Neve Colorata

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Neve

Colorata

Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Caterina Magnanelli

Edizioni Tektime

2020

Titolo Neve Colorata

Titolo dell’originale spagnolo: Nieve de Colores

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Caterina Magnanelli

1ª edizione: novembre 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Edizioni Tektime, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

È vietata la vendita totale o parziale, il salvataggio in banca dati e la trasmissione in qualunque forma e con qualunque mezzo senza la previa autorizzazione scritta dell’editore. L’infrazione dei diritti menzionati può costituire delitto contro la proprietà intellettuale (Art. 171 e successivi della Legge n. 633/41 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio).

Prologo

Finalmente, era arrivato il momento di concludere un’intensa giornata di lavoro, piena di dispiaceri. Una vera e propria maratona per poter fare la mia parte in quel grande ingranaggio che era l`azienda in cui lavoravo, nella quale non si poteva fallire senza danneggiare tutto il resto.

Stavo raccogliendo qualche foglio di carta nel mio ufficio, quando sentii quel suono che faceva il computer quando ricevevo una nuova e-mail. Di solito a quell’ora non le controllavo, poiché preferivo essere fresco e riposato; inoltre, quella era stata una giornata impegnativa, perciò era meglio aprirla la mattina seguente. Normalmente, non l`avrei letta nemmeno a casa, dato che cercavo di separare la mia vita professionale da quella privata.

Dedicato ai miei genitori

Sommario

Prologo

Capitolo 1. La strana immagine

Capitolo 2. L’inizio della ricerca

Capitolo 3. Rinascita

Capitolo 4. C’è qualcuno che vorrebbe parlarti

Capitolo 5. Il ladro di bambini

Capitolo 6. Si torna a casa

Capitolo 1. La strana immagine

Finalmente, era arrivato il momento di concludere un’intensa giornata di lavoro, piena di dispiaceri. Una vera e propria maratona per poter fare la mia parte in quel grande ingranaggio che era l`azienda in cui lavoravo, nella quale non si poteva fallire senza danneggiare tutto il resto.

Stavo raccogliendo qualche foglio di carta nel mio ufficio, quando sentii quel suono che faceva il computer quando ricevevo una nuova e-mail. Di solito a quell’ora non le controllavo, poiché preferivo essere fresco e riposato; inoltre, quella era stata una giornata impegnativa, perciò sarebbe stato meglio aprirla la mattina seguente. Normalmente, non l`avrei letta nemmeno a casa, dato che cercavo di separare la mia vita professionale da quella privata.

“Il lavoro è lavoro e la casa …” era un’altra cosa, cioè qualcosa che capii solo dopo essere riuscito a superare una malattia stancante, così frequente al giorno d’oggi, chiamata dipendenza dal lavoro.

Quest’ultimo fu il mio rifugio per molti anni, soprattutto quando le mie relazioni interpersonali non andavano come avrei voluto o sperato.

Ciò che poteva essere qualcosa di negativo a causa dello sforzo che implicava, veniva, invece, ricompensato economicamente e riconosciuto dai miei colleghi.

Pensavo di aver superato il problema, soprattutto dopo aver cominciato questo nuovo lavoro; si trattava di una piccola rivista, situata bene su scala nazionale, ma in cui non avevo alcuna possibilità di promozione.

In questo modo, la mia ansia e il mio spirito competitivo si calmarono un po’ e, inoltre, riportai i piedi a terra riguardo le mie reali possibilità nella vita, però la curiosità mi spingeva oltre.

Il suono della nuova e-mail mi turbò, ero addirittura ansioso di leggerla.

Aprendola, vidi con stupore una foto strana: era un quadro con diversi colori o, meglio, un …, non sapevo bene cosa fosse, potevo distinguere il giallo e l’azzurro sopra uno sfondo bianco, ma senza riuscire a capire di cosa si trattasse.

Controllai l’indirizzo di chi me l’aveva mandata per vedere se potevo capire qualcosa di più su quell’immagine e, con sorpresa, scoprii che era una collega, una mia vecchia amica, con la quale ci fu del tenero anni addietro, ma niente di serio.

Sapevo che aveva lavorato in vari canali televisivi e si era specializzata in notizie sul clima, quindi, non solo dava le previsioni del tempo, ma si appostava proprio nei luoghi dove poter registrare la notizia: spesso accorreva nelle zone colpite dagli uragani, dalle tormente, dai tornadi e da qualsiasi altro fenomeno metereologico sconvolgente o raro, sufficiente a fare notizia.

Tornai a studiare l’immagine, sembravano delle fasce bianche; doveva essere una foto, ma era così strana. Tutto d’un tratto mi resi conto che si trattava di neve, o, almeno, così mi pareva.

Assomigliava a una specie di collina ricoperta da una coltre bianca, inoltre, si vedevano dei monticelli che si elevavano in lontananza e, sulla cima di questi, alcuni colori.

Era neve colorata? Che cosa assurda! Forse l’archivio era rotto oppure, nel trasmetterla, l’immagine si era rovinata.

Ma lei dove si trovava? Nella parte inferiore della foto c’erano la data e l’ora, il giorno era corretto, ma l’ora no. Magari aveva scattato la foto qualche ora prima e me l’aveva inviata in quel momento. Non lo sapevo, però continuavo a chiedermi che località fosse.

Stimolato nel risolvere la questione mi avvicinai al reparto informatica per scoprire l’origine di quel messaggio. Uno degli incaricati mi spiegò che ogni messaggio lasciava una traccia e che, impiegando i programmi giusti, si riusciva a scoprire attraverso quali paesi era passato, fino al paese di origine. Lo verificò e in meno di due minuti trovò il numero del server dal quale era stato inviato il messaggio; introdusse questo codice in un altro programma, che diede come paese di partenza la Russia.

‘La Russia?’ mi domandai, turbato di fronte a quell’informazione. Era evidente che la mia amica viaggiava molto, ma addirittura così lontano? Cosa l’aveva portata fin là? Cosa stava facendo? E che cosa c’entrava quella foto così strana in tutto ciò?

Era un modo bizzarro di recuperare un contatto perso per pigrizia e per il passare del tempo.

Questo era ciò che succedeva nella vita: se non si coltivava l’amicizia tutti i giorni, questa si spegneva come la fiammella di una candela e ci si dimenticava persino i nomi dei nostri migliori amici, lasciandoci solamente con quache album pieno di fotografie, con persone che se le avessi incontrate di nuovo ti avrebbero sorpreso da quanto erano cambiate.

Mi era già successo di incontrare una persona che non vedevo da anni, e non assomigliava per niente a come la ricordavo.

Forse, con il tempo, i miei ricordi si erano modificati lasciando solo i bei momenti ed eliminando alcuni aspetti che non mi piacevano di quella persona; oppure era proprio lei che era cambiata. Comunque sia, tutti coloro che avevo incontrato dopo diversi anni non assomigliavano per nulla alle persone presenti nella mia memoria.

Probabilmente, mi stava succedendo la stessa cosa con questa mia amica, però, perché mi aveva inviato quel messaggio con una foto così strana?

Se non l’avessi conosciuta bene avrei pensato che si fosse sbagliata, ma sapevo che non le piaceva disturbare e che non chiedeva aiuto nemmeno quando ne aveva bisogno, piuttosto, lasciava delle note o delle immagini che indicassero pressoché ciò che le serviva.

Ricordavo ancora con tenerezza quella volta che lasciò una rivista di vestiti da sposa sopra i miei appunti in biblioteca, mentre ero in bagno, e, quando tornai alla mia postazione, me la ritrovai lì. Inizialmente mi turbò, ma poi la vidi che sorrideva in lontananza, aspettando la mia reazione. Era un modo un po’ infantile per i miei gusti, ma molto chiaro e preciso.

Sicuramente questa foto era una cosa del genere, un tentativo di comunicare qualcosa, o una richiesta d’aiuto, però non riuscivo a capire il contenuto del messaggio; più lo osservavo più non vedevo altro che un mucchio di neve colorata. Che fosse stato questo? Forse il colore era qualcosa di importante.

Dopo aver ringraziato l’addetto per l’aiuto, tornai alla mia scrivania e lì cominciai a navigare in internet per vedere se riuscivo a trovare qualcosa che collegasse la neve, i colori e la Russia.

Con grande sorpresa trovai alcuni articoli che facevano riferimento a strani fenomeni atmosferici, con neve gialla o azzurra, in cui veniva spiegato che queste colorazioni erano dovute a un’elevata concentrazione di particelle ferrose o altri metalli presenti nelle nubi.

Nella Siberia Occidentale era scesa neve colorata, per lo più gialla, ma anche arancione e azzurrina. Tutta questa neve era caduta su una superficie di 100 chilometri di lunghezza per un chilometro di larghezza, colpendo circa 30.000 abitanti, i quali la definirono appiccicosa e maleodorante.

Secono alcuni gruppi ecologisti menzionati negli articoli, questo fenomeno poteva essere dovuto al mal funzionamento di una raffineria o di una fabbrica di concimi chimici, la quale aveva rilasciato nell’atmosfera sostanze che “coloravano” le nubi.

 

Al di là del fatto che potesse incuriosire, non mi sembrava un motivo sufficiente per dirigermi in quei posti, poiché era come uno spettacolo di fuochi d’artificio: carino, ma niente di più.

L’unica cosa certa era che lei si trovava in Russia quando mi inviò il messaggio e che tutto aveva a che fare con la neve colorata.

Ora avevo più chiaro quello che stava accadendo, anche se continuavo a non capire che cosa avrei dovuto fare, se aspettare la sua chiamata o andarla a cercare. Se almeno mi avesse dato un numero di telefono nel quale contattarla, glielo avrei potuto chiedere.

Mentre pensavo a tutto ciò, un collega richiamò la mia attenzione:

“Guarda là, in televisione”, con mia grande sorpresa vidi che si trattava di una notizia proveniente dalla Russia, nella quale veniva mostrato un fiume pieno di pesci morti.

Essendo un paese in cui la cura dell’ambiente non era una priorità, la notizia non avrebbe suscitato scalpore, se non fosse per il fatto che si trattava di foto del fiume Neva mentre attraversava la città di San Pietroburgo, scattate da alcuni turisti.

Inizialmente, non gli diedi importanza, essendo una cosa che accadeva spesso nei paesi più industrializzati, nei quali le industrie versavano erroneamente nei fiumi sostanze contaminanti che annientavano la vita acquatica. L’acqua, diluendo le sostanze, riduceva l’impatto ambientale in quella zona, ma, al tempo stesso estendeva l’inquinamento in territori più lontani. Queste immagini di San Pietroburgo sicuramente si riferivano a punti più elevati del fiume, proprio dove era stato contaminato, per questo vi si trovava quella grande concentrazione di pesci morti.

Beh, questa storia cominciava proprio a diventare un rompicapo: due notizie sulla Russia nello stesso giorno, entrambe contenenti effetti nocivi per l’ambiente. Non sapevo se questo potesse essere sufficiente per iniziare un’indagine giornalistica, per cui andai dal mio superiore e gli esposi il caso, sottolineando l’opportunità di fornire una notizia nuova e di grande interesse mediatico, raccontata in prima persona dal luogo in cui erano avvenuti i fatti.

Inizialmente, era restio, perché non vedeva che relazione potessero avere i due eventi, soprattutto quando la distanza tra le due località era così grande. Io insistei e riuscii a ottenere solo una minuscola mezza pagina che dovevo riempire in una settimana. Cosa avrei dovuto farci con una settimana se non conoscevo nessuno in Russia a cui poter chiedere?

Il lavoro andava bene, visto che, con le poche informazioni che avevo raccolto, avrei comunque potuto scrivere un mezzo foglio senza problemi; la cosa più importante era che ero riuscito a trovare una scusa per andare a cercare la mia amica.

Tornai alla mia scrivania e continuai a navigare in internet per scovare qualcosa riguardo la sua vita da quando ci separammo. Scoprii che era passata di lavoro in lavoro e, per finire, aveva cominciato a insegnare all’università. Lei all’università, non potevo crederci!

Era una antigovernativa, vedeva il male ovunque, diceva che lavorava solo per pagare le bollette e non credeva nel modo in cui funzionava la società. Invece, guarda un po’ dov’era finita: insegnando alle nuove generazioni a essere bravi cittadini!

Una volta fatta questa piccola scoperta, chiamai l’università per chiedere di lei:

“Buongiorno, come sta?”

“Bene, grazie. In cosa posso esserle utile?”

“Sto cercando una professoressa che lavora lì”.

“Bene, di chi si tratta?”

“Si chiama Magui Robtson”.

“Aspetti un secondo. Sì, vedo che in questo semestre non ha lezioni. Qual è il motivo della sua chiamata?”

“La sto cercando, sono un vecchio amico”.

“D’accordo, vado a controllare se si trova nel suo ufficio, aspetti un momento”.

Inserì una di quelle musichette tranquille, quasi ipnotiche e, dopo qualche minuto, mi disse:

“Nel suo ufficio non c’è, però le passo il suo relatore di tesi, un secondo per favore”.

Relatore di tesi! Beh, meglio di niente, almeno potevo cominciare a capire di cosa si occupasse.

“Buongiorno, mi dica”, disse una voce rauca all’altro lato del telefono.

“Buongiorno, sto cercando Magui Robtson, sa dove posso trovarla?”

“Certo che sì, è in Artide, sta effettuando un’indagine sui poli”.

“Non è in Russia?”, chiesi sconcertato.

“No, in Artide, a quanto pare le gelate sono arrivate prima del previsto e sono rimasti isolati per mesi, ma niente di cui preoccuparsi, hanno cibo e alimenti di scorta e sono al riparo”.

Mi stupì molto questa informazione, ma ringraziai e riagganciai.

Se si trovava sull’Artico, perché mi inviava immagini della Russia? Non aveva senso, qualcosa non quadrava.

Tutto ciò mi lasciò inquieto, così iniziai a cercare informazioni su questo relatore di tesi e sui progetti che seguiva. In quel momento stava studiando i cambiamenti climatici e lo scioglimento dei ghiacciai, uno studio che non aveva niente a che fare con quello su cui stava lavorando la mia amica.

Poteva essere che, per curiosità o per un capriccio del destino, si fosse scontrata con qualcosa che non aveva previsto, oppure che stesse cercando nuove notizie.

L’unica cosa che sembrava chiara, era che lei era cambiata molto da quando la conoscevo io, visto che ora sembrava una donna conforme alla società e che perseguiva obiettivi accademici.

Nonostante tutti i dubbi che mi stavano salendo, mi rendevo conto che volevo sapere che cosa le fosse successo, sebbene avessi fatto passare molto tempo senza chiedere sue notizie. Ora, però, per qualche motivo che ancora non comprendevo, era tornata nella mia vita e volevo almeno scoprire come si sentisse.

Probabilmente il suo relatore di tesi sapeva già la risposta, dato che presumibilmente passavano molto tempo insieme. A parte le inquietudini e gli interessi, non ero ancora convinto del luogo in cui si trovasse.

La spiegazione alternativa era che qualcuno, in Russia, avesse scoperto la password del suo account e mi avesse inviato quell’immagine per puro interesse artistico, idea che mi pareva, però, alquanto strampalata.

Sapevo che, prima o poi, sarei dovuto partire per la Russia, per cui non ci pensai più e mi misi a cercare dei voli, tutti che facevano scalo a Francoforte o a Vienna. Durante questa operazione mi invase un senso di preoccupazione: “Ma quando arriverò là, da dove dovrei cominciare? Si tratta del paese più vasto del mondo”, pensai.

Avevo due opzioni che mi sembravano giuste: dirigermi verso la località della foto, oppure andare a San Pietroburgo. Entrambe mi avrebbero condotto nei luoghi di notizia, in modo da ottenere finanziamenti da parte della rivista per realizzare il reportage.

Decisi di cominciare dal più accessibile: andare a San Pietroburgo, per cui dovevo arrivare a Mosca e da lì prendere un altro volo interno di circa due ore.

Un alto problema che dovevo risolvere era il modo in cui avrei comunicato, dato che, nonostante conoscessi diverse lingue, tra queste non vi era il russo.

A questo punto, pensando che, essendo dello stesso settore, mi avrebbero dato tutto l’aiuto necessario, scrissi una e-mail a un giornale del posto per chiedere se potessero fornirmi un servizio di traduzione durate la mia permanenza lì.

Avevo già preparato tutto, inclusa una lista di parole tradotte in russo e scritte così come suonavano, per facilitarmi il tragitto fino a Mosca e prendere il volo per San Pietroburgo.

In questo breve lasso di tempo, in cui sicuramente avrei dovuto cambiare terminal, sarei dovuto passare per i controlli di sicurezza e, per lo meno, volevo essere in grado di dire ‘buongiorno’ e ‘grazie’.

Nonostante la mia fretta, dovetti aspettare tre giorni prima di poter prendere il volo che mi avrebbe portato, forse, alla ricerca di un amore perduto, oppure ero semplicemente emozionato per il mistero che ruotava attorno a tutta la storia. Ad ogni modo, quelle notti non riuscii a chiudere occhio pensando a tutte le difficoltà che avrei dovuto affrontare dirigendomi in un paese in cui non capivo una parola e in cui avrei dovuto affidarmi all’aiuto della gente del posto.

Infine, il giorno tanto atteso arrivò. Ero seduto nell’aereo per Mosca e già mi sudavano le mani al solo pensiero di incontrarla. Era passato tanto tempo, tuttavia, credevo che esistesse ancora un sentimento profondo e sincero disposto a rivelarsi.

Tutt’ora, non ricordavo il motivo della rottura, poiché stavamo così bene insieme. Forse eravamo troppo giovani e preferivamo proseguire con le nostre vite e preoccuparci di trovare un nostro posto nel mondo del lavoro e della società, la quale non ci permetteva di accontentare il cuore.

Chissà, se le circostanze fossero state diverse, ora saremmo sposati e sicuramente felici. Ma, in quel caso, probabilmente lei non avrebbe terminato gli studi o non avrebbe raggiunto gli alti livelli che sembrava aver conquistato da quando non ci sentivamo più.

Mentre pensavo a tutto ciò il mio cuore accelerava e la mia mente veniva pervasa dai ricordi del primo amore.

Prima di lei ero uscito con altre ragazze, ma era stato più che altro frutto del desiderio di scoperta della giovenizza che un vero e proprio sentimento d’amore.

Tra di noi, invece, fu tutto molto rapido, sembrava che fossimo fatti l’uno per l’altra, avevamo gli stessi interessi, gli stessi modi di parlare e pensare e, inoltre, studiavamo insieme. Ciò che all’inizio era amicizia diventò qualcosa di più, fino a che cominciammo a dipendere l’uno dall’altra. Non passavano più di due minuti senza che pensassi a lei e viceversa.

Fu una bellissima tappa della mia vita, però non mi guardai mai più indietro, visto che il mio principio era pensare al futuro e non perdere tempo preoccupandomi se avessi fatto bene o male, o come sarebbe andata nel caso in cui avessi preso altre decisioni.

A volte questo mi aveva portato a conseguenze poco gradevoli, infatti in altre occasioni commisi lo stesso errore, poiché non imparai dagli sbagli, dedicando poco tempo a riflettere e ricapitolare l’accaduto.

Non sapevo perché, ma ricordare il passato mi intristiva, forse per l’immensa quantità di bei momenti che avevo avuto, ma anche per le persone che avevano fatto parte della mia vita, con le quali, ora, non potevo condividere il mio tempo sia perché, come la mia amica, avevamo perso i contatti, sia perché erano già decedute.

Per me era incredibile ritrovare questi sentimenti che mi pervadevano il corpo, come quella strana sensazione causata dall’ingestione di una bevanda fredda dopo un esercizio continuato, che, alla fine, lasciava una sensazione gradevole.

Ero nervoso come se avessi avuto di nuovo quindici anni, come se fosse stata la prima volta che andavo a trovare una ragazza a casa sua, sentivo tutto con grande intensità e mi sorpendeva il fatto di essere così nervoso.

Pensai a quanto fosse cambiata, dato che l’ultima volta che la vidi aveva da poco passato la fase dell’adolescenza, invece ora, dalle foto che avevo visto in internet, aveva i capelli di un altro colore e portava gli occhiali.

Dovetti guardarla due volte per poter apprezzare quei lineamenti che da giovane mi avevano fatto innamorare: avevo memorizzato ogni centimetro del suo viso, invece ora sembrava così diversa. Poteva essere il frutto del passare degli anni, magari dell’esperienza. Secondo quanto mi disse uno psicologo sociale, i momenti belli e quelli brutti della vita segnano il viso. Secondo lui, guardando il volto di una persona, si poteva capire cosa gli era capitato nella vita, se era stata trattata bene o male, se aveva sofferto o riso molto, infatti, disse, quando un muscolo veniva usato spesso questo si sviluppava.

Dalla nostra faccia e dalla nostra espressione poteva capire quali muscoli usavamo di più e, in funzione di ciò, determinare se avevamo passato più tempo tristi o felici.

Forse mi ero lasciato trascinare dall’immaginazione, cercando di anticipare l’incontro con lei, anche se non sapevo se ci sarebbe stato, visto che, una volta a San Pietroburgo, non avevo molto chiaro dove sarei dovuto andare. Probabilmente sarebbe stato meglio andare direttamente da lei.

La mia amica si trovava nella regione della Siberia occidentale, da dove aveva inviato quella fotografia con quei colori strani, ma il viaggio si presentava complicato e infruttuoso, come cercare un ago in un pagliaio, dato che la regione era talmente vasta che mi ci sarebbe voluto più di un mese per percorrerla tutta, ovviamente supponendo che lei fosse ancora lì.

 

La prima cosa da fare appena atterrato sarebbe stata assicurarmi che lei fosse entrata nel paese, era un compito difficile, ma supponevo che all’ambasciata avrebbero saputo aiutarmi, visto che tenevano un registro dove venivano segnati tutti i cittadini che entravano.

Un’altra possibilità era chiederlo al governo russo, ma con che autorità potevo farlo? Solo perché desideravo ritrovare una vecchia compagna? Non credevo che sarebbe stato sufficiente.

Secondo il suo relatore di tesi, avrebbe douto essere sull’Artico, ma non capivo come mai se ne fosse andata via da lì e, cosa più intrigante, perché mi avesse inviato quella foto.

Probabilmente mi stavo facendo troppe domande, per cui decisi di concentrarmi su ciò di cui ero sicuro, un fiume inquinato, con migliaia di pesci morti, e la neve colorata. Forse si trattava di casi isolati, ma almeno sapevo da dove cominciare a cercare.

Il mio direttore mi aveva chiesto un articolo, quindi la prima cosa da fare era portare a termine quella mansione, poi approfittare del fatto di essere lì per intraprendere la mia ricerca personale.

Qualche foto dei luoghi e le dichiarazioni degli abitanti di quelle zone sarebbero state sufficienti per completare i dati ufficiali, i quali erano abbastanza vaghi, affermavano, infatti, che entrambi i casi riguardavano difetti di qualche impianto chimico che, per errore, aveva versato sostanze contaminanti nel fiume e nell’atmosfera.

Questa era una lotta che aveva portato molti gruppi a protestare nei paesi industrializzati, visto l’alto livello di sostanze nocive che inizialmente venivano gettate nell’ambiente.

Oggi in questi paesi esistono protocolli che permettono di riciclare questi eccessi, in modo da ridurre al minimo l’impatto ambientale e individuare le eventuali perdite, per poi mettere in pratica piani di vaccinazione o di evacuazione delle popolazioni più vicine.

Provavo simpatia per questi gruppi che denunciavano ciò che non funzionava per questioni di sicurezza e protezione, anche se a volte mi sembrava che abusassero del loro potere, provocando danni alle industrie, necessarie al progresso.

Forse era difficile mantenere l’equilibrio tra ciò che chiedevano e l’evoluzione.

Io volevo dare un’impronta più umanitaria a quell’articolo. Sebbene fossi disposto ad ascoltare tutti coloro che volevano dare la propria opinione, inclusi i gruppi ecologisti, a me interessava più che altro come lo aveva vissuto la gente del posto, i cittadini con i quali si poteva identificare il lettore, quelli che giorno dopo giorno andavano al lavoro e facevano i conti per arrivare alla fine del mese.

Guardando dal finestrino vidi una grande distesa bianca; non era un banco di nubi come quello che avevamo attraversato qualche tempo prima, ma era l’immensa pianura bianca della Russia. Ammirando il paesaggio mi resi conto che non avevo idea di come avrei fatto se il giornale con cui mi ero messo in contatto non mi avesse fornito un traduttore, ma i problemi li avrei risolti mano a mano che si presentavano.

Il mio arrivo a Mosca fu tranquillo: c’era molta sicurezza armata in aeroporto e dovetti identificarmi un paio di volte, ma, a parte questo, non ebbi particolari problemi prima di imbarcarmi sul volo per San Pietroburgo.

Il cambio dei caratteri con cui erano scritti i cartelli mi rese un vero tormento capire come funzionava il tutto, ma, dopo aver chiesto ad alcuni turisti che parlavano un po’ di inglese, riuscii ad arrivare ad un ufficio informazioni e lì mi indicarono in che sala avrei dovuto aspettare e a che ora sarebbe partito il mio aereo.

Dopo quasi due ore di volo, arrivai all’aeroporto. Era tardi e, nonostante mi fossi accordato con una persona del giornale, non pensavo che sarei arrivato a quell’ora. Con sorpresa, dopo essermi ripreso i bagagli ed essermi diretto verso l’uscita, trovai il mio nome in un cartello tenuto in mano da un ragazza giovane, con i capelli nero corvino che contrastavano con la carnagione bianca.

C’erano altre persone che tenevano dei cartelli, probabilmente per turisti sbadati come me, e alcuni facevano riferimento ad agenzie di viaggio.

Mi avvicinai alla ragazza e mi identificai, cercando di farle capire a gesti che ero io quello del cartello. Con mia grande sorpresa, lei rispose:

“Parlo perfettamente la sua lingua, è per questo che mi hanno mandato a prelevarla. Sarò la sua guida durante la sua breve permanenza”.

“Chi ha detto breve?” domandai tra il meravigliato e il molesto.

“Mi hanno detto che si tratta di una permanenza di due, massimo tre giorni. Di solito i giornalisti stranieri fanno così, arrivano, scrivono la notizia e tornano al loro paese per pubblicarla.”

“Beh, sì, l’idea sarebbe questa, però devo anche trovare una mia amica.”

“Non so niente della sua amica”, disse sconcertata.

“Non ho detto tutto al giornale, ma sto cercando una ragazza scomparsa.”

“Bene, se è così il giornale dovrebbe sapere la sua ultima ubicazione.”

“Lei non lavora per nessun giornale, stava portando avanti un’indagine sull’Artico.”

“Non ho capito nulla, dovrà raccontarmi tutto se vuole che l’aiuti”, mi disse mentre, con le valigie, ci dirigevamo all’uscita.

Dopo aver superato la fermata dei taxi arrivammo al parcheggio, dove, superate varie file di auto, mi disse:

“Questa è la mia macchina, lasci pure le valigie sui sedili posteriori, il bagagliaio, purtroppo, è occupato”.

Feci come mi disse, poi mi sedetti sul sedile del passeggero e uscimmo dall’aeroporto internazionale di Pulkovo, in direzione della città.

Sebbene non fosse tardi, appena le sei della sera, sembrava già notte fonda e, nonostante l’ora, ero già abbastanza stanco, probabilmente a causa del cambio d’orario, oppure delle ore di volo.

“In realtà, mi sono presa la libertà di cancellare la sua prenotazione in hotel”.

“Cos’ha fatto?”, domandai stupito.

“Senta, ho un affitto da pagare e quei soldi mi servirebbero, con quello che lei spenderebbe in un giorno potrei pagarci mezzo mese. Il mio appartamento è grande e pulito, glielo chiedo per favore, da collega a collega.”

“Non so, mi sembra molto strano”.

“Dopo aver passato un po’ di tempo qui, capirà che siamo brave persone, nonostante la fama che abbiamo in occidente. Abbiamo molte carenze pur avendo una grande economia, infatti, la ricchezza si concentra nelle mani di pochi ed è molto difficile mantenere uno stile di vita accettabile; addirittura, alcuni hanno due o tre lavori.

“Io, al momento, studio e lavoro in questo giornale, ma, siccome non mi basta per vivere, a volte faccio altri lavori, come la guida turistica, ad esempio, visto che conosco diverse lingue.”

“Mi sorprende quello che mi sta dicendo, credevo che questo paese tanto temuto fosse migliore.”

“Sì, dipende da ciò a cui ti dedichi, quelli che lavorano per il governo ricevono un buon stipendio, ma tutti gli altri devono guadagnarsi il pane poco a poco”.

Dopo aver riflettuto un momento, le dissi:

“Va bene, però a una condizione, mi accompagnerà e mi farà da traduttrice per tutto il tempo necessario, che siano tre giorni o un mese”.

Lei mi guardò con gli occhi spalancati, e, sorpresa, mi chiese:

“Mi pagherà un mese di ospitalità? Qui sarebbe come un milione”.

“Beh, no, il giornale per cui lavoro mi ha concesso massimo una settimana, è tutto quello che posso pagare”, risposi, ricordando la conversazione con il mio capo.

“Affare fatto”, disse tendendomi la mano.

“Un’altra cosa”, dissi, prima di stringergliela.

“Non mi aveva detto una sola condizione?” mi chiese, sorpresa.

“La benzina la pago io”, risposi sorridendo leggermente.

“Lei paga, lei sa”, disse, contraccambiando il gesto con un occhiolino.

Non capii bene que gesto, però sembrava che, alla fine, in quel mondo di incertezza, qualcosa cominciasse a prendere forma: avevo ottenuto una traduttrice che mi avrebbe fatto da autista e da guida turistica per tutto il tempo necessario.

Supposi che a lei andasse bene sotto l’aspetto economico, ma, per quel che mi riguardava, incontrarla era stato un sollievo.

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