristiano, che fosse caduto in sospetto d'essere entrato a parte di qualche cospirazione. Non si sono mai dolsuti i Magistrati di aver trovati i Cristiani refrattari alle leggi ed alla sommissione dovuta al loro grado. Tutta l'indipendenza era ristretta alla libertà della coscienza, che niuna potenza umana ha diritto di costringere.

Le calamità erano predette imprudentemente da' Montanisti; ma i Pagani, che si credevano insultati, si vendicavano sopra tutti i Cristiani per isdegno, non perchè temessero, che i perseguitati potessero giungere ad acquistar la forza di avverare le loro predizioni. Questo maligno pensamento dell'Autore non si trova rinfacciato da alcuno agli antichi Cristiani.

I Costumi de' Cristiani calunniati; quarto motivo di persecuzione

Ristretto. Le cautele, colle quali i Cristiani celebravano gli uffizi di Religione, davano occasione ai Gentili di credere ch'eglino uccidessero bambini nati di fresco tutti coperti di farina, e che se ne cibassero, e che poi stinti i lumi avessero incestuosi commerci fra loro.

Risposta. L'accusa di cibarsi delle carni d'un bambino coperto di farina aveva un fondamento vero: i Cristiani celebrando il mistero dell'Eucaristia, ch'era la parte essenziale del loro culto, sotto le specie di pane mangiavano il vero corpo di G. C., e terminata la funzione si congedavano con darsi il bacio di pace, ch'era il fondamento de' pretesi incesti.

Quanto più atroci erano queste calunnie, tanto più cautamente doveva procedere il Governo; e la più superficiale ricerca gli avrebbe fatto scuoprire il vero. Non sarà un'eterna infamia per gl'Imperatori Romani aver uccisi tant'innocenti sopra un equivoco così grossolano?

L'attaccamento all'Idolatria; ultimo motivo di persecuzione taciuto dall'Autore

Egli è strano che l'Autore abbia passato sotto silenzio la principal cagione delle persecuzioni, posta la quale, tutte le altre si spiegano, e tolta la quale nessuna dell'altre facilmente si concepisce. Imperciocchè sia riguardo ai delitti imputati, sia circa i sospetti, che prendevano dalle adunanze Cristiane, non è credibile che i Romani, i quali nell'amministrazione delle leggi non passano per la più ingiusta, o la più feroce nazione, avesser voluto spargere tanto sangue, e privarsi di tanti sudditi, senza un forte interesse che gli stimolasse a violare così visibilmente i principj dell'equità naturale.

L'attaccamento alla propria Religione, il quale doveva essere grande per ogni riguardo di antichità, di educazione, di libertinaggio, di gloria, faceva sì, che chiudessero volontariamente gli occhi alla luce, e che perseguitassero nella Religione Cristiana, non una setta rea e pericolosa allo Stato, ma una rivale, che minacciava all'idolatria la totale distruzione del suo regno.

Questa cagione trova nella storia di que' tempi gli argomenti più chiari a convincerne chiunque. Imperciocchè non solo vi si veggono i Sacerdoti porre in opera ogni artifizio per opprimere i Cristiani; non solo i Filosofi inventare nuovi sistemi a rettificar l'idolatria per non lasciarla cadere; ma altresì vi si vede il popolo tutto acceso del più alto fanatismo, oltrepassare i limiti prescritti dagl'imperadori allo spirito di accusa, e rinunciando talora all'ubbidienza del proprio Sovrano, usurparne la maestà per dissetarsi del sangue nemico. Cercheremo le tracce della giustizia ne' tumulti popolari?

Non creda alcuno aver l'Autore tralasciato questo articolo per pura inavvertenza: egli lo ha taciuto a disegno, poichè tanto furore religioso come poteva conciliarsi colla tolleranza del mondo Pagano, che forma l'oggetto delle sue delizie? Come avrebbe potuto dire, che i persecutori dal Cristianesimo non furono animati dal furioso zelo de' divoti, ma dalla moderata politica de' legislatori.

 

Dall'esame delle cagioni della persecuzione, come i persecutori possano restare assoluti, lo abbiamo sufficientemente veduto. Seguendo ora i passi dell'Autore, vedremo, s'egli riesca meglio nell'apologia de' Tiranni, cogli articoli, che pretende stabilire sulla storia delle persecuzioni. Essi sono quattro: che passò molto tempo prima che la Chiesa fosse perseguitata: che gl'Imperadori nel punire i Cristiani si condussero con precauzione e con ripugnanza: che furono moderati nell'uso delle pene: e che la Chiesa gustò molti intervalli di pace.

Articolo primo. Se veramente il Cristianesimo stette molto ad essere perseguitato

Ristretto. I Giudei erano tollerati, e la Chiesa dimorò molto tempo coperta sotto il velo del Giudaismo. Forse gli Ebrei non tardarono ad accorgersi, che i loro fratelli Nazarei si staccavano di più in più dalla Sinagoga: ma era stata ad essi tolta l'amministrazione della giustizia criminale, nè era facile d'inspirare al Magistrato Romano il rancore del loro zelo.

Risposta. Suo intendimento è di provare, che il primo de' persecutori fu Traiano nel secondo secolo, che per conseguenza la lunga pace, che godè la Chiesa in tutto questo tempo, quanto fa risplendere l'indulgenza del Politeismo, tanto poco ci fa maravigliare de' progressi che fece la Religione.

Perchè egli taccia nell'uno e nell'altro capo con tanta ostinazione la prima fondazione del Cristianesimo nella Palestina, ognuno lo può più di leggieri comprendere. Che la Chiesa fu fondata nel vivo fuoco della persecuzione; che il fondatore ed alcuni de' suoi primi discepoli furono fatti morire da' Capi della nazione; che essa fece leggi proibitive e rigorose contro coloro che si fossero dichiarati per Gesù Nazareno; che in vigore di tali leggi si venne alla carcerazione di molti Fedeli; che questi furono costretti a sottrarsi colla fuga all'insidie de' nemici, o ad andare raminghi qua e là; che finalmente i Giudei non rivocarono mai questi ordini, sono fatti troppo noti, per non doversi che semplicemente citare.

Quanto ai Gentili convien distinguere due persecuzioni, l'una indiretta e tacita, l'altra diretta ed espressa. La seconda cominciò dall'anno decimo di Nerone, non da Traiano: e la prima fece soffrir la morte ai Cristiani avanti ancora che fossero conosciuti sotto questo nome. Proveremo l'uno e l'altro.

La Chiesa stette molto tempo coperta sotto il velo del Giudaismo. Ci siamo altrove spiegati abbastanza su di questo proposito; ma convenghiamo coll'Autore, che in que' primi tempi i Gentili non facevano differenza tra Giudei venuti alla fede, e Giudei non convertiti. I Giudei, prosiegue l'Autore, erano tollerati: la tolleranza fu loro accordata da Antonino Pio; lo ha detto pur egli. Prima di questo tempo furono perseguitati per le loro continue ribellioni; e l'Autore trova sotto Domiziano alcuni, fatti morire per costumi Giudaici. Quindi appunto perchè i Cristiani passavano per i Giudei, erano compresi nelle loro disgrazie.

Inoltre vi erano due antichissime leggi, l'una delle quali è rammentata da Livio, e l'altra da Cicerone; esse vietavano ogni culto straniero, e davano la pena di morte ai malefici. Ora Svetonio, parlando de' primi Cristiani, dice, ch'erano accusati di maleficio.

Terzo, Plinio a tempo di Traiano condannava a morte i Cristiani prima che questo Imperadore stabilisse contro di essi una pratica criminale: onde s'inferisce che gli altri Governatori seguivano pure lo stesso costume. E siccome Plinio dichiarò di non aver trovata una regola fissa per sua direzione, così è da dirsi, che si procedesse contro i Cristiani non in forza di qualche legge vigente fatta a bella posta contro di loro, ma per leggi generali, che facessero nascere perplessità nell'animo di un Ministro, che voleva guidarsi con sicurezza. Altronde si sa che, essendo state annullate le leggi di Nerone dal Senato e quelle di Domiziano dal suo successore, Plinio non può alludere a queste.

Quarto, sotto Traiano si condannarono i Cristiani pe' clamori del popolo, e non apparisce, che fosse nato allora questo abuso.

Quinto, finalmente sappiamo, che Tiberio, sotto cui fu crocifisso il Redentore del mondo, difese i Cristiani dal rigor delle leggi: niuno avendo ancora potuto far leggi espresse contro i Cristiani, uopo è dire, che si facessero valere contro di essi le leggi generali dianzi rammentate.

Ecco adunque solidamente stabilito, che il Cristianesimo appena nato, appena conosciuto, fu costretto a soggiacere sotto il flagello d'una persecuzione tacita ed indiretta, onde l'Autore non possa tanto lodare l'indulgenza del Politeismo, e non ci rappresenti la Chiesa giunta a sufficiente robustezza, prima che la persecuzione la prendesse a combattere.

La persecuzione espressa e diretta cominciò da Nerone; sue furono le prime leggi, quelle di Domiziano le seconde. Ma l'Autore facendosi bello di alcune riflessioni, che si trovano nella Storia universale del Signor di Voltaire, vuol che si tolgano questi due Imperadori dal numero de' persecutori. Ecco come parla del primo.

Ristretto. Abbiamo da Tacito, che Nerone imputando ai Cristiani l'incendio di Roma, attribuito generalmente a lui, ne fece morire una moltitudine con crudeli tormenti. Ma 1. non si può mettere in dubbio la verità del fatto, e la genuità del testo di Tacito: 2. egli non potè essere informato di questo fatto se non dalla conversazione o dalla lettura: 3. non potè parlarne se non sessant'anni dopo, quando cioè era forzato ad adottare le relazioni de' contemporanei riguardo ai Cristiani, e parlarne non tanto secondo le cognizioni o i pregiudizi dell'età di Nerone, quanto secondo quelli d'Adriano: 4. Tacito lascia spesso le circostanze intermedie che dee supplirvi il lettore. Può dirsi pertanto che Nerone fosse disposto ad imputar l'incendio di Roma piuttosto ai Giudei che agli oscuri Cristiani; e che quelli profittando della protezione di Poppea e di un Giudeo Commediante sostituissero per vittima i Galilei, setta di recente nata fra loro, e che avendo avuto lo stesso nome i seguaci di Cristo denominati Cristiani all'età d'Adriano, si credesse per equivoco accaduta ai Cristiani la disgrazia de' Galilei, e che Tacito avesse commesso lo sbaglio medesimo. Ma comunque ciò sia, questa crudeltà riguardò l'accusa dell'incendio, non de' dogmi de' Cristiani, e non uscì dal recinto di Roma; ed i Principi seguenti risparmiavano una setta oppressa da un Tiranno.

Risposta. Le quattro osservazioni sopra Tacito sono ammirabili. La prima, ch'è sulla genuità del passo, non è a proposito. Nella quarta, pretendendosi che Tacito fosse caduto in un equivoco di nomi, si vorrebbe che il lettore lo rischiarasse, con supplire le circostanze intermedie ch'egli suol tralasciare. Nella seconda Tacito, per informarsi di un avvenimento accaduto nella sua fanciullezza, doveva ricorrere alla relazione, o agli scritti. Se non che viene la terza ad annunciarci, che parlando egli di questo fatto sessanta anni dopo, cioè sotto Adriano, dovè adottare l'idee di questo tempo, non del tempo di Nerone. Il Signor di Voltaire non cumulò tanti spropositi.

O Tacito consultò memorie scritte, o le relazioni de' viventi. In un periodo di sessant'anni le memorie scritte non potevano essere, che o prossime al fatto o contemporanee; e ne' pubblici registri dovevano trovarsi i nomi, la condizione e l'istituto de' giustiziati; di sorte che a questi caratteri Tacito, il quale si mostra informato dell'origine de' Cristiani, non poteva equivocare in forza del nome: anzi avrebbe potuto correggere l'opinione del suo tempo se l'avesse trovata erronea. Se consultò le relazioni de' viventi, naturalmente dovè ricorrere a' più vecchi come a' più vicini al fatto; e benchè la di lui storia si supponga scritta sessant'anni dopo, pure non potè egli raccoglier la materia, e stenderla in breve spazio di tempo: di maniera che ci avvicineremo tanto ai contemporanei, che non si comprenderà più la possibilità dell'equivoco. Tacito era fanciullo allorchè Nerone commise quell'eccesso; nell'età avanzata non dovè informarsi da persone, che allora erano molto maggiori di lui?